Francesco Guicciardini: differenze tra le versioni

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== Il pensiero politico ==
{{P|Fatta eccezione per il primo paragrafo, il testo esprime opinioni di parte e non supportate da fonti|storia|arg2=politica|febbraio 2013}}
Guicciardini è noto soprattutto per la ''[[Storia d'Italia (Guicciardini)|Storia d'Italia]]'', vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra il [[1494]] (anno della discesa in italia del Re francese [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]]) e il [[1534]] (anno della morte di [[Papa Clemente VII]]) e capolavoro della [[storiografia]] della prima epoca moderna e della storiografia scientifica in generale. Come tale, è un monumento al ceto intellettuale italiano del [[XVI secolo]], e più specificamente alla scuola toscano-fiorentina di storici filosofici (o politici) di cui fecero parte anche [[Niccolò Machiavelli]], [[Bernardo Segni]], [[Jacopo Pitti]], [[Jacopo Nardi]], [[Benedetto Varchi]], [[Francesco Vettori]] e [[Donato Giannotti]].
 
L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli [[Antichi stati italiani#XV secolo|stati italiani]] del [[Rinascimento]] con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).
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Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la ''discrezione'' (''Ricordi'', 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per [[Machiavelli]]. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il ''particulare'' (''Ricordi'', 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.<ref>[[Natalino Sapegno]], ''Compendio di storia della letteratura italiana'', La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 94-97.</ref> In altre parole il ''particulare'' non va inteso egoisticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con quello di [[Nicolò Machiavelli|Machiavelli]]).
 
In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della ''Storia d'Italia'', [[Jacopo Pitti]] scrisse l'opuscolo ''Apologia dei Cappucci'' (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i ''Cappucci''.
 
== Fortuna ==
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=== La critica seicentesca ===
[[File:Anthonis van Dyck 030.jpg|thumb|right|[[Antoon van Dyck]], Ritratto equestre di Anton Giulio Brignole Sale, [[1627]]]]
«L’angolo di prospettiva dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, [[Anton Giulio Brignole Sale|A. G. Brignole Sale]] (1636): «quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra il [[Paolo Giovio|Giovio]], sol che questi, qual pittor gentile, de’de' soggetti ch’eglich'egli ha per le mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezzal'acutezza della sua sagacità fino a mostrarci il cuore e il cervello de’de' famosi personaggi ben penetrato»<ref>A. G. BRIGNOLE-SALE, ''Tacito abburatato'', Genova, 1643, Disc. IV, p. 133.</ref>. All’affiatamentoAll'affiatamento con lo spirito dell’operadell'opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario, una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare, superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intimal'intima misura e precisione pur nel tono sostenuto<ref>«Or chi non vede – scriveva il [[Alessandro Tassoni|Tassoni]] – che questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell’Istoricodell'Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordinel'ordine, e ’l'l senso facile e piano in maniera che ’l'l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil del [[Giovanni Villani|Villani]], che va saltellando e intoppando a ogni passo etc... ». A. TASSONI, ''Pensieri diversi'', Venezia, 1665, libro IX, p. 324. Il legame del pensiero politico tassoniano con quello del Guicciardini (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con [[Filippo de Commynes|Comines]] e [[Paolo Giovio|Giovio]], ossia considerato pari agli antichi; v. cap. XIII del libro X dei ''Pensieri'') e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, ''Opere'', Milano-Roma, 1942, p. 49).</ref>. Tuttavia, proprio dal più accreditato esponente letterario del tacitismo, [[Traiano Boccalini|T. Boccalini]] (1612), fu formulato un giudizio tra i meno benevoli alla ''[[Storia d'Italia (Guicciardini)|Storia]]''<ref>T. BOCCALINI, ''Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico'', I, Bari, 1910, Cent. I, ragg. VI.</ref>.»<ref>{{cita libro|titolo=I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino|autore=[[Walter Binni]]|editore=[[Nuova Italia]]|anno=1970|pp=493}}</ref>
 
=== Il giudizio di Francesco De Sanctis ===