Codice napoleonico: differenze tra le versioni

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[[File:Présentation du Code civil au Conseil d’État.jpg|miniatura|sinistra|Il codice viene presentato al [[Consiglio di Stato (Francia)|Consiglio di Stato]] alla presenza di Napoleone. L'imperatore dette il proprio personale contributo alla revisione del codice soprattutto in tema di diritto di famiglia]]
 
Storicamente, e soprattutto dopo il [[concilio di Trento]] del XVI secolo, il [[diritto di famiglia]] è sempre stato di quasi esclusiva competenza del mondo ecclesiastico e del [[diritto canonico]]. Con la profonda laicizzazione dello Stato a seguito della Rivoluzione francese le autorità civili iniziarono ad avocare a sé anche tale importate campo del diritto. Così, dopo gli eccessi riformistici rivoluzionari, il codice di Napoleone si prese l'onere di disciplinare la vita famigliare cercando di "«raggiungere un equilibrio tra tradizione e rinnovamento"». Nell'idea degli estensori del codice, al famiglia doveva rappresentare il nucleo fondante della società e che quindi il suo corretto funzionamento fosse presupposto essenziale per garantire l'ordine di tutto lo Stato. Venne così concepita, con l'avallo dello stesso Napoleone, una forma "monarchica" della famiglia sottoposta all'autorità del padre.<ref name=PadoaSchioppa484-485>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|pp. 484-485}}.</ref>
 
Pertanto la [[patria potestà]], messa in discussione dall'ordinamento rivoluzionario, venne pienamente ripristinata benché fosse stata accolta la precedente consuetudine, presente nelle regioni settentrionali francesi, di prevedere l'emancipazione del figlio che avesse raggiunto la maggiore età.<ref name="Padoa-Schioppa.484"/> L'autorità del padre sul figlio si estendeva fino a prevederne la possibilità di arresto anche se le casistiche che lo rendevano lecito vennero ridotte rispetto agli anni pre-rivoluzionari. Inoltre, il matrimonio dei figli di età inferiore ai 21 e ai 25, rispettivamente per femmine e maschi, doveva essere autorizzato dal padre, mentre un suo formale consiglio era previsto fino al compimento dei trent'anni.<ref name=PadoaSchioppa484-485/>
 
Il divorzio era già stato introdotto durante la Rivoluzione e il codice napoleonico lo confermò sebbene riducendone le cause ammesse. I beni famigliari erano amministrati dal marito in quanto l'articolo 1224 decretava l'incapacità di agire alla moglie alla stregua del minore o dell'incapace. La disparità tra marito e moglie era evidente anche dalle cause di divorzio, infatti l'articolo 220 decretava che il marito potesse "«domandare il divorzio per causa d’[[adulterio]]"» mentre l'articolo 230 disponeva che la moglie potesse fare lo stesso solo "«allorché egli [il marito] avrà tenuta la sua [[concubina]] nella casa comune»."<ref name=PadoaSchioppa485>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 485}}.</ref>
 
Se durante il periodo rivoluzionario la quota disponibile nel [[testamento]] era stata ridotta, il codice napoleonico fece un passo indietro ritenendo che questo fosse uno strumento per far sì che i figli si comportassero rispettosamente verso il genitore. Pertanto, con l'articolo 913 venne disposto che le liberalità testamentarie fossero estese a metà dei beni del disponente in presenza di un solo figlio, 1/3 nel caso di due figli, 1/4 se con tre o più. I [[figlio naturale|figli naturali]] erano esclusi dalla famiglia mentre l'[[adozione]] era consentita sebbene con sostanziali limitazioni.<ref name=PadoaSchioppa485/>