Veronica Franco: differenze tra le versioni

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Biografia: Ripristino di "epidemia": l'episodio di peste del 1575 a Venezia 1575 non è considerato pandemia
Biografia: sinonimo per ripetizione
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La madre<ref> La madre, Paola Fracassa, era una nota prostituta veneziana, indicata dalle Autorità come ''pieza'', cioè mezzana.</ref> le insegnò già da bambina come utilizzare la propria bellezza e le pratiche del sesso, educandola al profitto ricorrendo alle amicizie potenti ed ai matrimoni favorevoli.<ref>Il fenomeno delle cortigiane era ben tollerato a Venezia; addirittura incentivato a contrasto dell'omosessualità maschile dilagante. In una città cosmopolita, dove gli stranieri andavano e venivano in continuazione, la prostituzione non poteva essere evitata, e la Repubblica ritenne proficuo accettarlo, normarlo e tassarlo. Secondo un censimento del 1509 si contavano 11.164 prostitute. A quell'epoca Venezia era già meta turistica e commerciale e siccome gli uomini d’affari ed i pellegrini non vivevano di puro spirito, la prostituzione fioriva.</ref><ref>Dalla prima metà del ’300, le cortigiane erano obbligate ad abitare in un quartiere vicino a Rialto chiamato il Castelletto.[https://www.venezia.net/cortigiane-a-venezia.html]</ref>
[[File:Veronica Franco disegno.jpg|sinistra|thumb|]]
Fu sempre la madre a preparare il matrimonio di Veronica, finanziariamente favorevolevantaggioso, con un ricco medico di età avanzata, Paolo Panizza. L'unione non durò, poiché il medico non sopportava tutti i tradimenti e le attività di prostituzione della moglie. Con tali motivazioni, il noto medico riuscì ad ottenere l'annullamento del matrimonio, con la causale che era stato truffato e che lui non sapeva che Veronica fosse regolarmente iscritta nelle liste delle prostitute veneziane, disconoscendo anche il figlio che partorì nel [[1564]].<ref>Il figlio lo ebbe per adulterio da Jacomo di Baballi, il più ricco mercante di Ragusa, (Dubrovnik).</ref><ref>Dagli archivi ancora esistenti, sappiamo che Veronica Franco si sposò intorno ai 18 anni e che sempre a quell'età diede alla luce il primo figlio; in realtà pare che abbia avuto sei figli bastardi, tre dei quali morirono in tenera età.</ref>
 
La madre riuscì comunque ad avviarla alla prostituzione d'alto livello ed a trasformarla in attività di [[cortigiana]] nel [[1566]].<ref>La società [[Rinascimentale]] di [[Venezia]] riconosceva due diversi tipi di cortigiane: la ''cortigiana onesta,'' ossia la cortigiana intellettuale, e la ''cortigiana di lume'' (più simile alle moderne prostitute), una cortigiana dei ceti bassi, che viveva e praticava il mestiere vicino al [[Ponte di Rialto]].</ref>
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Nel [[1577]] fece ritorno a [[Venezia]]<ref>Il 20 Luglio 1577, il Governo della Serenissima proclamò la fine della pestilenza, e per permettere una processione religiosa fu costruito un ponte di barche per raggiungere il luogo in cui stava sorgendo la Basilica del Cristo Redentore quale ''ex voto''. Questa tradizione continua ancor oggi nella la terza domenica di Luglio: la Festa del Redentore, molto sentita dalla città che affluisce in gran massa alla Giudecca, collegata per l'occasione con un ponte di barche tra l'isola e la riva delle Zattere.</ref>, e propose al consiglio cittadino di costruire una casa per prostitute e donne indigenti, amministrata da lei stessa, ma rimase inascoltata e non riuscì a raccogliere consensi e finanziamenti.
 
Nell'Ottobre [[1580]] fu incarcerata e poi condotta innanzi al Tribunale del Sant'Uffizio, ovvero l'[[Inquisizione]] Veneziana, denunciata dal precettore Ridolfo Vannitelli per vari reati connessi alla stregoneria, testimoniando di averla vista ricorrere a sortilegi ed a invocazioni diaboliche. Il suo stesso parroco della Chiesa di Santa Maria Formosa<ref>La chiesa di Santa Maria Formosa fu edificata nel 1492 in stile rinascimentale; fu la parrocchia di Veronica Franco che per molti anni abitò in quelle vicinanze.</ref> testimoniò che Veronica mostrava scarso fervore religioso. La sua servitù audita in giudizio riportò che la vedevano praticare incantesimi, stregoneria, e mangiare carne di venerdì.<ref>Dai verbali dei processi dell’Inquisizione veneziana emergono le accuse per pratiche poco ortodosse, come l’invocare diavoli e angeli, “far giochi e furfanterie” e “far innamorare alcuni todeschi”. [http://www.archiviodistatovenezia.it/web/index.php?id=240] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20210124054017/http://archiviodistatovenezia.it/web/index.php?id=240 |date=24 gennaio 2021 }}</ref>
Innanzi al tribunale del Sant'Uffizio venne identificata come: "Veronica Franca publica meretrice".<ref>Per le Autorità ecclesiastiche e per quelle civili della Serenissima non vi era alcuna distinzione tra meretrice e cortigiana, e le sue opere letterarie comunque non la identificavano minimamente come poetessa.</ref> Pur difendendosi brillantemente durante il processo, dovette la sua libertà alla testimonianza di illustri personaggi della [[Repubblica di Venezia]] di cui lei conosceva parecchi segreti.<ref>Il documento relativo al processo, contenente data e accusa è conservato presso l'[[Archivio di Stato di Venezia]] e consultabile sulla [http://213.136.75.178/siasve/cgi-bin/pagina.pl?Tipo=riprodinventario&Chiave=191&Pag=42 copia digitale online] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160815225831/http://213.136.75.178/siasve/cgi-bin/pagina.pl?Tipo=riprodinventario&Chiave=191&Pag=42 |date=15 agosto 2016 }}</ref><ref>Nel processo davanti all’Inquisizione, che si aprì nell’Ottobre del 1580, Veronica Franco fu accusata anche dalla sua servitù, che forse cercava così di coprire alcuni furti, di praticare la stregoneria, di mangiare pollastri, uova e formaggi nei giorni di magro e di tenere una bisca in casa. Accuse così potevano condurre al patibolo. Veronica si difese da sola e fu assolta. Noi conserviamo gli atti del processo che oggi ci appaiono invece come un’accusa contro una società misogina e bigotta, che non considerava né peccato né reato, per esempio, che Maffio Venier si comprasse la carica di vescovo di Corfù e la sfruttasse per arricchirsi, o che Marco Venier fosse incaricato di uccidere un presunto traditore della Serenissima, senza sottoporlo a giudizio. Né che i nobili stuprassero in gruppo le cortigiane. Ma trovava meritevole di morte una donna che mangiasse carne di venerdì.</ref>
Dalle trascritte deposizioni, emersero tutti i suoi legami con buona parte della nobiltà veneziana che, ricattata, contribuì alla sua assoluzione.<ref>Si veda: ''La cortigiana e il Sant'Uffizio: Processo a Veronica Franco'', Rizzo, Tiziano - Articolo/Saggio Breve</ref> Dopo il processo, tutti i suoi clienti della nobiltà veneziana la esclusero da ogni sua partecipazione, ed i pochi documenti ancora esistenti riportano che, anche se ottenne la libertà, perse tutte le ricchezze ed i beni materiali. Quando morì anche il suo ultimo benefattore, un ricco commerciante, si ritrovò priva di ogni sostegno finanziario.<ref>"in due sole sedute (dell'8 e del 13), finì davanti al tribunale del Sant'Uffizio "Veronica Franca publica meretrice", con l'accusa di immoralità dei costumi e sospetta stregoneria, a seguito della denuncia del precettore di Achilletto, Ridolfo Vannitelli, che testimoniò di averla vista ricorrere a sortilegi e a invocazioni diaboliche per ritrovare gli oggetti che le erano stati trafugati. In particolare si parlava di una pratica molto in voga al tempo, quella detta dell'"inghistara", che si faceva con una brocca piena di acqua santa. La F., da quello che leggiamo nel verbale del processo (rintracciato da Tassini che lo pubblicò solo in parte, edito invece integralmente, ma con molte inesattezze, da Schiavon, e poi ancora sia da Zorzi, pp. 145-153, sia, con le dovute correzioni, da Milani, pp. 258-263), si difese molto bene e si dichiarò innocente in quanto "la più timida dona del mondo de demonii et de morti". Il tribunale l'assolse, forse, anche per l'intervento di influenti uomini politici veneziani." - Veronica Franco, Treccani [https://www.treccani.it/enciclopedia/veronica-franco_%28Dizionario-Biografico%29/]</ref>