Discesa di Carlo VIII in Italia: differenze tra le versioni
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Il re si recò quindi a [[Pavia]], dove volle incontrare il duca [[Gian Galeazzo Sforza]] moribondo in letto. La moglie [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]] dapprima rifiutò con assoluto rigore d'incontrare il re, minacciando il [[suicidio]] con un coltello di fronte agli allibiti Ludovico Sforza e Galeazzo Sanseverino, nel caso in cui l'avessero voluta costringere, dicendo: "prima mi amazerò mi medesima, che mai vadi a la sua presentia de chi va a la ruina dil Re mio padre!";<ref name=":7">{{Cita|Sanudo|p. 672}}.</ref> in un secondo momento si recò di sua spontanea volontà nella camera del marito, si gettò in ginocchio ai piedi di re Carlo e, mostrandogli il figliolo [[Francesco Maria Sforza|Francesco Maria]], unico erede maschio, lo scongiurò di proteggere la sua famiglia dalle mire di Ludovico Sforza e di rinunciare alla conquista del regno di suo padre, il tutto alla presenza dello stesso Ludovico. Il re si commosse per quella scena, e promise di proteggerne il figlio, ma rispose che non avrebbe potuto interrompere una guerra ormai incominciata.<ref>{{Cita|Dina|pp. 350-352}}.</ref>
Da Pavia, il 17 ottobre Carlo partì con tutto l'esercito alla volta di [[Piacenza]], accompagnato da Ludovico.<ref name=":7" /> Militavano già tra i francesi, per parte lombarda, i due rinomati condottieri [[Gianfrancesco Sanseverino d'Aragona|Gian Francesco]] e [[Gaspare Sanseverino|Fracasso Sanseverino]], ma Carlo volle avere ugualmente con sé anche il loro fratello [[Galeazzo Sanseverino|Galeazzo]] che, oltre a essere fine cortigiano, gli era garante delle intenzioni del Moro. Il 21 ottobre, aggravatosi, Gian Galeazzo Sforza morì, secondo alcuni avvelenato dallo zio, secondo altri per debolezza intrinseca, per gli eccessi e per disturbi di stomaco che si trascinava fin dall'adolescenza. Ludovico ricevette la notizia immediatamente e quel giorno stesso partì di corsa da Piacenza, raggiungendo nel giro di pochissime ore Milano, dove riuscì a farsi proclamare duca al posto del piccolo Francesco Maria.<ref name=":10">{{Cita|Sanudo|pp. 100-105}}.</ref> Tre giorni dopo, il 25, ripartì per Piacenza insieme alla moglie Beatrice, ormai al sesto mese di gravidanza, e raggiunse il re che si era nel mentre spostato a [[Fornovo di Taro|Fornovo]], accompagnandolo fino in Toscana. Tuttavia la loro permanenza presso l'esercito francese fu breve poiché, sdegnato dall'alterigia del re, che non gli mostrava il rispetto dovuto, Ludovico deliberò il 13 novembre di tornare a Milano.<ref name=":10" /> In questo frangente maturò in sostanza la decisione, messa in atto pochi mesi dopo, di staccarsi dall'alleanza del re per formare una lega antifrancese.<ref>{{Cita|Biancardi|p. 469}}.</ref>
[[File:L'incontro_di_Carlo_VIII_e_Gian_Galeazzo_Sforza_a_Pavia_nel_1494,_Pelagio_Pelagi.jpeg|miniatura|L'incontro di Carlo VIII e [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Sforza]] a Pavia nel 1494, [[Pelagio Palagi]]. Davanti al letto del marito morente, la duchessa Isabella supplica in ginocchio il sovrano [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] di non voler proseguire la guerra contro [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]] suo padre e gli affida il figlioletto [[Francesco Maria Sforza|Francesco]]. Accanto al re, con viso losco, sta il duca Ludovico, presunto responsabile dell'avvelenamento.]]
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Fremono l'ombre, e gridano: « vergogna! »<br />
Si fa più grave all'ossa lor la terra<br />
Or che calca le tombe un piè nemico.|[[Giovanni Battista Niccolini]], Ludovico Sforza detto il Moro.}}Timoroso di inimicarsi le potenze europee, Carlo non intendeva deporre [[Papa Alessandro VI|Alessandro VI]] dal papato. Marciò verso [[Roma]] e prese dapprima [[Civitavecchia]]. Il Papa, non potendo resistere con le armi, attuò l'espediente di imprigionare i cardinali [[Ascanio Maria Sforza|Ascanio Sforza]], fratello del Moro, e [[Federico Sanseverino]]. Quando ricevette questa notizia, Galeazzo Sanseverino, che aveva accompagnato il re fino a Viterbo, immediatamente partì per Milano onde avvisare il suocero.<ref>{{Cita|Sanudo|pp. 149-153}}.</ref> Ludovico, furibondo, a furia di minacce ne ottenne infine dal Papa la liberazione.
Dopo avere lasciato la [[Romagna]], Ferrandino d'Aragona s'era recato a [[Roma]] ad esortare papa Alessandro VI "a star costante et saldo, et a non abbandonar el re suo padre". Ma il Papa, riluttante, cedette infine ai francesi, e se non altro offrì al giovane principe un salvacondotto col quale avrebbe potuto attraversare indisturbato l'intero [[Stato Pontificio]] così da tornarsene a Napoli. Ferrandino rifiutò sdegnato il salvacondotto e l'ultimo giorno dell'anno, 31 dicembre 1494, se ne uscì per la [[Porta San Sebastiano|porta di San Sebastiano]], proprio mentre da quella di [[Porta del Popolo|Santa Maria del Popolo]] entrava re Carlo VIII con l'esercito francese.<ref name=":12" /> L'accordo non risparmiò tuttavia Roma dai saccheggi delle truppe francesi, che si comportarono molto incivilmente, riempiendo gli appartamenti papali di "immunditie et paglia et molti tristi fetori". Erano ritenuti peggiori dei turchi, infatti avevano saccheggiato "e depredato tutto il mondo", non risparmiando neppure le chiese col bruciare i tetti e ogni tipo di legni, e devastato le campagne in modo che "mai fu visto la magiore crudelità".<ref>Archivio storico per le province napoletane, Volume 4, 1879, pp. 793-794.</ref>
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[[File:French troops and artillery entering Naples 1495.jpg|thumb|upright=1.4|Ingresso delle truppe francesi a Napoli, il 22 febbraio 1495, dalla ''[[Cronaca figurata del Quattrocento]]'' di [[Melchiorre Ferraiolo]]]]
Il 22 febbraio re Carlo occupò Napoli senza combattere, dove i nobili napoletani gli aprirono le porte e lo incoronarono [[Regno di Napoli|re di Napoli]]. Egli prese dimora in [[Castel Capuano]], l'antica reggia fortificata dei [[Normanni di Sicilia|re normanni di Sicilia]]; qui si trattenne oziosamente per qualche mese, dilettandosi con le proprie amanti, e specialmente con la favorita Eleonora Piccolomini d'Aragona, figlia del defunto [[Antonio Piccolomini d'Aragona|duca di Amalfi]].<ref>Biblioteca dell'"Archivum Romanicum.": Storia, letteratura, paleografia, Volumi 44-45, L.S. Olschki, 1955, p. 163.</ref><ref>{{Cita|Sanudo|pp. 261-262
La dominazione francese entrò subito in odio ai napoletani, che ne subivano i continui soprusi, tra stupri e saccheggi, per cui già nel maggio, forte di nuove truppe e del sostegno degli alleati, Ferrandino poté tornare nella penisola, acclamato al grido di "Ferro! Ferro!", e intraprendere la difficoltosa riconquista del regno a partire dalla [[Calabria]].<ref name=":12" />
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