Italo Balbo: differenze tra le versioni

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Nel 1920, venticinquenne, Balbo aderì ai [[Fasci italiani di combattimento]]. Essendo stato [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicano]], chiese al partito se potesse restarne ugualmente un iscritto, ma ricevuta una risposta negativa si accordò con i fascisti di Ferrara per uno stipendio mensile di {{formatnum:1500}} lire (pagato dai proprietari terrieri) e diventando segretario politico al posto di Gaggioli. Ottenne anche la promessa di un posto come ispettore di banca una volta conclusa la ''battaglia'' fascista.<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|pp. 73–75}}.</ref> Il 13 febbraio 1921 quindi Balbo divenne segretario del Fascio di Ferrara ed uno degli esponenti di spicco, oltre che organizzatore e comandante dello [[squadrismo]] agrario, riuscendo ad avere ai suoi ordini tutte le [[squadre d'azione]] dell'Emilia-Romagna.<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|pp. 27–29 e 74}}.</ref> In tal modo riuscì anche a mettere a frutto le sue esperienze di comando durante la prima guerra mondiale<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|p. 75}}.</ref>. In questa veste organizzò una squadra d'azione denominata "Celibano"<ref>Nome derivante dalla storpiatura dialettale del suo drink preferito, il cherry-brandy conosciuto anche come ''Sangue Morlacco''</ref>. La sede era il Caffè Mozzi di Ferrara, soprannominato da Balbo e i suoi "sitùzz", ovvero piccolo posto, ''posticino''.<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|p. 28}}.</ref>
 
Il gruppo di Balbo, in parte finanziato dai proprietari terrieri locali<ref>{{cita|Franzinelli 2004|p. 69}}: «I Fasci di combattimento schierati contro leghe rosse e leghe bianche sollecitarono i finanziamenti privati, giustificati coi benefici arrecati dall'intervento repressivo delle squadre d'azione. Si istituì una tassazione parallela, col versamento regolare di somme commisurate all'estensione delle tenute».</ref><ref>{{cita|Carocci 1994|p. 17}}: «Nel 1921, mentre gli industriali puntavano non tanto sul fascismo quanto su Giolitti, gli agrari delle regioni settentrionali e i grandi proprietari di quelle centrali aderivano o appoggiavano in modo più univoco il fascismo».</ref>, contrastavafu iresponsabile di numerose spedizioni punitive contro socialisti, sindacalisti e cooperative contadine; tali atti di violenza, spesso brutali, furono strumentali all'ascesa del fascismo e contribuirono all'instaurazione del regime autoritario. Si indicava una giustificazione dei misfatti come contrasto ai disordini provocati durante il [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]] dagli scioperi e dal monopolio instaurato violentemente dalle leghe socialiste<ref>{{cita|Tamaro 1953|p. 113}}: «Nel febbraio 1920 nel Ferrarese sessantamila lavoratori incrociarono le braccia, abbandonarono i campi e le stalle, vigilarono con le squadre di guardie rosse in armi il lavoro dei proprietari ribelli e dei "crumiri", percossero quanti lavoravano, incendiarono le ville e i fienili di quelli che non poterono allontanare dal lavoro».</ref> attraverso spedizioni punitive, motivate con le aggressioni ai camerati<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|p. 29}}.</ref>, che colpivano i [[Partito Socialista Italiano|social]]-[[Partito Comunista d'Italia|comunisti]]<ref>{{Cita|Reichardt 2009|}}.</ref> e le cooperative contadine delle province di [[Ravenna]], [[Modena]], [[Bologna]] ma anche [[Rovigo]], il [[Polesine]], Firenze e [[Venezia]]<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|pp. 29–30}}.</ref>. Le leghe socialiste, sostengono più fonti fra cui il [[Giordano Bruno Guerri|Guerri]], detenevano un enorme potere, che permetteva loro di emarginare coloro che non aderivano, dirottando solo verso i propri affiliati i finanziamenti pubblici e facendosi rimborsare dalla comunità le spese elettorali.<ref>{{cita|Guerri 1995|p. 80}}: «Bisogna considerare che a Ferrara, come in molte altre zone dell'Italia centrale e settentrionale, vigeva già una forma di illegalità di segno opposto. Il Partito socialista aveva il pieno controllo del comune e la Camera del lavoro e le leghe contadine facevano il bello e il cattivo tempo: otteneva lavoro solo chi era gradito alle leghe, che decretavano una vera morte civile a chi non voleva aderire; posti che avrebbero dovuto essere assegnati per concorso venivano attribuiti a membri del partito; denaro spettante a orfani e vedove di guerra veniva versato agli uffici del lavoro; spese per la propaganda di partito venivano accollate all'amministrazione pubblica».</ref> Perennemente in [[camicia nera]], Balbo eraacquisì ilinfluenza massimosui propagandista di questo emblema del [[fascismo]], ottimo organizzatore, di grande fascino fisico, alto, magroprefetti e consulle iautorità capellilocali nerigrazie divisial nelpotere mezzoesercitato conattraverso duelo svolazzanti bande ai lati. Trattare alla pari con questorisquadrismo e prefetti a soli venticinque anni, avendone anche la meglio,sua loposizione resenel ambiziosopartito.<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|pp. 13, 29 e 73-76}}.</ref>
 
Conquistò con i suoi uomini il [[Castello Estense]] di Ferrara obbligando il [[prefetto]] a finanziare alcune misure contro la [[disoccupazione]], ma l'apice dello squadrismo di Balbo venne raggiunto il 26 e 27 luglio 1922 con l'occupazione di [[Ravenna]]. Il 26 luglio i socialisti e i repubblicani locali avevano proclamato uno sciopero generale. Sin dal primo mattino scoppiarono degli scontri in Borgo San Biagio, uno dei quartieri popolari di Ravenna. Rimase ucciso Giovanni Balestrazzi, capo del sindacato autonomo fascista. Gli scontri tra le opposte fazioni si fecero sempre più violenti. La forza pubblica, che fino ad allora si era tenuta in disparte, aprì il fuoco, lasciando sul terreno nove morti e una trentina di feriti, in prevalenza militanti repubblicani e socialisti<ref>{{Cita libro|autore=Mimmo Franzinelli|titolo=Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922|editore=Mondadori|città=Milano|anno=2003|isbn=88-04-51233-4}}</ref>.
 
Italo Balbo, chiamato da Ferrara dagli squadristi locali, giunse prima di sera a Ravenna e fece convergere sul capoluogo romagnolo migliaia di camicie nere. Dopo aver ottenuto una tregua con i repubblicani, la mattina del 27 luglio i fascisti si scontrarono duramente con socialisti, comunisti e anarchici, prevalendo. Nel tardo pomeriggio del 27 luglio i fascisti incendiarono l'Hotel Byron, sede delle cooperative socialiste. Poi, sotto la guida di Balbo, le camicie nere imbastirono quella che Mussolini chiamò una «colonna di fuoco», cioè una colonna di autocarri, messi a disposizione dietro minaccia dalla [[questura]], che il 29 luglio distrusse e incendiò numerose "case rosse" nelle province di Forlì e Ravenna. CompiaciutoTali eviolenze soddisfattorientrano nella strategia fascista di conquista del comportamentopotere tenutomediante l'intimidazione politica e daila suoirepressione uomini,armata. Balbo completò la smobilitazione di Ravenna il mattino seguente.<ref>{{Cita|Bertoldi 1994|pp. 30–31}}.</ref>
 
Nel tentativo di arginare le violenze squadriste, il Prefetto emanò un ordine con cui vietava il porto del [[manganello]]. Balbo armò i suoi uomini di [[stoccafisso|stoccafissi]] i quali, picchiati con energia sulla testa degli avversari, vi producevano gli stessi effetti; i "randelli" di fortuna facevano poi da piatto forte di grandi mangiate conviviali cui talvolta venivano invitate anche le stesse vittime.<ref>{{Cita libro|autore=Indro Montanelli|autore2=Mario Cervi|titolo=L'Italia in Camicia Nera (1919 - 3 gennaio 1925)|editore=RCS Libri S.p.A.|p=89}}</ref><ref>{{Cita web|url = http://archiviostorico.gazzetta.it/1998/novembre/25/Italo_Balbo_imprese_degli_idrovolanti_ga_0_9811257886.shtml?refresh_ce-cp|titolo =Italo Balbo e le imprese degli idrovolanti da Orbetello a Chicago La mitica epopea delle ali d'Italia |autore =Aronne Anghileri |sito =gazzetta.it |editore = [[La Gazzetta dello Sport]]|data =25 novembre 1998 |cid =A.Anghileri |citazione =Ras di Ferrara, aveva guidato squadre di bravacci in camicia nera, li aveva convinti a non usare i manganelli proibiti dal prefetto, sostituendoli con lo stoccafisso |accesso = 8 aprile 2018}}</ref>
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In occasione della preparazione della [[Lista Nazionale]] per le [[Elezioni politiche in Italia del 1924|elezioni del maggio 1924]], con cui fu eletto [[deputato]] alla Camera, si scontrò con [[Olao Gaggioli]], fondatore del Fascio di Ferrara e convinto che Balbo, iscritto con lo stipendio fisso pagato dagli agrari, fosse un intruso.
 
Sempre nel 1924 venne accusato di essere il mandante dell'omicidio del parroco antifascista don [[Giovanni Minzoni]] ad [[Argenta]], avvenuto per mano di due squadristi facenti capo alle sue milizie: il caso venne archiviato alcuni mesi dopo, per essere poi riaperto - sotto la pressione della stampa, a seguito del [[Giacomo Matteotti|delitto Matteotti]] - nel 1925, risolvendosi con l'assoluzione di tutti gli imputati.<ref>{{Cita|Tagliaferri 1993|p. 284}}.</ref> Nonostante l'assoluzione, l’omicidio del parroco antifascista Don Minzoni è emblematico del clima di violenza politica promosso dalle squadre fasciste; la gestione del processo fu condizionata dall'influenza del regime sulle istituzioni giudiziarie.
 
Il 21 novembre [[1924]] però Balbo fu costretto a dimettersi dalla carica di comandante della [[MVSN|Milizia]] a seguito delle documentate rivelazioni de ''[[La Voce Repubblicana]]'' circa ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e pressioni sulla magistratura<ref>{{Cita|Candeloro 2002|p. 91}}.</ref>, perdendo la successiva causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano.<ref>Nel 1947 la Corte di Assise di Ferrara istruì un nuovo processo sull'omicidio di don Minzoni, che si concluse con la condanna per omicidio preterintenzionale di due imputati senza che fosse provata una responsabilità diretta di Balbo.</ref>
Balbo intanto, a Ferrara, continuò ad operare in modo da avere persone di sua fiducia e rappresentative nelle posizioni di potere. L'amico Ravenna, da sempre estraneo ad ogni atto di squadrismo, fortemente nazionalista, ebreo ma con una visione laica della sua fede fu invitato ad iscriversi al PNF, e successivamente, alla fine del 1924, nominato Segretario Federale Ferrarese del PNF.<ref>{{Cita|Pavan 2006|pp. 44–45}}.</ref>
 
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=== Le trasvolate ===
[[File:Photo Italo Balbo 1930 - Touring Club Italiano 11.2898.jpg|thumb|Italo Balbo nel 1930]]
Le crociere aeree, organizzate anche come strumenti di propaganda del regime fascista, furono presentate come successi tecnico-militari, contribuendo a costruire il culto della personalità attorno a Balbo.
Fu un successo la [[crociera aerea del Mediterraneo occidentale]] (25 maggio-2 giugno 1928) da lui organizzata insieme al decisivo aiuto del trasvolatore [[Francesco de Pinedo]] che venne promosso sottocapo di stato maggiore della Regia Aeronautica.<ref>{{Cita|Rocca 1993|pp. 37–38}}.</ref>
 
Fu un successoOrganizzò la [[crociera aerea del Mediterraneo occidentale]] (25 maggio-2 giugno 1928) da lui organizzata insieme al decisivo aiuto del trasvolatorecon [[Francesco de Pinedo]] che venne promosso sottocapo di stato maggiore della Regia Aeronautica.<ref>{{Cita|Rocca 1993|pp. 37–38}}.</ref>
 
La successiva [[crociera aerea del Mediterraneo orientale]] (5-19 giugno 1929) fu presieduta sempre da Balbo, ma il generale De Pinedo venne incluso come semplice pilota di uno degli aerei della formazione, in quanto la direzione tecnica del volo andò al colonnello [[Aldo Pellegrini]], capo del gabinetto di Balbo. Il 20 aprile 1929 intanto fu rieletto deputato alla Camera per il PNF.
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La traversata di andata approdò in [[Islanda]], proseguendo poi verso le coste del [[Labrador (penisola)|Labrador]]. Il governatore dell'[[Illinois]], il sindaco e la città di [[Chicago]] riservarono ai trasvolatori un'accoglienza trionfale. Venne annunciato che la giornata del 15 luglio era stata proclamata "Italo Balbo's day" e che la settima strada, in prossimità del [[lago Michigan]], sarebbe stata rinominata "Balbo Avenue".<ref>{{Cita|Guerri 2013|p. 355}}.</ref> La decisione di intitolare una strada di Chicago a un gerarca fascista, per niente controversa in un periodo di grande popolarità internazionale per Balbo e nel quale i rapporti tra il regime e gli Stati Uniti erano distesi, viene contestata decenni dopo.<ref>{{Cita web|url=https://www.huffingtonpost.com/2011/07/07/balbo-drive-renaming-ital_n_892645.html|lingua=en|accesso=1º febbraio 2019 |titolo= Balbo Drive Renaming: Italian Groups Oppose A Change, Academics Push New Ideas |data= 7 luglio 2011 }}</ref> Già nell'immediato dopoguerra vi furono obiezioni: l'antifascista [[Alberto Tarchiani]], ambasciatore italiano a Washington, ne chiese conto al sindaco di Chicago, il quale rispose: "Perché, Balbo non ha trasvolato l'Atlantico?"<ref>{{Cita|Guerri 2013|p. 356}}.</ref> Tra le varie manifestazioni di entusiasmo per l'impresa, particolarmente curiosa fu la nomina a capo indiano da parte dei [[Sioux]] presenti all'Esposizione di Chicago con il nome di "Capo Aquila Volante".<ref name="chicagohistory">[http://www.encyclopedia.chicagohistory.org/pages/11277.html Chief Blackhorn and Italo Balbo, 1933], da chicagohistory.org.</ref><ref>{{Cita|Guerri 2013|pp. 356–357}}.</ref> Il volo di ritorno proseguì per [[New York]], dove venne organizzata in suo onore e degli altri equipaggi una grande [[ticker-tape parade]]; fu il secondo italiano, dopo [[Armando Diaz]], a essere acclamato per le strade di New York, e fu intitolato a Balbo uno dei viali della città. Il presidente [[Franklin Delano Roosevelt|Roosevelt]] lo ebbe ospite.
 
Tali onorificenze, sebbene oggi controverse, furono concesse in un contesto internazionale dove la natura autoritaria del fascismo non era ancora universalmente condannata. Il successo propagandistico di Balbo all’estero contribuì a rafforzare il consenso interno al regime.
 
Di ritorno in Italia, il 13 agosto 1933 venne promosso [[Maresciallo dell'aria (Italia)|Maresciallo dell'aria]].<ref>{{Cita web|url=http://archivio.camera.it/patrimonio/archivio_della_camera_regia_1848_1943/are01o/documento/CD0000004843|titolo=Conversione in legge del r.d.l. 13 agosto 1933, n. 998, relativo alla nomina a Maresciallo dell'aria del generale Balbo Italo|sito=archivio.camera.it|accesso=17 maggio 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150405213424/http://archivio.camera.it/patrimonio/archivio_della_camera_regia_1848_1943/are01o/documento/CD0000004843|urlmorto=sì}}</ref> Dopo questo episodio il termine "[[Balbo (aeronautica)|Balbo]]" divenne di uso comune per descrivere una qualsiasi numerosa formazione di aeroplani. Meno noto è che negli Stati Uniti il termine "balbo" sia utilizzato anche per indicare il pizzo lungo con baffi.<ref>{{Cita web|url=http://www.beards.org/balbo.php|titolo=balbo|sito=baerds.org|lingua=en|accesso=19 maggio 2013}}</ref>
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In questa nuova veste il generale Valle scrisse un rapporto segreto in cui dimostrò che Balbo aveva falsificato le cifre sull'effettiva consistenza numerica degli aeroplani, salvo essere accusato dal suo successore, [[Francesco Pricolo]], di aver fatto la stessa cosa.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 223–224}}.</ref> Data l'attitudine dei capi fascisti di mettersi in cattiva luce l'un l'altro agli occhi di Mussolini, le dichiarazioni di Valle sono da prendere con cautela: Balbo, nei fatti, fu certamente più energico e miglior organizzatore della maggior parte dei suoi colleghi.<ref name=smith224/> In ogni caso anche il Duce, pochi giorni dopo averlo licenziato, lo informò che la cifra di {{formatnum:3125}} aeroplani in forza alla Regia Aeronautica da lui fornita era esagerata. Balbo dovette scusarsi chiarendo che aveva incluso nei conteggi anche gli aerei da addestramento, da turismo e addirittura quelli in produzione. Il vero numero degli aerei efficienti al combattimento era, secondo Balbo, 1.765. Mussolini capì che la politica dei raid oltreoceano e dei primati, peraltro da lui sostenuta, aveva distolto l'attenzione dall'efficienza bellica dell'Arma azzurra.<ref>{{Cita|Rocca 1993|p. 59}}.</ref>
[[File:Balbo arrivo in LIbia genn 1934.jpg|thumb|left|upright=1.1|L'arrivo di Italo Balbo a Tripoli quale Governatore della Libia, il 16 gennaio 1934]] [[File:Balbo festeggiam Libia genn 1934.jpg|thumb|left|upright=1.1|Festeggiamento in onore di Italo Balbo nuovo Governatore della Libia. Tripoli, gennaio 1934]]
Il 16 gennaio 1934 sbarcò a Tripoli e lanciò un proclama: «Assumo da oggi, in nome di Sua Maestà, il governo. I miei tre predecessori, [[Giuseppe Volpi|Volpi]], [[Emilio De Bono|De Bono]], [[Pietro Badoglio|Badoglio]], hanno compiuto grandi opere. Mi propongo di seguire le loro orme». Balbo, in accordo con il piano di Mussolini,<ref name="smith141">{{Cita|Mack Smith 1992|p. 141}}.</ref> dette un fortissimo impulso alla colonizzazione italiana della Libia, organizzando l'afflusso di decine di migliaia di pionieri dall'Italiaitaliani e seguendo una politica di integrazione e pacificazione con le popolazioni [[musulmani|musulmane]] affermando che, diversamente dalle popolazioni dell'[[Africa Orientale Italiana|Africa orientale]], quelle libiche avevano un'antica tradizione di civiltà e che col tempo, grazie alla loro intelligenza e alle loro tradizioni, si sarebbero portate al di sopra del livello coloniale.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 142–143}}.</ref> Proprio in senso di questo proposito per prima cosa, una volta giunto in Libia, Balbo fece immediatamente chiudere (contro il volere di Mussolini) cinque campi di concentramento italiani creati contro le popolazioni locali. Ampliò la superficie del territorio nazionalizzato a {{formatnum:1250000}} acri, adoperandosie per migliorarepromosse la situazionepolitica dellecoloniale popolazionifascista localiche, finanziandopur serviziprevedendo scolasticiinvestimenti enelle sanitariinfrastrutture, rifornimenticomportò idricil'esproprio di terre, la deportazione di popolazioni locali e servizila repressione sistematica di consulenzaogni agricola<refresistenza name=smith141/>alla dominazione italiana; in [[Cirenaica]], tuttavia, per rinsaldare la [[Riconquista della Cirenaica|sconfitta dei Senussi]], vennero confiscate le proprietà delle tribù e la loro struttura sociale distrutta, deportandone i membri per farne una riserva di manodopera a basso costo.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 141–142}}.</ref>
 
Nel 1937 Balbo si fece promotore presso il Duce, in visita alla colonia, di un'iniziativa per donare alla popolazione indigena, quale ricompensa per aver prestato servizio militare in Etiopia, la cittadinanza italiana, una proposta che alla fine sfociò in una cittadinanza di "seconda classe" a soltanto pochi elementi.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|p. 143}}.</ref> Nel 1938 guidò di persona un convoglio di diciassette navi partito dall'Italia alla volta della Libia con a bordo {{formatnum:1800}} famiglie, per la cui venuta furono fondati 26 nuovi villaggi, principalmente in [[Cirenaica]], ognuno con un municipio, un ospedale, una chiesa, un ufficio postale, una stazione di polizia, un locale per bere il caffè, una cooperativa di consumo, un mercato e una sede del PNF. Sull'evento fu organizzata una grande campagna pubblicitaria, che Mussolini fece presto tacere per non dare troppo risalto alla figura di Balbo. Vennero donate terre, bestiame e sementi agli agricoltori (in misura minore agli arabi)<ref>"Ritorneremo?" Economist [London, England] 15 May 1943: 610+. The Economist Historical Archive, 1843-2012.</ref>, anche se i frutti di queste politiche non fecero in tempo a maturare prima dell'inizio della seconda guerra mondiale.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|p. 142}}.</ref> Inoltre si cercò di assimilare i musulmani libici con una politica apparentemente amichevole, fondando nel 1939 dieci villaggi per gli [[Arabi]] e i [[Berberi]] libici: "El Fager" (''al-Fajr'', "Alba"), "Nahima" (Deliziosa), "Azizia" (''{{'}}Aziziyya'', "Meravigliosa"), "Nahiba" (Risorta), "Mansura" (Vittoriosa), "Chadra" (''khadra'', "Verde"), "Zahara" (''Zahra'', "Fiorita"), "Gedida" (''Jadida'', "Nuova"), "Mamhura" (Fiorente), "[[Beida]]" (''al-Bayda{{'}}'', "La Bianca"). Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) e un piccolo ospedale. Questo massiccio investimento italiano però non migliorò in maniera rilevante la qualità della vita della popolazione libica; anzi contribuì a peggiorarla in quanto l'obiettivo principale della costruzione di questi villaggi era allontanare le popolazioni locali dalle aree più fertili per favorire così l'economia dei coloni italiani.<ref>{{Cita libro|autore=Albert Adu Boahen, International Scientific Committee for the drafting of a General History of Africa|titolo=General History of Africa|anno=1990|editore=Heinemann|p=196}}</ref>