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=== Età contemporanea ===
{{Vedi anche|Diritto dell'età contemporanea}}
 
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Oltre che per [[guerre napoleoniche|le guerre]] combattute in Europa, l'[[età napoleonica]] è ricordata per l'introduzione, nel 1804, del [[codice civile dei francesi]], fortemente voluto da [[Napoleone Bonaparte]]. Tale codice costituì un vero spartiacque nella storia del diritto, presentandosi come una nuova [[fonte del diritto|fonte]] normativa che, di fatto, cancellava l'imponente impianto del [[diritto comune]] sedimentatosi nei secoli e ridefiniva anche il ruolo dei [[giuristi]], ormai ridotti a semplici [[esegesi|esegeti]]. L'idea della codificazione si diffuse in tutta Europa, incontrando sia approvazioni sia resistenze. In [[Germania]] si sviluppò una nota [[Disputa sulla codificazione|controversia]] avviata da [[Friedrich Carl von Savigny]], le cui posizioni contrarie portarono alla nascita della [[scuola storica del diritto]], ricordata anche per la prima concettualizzazione del "[[negozio giuridico]]". Nonostante queste opposizioni, nel 1900 anche l'[[Impero tedesco]] si dotò di un proprio codice, il ''[[Bürgerliches Gesetzbuch]]'', frutto dell'opera dei [[pandettistica|pandettisti]].
 
Le profonde trasformazioni sociali del XIX secolo segnarono l'evoluzione del diritto, favorendo agli inizi del secolo successivo l'introduzione del [[diritto del lavoro]], mentre il progresso tecnologico alimentò la nascita del [[positivismo giuridico]], che mirava a un approccio scientifico alla disciplina. La riflessione positivista sulla centralità della [[norma giuridica]] sfociò poi nel [[normativismo]], il cui principale interprete fu [[Hans Kelsen]]. Accanto ad esso si svilupparono però anche scuole alternative: le correnti neokantiane e neohegeliane di matrice [[giusnaturalismo|giusnaturalista]], l'[[istituzionalismo]] di [[Santi Romano]] e [[Maurice Hauriou]], nonché la [[giurisprudenza degli interessi]] di [[Rudolf von Jhering]]. La prima metà del XX secolo fu inoltre segnata dall'affermazione dei [[totalitarismo|regimi totalitari]], che trasformarono il diritto in uno strumento di potere assoluto, con conseguenze drammatiche.
 
In reazione a tali esperienze, il [[secondo dopoguerra]] è stato definito da [[Norberto Bobbio]] come "l'età dei diritti": si affermò infatti l'idea che alcuni principi fondamentali, propri dei [[diritti umani]], fossero inviolabili e non comprimibili neppure dalla legge. Le nuove [[costituzioni]] elaborate in quegli anni recepirono questo orientamento, sancendo accanto ai diritti tradizionali anche nuovi diritti, come quelli alla salute, alla libertà di opinione, alla sicurezza sociale, al [[suffragio universale]], all'uguaglianza sostanziale e al lavoro, oltre ai diritti degli animali e dell'ambiente. A partire dagli [[anni 1960]] il [[diritto di famiglia]] fu profondamente trasformato, con il riconoscimento pieno dello ''status'' giuridico della donna. La [[globalizzazione]] spinse poi a concepire il diritto come realtà non più confinata entro i limiti di un singolo Stato: schemi contrattuali di matrice statunitense si diffusero a livello globale, mentre organismi internazionali e sovranazionali acquisirono un ruolo crescente. Infine, il rapido sviluppo tecnologico degli ultimi decenni del Novecento nei campi dell'[[informatica]], della [[medicina]] e delle [[biotecnologie]] ha sollevato questioni etiche di grande rilievo, che hanno posto e porranno sempre più il diritto di fronte a nuove sfide.
 
== Il dibattito sulla definizione ==