Processo a Galileo Galilei: differenze tra le versioni
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{{Citazione|[...] questo non è paese da venire a disputare sulla luna né da volere, nel secolo che corre, sostenere né portarci dottrine nuove|Piero Guicciardini, ''Lettera a Cosimo II'', 11 dicembre [[1615]]}}
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Il '''processo a [[Galileo Galilei]]''', sostenitore della [[teoria copernicana]] [[Sistema eliocentrico|eliocentrica]] sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria aristotelica-tolemaica, [[Sistema geocentrico|geocentrica]], sostenuta dalla [[Chiesa cattolica]], iniziò a Roma il 12 aprile [[1633]] e si concluse il 22 giugno [[1633]] con la sua condanna per [[eresia]] e con l'[[s:Abiura di Galileo Galilei|abiura]] delle sue concezioni astronomiche.
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Il 21 dicembre [[1614]] si levava dal [[pulpito di Santa Maria Novella]] a [[Firenze]] il frate domenicano [[Tommaso Caccini]] ([[1574]] - [[1648]]), lanciando contro certi matematici moderni e in particolare contro Galilei ([[1564]] - [[1642]]), [[matematico]] e [[filosofia|filosofo]] del Granduca [[Cosimo II de' Medici]], l'accusa di contraddire le [[Sacre Scritture]] con le loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie eliocentriche copernicane.
[[File:Nikolaus Kopernikus.jpg|thumb
Già tre anni prima il Caccini era venuto in polemica con Galilei ma questa nuova iniziativa di fra' Tommaso, se pur ebbe ampia risonanza, non sembrò, sulle prime, riscuotere particolare successo, se il suo stesso fratello Matteo Caccini, da [[Roma]], gli scriveva aspramente il 2 gennaio [[1615]] di aver sentito «una stravaganza tanto grande, che io et me ne meraviglio et ne resto disgustatissimo. Sappiate che se qua ne è fatto romore, voi riceverete tal'incontro che vi pentirete di havere imparato a leggere; et sappiate di più che non si può fare cosa che sia qua dal supremo superiore sentita peggio che quella che havete fatta voi [...] se bene io non sono teologo, posso dirvi quanto dico, che è che avete fatto un grandissimo errore et una grandissima scioccheria et leggerezza» e, rincarando la dose, «che leggierezza è stata la vostra, lasciarvi mettere su da [[piccione]], o da [[coglione]], o certi colombi, che avete a pigliarvi gl'impicci d'altri», alludendo a che l'iniziativa del fratello fosse stata suggerita dal fisico [[Ludovico delle Colombe]] autore, nel [[1611]], di un ''Trattato contro il moto della Terra'', naturalmente polemico verso [[Niccolò Copernico]] e i suoi attuali seguaci.
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=== Le lettere al Castelli e a Cristina di Lorena ===
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Galilei aveva scritto a [[Benedetto Castelli]] sostenendo l'indipendenza della [[ricerca scientifica]] dalle Sacre Scritture, dal momento che, pur non potendo errare queste ultime,
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Due mesi dopo Tommaso Caccini giunse a Roma, ma non solo per perorare la sua causa per la carica nello Studio della Minerva. Il 20 marzo 1615, nel palazzo del [[Santo Uffizio]], egli sporse denuncia contro Galileo Galilei ai cardinali presenti: [[Roberto Bellarmino|Bellarmino]], Galamini, Millini, Sfondrati, Taverna, Veralli e Zapata. Tommaso Caccini allegò alla sua denuncia scritta alla Congregazione dell'[[Inquisizione]] una copia della lettera di Galilei al Castelli, rilevando che due frasi in essa contenute - ''La terra secondo sé tutta si muove, etiam di moto diurno'' e ''Il sole è immobile'' - «secondo la mia coscientia repugnano alle divine Scritture esposte da' Santi Padri et conseguentemente repugnano alla fede, che c'insegna dover credere per vero ciò che nella Scrittura si contiene", aggiungendo che da alcuni discepoli di Galilei - ma non da Galilei stesso, che egli non ha mai visto - aveva sentito affermare tre proposizioni: che "Iddio non è altrimenti sustanza, ma accidente; Iddio è sensitivo, perché in lui son sensi divinali; che i miracoli che si dicono esser fatti da' Santi, non sono veri miracoli»; invocò, per confermare le sue accuse, la testimonianza di padre Ferdinando Ximenes, priore di Santa Maria Novella.
[[File:Paolo Sarpi.jpg|thumb|left
Il Caccini aggiunse che Galilei e i suoi allievi costituivano un'Accademia, l'[[Accademia dei Lincei]], ed erano in corrispondenza con «altri di [[Germania]]» e per quanto Galilei fosse da molti considerato un buon cattolico, da altri «è tenuto per sospetto nelle cose della fede, perché dicono sii molto intimo di quel fra Paolo servita, tanto famoso in Venetia per le sue impietà, et dicono che anco di presente passino lettere tra di loro».
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=== Il caso Foscarini ===
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Un nuovo caso doveva complicare la posizione di Galilei: il 7 marzo riceveva da [[Federico Cesi (scienziato)|Federico Cesi]], l'amico fondatore dell'Accademia dei Lincei, una copia della ''Lettera sopra l'opinione dei Pitagorici e del Copernico'' del [[Carmelitani|carmelitano]] [[Calabria|calabrese]] [[Paolo Antonio Foscarini]] ([[1580]] - [[1616]]), «opra certo che non poteva venir fuori in miglior tempo, se però l'accrescer rabbia alli avversari non sia per nocere, il che non credo»; ma s'illudeva il Cesi, contando sul fatto che quell'opera voleva accordare le teorie copernicane con le Scritture. Più avvedutamente, un altro amico di Galilei, [[Giovanni Ciampoli]], gli scriveva il 21 marzo che il libro, proprio perché si occupava delle Scritture, «corre gran risico nella prima Congregazione del Santo Offitio, che sarà di qui a un mese, d'esser sospeso» dal momento che il cardinale [[Francesco Maria Del Monte]], amico dei galileiani, gli aveva riferito di un suo colloquio con il Bellarmino in cui questi sosteneva che finché Galilei, trattando del sistema copernicano, non si fosse occupato delle Scritture, che sono materia riservata ai teologi, non ci sarebbe stata nessuna contrarietà, «altrimenti difficilmente si ammetterebbero dichiarationi di Scrittura, benché ingegnose, quando dissentissero tanto dalla comune openione de i Padri della Chiesa».
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=== Galilei a Roma ===
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Il 21 novembre i verbali con le dichiarazioni di Ximenes e Attavanti giungevano al Sant'Uffizio e il 5 dicembre Galilei era a Roma, munito di lettere di presentazione di Cosimo II: «Viene a Roma il Galileo matematico et viene spontaneamente per dar conto di sé di alcune imputazioni o più tosto [[Calunnia|calunnie]], che gli sono state apposte da' suoi emuli» scriveva a Scipione Borghese il Granduca, timoroso di vedersi coinvolto nell'affare. Il suo ambasciatore, Piero Guicciardini, ottimo conoscitore dell'ambiente romano, era ben consapevole dei pericoli incombenti sullo scienziato: «questo non è paese da venire a disputare sulla luna, né da volere, nel secolo che corre, sostenere né portarci dottrine nuove».
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Il 5 marzo la Congregazione dell'Indice pubblica il relativo decreto, dichiarando la teoria copernicana del tutto contraria alle Sacre Scritture («divinae Scripturae omnino adversantem») ma non fa parola dell'eresia della stessa, pur dichiarata «formaliter haereticam», il 24 febbraio, dai teologi del Sant'Uffizio.
[[File:CosimoIIMedici1.jpg|thumb|left
Galileo scrive soddisfatto al segretario di Cosimo II, Curzio Picchena, il 6 marzo, che la denuncia del Caccini
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Già prima del decreto della Congregazione dell'Indice, presente Galilei a Roma, era uscita la ''Disputatio de situ et quietae Terrae'' del teologo [[ravenna]]te [[Francesco Ingoli]] ([[1578]] - [[1649]]), un attacco al copernicanesimo galileiano sul [[Metodo scientifico|terreno scientifico]], nella quale si elencavano le difficoltà e i paradossi astronomici che quella teoria produceva, appoggiandosi alla teoria geocentrica di [[Tycho Brahe]].
[[File:Johannes Kepler 1610.jpg|thumb
Si ritiene che la ''Disputatio'' sia stata scritta su esplicita richiesta del Sant'Uffizio e che sia stata tenuta presente nella decisione dei teologi di condannare il ''De revolutionibus'' di Copernico. Del resto, l'Ingoli - già precettore del futuro cardinale [[Ludovico Ludovisi]], nipote di papa Gregorio XV, poi al servizio dei cardinali [[Bonifacio Caetani]] e [[Orazio Lancellotti]], membro del Sant'Uffizio - aveva già scritto un ''De stella anni 1604'' e un ''De cometa anni 1607'' ed era stato un disputatore assiduo nelle riunioni in casa di [[Federico Cesi (scienziato)|Federico Cesi]], il fondatore dell'[[Accademia dei Lincei]].
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Ma il Grassi pubblicò ancora pochi mesi dopo una ''Libra astronomica ac philosophica'' - la ''libra'' è la bilancia - a cui Galileo replicherà nel [[1623]] con il suo ''Il Saggiatore'' - una bilancia più sensibile - ove il libro del Grassi viene integralmente riprodotto; è il testo con il quale Galilei si ripresenta sulla scena scientifica, dopo l'ammonizione del 1616 di non professare né divulgare la teoria copernicana.
[[File:Tycho Brahe.JPG|thumb
Dedicato al neo-[[papa Urbano VIII]], Maffeo Barberini, del quale Galilei riteneva di potersi considerare amico, essendo stato da lui difeso in occasione delle polemiche suscitate dall'uscita del suo ''De natantibus'', ne ''Il Saggiatore'' lo scienziato sostiene che non è con l'autorità di scrittori, ma è con la conoscenza dello strumento matematico che si possono interpretare i fenomeni della natura:
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Numerose sono le dimostrazioni dell'insufficienza della vecchia fisica; per gli aristotelici e anticopernicani, per esempio, se la Terra si muove, una pietra che cada dall'albero di una nave in movimento, deve cadere più indietro rispetto al piede dell'albero perché durante la caduta la nave si è spostata. Ma la pietra ha due moti, quello della nave e quello di caduta: cadendo mantiene la velocità della nave componendola col moto di caduta, cadendo sempre nello stesso punto, qualunque sia la velocità della nave, stia essa ferma o sia muova a qualunque velocità. Che dunque la Terra si muova o stia ferma, la pietra cadrà sempre perpendicolrmente e la famosa prova dell'impossibilità del moto terrestre è nulla.
[[File:Aristotle by Raphael.jpg|thumb|left
Ma Galilei, se disprezza gli aristotelici, ha molta considerazione di [[Aristotele]], che teorizzava secondo l'esperienza di cui disponeva al suo tempo:
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== Il processo ==
[[File:Papa-Urbano-VIII.jpg|thumb
Il successo del ''Dialogo'' appare immediato: il biografo del Sarpi, fra [[Fulgenzio Micanzio]], scrive a Galilei da [[Venezia]] il 15 maggio 1632 che «in una mole di affari noiosi ho rubato l’ore per divorarmelo, com’ho fatto, con deliberazione di andarmelo digerendo e ruminando come la più singolar pietra che delle cose naturali sia ancor comparsa [...] non adulo, ma di cuore le dico: ''Non est factum tale opus in universa terra''».
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8. Aver mal ridotto l'esistente flusso e reflusso del mare nella stabilità del sole e mobilità della terra, non esistenti. Tutte le quali cose si potrebbono emendare, se si giudicasse esser qualche utilità nel libro, del quale gli si dovesse far questa grazia».
[[File:Tizian 083b.jpg|thumb
La responsabilità della concessione dell'''imprimatur'' e di una mancata vigilanza sul testo del libro era evidentemente dei censori ecclesiastici, ma sembra che Urbano VIII, oltre a risentimenti personali, fosse premuto dai gesuiti e da problemi di Stato; eletto dai cardinali filofrancesi, la sua politica estera era filo-francese, anti-imperiale e anti-spagnola; la [[Spagna]], attraverso l'ambasciatore cardinale [[Gaspare Borgia]], aveva apertamente denunciato, in occasione del concistoro tenuto nel marzo del 1632, che egli fosse lassista nei confronti delle correnti eretiche.
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=== Il primo interrogatorio ===
[[File:Ferdinando II de' Medici van Toscane.jpg|thumb
Arrivato a Roma è ospite a [[Villa Medici]] dell'ambasciatore Niccolini, che venne a sapere dal Papa stesso che Galileo, «se bene si dichiara di voler trattare ipoteticamente del moto della terra, nondimeno, in riferirne gli argumenti, ne parlava e ne discorreva poi assertivamente e concludentemente; e ch'anche aveva contravenuto all'ordine datoli del 1616 dal S.r Card. Bellarmino».<ref>F. Niccolini, Lettera ad Andrea Cioli, 27 febbraio 1633.</ref><ref>Il viaggio durò 25 giorni a causa di una lunga sosta a Ponte a Centina, per precauzione contro l'epidemia di peste: il Granduca gli aveva messo a disposizione una lettiga e ordinato all'ambasciatore di «riceverlo e spesarlo»: cfr. ''Lettera'' di Andrea Cioli a Francesco Niccolini, 21 gennaio 1633</ref> Per due mesi non ha notizie dagli inquisitori e in quelle more l'ambasciatore ottiene che Galileo, sofferente di artrite, possa, anche durante il processo, rimanere presso l'ambasciata toscana: gli viene concesso, con l'eccezione del periodo tra il 12 e il 30 aprile, tra il primo e il secondo interrogatorio, in cui viene trattenuto in prigionia nelle camere del giudice nel Palazzo del Sant'Uffizio.<ref>L. Geymonat, ''Galileo Galilei'', 1983, p. 185</ref>
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«Actum Romae ubi supra, praesentibus ibidem R.do Badino Nores de Nicosia in regno Cypri, et Augustino Mongardo de loco Abbatiae Rosae, dioc. Politianensis, familiaribus dicti Ill.mi D. Cardinalis, testibus».
[[File:Frontpage of Dialogo di Galileo Galilei Linceo.png|thumb|left
Risponde Galileo di non ricordare che nella dichiarazione del Bellarmino vi fossero le parole ''quovis modo'' (in qualsiasi modo) e ''nec docere'' (non insegnare). Galileo, rispondendo di non ricordare, commise anche l'errore di menzionare la parola ''precetto'', sostenendo di «non aver in modo alcuno contravenuto a quel precetto». L'inquisitore, verbalizzando, diede per avvenuta l'intimazione del presunto precetto. Dopo aver risposto sulle vicende dell' ''imprimatur'' al suo ''Dialogo'', sostiene di non avervi «né tenuta né diffesa l'opinione della mobilità della Terra e della stabilità del Sole; anzi nel detto libro io mostro il contrario di detta opinione del Copernico, e che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti». Con questa disperata difesa si chiude il primo interrogatorio.
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{{Citazione|quasi come scrittura nova e di altro autore [...] distesa in tal forma che il lettore, non consapevole dell'intrinseco mio, arebbe avuto ragione di formarsi concetto che gli argomenti portati per la parte falsa, e ch'io intendevo confutare [...] vengono veramente [...] avalorati all'orecchio del lettore più di quello che pareva convenirsi a uno che li tenesse per inconcludenti e che li volesse confutare [...] di essere incorso in un errore tanto alieno dalla mia intenzione che [...] s'io avessi a scriver adesso le medesime ragioni, non è dubbio ch'io le snerverei di maniera che elle non potrebbero fare apparente mostra di quella forza della quale essenzialmente e realmente son prive}}
[[File:Claudius Ptolemaeus.jpg|thumb
Firma il verbale e viene allontanato ma poco dopo chiede di ritornare dinnanzi all'inquisitore a ribadire ancora di non aver mai sostenuto «la dannata opinione della mobilità della terra» e di esser pronto a riscrivere un prossimo libro per dimostrare che egli considera la teoria di Copernico «falsa e dannata e confutargli in quel più efficace modo che da Dio mi sarà somministrato».
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=== L'abiura ===
[[File:Roma-Santa Maria sopra Minerva.jpg|thumb
[[File:Galileo.arp.300pix.jpg
Dopo la lettura della sentenza Galileo abiurò:
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Il 1º luglio [[1633]] gli è concesso di trasferirsi a [[Siena]] nell'abitazione dell'amico arcivescovo [[Antonio Piccolomini]], poi nella sua villa di [[Arcetri]], in una sorta di arresti domiciliari. Nell'aprile del [[1634]] perde l'amata figlia Virginia, suor Maria Celeste.
[[File:GallileoTomb.jpg|thumb
Il 2 gennaio [[1638]] scrive all'amico [[Elia Diodati]] a [[Parigi]] di essere diventato cieco da un mese: «mentre che vo considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo che io con mie maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da' sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s'è sì diminuito e ristretto, ch'e' non è maggiore di quel che occupa la persona mia». È assistito dal giovanissimo allievo [[Vincenzo Viviani]].
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