James Angleton: differenze tra le versioni

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Prima della nascita della CIA, nel 1947, Angleton fa ritorno a [[Washington (distretto di Columbia)|Washington]], dove lascia la carriera militare con il grado di Maggiore. Torna a Roma alla fine degli anni Quaranta ricoprendo il ruolo di capostazione CIA. Le sue varie esperienze in Italia servono a forgiare il sistema di sicurezza ed ''intelligence'' statunitense in Italia. Secondo fonti americane, Angleton ebbe un importante ruolo nel trasferire esperti e conoscenze del programma atomico italiano negli Stati Uniti, nello stabilire una duratura alleanza con la [[Mafia]] siciliana, avvalendosi dei contatti italo-americani, nel riammettere nel sistema di sicurezza e controspionaggio italiano elementi del passato regime al fine di evitare la vittoria delle sinistre.
 
All'inizio degli anni Cinquanta, Angleton torna a Washington per gestire le relazioni con i servizi dei paesi occidentali. In questo modo prende il controllo su tutte le informazioni prodotte dai pochi servizi che sono riusciti ad infiltrare l'URSS: inglesi, italiani, israeliani e specialmente tedeschi [[Organizzazione Gehlen]]. Nel 1954 diventa capo del controspionaggio interno e si occupa a pieno regime della caccia alle spie [[Unione Sovietica|sovietiche]] nell'ambito della ricerca atomica statunitense. Con questo incarico individua due talpe di basso livello di Mosca, il diplomatico britannico [[Donald Maclean]] e l'agente della [[National Security Agency|NSA]] Jack Dunlap, mentre si lascia sfuggire tutte le altre. Negli anni Sessanta si occupa della controversa defezione di due ufficiali del [[KGB]], Anatoliy Golitsin e Yuri Nosenko che passeranno il tempo ad accusarsi di essere falsi pentiti dando due opposte versioni sul coinvolgimento sovietico nell'uccisione di John Kennedy. Dal [[1963]] è il responsabile dell' attuazione dell' "[[Operazione CHAOS]]" (un'operazione "[[False flag]]") preposta alla sconfitta del comunismo ma che violava le leggi USA. Col passare degli anni controlla sempre più uffici, mettendo il naso in ogni attività della CIA senza mai apparire come il responsabile quando avviene l'inevitabile fallimento<ref>David C. Martin, Wilderness of Mirrors, 1980.</ref>. Restano fuori dal suo controllo le attività clandestine in Vietnam cioè [[l'operazione Phoenix]], il cui successo proietta ai vertici della compagnia il responsabile [[William Colby]]. Fin dagli anni '60 insinua che numerosi leader occidentali siano agenti del [[KGB]]. Le accuse più famose riguardarono il britannico [[Harold Wilson]], lo svedese [[Olof Palme]], i canadesi [[Lester Pearson]] e [[Pierre Trudeau]] e il tedesco [[Willy Brandt]]. Ad un certo punto sospetta anche il Segretario di Stato [[Henry Kissinger]]. Questo stato di cose genera il caos nell'agenzia, paralizzandone le attività. Quando Angleton accusa anche dei collaboratori del Presidente [[Gerald Ford]], il Direttore della CIA [[William Colby]] ha il via libera per pensionare su due piedi l'onnipotente collega con molti suoi collaboratori. Ci vorranno anni per riorganizzare la compagnia, ricostruire la sezione URSS e per trovare le vere talpe.<ref>William Colby, La mia vita nella CIA, Mursia 1979</ref> Angleton muore nel 1987.
 
Alla figura di Angleton è liberamente ispirato il personaggio principale del film [[The Good Shepherd]].
 
Negli anni '80 il giornalista investigativo americano David C. Martin ha sospettato, portando molti indizi, che Angleton sia stato in realtà un filo-comunista dai tempi della sua amicizia con Philby. Senza mai contattare i russi che non lo avrebbero nemmeno sospettato, avrebbe agito da solo per distruggere la CIA dall'interno con operazioni sempre più complesse, paranoiche ed inefficienti che generavano il caos nella CIA: richiesta di arruolare ex-nazisti, tentativi di avere rapporti esclusivi con Italia, Germania ed Israele, lettura di tutta la corrispondenza americana coll'estero, intercettazione di tutte le telefonate di Berlino est, caccia a continue spie introvabili senza mai trovare quelle vere (identificate tutte da altri uffici)<ref>David C. Martin, Wilderness of Mirrors, 1980.</ref>.
 
== Note ==