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{{citazione|Il grave dissesto del settore finanziario ha dimostrato che le più acute menti matematiche del pianeta, con il sostegno di ingenti disponibilità economiche, avevano fabbricato non tanto un motore scattante di eterna prosperità quanto un carrozzone di traffici, swap e speculazioni temerarie che inevitabilmente doveva cadere a pezzi. A provocare la recessione non è stata una lacuna di conoscenze in campo economico, bensì l’eccesso di un particolare tipo di sapere, un’indigestione di spirito del capitalismo. Accecati dai bagliori del libero mercato, abbiamo dimenticato che vi sono altri modi di concepire il mondo. Come scrisse Oscar Wilde oltre un secolo fa: “Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente”. I prezzi si sono rivelati guide inattendibili. Nel 2008, oltre al crollo dei mercati finanziari, si è verificato un brusco rincaro dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio, e nonostante questo sembra che non riusciamo a vedere o a valutare il mondo se non attraverso il prisma difettoso dei mercati|Raj Patel, ''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'', p.7.}}
[[File:Michelserres-dec-2005.jpg|thumb
Il recente terremoto finanziario e borsistico offre per esempio al filosofo [[Michel Serres]]<ref>già noto per le sue riflessioni in ''La Guerre Mondiale'', 2008.</ref> l'occasione per riflettere in generale sul fenomeno della crisi. A suo giudizio, quando si vive una crisi, nessun ritorno indietro è possibile. Bisogna inventare qualcosa di nuovo e avere il coraggio di voltare pagina. Ciò che invece colpisce è secondo lui l'assenza di cambiamento delle istituzioni nonostante i grandi sconvolgimenti che negli ultimi decenni hanno trasformato l'umanità. Egli individua in tale fenomeno la vera crisi, dalla quale occorrerebbe partire per ripensare il passato, mettere in discussione il rapporto che gli uomini hanno fra di loro e con il mondo<ref>Oggetto di un interessante dibattito è stata anche l'analisi del filosofo [[Fernando Savater]] in ''Los diez mandamientos en el siglo XXI'' del 2004 e in ''Los siete pecados capitales'' del 2005 che considera la difficile conciliabilità fra le virtù del buon cristiano e l'attuale sistema di mercato basato sul consumismo.</ref>. Lo scenario di idee che si apre a partire da considerazioni affini porta a individuare nella condivisione un nuovo atteggiamento possibile per fare fronte a una crisi che non è solo economica o pertinente al mondo finanziario, ma che coinvolge direttamente il sistema dei valori etici.
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{{citazione|Siamo in presenza di una costante divaricazione tra economia e società. Il prevalere sull’economia reale di quella finanziaria, virtuale, immateriale, cartolarizzata, con le perverse conseguenze che ha generato; l’impunità del sistema finanziario annidato nei paradisi fiscali che genera flussi finanziari imponenti e di portata planetaria e riciclo di denaro sporco; la progressiva [[deregolamentazione]] di una economia che trasgredisce o ignora le norme che i singoli Stati avevano imposto, allargano sempre più questo iato. La conseguenza di tutto questo non può che essere un’ulteriore spinta al degenerare del modello di sviluppo che l’economia ha teorizzato e creato e di cui ancora oggi tende a farsi paladina|[[Gianpaolo Fabris]], ''La società post-crescita'', p.51.}}
[[File:Slavoj Zizek in Liverpool 2.jpg|thumb
Il filosofo e psicanalista [[Slavoj Žižek]], che si inserisce nella tradizione filosofica marxista rivisitata in chiave psicanalitica secondo la prospettiva di Jacques Lacan<ref>''Looking Awry. An introduction to Jacques Lacan through popular culture'', Cambridge, The MIT Press, 1991; ''Enjoy Your Symptom! Jacques Lacan in Hollywood and Out'', New York-London, Routledge, 1992.</ref>, affronta temi quali la tolleranza, l'etica politica, la globalizzazione e i diritti umani, arrivando a considerare possibile il vivere una vita più soddisfacente e ricca di emozioni positive a partire da nuove categorie di pensiero con le quali interpretare le relazioni interpersonali e la vita sociale. La condivisione può essere una di queste categorie, favorendo la rottura di vecchi modi di pensare e una proiezione verso il futuro capace di tenere conto della dimensione collettiva e non solo quella individuale<ref>''In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale'', Milano, Ponte alle Grazie, 2009; ''Dalla Tragedia alla farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo'', Milano, Ponte alle Grazie, 2010, ''Vivere alla fine dei tempi'', Milano, Ponte alle Grazie, 2011.</ref> .
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{{citazione|La società economica della crescita e del benessere non realizza l'obiettivo proclamato della modernità, vale a dire la massima felicità possibile per il massimo numero di individui. Una Ong britannica, la New Economics Foundation, elabora da diversi anni, sulla base di inchieste, un indice della felicità (happy placet index) che ribalta l’ordine classico del Pil pro capite e anche quello dell’indice si sviluppo umano (Isu). Per il 2009 la classifica stabilita dalla Ong vede in testa la Costa Rica, seguita dalla Repubblica Dominicana, dalla Giamaica e dal Guatemala. Gli Stati Uniti vengono soltanto al 114° posto. Questo paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta «sviluppata» si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè su una perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione dell’«usa e getta» trasforma in rifiuti, sia degli uomini, elusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti e manager ai disoccupati, agli homeless, ai barboni e altri rifiuti umani. La teologia utilizzava un bel termine per indicare la situazione di chi non era stato toccato dalla grazia: derelizione. L’italiano, più religioso, sceglie un termine più laicizzato di uso quotidiano e parla di «disgraziati». L’economia della crescita ha la derelizione come motore e moltiplica i «disgraziati». In effetti, in una società della crescita quelli che non sono dei ''vincenti'' o dei ''killer'' sono tutti più o meno dei falliti. Al limite, nella guerra di tutti contro tutti, c’è un solo vincente, dunque un solo challenger potenzialmente felice, anche se la sua posizione, di necessità precaria, lo condanna alla tortura dell’ansia. Tutti gli altri sono votati ai tormenti della frustrazione, della gelosia e dell’invidia. Così come si impegna nel riciclaggio dei rifiuti materiali, la decrescita deve interessarsi anche alla riabilitazione dei falliti. Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il miglior fallito è quello che la società non genera. Una società ''decente'' non produce esclusi|[[Serge Latouche]], ''Come si esce dalla società dei consumi'', pp.69-70}}
[[File:Serge Latouche.jpg|thumb|upright=0.7
Accolte con favore da molti pensatori, fra i quali il filosofo ed economista [[Serge Latouche]]<ref>Tali considerazioni vengono in particolar modo sviluppate da Latouche in ''Il mondo ridotto a mercato'', Edizioni Lavoro, 2000; ''Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo'', Emi, 2002; ''Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una società alternativa'', Bollati Boringhieri, 2005; ''La scommessa della decrescita'', Feltrinelli, 2007; ''Breve trattato sulla decrescita serena'', Bollati Boringhieri, 2008; ''L'invenzione dell'economia'', Bollati Boringhieri, 2010; ''Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita'', Bollati Boringhieri, 2011.</ref>, queste considerazioni incentrate sulla condivisione stimolano un ripensamento dell'odierno sistema economico in crisi. Come prima cosa, sottolineano l'importanza di sostituire ai valori della società mercantile – concorrenza feroce, ognuno per sé, accumulazione senza limiti – e alla mentalità predatrice nei rapporti con la natura, i valori dell'altruismo, della reciprocità, della convivialità e del rispetto dell'ambiente.<br />
Questa sostituzione di valori da rivendicare, che dovrebbero avere la meglio sui valori (o, come sostiene Latouche, sulla ''mancanza di valori'') oggi dominanti, rientrano nella prima delle otto «R» principali, indicanti gli otto cambiamenti od obiettivi teorici<ref>differenti dalle fasi concrete, esaminate più ampiamente in Serge Latouche, ''La scommessa della decrescita'', Feltrinelli, Milano, 2007.</ref> interdipendenti che si rafforzano reciprocamente e che insieme costituiscono il circolo virtuoso che può innescare «un processo di decrescita serena, conviviale e sostenibile»: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare<ref>Serge Latouche, ''Breve trattato sulla decrescita serena'', Bollati Boringhieri, 2008, p.44.</ref>.<br />
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Il petrolio e gli altri combustibili fossili, le fonti energetiche su cui si basa l'odierno stile di vita nei paesi dell'Occidente, sono in via di esaurimento, e le tecnologie da essi alimentate stanno diventando obsolete. Intanto, i mali che affliggono il mondo globalizzato – crisi economica, disoccupazione, povertà, fame e guerre – sembrano aggravarsi anziché risolversi. A peggiorare le cose, si profila all'orizzonte un cambiamento climatico provocato dalle attività industriali e commerciali ad alte emissioni di gas serra, che potrebbe molto presto mettere a repentaglio la vita dell'uomo sul pianeta. Secondo Latouche, gli uomini devono scegliere al più presto se continuare sulla strada che li ha portati a un passo dal baratro, o provare a imboccarne coraggiosamente un'altra, che implica il passaggio «dalla fede nel dominio sulla natura alla ricerca di un inserimento armonioso nel mondo naturale»<ref>Ibidem, p.46.</ref>. Solo quando gli esseri umani cominceranno a pensarsi come un'estesa famiglia globale, che non include solo la loro specie ma anche tutti i loro compagni di viaggio nel cammino evolutivo della terra, saranno in grado di salvare la loro comune biosfera e rinnovare il pianeta per le future generazioni.
[[File:Jeremy Rifkin 2009 by Stephan Röhl.jpg|thumb
Anche l'economista [[Jeremy Rifkin]] concorda sul fatto che l'esplosione demografica ed economica dei paesi emergenti unita alla diminuzione delle energie fossili porterà in breve tempo a un drammatico problema di sostenibilità della società industriale. Dopo trent'anni di studi e di attività sul campo, Rifkin individua nella Terza rivoluzione industriale<ref>Jeremy Rifkin, ''La Terza Rivoluzione Industriale'', Mondadori, 2011.</ref> la via verso un futuro più equo e sostenibile, dove centinaia di milioni di persone in tutto il mondo produrranno energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche, e la condivideranno con gli altri, proprio come adesso condividono informazioni tramite Internet. Questo nuovo regime energetico, non più centralizzato e gerarchico ma distribuito e collaborativo<ref>si veda anche Jeremy Rifkin, ''La civiltà dell'empatia'', Mondadori, 2010.</ref>, dovrà poggiare su cinque pilastri: la definitiva scelta dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili; la trasformazione del patrimonio edilizio in impianti di microgenerazione; l'applicazione dell'idrogeno e di altre tecnologie di immagazzinamento dell'energia in ogni edificio; l'unificazione delle reti elettriche dei cinque continenti in una inter-rete per la condivisione dell'energia; la riconversione dei mezzi di trasporto, pubblici e privati, in veicoli ibridi ed elettrici e con cella a combustibile per acquistare e vendere energia.<br />
La Terza rivoluzione industriale rappresenterebbe l'ultima fase della grande saga industriale e la prima di un'emergente era caratterizzata dalla condivisione. Essa non sarebbe altro che «l'interregno fra due periodi della storia economica: il primo caratterizzato dal comportamento industrioso e il secondo dal comportamento collaborativo»<ref>Jeremy Rifkin, ''La Terza Rivoluzione Industriale'', Mondadori, 2011, p.294.</ref>. Se l'era industriale poneva l'accento sui valori della disciplina e del duro lavoro, sul flusso dell'autorità dall'alto al basso, sull'importanza del capitale finanziario, sul funzionamento dei mercati e sui rapporti di proprietà privata, l'era della collaborazione e della condivisione, radicale svolta della storia economica, non potrà che essere orientata secondo Rifkin all'interazione da pari a pari, al capitale sociale, alla partecipazione a domini collettivi aperti, all'accesso alle reti globali.
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{{citazione|In molte culture indigene del Nord America, la generosità è un aspetto centrale del comportamento nel sistema economico e sociale. Un esperimento informale ha esaminato cosa accadeva quando alcuni bambini provenienti da una comunità bianca e una comunità lakota ricevevano due lecca-lecca ciascuno. Tutti i bambini mangiavano subito il primo; poi però i bambini bianchi mettevano il secondo in tasca, mentre i ragazzini delle comunità indigene offrivano il loro a chi non ne aveva ricevuto neanche uno. Non meraviglia che la cultura possa condizionare il modo in cui le riserve vengono accumulate e distribuite, stabilendo, per esempio, che il risparmio debba essere socialmente prioritario rispetto alla condivisione; ma l’esperimento ci rammenta anche che l’opposto del consumo non è la parsimonia, bensì la generosità|Raj Patel, ''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'', p.33}}
[[File:Raj Patel.jpg|thumb
In linea con il pensiero della giornalista e scrittrice Naomi Klein<ref>''No Logo. Economia globale e nuova contestazione'', Milano, Baldini & Castaldi, 2001; ''Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri'', Milano, Rizzoli, 2007.</ref>, l'economista, accademico e attivista [[Raj Patel]] esamina in modo critico i dogmi dell'economia liberista e vede nella presente crisi finanziaria la naturale continuazione della lotta per le risorse, per la proprietà e per il potere politico, che risale alla privatizzazione delle terre comuni nei primi decenni della rivoluzione industriale inglese. Nonostante l'opinione diffusa sia che prima o poi l'economia mondiale tornerà alla normalità, la realtà è che la crisi finanziaria è la normalità di un sistema che non può funzionare così come è strutturato. Secondo lo studioso della crisi alimentare mondiale<ref>''I padroni del cibo'', (''Stuffed and Starved: The Hidden Battle for the World Food System''), Feltrinelli, 2008.</ref> , occorre invece puntare su vere e proprie alternative concrete alla proprietà privata e al capitalismo, capaci di riconsiderare il valore reale della condivisione, in una fase di distorsione sistematica dei prezzi dei beni e d'incapacità del mercato di valutare equamente il valore del lavoro<ref>''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'' (''The Value of Nothing: How to Reshape Market Society and Redefine Democracy''), Feltrinelli, 2010.</ref>.
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