Perdita Basigheddu

inquisita dall'inquisizione spagnola
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Perdìtta Basigheddu (Nuoro, fine XVI secolo – XVII secolo) è stata un'inquisita e condannata dal Tribunale del Sant'Uffizio della Sardegna.

Biografia

Le notizie su Perdìtta Basigheddu (Pedrita Basigueddo o Basiquedo nei documenti dell'Archivo Histórico Nacional di Madrid) sono poche e frammentarie: gli atti originali del suo processo sono andati perduti, e le informazioni su di lei sono contenute nella Relación de las causas pendientes y despachadas dell'anno 1605[1], e negli atti del secondo processo a carico di Julia Carta[2], una ragazza di Siligo accusata di stregoneria, che fu compagna di cella della nuorese.

Perdita fu inquisita a causa della sua attività di preparazione di unguenti a base di erbe, che le valsero la qualificazione di hechizera y sortílega (fattuchhiera e maga). Fu arrestata senza sequestro di beni (segno che era povera), e mantenuta nelle carceri segrete del castello aragonese di Sassari dove venne presumibilmente torturata: confessò infatti tutto ciò di cui era accusata secondo le testimonianze contro di lei, ammettendo di essere idolatra del demonio e avere abbandonato la fede. La confessione fece sì che la nuorese venisse annotata nei documenti come “eretica e apostata formale”[3], accusa gravissima che indusse gli inquisitori a condannarla alla pena di morte[4]. Le confessioni di Julia Carta, nel suo secondo processo, non dovettero giovare alla causa: la silighese disse che il diavolo in persona le aveva offerto la sua protezione, così come aveva già fatto con Perdita, che senza di lui sarebbe morta in carcere[5].

Perdita e la sua compagna ebbero comunque una sorta di trattamento di favore in carcere: l'alcalde (il direttore della prigione) concesse infatti loro di stare nella sua casa, in cambio del loro servizio nel distribuire i pasti ai prigionieri regolari[6].

Perdita fu anche costretta a curare la gamba di Gregorio, un servo dell'inquisitore Martin de Ocio y Vecila, con gli stessi unguenti per i quali era stata imprigionata. Per delle ragioni che non emergono dai documenti, la condanna della donna fu alleggerita: fu riconciliata con la Chiesa il 23 ottobre del 1605, pur mantenendo la condanna del carcere a vita e del sambenito (il sacco dei penitenti) perpetuo[7]. Tale condanna fu ulteriormente scontata, in quanto in un atto notarile del 1611, la si trova residente a Cagliari e sposata[8].

Nel 1622, incaricò il maestro campanaro cagliaritano Giovanni Pira per la realizzazione di una campana della chiesa della Vergine della Solitudine a Nuoro.

La data e il luogo di morte sono tuttora sconosciute.

Note

  1. ^ AHN, INQUISICIÓN, L. 783: Cerdeña.
  2. ^ AHN, L. 771, f. 325v, citato in Salvatore Loi (a cura di), Inquisizione, magia e stregoneria in Sardegna, AM&D edizioni, Cagliari, 2000,
  3. ^ INQUISICIÓN, 1748, Exp.9, f. 86r, citato in S. Loi, Op. Cit.
  4. ^ AHN, Inquisición, libro 771, f 203 v, citato in T. Pinna, Op. Cit.
  5. ^ AHN, INQUISICIÓN, 1748, Exp.9, f. 39v, citato in S. Loi, Op. Cit.
  6. ^ AHN, Inquisición, libro 771, f. 203v, citato in T. pinna, Op. Cit.
  7. ^ AHN, INQUISICIÓN,1631,Exp.2, f. 26r.
  8. ^ S. Pinna, Op. Cit.

Bibliografia

  • Salvatore Pinna, La Inquisición en la villa de Nuoro. Perdita Basigheddu e altri dimenticati, Sardegna Antica nº 54, dicembre 2018
  • Salvatore Loi (a cura di), "Inquisizione, magia e stregoneria in Sardegna", AM&D, Cagliari, 2003.
  • Tomasino Pinna, Storia di una strega. L'Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta, EDES, Sassari, 2000.

Voci correlate