Voce principale: Centro storico di Vicenza.
Borgo Porta Nova
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Veneto
Provincia  Vicenza
CittàFile:Vicenza-Stemma.png Vicenza
Circoscrizione1 Centro
Codice postale36100

Borgo Porta Nova (chiamato nella sua parte originaria Borgo Santa Croce) è il quartiere del centro storico di Vicenza sviluppatosi in piccola parte durante il Medioevo ma soprattutto in età moderna nell'area a ovest del Bacchiglione compresa tra il fiume e la cinta fortificata scaligera costruita nel XIV secolo.

Storia

Origine dei nomi

  • Borgo indica l'espansione della città al di fuori della cerchia delle mura[1]; questo significato è stato appropriato per San Pietro fino al 1370, quando fu costruita dagli Scaligeri la seconda cerchia di mura, proprio per rinchiudere e proteggere il Borgo; da quel momento in poi, al di là della cinta muraria si sono formati nuovi borghi, come quelli di Santa Lucia, di Padova e di Casale. San Pietro divenne un quartiere della città.
  • Porta Nova.
  • Santa Croce.

Epoca antica

Medioevo

Intorno al IX-X secolo fu costruita intorno alla ristretta area urbana la cinta di mura altomedievali, con la porta di San Pietro[2] che consentiva il transito alle parti della città al di là del fiume e che dava loro il nome di Porsampiero, secondo la vecchia dizione e le descrizioni del Castellini[3]; in quel periodo è certa la formazione del borgo articolato in contrade, che vengono citate nel Decreto edilizio vicentino del 1208[4].

Il borgo di San Vito e la contrada di Santa Lucia

Lungo l'antica Via Postumia in quel periodo si formò il borgo di San Vito, il cui nome faceva riferimento all'omonima abbazia benedettina, eretta sul luogo in cui oggi si trova il Cimitero acattolico. Essendo al di fuori delle mura cittadine, la chiesa aveva il fonte battesimale e la cura d'anime su un ampio territorio, esteso fino alla pieve di Santa Maria di Bolzano Vicentino.

Nel 1206 l'abbazia fu assegnata ai Camaldolesi che nel 1314 acquistarono un edificio più vicino alla città e al suo posto costruirono un oratorio dedicato a santa Lucia[5]; questo portò un ulteriore sviluppo del borgo.

Nel 1370, l'erezione delle mura scaligere inglobò nella città la parte più popolosa e benestante di esso e la parte che ne rimase fuori da allora fu chiamata borgo di Santa Lucia[6], mentre la parte interna contrà de Santa Lùssia, o contrada di Santa Lucia.

La contrada di San Pietro

 
Pala del Martirio di Sant'Andrea, attribuita ad Alessandro Maganza, già nella chiesa di Sant'Andrea

Prima del X secolo a poca distanza dalla sponda sinistra del fiume fu fondato il monastero benedettino di San Pietro, dapprima probabilmente maschile, poi femminile[7]. Durante l'Alto Medioevo esso ebbe una vita difficile, quasi certamente subì le scorrerie degli Ungari agli inizi del X secolo e forse fu distrutto; nel 977 un privilegium del vescovo Rodolfo lo definiva "quasi annientato e deserto di ogni culto monastico e divino ufficio". Dopo il Mille i vescovi assegnarono in feudo alle benedettine una notevole quantità di possedimenti, tutt'intorno al monastero ma anche altri in tutto il territorio vicentino.

Dal monastero dipendevano anche altre chiese, alcune all'interno del borgo San Pietro, come quella di San Vitale, prospiciente la piazza sulla quale si affacciava il monastero, sull'area in cui nell'Ottocento fu costruito l'Istituto Trento [8], e quella di Sant'Andrea, nei pressi della Corte dei Roda[9].

La chiesa di Sant'Andrea è citata in documenti del 1129 e del 1166, mediante i quali la badessa di San Pietro investiva gente del posto di terreni e case nella zona vicino alla chiesa. Dal XIII al XV secolo fu sede parrocchiale, il che testimonia l'esistenza della contrada, officiata da un sacerdote secolare nominato dalla badessa del monastero.

Agli inizi del Quattrocento la chiesa risulta fosse abbandonata e cadente, anche perché si trovava in un'area spesso alluvionata dalle esondazioni del Bacchiglione[10].

Il borgo di Porta Padova

  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Giuliano (Vicenza).

Situato lungo una delle due principali strade che uscivano dalla città attraverso la Porsanpiero, sicuramente il borgo era esistente nell'Alto Medioevo. Nel 1270 le benedettine di San Pietro affittarono un appezzamento di terreno per costruire "un ospitale per benefizio dei poveri", chiamato Chà di Dio, la cui chiesa, intitolata a san Giuliano l'ospitaliere, risulta esistente fin dal 1319, annessa all'ospitale per mendicanti e pellegrini che transitavano sulla strada tra Vicenza e Padova.

Quello di San Giuliano fu in quest'epoca uno tra i più importanti ospitali situati nei dintorni della città, tanto che nel 1295 alcuni privati cittadini si proposero di aiutarlo economicamente per essere partecipi dei frutti spirituali delle opere di pietà e carità[11]. Rimasto tuttavia fuori della cinta di mura fatta costruire dagli Scaligeri nel 1370[12], cessò di funzionare intorno alla metà del XV secolo.

La chiesa, comunque, continuò a essere officiata e anzi nello stesso periodo ebbe arredamenti e restauri. Diventata proprietà della municipalità cittadina, dopo il ritiro delle benedettine, fu associata alla chiesa di San Vincenzo e le fu attribuita la cura d'anime nel territorio circostante. Divenne tradizionale luogo di incontro tra la cittadinanza e i vescovi - quasi tutti veneziani nel XV secolo - nel giorno del loro ingresso nella diocesi vicentina[13].

Tutto questo fa pensare che anche dopo il 1370, nonostante la costruzione delle mura avesse ridotto a contrada la parte interna dell'abitato, la parte esterna del borgo sia rimasta in notevole comunicazione con la prima, favorita dal fatto che la porta, in periodo veneziano, aveva solo una funzione di barriera per la riscossione del dazio.

Il borgo delle Roblandine (o di San Domenico)

Il nome di questo borgo - e quindi la testimonianza della sua esistenza nel XIV secolo - come uno tra i burgorum Sancti Petri Civitatis Vincentie è citato nel "Testamento di Guglielmo Bolognini" del 1377[14].

Si trattava dell'abitato intorno al convento di San Domenico, fatto costruire intorno al 1264 dalle domenicane; completamente rifatti nel XV secolo e successivi[15], chiesa, chiostri ed edifici del convento sono attualmente sede del Conservatorio di musica "Arrigo Pedrollo".

La cinta muraria scaligera

 
Porta Santa Lucia, vista dall'omonima contrà
 
Mura scaligere in via Legione Gallieno

Nel XII e XIII secolo la città si arricchì ed espanse; la sua parte orientale al di là del Bacchiglione, formata da diversi piccoli borghi (San Vito, Lisiera, Roblandine, Camisano e San Pietro, secondo le denominazioni attribuite dal Castellini[16]) all'inizio del Trecento era già densamente abitata, sviluppatasi in contrade sorte lungo le cinque strade che si aprivano a raggiera dal ponte Porsampiero.

Secondo il Castellini, questo borgo complessivo era delimitato e protetto da un fossato almeno dal 1182, al quale dal 1344 gli Scaligeri - dopo la disfatta loro inferta dalla coalizione veneto-fiorentina - avevano aggiunto degli spalti, cioè un terrapieno che obbligava il passaggio soltanto attraverso cinque porte (o meglio cinque varchi) intervallate da “battifredi”, una sorta di torri lignee di vedetta[17].

Questi varchi erano - partendo dalla prima contrada orientata verso nord e continuando in senso anti-orario - la porta del borgo di San Vito o di Santa Lucia che portava alla coltura di San Vito; quella del borgo di Lisiera; la porta delle Roblandine, alla fine dell'attuale contrà San Domenico; quella di Camisano o delle Torricelle o di Padova, che volgeva in direzione di Padova e infine la porta di Camarzo[18], posta vicino al monastero di San Pietro.

Per evitare un ulteriore rischio di disastrose devastazioni, avvenute in questo borgo durante le guerre con i padovani, intorno al 1370 Cansignorio della Scala, insospettito dalla discordia insorta tra i veneziani e Francesco di Carrara, così vicini al suo stato, fece maggiormente fortificare la città di Vicenza, e cinse le mura di tutto il borgo di San Pietro, che era solamente difeso da una gran fossa e da un terrapieno; e invece di una porta che era al ponte degli Angeli ne fece fare tre ...[19], lasciando appunto solo tre porte - Santa Lucia, Padova e Camarzo - e facendo chiudere quelle delle Roblandine e di Lisiera. Un paio di secoli più tardi, nel 1560, le monache di San Pietro fecero chiudere anche la Porta di Camarzo[20].

La nuova cinta muraria iniziava a poche decine di metri dall'attuale ponte degli Angeli sulla riva sinistra del Bacchiglione, continuava sul lato esterno di contrà Torretti (il cui toponimo ricorda le piccole torri che scandivano il decorso delle mura[21]) e per contrà Mure Araceli, dove si apriva la Porta Santa Lucia. Di qui senza interrompersi proseguiva all'esterno delle contrà Mure Santa Lucia, Mure San Domenico e Mure Porta Padova. Nel punto in cui quest'ultima stradina - ora interrotta - sboccava in contrà Porta Padova, si ergeva l'omonima porta, della quale ora rimane un modesto rudere poco prima dell'incrocio con viale Margherita. Il muro è ancora discretamente conservato fino all'incrocio con contrà San Pietro, dove si ricollegava con il Bacchiglione - che, a quel tempo, formava un'ansa verso est, scorrendo praticamente parallelo all'attuale via Nazario Sauro - e si apriva la Porta di Camarzo. La lunghezza complessiva della cinta era di circa 1220 m.

Età moderna

 
Vicenza amplissima disegnata nel 1588, particolare con Borgo Porta Nova[22]

Dai registri e dagli elenchi del Cinquecento si ricava che lo spazio all'interno della cinta muraria già allora si presentava caratterizzato da un maggior addensamento demografico e da un tasso di popolarità superiore a quello di altre parti della città. Dal XVI al XVIII secolo le famiglie del borgo (l'insieme delle parrocchie di Santa Lucia e di San Pietro, comprese alcune frazioni presenti nelle colture da esse dipendenti) rappresentavano quasi un quarto della popolazione cittadina[23].

Durante tutto il periodo veneziano il borgo conservò anche un seppur modesto numero di nobili - come i Thiene e i Monza - di mercanti e di borghesi padroni di case e di discrete fortune[24]; fin dal XV secolo alcune famiglie abbienti vi fecero costruire residenze signorili, come il gotico palazzo Regaù, il rinascimentale palazzo Angaran, le case Thiene nel Cinquecento, il palazzetto Belisario a fine Settecento.

Il borgo era, però, soprattutto e sostanzialmente popolare; a dare un tono particolare alle contrade erano le botteghe artigianali, i mulini e i mestieri, alcuni dei quali destinati a durare sin quasi alle soglie della modernizzazione: merzari, callegari, murari, pellattieri, sartori, tessari, a testimoniare l'operosità della popolazione qui insediata.

In contrà Sant'Andrea erano numerosi i pellettieri, anche benestanti come Gaspare Manente titolare di un fillatorio et torzatorio menato da l'acqua con una roda … uno follo da pelli, sega da legname, rode tre de molini. Ancora poche invece, fino al Settecento, le case con arnesi da lavorar seda, anche se in tutte le contrade vi erano tintori, lanari, tessari …. Numerose le abitazioni con orto e cortile.

Nel Settecento i rioni popolari di Santa Lucia e di San Pietro furono le zone della città tra più esposte al degrado e all'impoverimento, anche per l'aumento del numero di persone allontanate dai quartieri più benestanti e relegate nella periferia urbana; l'élite cittadina cercava di ridurre i contatti sociali con loro (questo era soprattutto evidente nel caso di lavoratori impiegati in mestieri maleodoranti, come i conciatori, i macellai, ecc.), così come con i contadini inurbati e i questuanti; in borgo Padova erano acquartierati anche gli sbiri, le guardie della Repubblica di Venezia più invisi al popolo[25].

Progressivamente, in epoca preindustriale verso la fine del Settecento, il crescente affollamento e congestionamento contribuì a degradare la vivibilità e l'abitabilità delle contrade: nelle strade il selciato era sempre più sconnesso, soggetto a deterioramento da fango, piogge e frequenti alluvioni; le case erano sempre meno confortevoli mancando, tra l'altro, di impianti igienici. Sempre più, allora, la gente usciva dalle case, si riversava nelle strade, aumentando in senso positivo e negativo - cioè sia con le amicizie che con i litigi - la socializzazione di base. Goethe attribuiva la sua simpatia per i vicentini al fatto che essi "hanno modi spigliati e affabili e ciò deriva dalla loro continua vita all'aperto"[26].

Negli ultimi decenni del Settecento in queste contrade, dalle quali si raggiungeva facilmente borgo Pusterla, zona di opifici, erano vivi il mestiere e l'arte di fabbricare le sete; i numerosi telai erano costantemente in funzione e i samitari (i lavoranti del samit, il drappo di seta intessuto con oro o argento) con le loro famiglie dimoravano in maggior numero qui rispetto ad altre zone della città; peraltro vi era una sola filanda con 24 fornelli alle Fontanelle e un unico opificio collegato della Ditta Felice Savi[27].

Età contemporanea

L'impoverimento e il degrado del quartiere

Dopo la caduta della Serenissima nel 1797 e le campagne napoleoniche che ebbero ripercussioni negative sulla città e sul territorio, vi fu un lento ma progressivo declino dell'economia cittadina, determinato soprattutto dalla diminuzione, e poi dalla scomparsa, del lavoro e quindi del tessuto sociale collegati alla produzione della seta. A differenza di quanto avvenne nell'Alto Vicentino, la gravissima crisi investì particolarmente il capoluogo dove, in seguito all'introduzione del telaio meccanico, ne risentirono quelli che erano stati fino ad allora i fiorenti setifici, i cui imprenditori non seppero far fronte alle nuove esigenze del mercato internazionale e persero i mercati[28]. L'impoverimento - che durò per quasi tutto il XIX secolo - si fece sentire particolarmente nei quartieri dove viveva la popolazione più umile, come quelli di San Felice e di San Pietro.

Durante le epidemie di colera del 1836, del 1849, del 1855 e del 1867, il morbo e i decessi si ebbero soprattutto nei quartieri più poveri che, per la scadente e insalubre struttura delle case e per la troppo alta densità della gente che abitava in spazi ristretti, ne erano più soggetti; questo accadde regolarmente in contrà San Pietro e nella Corte dei Roda.

 
Targa con il livello raggiunto dalla piena del 1882, circa 180 cm.

Il ripetersi ogni pochi anni delle alluvioni - la più importante fu quella del 1882 - a discapito delle zone più basse della città, come quelle d'oltre Bacchiglione, le più penalizzate dalle piene disastrose del fiume (contrà Torretti, Santa Lucia, la Corte dei Roda) con la conseguenza di aumentarne il degrado. In quegli anni, però, si intensificarono importanti segnali di solidarietà e di aggregazione popolare delle contrade[29].

Anche dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, cioè dopo il 1866, continuò il degrado del quartiere ("Un borgo desfortunà") in tutte le sue contrade: San Pietro con la Corte dei Roda[30], Porta Padova[31] e Santa Lucia; lo sottolineano diversi articoli dei giornali locali, che accusano i siori del Comune di non volersene interessare[32].

Nella seconda metà del secolo, soprattutto in questo quartiere, vi fu un aumento graduale anche se non vistoso della popolazione cittadina, dovuto non solo al maggior numero di nati rispetto a quello dei morti, ma principalmente all'immigrazione dalle campagne in città, determinata da operai in cerca di lavoro e da poveri che i comuni della provincia spingevano verso la città per diminuire i costi del loro mantenimento.

La nascita di Istituti assistenziali e religiosi

Un mutamento di conformazione del quartiere fu dato anche dal concentrarsi in esso di istituzioni cittadine di assistenza che, sommate a quelle religiose, lo rendevano non più la residenza di classi laboriose seppur poco abbienti, quanto piuttosto un luogo deputato alla raccolta e al controllo di quote instabili ed emarginate di popolazione povera[33].

L'Istituto Ottavio Trento
 
Chiostro del monastero di San Pietro, dall'Ottocento sede dell'Istituto Trento

Nel 1810 il nobile vicentino Ottavio Trento[34] donò al Comune di Vicenza una somma cospicua per l'istituzione di una "Casa di lavoro volontario e semiforzato", al fine di dare una risposta allo stato di grave disagio in cui si trovavano i numerosi operai e artigiani rimasti sul lastrico con le loro famiglie in quegli anni di crisi economica; a questa donazione egli aggiunse poi nel suo testamento un ulteriore sostanzioso legato. Per realizzare l'opera, il Comune individuò il complesso dell'ex-monastero di San Pietro; i lavori di restauro cominciarono solo dopo la morte del donatore per concludersi nel 1814.

L'Istituto accolse dapprima ospiti anziani e bisognosi di assistenza, specialmente durante la stagione invernale; cinque anni più tardi iniziò ad accogliere anche i figli degli operai disoccupati, creando una sezione separata destinata all'istruzione professionale, per addestrare i ragazzi ad un lavoro artigianale; nel 1881 questa sezione fu spostata nell'Orfanotrofio maschile da poco istituito nel vicino ex-convento di San Domenico. Così l'Istituto Ottavio Trento - indicato dapprima come "Casa d'Industria e Lavoro a sollievo della mendicità", e quindi come "Casa di riposo per persone invalide o anziane prive di mezzi propri" - si specializzò sempre più nel ricovero di anziani poveri, attrezzandosi con strutture e personale adeguati all'evoluzione dei tempi[35].

L'Istituto Salvi

Il conte Gerolamo Salvi che, come il Trento non aveva eredi, volle destinare quasi tutto l'ingente patrimonio familiare a sostegno delle persone più deboli e spesso abbandonate sul lastrico a mendicare; così con il testamento del 1873 costituì suo erede universale il Comune di Vicenza perché fondasse un asilo per i poveri, gli anziani e quanti soffrivano di menomazioni fisiche e mentali. Queste disposizioni furono realizzate con l'apertura dell'Asilo di mendicità negli ambienti dell'ex-convento di San Giuliano, opportunamente restaurati e attrezzati nel 1886.

Il dormitorio pubblico

Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1888 palazzo Regaù divenne un dormitorio pubblico, lasciato all'incuria e al degrado, caratteristiche che lo contraddistinsero fino a tempi recenti, quando un accurato restauro lo restituì agli antichi splendori.

L'Orfanotrofio di San Domenico

L'eccessivo affollamento dell'Orfanotrofio della Misericordia, verso la metà del secolo, rese necessaria una nuova sede per la sezione maschile, che fu trasferita nel 1861 in contrà San Domenico, dapprima nell'ex-convento delle cappuccine sotto la direzione dei padri pavoniani e poi, risultando insufficiente e inadeguata anche questa sede, quattro anni più tardi nell'attiguo ex-convento delle domenicane. Qui furono allestiti alcuni laboratori per l'istruzione professionale e aule scolastiche per gli ospiti che - a norma di statuto - dovevano essere ragazzi e giovani "orfani o in stato di abbandono, i quali non possano essere convenientemente aiutati in seno alle loro famiglie" ed erano accolti a convitto o a semiconvitto; alla direzione dell'istituto furono chiamati sacerdoti diocesani.

L'Istituto Farina
 
Istituto Farina delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori

Questa istituzione sorse nel 1836 per iniziativa del sacerdote e professore del Seminario vescovile di Vicenza - divenuto in seguito vescovo di Treviso e quindi di Vicenza - Giovanni Antonio Farina, che nei primi dieci anni di sacerdozio prestava anche servizio come cappellano a San Pietro. In questa parrocchia, costituita per gran parte da famiglie operaie, nel 1827 era stata portata da don Luca Passi l'Opera di Santa Dorotea e, nel febbraio dell'anno seguente, era stata istituita la Pia scuola di carità per le fanciulle povere. Don Antonio Farina fin dagli inizi si prese a cuore l'Opera e nel 1831 la innestò nell'altra della Pia scuola che minacciava di estinguersi; fino al 1836 le maestre furono persone secolari non vincolate da voti, ma in quell'anno - sia per la difficoltà di trovare educatrici idonee e disponibili a tempo pieno, che per dare maggiore stabilità all'istituzione - il Farina favorì la costituzione di un gruppo di nuove maestre, che vivevano in comune e alle quali diede una regola[36].

In accordo con il vescovo Cappellari e con le autorità civili, egli aprì la prima casa in contrà San Domenico e, grazie all'appoggio di alcuni benefattori, poté accogliervi le prime ospiti alle quali offrì, in un tempo in cui il ruolo della donna era spesso oggetto di emarginazione e di segregazione, un'educazione umanistica e morale, integrata dalla formazione professionale necessaria a un dignitoso inserimento nella società. Nel 1840 vi furono accolte, e seguite con appropriate tecniche didattiche, anche bambine cieche e sordomute[37][38].

L'Asilo per l'Infanzia

Il primo Asilo di Carità per l'Infanzia fu promosso da don Giuseppe Fogazzaro, sacerdote, patriota e professore nel Seminario vescovile, il quale istituì un'apposita commissione direttiva che nel 1839 annunciò il progetto della fondazione del primo Asilo per l'Infanzia, modellato sull'esempio di altre città, sulla falsariga pedagogica e didattica del maestro Ferrante Aporti di Cremona. L'iniziativa mirava ad offrire all'infanzia un'adeguata assistenza ed educazione morale ed intellettuale, insieme con il sollievo e l'aiuto alle rispettive famiglie.

Nel luglio 1839 fu inaugurato in alcuni locali in piazza dell'Isola il primo Asilo per l'Infanzia con una quarantina di bambini provenienti dalle famiglie più povere della città, molte delle quali del quartiere oltre Bacchiglione. Il loro numero si accrebbe rapidamente, tanto che si rese necessaria per le fanciulle la collaborazione delle suore dorotee.

L'Oratorio femminile in contrà Santa Lucia

L'istituzione degli oratori parrocchiali a Vicenza è collegata al clima politico e sociale degli anni successivi all'unificazione nazionale, nell'ambito del movimento cattolico preoccupato di proteggere e sostenere i valori e le tradizioni religiose in una società di ispirazione liberale e talora anche massonica. In varie parrocchie nacquero così gli "oratori" dove, accanto all'insegnamento religioso e morale, si offrivano ai giovani occasioni di letture, giochi, gite, esibizioni teatrali, filodrammatiche, corali e strumentali, attività sportive. Venivano anche organizzati doposcuola per i più piccoli, corsi di addestramento professionale per le ragazze (le "scuole di lavoro") e per i giovani apprendisti[39]. A Vicenza il primo di questi fu l'oratorio femminile gestito dalle Suore delle Poverelle in contrà Santa Lucia.

Il XX maggio 1848 a Porta Santa Lucia

 
Lapide sotto la Porta S. Lucia che celebra la resistenza del 1848

Quando nel 1848 in tutta Europa scoppiò una serie di moti rivoluzionari, l'esercito asburgico dovette ritirarsi nelle Fortezze del Quadrilatero; anche Vicenza fu sgombrata il 24 marzo e immediatamente si costituì un governo provvisorio. Il 20 maggio, però, la controffensiva austriaca guidata dal generale Nugent si portò sotto le mura di Vicenza tra porta Santa Lucia e Borgo Casale con 16.000 uomini che furono lanciati all'assalto, coperti dal bombardamento di sei cannoni; venne però sanguinosamente respinta dalla resistenza dei volontari vicentini coadiuvati dalle truppe regolari pontificie[40].

Lo scrittore borghigiano Vittorio Meneghello narra che i popolani di Santa Lucia, artigiani e lavoratori, affiancarono sulle barricate i volontari e i soldati da Borgo Scroffa a Porta Padova. Anche il popolo minuto quindi si ribellò, accompagnando esponenti delle classi alte come il conte Camillo Franco "che aveva preteso che i suoi due figli si iscrivessero alla Guardia Civica" e come il canonico Luigi Maria Fabris, il protettore dei berechini. Jacopo Cabianca scrisse che l'impegno della battaglia aveva richiamato alle armi persino i vecchi e le donne: "e le borghigiane di Santa Lucia non gareggiavano solo nell'assistere i feriti, ma anche nel preparare e porgere le munizioni ai combattenti, dietro lo schermo non invulnerabile delle barricate"[41].

La rivitalizzazione del quartiere a fine Ottocento

Dopo la disastrosa alluvione del 1882 l'amministrazione comunale iniziò alcuni lavori: la riparazione dei selciati, l'abbattimento delle case vicine al ponte degli Angeli, opera che mise in risalto la stradela dei Toreti, che per quanto campestre, arborata e vitata, fa bela mostra dei so poco guereschi torrioni, così come il risanamento di alcuni angoli soprattutto nella zona di San Pietro. Nel 1890, su iniziativa del titolare della tranvia cittadina, fu portata oltre il Bacchiglione la luce elettrica per l'illuminazione pubblica. Quest'azione di rifacimento ebbe anche il risvolto negativo della rivalutazione economica delle abitazioni del quartiere, il che portò ad un consistente aumento del costo degli affitti, aumentando quindi anche l'indigenza e il disagio della popolazione di queste zone già povere[42].

Negli ultimi due decenni del secolo i mestieri gestiti da singole persone - tipico della zona era quello delle lavandare, linguacciute lavoratrici che dalle contrade scendevano alla Corte dei Roda - e da famiglie passarono sempre più alla condizione di mestieri operai e questo favorì l'aggregazione della popolazione. A palazzo Angaran avevano sede a fine secolo tre società operaie: la "Fratellanza", quella dei Falegnami e quella dei Macellai. Altro associazionismo qui presente era anche quello della Società Anticlericale e della Loggia Massonica intitolata a "Lelio Socino".

A fine Ottocento al di là del fiume vi era quindi il quartiere più popoloso e proletario, una sacca di contenimento delle povertà urbane e della vecchiaia impotente, un'area solcata da tensioni e da fermenti d'ordine sociale e culturale, ma anche uno spazio di associazionismo operaio, artigiano, politicamente filorisorgimentale e progressista.

In quel periodo erano già frequenti i momenti di ritrovo ludico comunitario in osteria, dove si incrementavano i processi di socializzazione politica e culturale del popolo minuto, caratterizzati da giochi, canti ma anche da litigi, spesso con i contadini del circondario che la domenica sera venivano a queste feste dalla campagna; importanti le trattorie di Benetto (che poteva accogliere oltre 300 persone) e "della Luna" di Soave, entrambe appena al di là della Porta Padova. Ogni tanto, nel corso dell'anno, vi erano banchetti sociali e appuntamenti politicamente significativi[43].

La polemica sulla denominazione delle contrade

 
La colonna dell'Angelo in piazza XX Settembre

Nel 1895 la conquista della maggioranza nel consiglio comunale di Vicenza da parte dei cattolici, alleati con i moderati, determinò un consistente rinnovamento a livello della politica municipale, imprimendo un'importante accelerazione al processo di formazione del quartiere d'oltre Bacchiglione secondo le sue connotazioni più moderne[44].

Non era però conclusa, anzi era sempre più accesa, la polemica tra i fautori della monarchia sabauda e quelli del papa, da 25 anni ormai confinato nei palazzi vaticani.

Nell'ottobre 1895 un'istanza firmata da 395 cittadini fu presentata all'Amministrazione comunale per ottenere che alla piazza degli Angeli e alla contrà della Fontana Coperta venissero dati rispettivamente i nomi di piazza e di contrà XX Settembre, a ricordo della data della breccia di Porta Pia a Roma, avvenuta nel 1870. La Giunta del tempo, presieduta dal conte Antonio Porto, aveva fatta sua la richiesta e iscritta la relativa proposta all'ordine del giorno per l'approvazione del Consiglio comunale, quando pochi giorni prima dell'adunanza un'altra petizione firmata da 757 elettori pervenne al Comune perché fosse conservato alla via l'antico nome di Fontana Coperta e alla piazza degli Angeli venisse dato quello di piazza XX Maggio, a ricordo della giornata che aveva visto uno degli episodi della memorabile difesa del 1848.

Animata e non senza vivaci spunti polemici fu la discussione che si svolse in seno al Consiglio sulle due istanze, desiderosi gli uni che venisse rispettata l'antica denominazione e che il nuovo nome non servisse ad aumentare la discordia fra i cittadini, battendosi gli altri per l'accoglimento della petizione che includeva un concetto accentuatamente politico. Vi fu anche chi tentò di far accettare una soluzione di compromesso, mediante la quale, confermato il vecchio nome di Fontana Coperta, si sostituissero quelli di piazza degli Angeli con piazza XX Settembre e di contrà Santa Lucia con via XX Maggio; ma nemmeno questa proposta venne accettata.

Soltanto due anni più tardi la proposta di intitolare con il nome di XX Settembre la contrà della Fontana Coperta poté essere ripresentata dalla nuova Amministrazione Comunale, essendo sindaco Eleonoro Pasini[45], e a maggioranza approvata nella seduta dell'11 marzo 1898: il Consiglio volle anzi in un certo senso prendersi una rivincita per il ritardo subito, così chè non solo alla contrà della Fontana Coperta, ma anche alla piazza degli Angeli fu imposto il nome di XX Settembre[46].

La "Repubblica di Trastevere" e la "Republica de San Zuliàn"

In quegli anni si volle anche affermare l'analogia del quartiere di San Pietro con quello di Trastevere a Roma: si trovava al di là del Bacchiglione come il quartiere romano era al di là del Tevere, come quello veniva spesso alluvionato dal fiume, era caratterizzato da una popolazione quasi a sé stante, popolani di nota tenacia, fierezza e genuinità. Un'ulteriore affinità era data dal ricordo della Repubblica Romana del 1849, quando nel quartiere di Trastevere i popolani avevano appoggiato Mazzini, Garibaldi e infine i francesi ed erano stati dichiarati "veri amici della libertà"[47].

Proprio per sottolineare queste affinità il nome di "Repubblica di Trastevere" fu attribuito al quartiere popolare di Vicenza nel 1891 dai padri fondatori Cevese e Colain, che erano stati i promotori della nuova toponomastica del borgo. Questo episodio causò accesi dibattiti e appassionate proteste da parte di alcuni borghigiani e delle “lavandare”, solite a pulir panni sotto il Ponte degli Angeli, che si opponevano al mutamento. Nonostante le polemiche, la mozione dei “repubblicani” fu approvata e venne indetto il giorno dell’inaugurazione della colonna di Vittorio Cevese in piazza XX Settembre, il 25 ottobre 1891.

Sapientemente organizzata dai comitati promotori, l’iniziativa divenne una festa memorabile e si protrasse fino all’alba, con accompagnamento di fanfare e fuochi d’artificio.

Intento a rimuginare sugli ambienti di Roma città eterna, Antonio Colain così formulava le sue riflessioni: "… Il Trasteverino coi suoi costumi! Col suo fiume glorioso … quante memorie ha anche questo fiume! Ed anche il nostro Bacchiglione gli ha i suoi fasti, peccato non abbia più il suo arco romano; ma così abbiamo il Tevere senza le piene. Mi piace dargli questo nome, chi sa che forse i nostri trasteverini non diventino famosi … qui intanto si lavora, si rinnovano le vie, si danno spettacoli e si fanno delle beneficenze, forse ..."[48].

La demolizione delle mura e l'apertura della città

I primi decenni del Novecento furono caratterizzati dallo sviluppo della città e dal notevole aumento del traffico, il che rese necessario lo smantellamento di una parte delle mura e portò all'allargamento del quartiere.

Nel 1910 fu demolita la Porta delle Torricelle, o Porta Padova[49]. Così anche la zona di Borgo Padova, o di San Zuliàn, che si trovava al di là della porta ma da sempre era collegata all'area interna, divenne parte integrante del quartiere.

Non era però sufficiente: alla vigilia del primo conflitto mondiale la città appariva ancora chiusa nella sua cerchia di mura. Nel primo dopoguerra la "forma urbis" fu inesorabilmente travolta dallo sviluppo edilizio contemporaneo, per sua natura insofferente di limitazioni e allargantesi, all'opposto, in massa informe e continua, negatrice di ogni attrazione e vincolo di forza centripeta[50].

Con l'abbattimento delle mura scaligere, nel 1927 venne aperta l'antica Porta di Lisiera, costruendo il tratto esterno di via IV novembre che si collegava così a Borgo Scroffa. Nel 1932 fu aperta la porta delle Roblandine, permettendo il passaggio da contrà San Domenico a via Legione Gallieno[51].

Per esigenze urbanistiche, all'inizio degli anni cinquanta avvenne anche lo sfondamento del muro che aveva rinchiuso Porta Casale e quindi contrà San Pietro, così da consentirne l'immissione in viale Margherita; nel corso del decennio un ampio tratto di via Ceccarini e quasi tutta via Legione Gallieno furono costruite o ampliate colmando l'antico fossato che contornava le mura.

Abitazioni costruite utilizzando le mura scaligere di Borgo San Pietro:

Il quartiere attuale

Corso Fogazzaro

Il Borghetto e contrà Porta Santa Croce

Le contrade interne lungo le mura scaligere

  • Contrà Mure Corpus Domini
  • Contrà Mure San Rocco
  • Contrà Mure della Rocchetta
  • Contrà Mure Porta Nova

Le contrade interne in direzione ovest-est

  • Contrà San Rocco e stradella Soccorso Soccorsetto
  • Contrà Santa Maria Nova e contrà Lodi
  • Via Giampaolo Bonollo e contrà del Quartiere

Le contrade interne in direzione nord-sud

  • Contrà Giovanni Busato, contrà Sant'Ambrogio e conterà Porta Nova
  • Contrà Cantarane e piazzale del Mutilato

Luoghi significativi

Chiese ed edifici religiosi

Chiesa parrocchiale di Santa Croce in San Giacomo Maggiore detta dei Carmini

  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di Santa Croce in San Giacomo Maggiore.

45.55121°N 11.53901°E, in corso Fogazzaro.

Fu fatta costruire nel 1373 per il nuovo Borgo di Porta Nova e affidata ai Carmelitani; completamente ricostruita nel 1425 e in epoca contemporanea in stile neogotico, raccoglie varie opere d'arte provenienti dalla demolita Chiesa di San Bartolomeo.

Chiesa di Santa Croce

in contrà Porta Santa Croce 57.

Era annessa a uno dei più antichi ospitali di Vicenza, fondato dai Crociferi; la chiesa nel 2007 è stata data in gestione alla comunità ortodossa moldava di San Nicola; i resti del convento sono inglobati nelle strutture della scuola della fondazione Levis Plona[52].

Chiesa di San Rocco

  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Rocco (Vicenza).

, in contrà Mure San Rocco (Borgo Porta Nova).

Costruita nel 1485 quasi a ridosso delle mura, in uno stile che rimanda a Lorenzo da Bologna, benché completata da altri. Vi è annesso il convento di San Rocco, dei Canonici regolari di San Giorgio in Alga, demanializzato dal 1810 e ora sede di servizi sociali.

Chiesa dei santi Ambrogio e Bellino

  Lo stesso argomento in dettaglio: Ospedale dei Santi Ambrogio e Bellino.

, in contrà Sant'Ambrogio 23 (Borgo Porta Nova), non più adibita al culto.

Di proprietà del Comune di Vicenza, è adibita a mostre estemporanee.

nell'omonima contrà, 45.548314°N 11.537505°E, sconsacrata, non è visitabile ed è utilizzata dal Comune come deposito di libri.

La chiesa della fine del Cinquecento rappresenta l'unica chiesa interamente progettata da Andrea Palladio e costruita a Vicenza, benché realizzata postuma; dal 1994 fa parte dei monumenti patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Era annessa a un monastero fondato nel 1538 da monache agostiniane appartenenti a famiglie nobili, funzionante fino al 1810, quando per le soppressioni napoleoniche tutti gli edifici furono demanializzati.

Edifici religiosi non più esistenti

Annessa all'Ospizio del Soccorso Soccorsetto[53].
  • Chiesa e monastero del Corpus Domini, nell'omonima contrà, non più esistenti.
Furono fondati nel 1539 da monache canonichesse lateranensi della regola di Sant'Agostino, appartenenti a famiglie nobili. Nel 1810 il monastero fu soppresso e tutti gli edifici ridotti a private abitazioni.

Palazzi

Palazzo Angaran

  Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Angaran.

Case Thiene

In contrà Porta Santa Lucia. Con un bel portale sul cortile dei primi anni quaranta del Quattrocento, forse opera eclettica del Palladio[54].

Palazzo Regaù

  Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Regaù.

Palazzo Franco

Eretto nel 1830 su disegno di Antonio Piovene.

Palazzo Bonaguro

Struttura dallo stile neoclassico stretta fra contrà Santa Lucia e Via IV Novembre, si affaccia su Piazza XX Settembre. Architetto Francesco Zigiotti, 1796.

Palazzo Belisario

In contrà Santa Lucia, sopra la porta della casa d'angolo con la stradella dei Orbi, costruita nel 1773 da Giuseppe Gastaldi, agente di un ricco commerciante in seta, è riprodotta a mezzo rilievo l'effigie del generale Belisario, magister militum per Orientem, vincitore dei Vandali in Africa e dei Goti in Italia, vissuto nel VI secolo.

Si racconta che Belisario, caduto in disgrazia dell'Imperatore Giustiniano e divenuto cieco, fu costretto a mendicare per le vie di Costantinopoli. Questa leggenda ha fatto supporre a qualcuno che da lui sia derivato il nome di stradella dei Orbi; ipotesi peraltro senza alcun fondamento, anche il nome viene dato al plurale, quando sarebbe più naturale, se veramente lo spunto fosse venuto dall'effigie del generale bizantino, chiamare la via stradella dell'Orbo[55].

Ponti

Ponte degli Angeli

Il ponte, forse il più antico della città, fu costruito in epoca romana all'estremità orientale del decumano massimo, dove cioè la via Postumia entrava in città; nel Medioevo prese il nome dal monastero benedettino di San Pietro, che si trovava a poche centinaia di metri al di là dell'Astico (sostituito un millennio più tardi dal Bacchiglione).

Il vecchio ponte romano aveva un orientamento diverso dall'attuale: il decumano finiva più a nord sulla riva destra del fiume, così da infilarsi entro la romana porta San Pietro, che fu poi inglobata nel castello costruito dai padovani nella seconda metà del Duecento. Il ponte era a tre arcate e nel 1570 una quarta arcata fu aggiunta su progetto del Palladio[56].

In epoca moderna fu chiamato ponte degli Angeli, dalla chiesa di santa Maria degli Angeli che sorgeva alla sua estremità occidentale, addossata all'antico torrione difensivo che era stato trasformato in campanile[57]. Dopo l'alluvione del 1882 che lo distrusse, fu ricostruito in ferro in posizione più disassata[58]; a causa della sua insufficiente larghezza, non più adeguata alle crescenti esigenze del traffico, fu demolito nel 1950[59] e sostituito dall'attuale in cemento armato, dalla carreggiata più larga e rettificata.

Ponte di ferro

 
Ponte di ferro sul Bacchiglione

Passerella pedonale che collega gli argini del Bacchiglione (o meglio del ramo del fiume deviato nel 1876) e i due tratti stradali di via Nazario Sauro e di viale Giuriolo. Una targa, posta ad un'estremità, dice: "Andrea e Cesare Piovene, nell'anno 1911, fecero costruire questo ponte di ferro, poi divenuto di uso pubblico".

Ponte dei falliti

La corte dei Roda, che si trova a ridosso della sponda sinistra del Bacchiglione, comunicava un tempo direttamente con la piazza dell'Isola mediante un rustico ponte di legno, detto il "ponte dei falliti", la cui manutenzione era a carico degli abitanti della contrà di San Pietro, essendo quelli che del manufatto avevano maggiore e più frequente bisogno per accedere alla città. Ciò si rileva da certe domande di aiuto per restauri urgenti presentate da quegli abitanti ai "Deputati ad utilia" del Comune[60].

Istituzioni di carattere formativo e culturale

 
Scuola primaria "Giacomo Zanella" a Porta Padova

Essendosi di molto ridotta, negli ultimi decenni, la popolazione infantile del Centro storico, poche sono ormai le istituzioni educative presenti nel quartiere.

Asilo nido aziendale (Comune - Ipab)
Presso l'Istituto Salvi, in corso Padova
Scuola dell'infanzia comunale Antonio Fogazzaro
in via Nazario Sauro
Scuola primaria "Giacomo Zanella" - Comunale
In contrà Porta Padova
Istituto Onnicomprensivo G.A. Farina - Paritario
Comprende una Scuola dell'infanzia, una Scuola primaria, una Scuola secondaria di I grado e una Scuola secondaria di II grado, tutte in via IV Novembre

Conservatorio Arrigo Pedrollo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Conservatorio Arrigo Pedrollo.

Istituzioni di carattere sanitario e sociale

 
Sede della Croce Rossa Italiana in contrà Torretti

Nel quartiere sono presenti le sedi di importanti servizi sanitari, comprese le sedi direzionali che interessano gran parte del territorio vicentino.

Croce Rossa Italiana
Storica istituzione che gestisce attività sanitarie e sociali a sostegno di persone emarginate o in situazioni di emergenza. Si trova in contrà Torretti[61]
Struttura Polispecialistica Territoriale - Poliambulatorio Santa Lucia
In contrà Mure Santa Lucia[62]
Servizio Igiene e Sanità Pubblica (SISP) e Dipartimento di Prevenzione
Il Dipartimento di Prevenzione è preposto alla promozione della tutela della salute della popolazione, alla prevenzione degli stati morbosi, al miglioramento della qualità della vita tramite la conoscenza e la gestione dei rischi per la salute negli ambienti di vita e di lavoro. Entrambi i servizi sono ubicati nell'edificio ex-INPS, in stile littorio, ubicato in via IV Novembre[63][64]
Servizio Territoriale per le Dipendenze (SerD)
Si occupa di prevenire, curare e riabilitare gli stati di dipendenza patologica, in particolare da sostanze psicotrope e da alcol. Si trova verso la fine di contrà San Domenico[65]

Istituzioni di carattere assistenziale

Istituto Trento

Istituto Salvi

 
Istituto Salvi in corso Padova

Casa di Riposo "Casa Provvidenza"

È gestita dalle “Suore di carità delle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa”, comunemente chiamate “Suore di Maria Bambina”, e fin dal 1935 ospita donne anziane autosufficienti e non, e offre una serie di servizi per garantire loro pace e serenità. Si trova in contrà San Domenico 26, accanto alla Cappella delle Cappuccine.

Caritas diocesana

Organismo pastorale di animazione, a servizio delle comunità cristiane. La sede diocesana è in contrà Torretti: nello stabile accanto la Caritas gestisce Casa San Martino, ricovero notturno per senza dimora.

Istituto Suore delle Poverelle

Gestisce una Casa di Accoglienza per persone che assistono parenti ricoverati in ospedale, in contrà Santa Lucia

Note

  1. ^ Voce Borgo nel vocabolario Treccani
  2. ^ I cui ultimi resti andarono perduti quando a fine Ottocento venne rifatto il ponte
  3. ^ Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza... sino all'anno 1630, 1822
  4. ^ Franzina, 2003, pp. 33-34
  5. ^ Mantese, 1958,  p. 222
  6. ^ Sottani, 2012, pp. 191-93
  7. ^ Vi sono opinioni diverse sul momento in cui esso divenne un monastero femminile. Secondo il Mantese lo era già nella prima metà dell'XI secolo, secondo altri lo divenne qualche decennio dopo, Mantese, 1954, pp. 46-47, 533
  8. ^ Doveva essere già scomparsa nel XVI secolo, perché non si vede nella Pianta Angelica del 1580; se ne vede però ancora il campanile nella pianta del Monticolo del 1611. Aristide Dani, in AA.VV., 1997,  p. 27
  9. ^ Le monache la fecero restaurare nel 1536; fu abbattuta durante il periodo napoleonico, Mantese, 1958, p. 223; Mantese, 1964,  p. 448-89
  10. ^ Mantese, 1958, p. 223
  11. ^ Mantese, 1958,  pp. 519-20
  12. ^ Sottani, 2012,  p. 242
  13. ^ Mantese, 1964,  p. 1039
  14. ^ Riportato nella Storia del monistero di Santo Francesco di Vicenza, 1789, p. 111 di Gaetano Girolamo Maccà
  15. ^ Mantese, 1954, p. 489
  16. ^ Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza ... sino all'anno 1630, che si richiama ad alcuni documenti dell'archivio del monastero di San Pietro
  17. ^ Mantese, 1958, p. 271, Barbieri, 2011, p. 97
  18. ^ Lo stesso toponimo del Campo Marzo, a indicare una zona ancora paludosa
  19. ^ Così scrive il Castellini, Giarolli, 1955, p. 507
  20. ^ Mantese, 1958,  pp. 371-72
  21. ^ Giarolli, 1955, p. 506
  22. ^ Vicenza amplissima, in [Georgius Braun, Simon Nouellanus, Franciscus Hogenbergius], Liber quartus Ciuitates orbis terrarum, Colonia, 1588. Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana
  23. ^ Franzina, 2003, pp. 39-42 in cui riporta alcune tabelle del tempo
  24. ^ Franzina, 2003, pp. 35-36
  25. ^ Franzina, 2003, pp. 45-46
  26. ^ Citato da Franzina, 2003, p. 44
  27. ^ Franzina, 2003, pp. 51-54
  28. ^ Adriana Chemello, Giovanni Luigi Fontana, Renato Zironda e Il giornale di Ottavia Negri Velo, a cura di Mirto Sardo, con la revisione di Maria Letizia Peronato, L'aristocrazia vicentina di fronte al cambiamento, 1797-1814, Vicenza, Accademia Olimpica, 1999, pp. 93-678
  29. ^ Franzina, 2003, p. 90
  30. ^ Tra tute le strade che se distingue per indecenza, ghe xe anca quella del S.Piero. No parlemo dei porteghi, che un momento o l'altro speremo che i vada zò, né della pelateria l'odor che parte da la quale dimostra a ciare note … che se dovaria mandarla fora da una porta distante
  31. ^ Quell'indegno ciotolato che da la chiesa de S.Giulian conduse fin zo dal borgo
  32. ^ I brani sono riportati da Franzina, 2003, pp. 88-89
  33. ^ Franzina, 2003, pp. 55, 77-78
  34. ^ Sebastiano Rumor, Il conte Ottavio Trento. Ricordi e documenti nel primo centenario della sua morte, Vicenza, 1912
  35. ^ Reato, 2004, pp. 71-72
  36. ^ Questa fu l'origine delle Suore Maestre di Santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori, Mantese, 1954/2, pp. 123-25
  37. ^ Giovanni Antonio Farina, Felice De Maria, (a cura di Albarosa Ines Bassani), Memorie storiche sulla istituzione della Casa d'educazione in parrocchia di S. Pietro di Vicenza per le fanciulle povere ed abbandonate dai propri genitori, Vicenza, 2011
  38. ^ L'"Effetà", l'opera di educazione delle sordomute iniziata dal Farina, fu spostato nel 1969 nella sede di Marola
  39. ^ Reato, 2004, pp. 96-97
  40. ^ Bruno Cardini, Il 1848 a Vicenza
  41. ^ Franzina, 2003, pp. 56-58
  42. ^ Questo traspariva dai dati dei morti per pellagra in città, dove il primato spettava appunto alle contrade di questo quartiere,Franzina, 2003, pp. 90-92
  43. ^ Franzina, 2003, pp. 124-26
  44. ^ Franzina, 2003, p. 110
  45. ^ Figlio di Valentino Pasini, che nel 1877 aveva donato al Museo di Vicenza le importanti raccolte geologiche, collezionate dallo zio Lodovico nella sua casa di Schio, Giarolli, 1955, pp. 327-28
  46. ^ Giarolli, 1955, pp. 529-32
  47. ^ In un comunicato del generale Oudinot
  48. ^ Da Biografia di un Quartiere di Emilio Franzina
  49. ^ Il rudere di un muro, a destra, ne segna ancora oggi l'ubicazione, Giarolli, 1955, pp. 365-69
  50. ^ Barbieri, 2011, p. 23
  51. ^ Giarolli, 1955, pp. 382-409
  52. ^ Barbieri, 2004, p. 40
  53. ^ Sottani, 2014, pp. 269-70
  54. ^ Barbieri, 2004,  pp. 77, 597
  55. ^ Giarolli, 1955, p. 224
  56. ^ Il disegno è pubblicato ne I quattro libri dell'architettura, XV, 224, Sottani, 2012,  p. 21
  57. ^ Lo ricorda una targa apposta alla base della torre Coxina
  58. ^ Immagine del 1920, Fondazione Vajenti, su archivio.vajenti.com. URL consultato il 25 marzo 2013.
  59. ^ Immagine della demolizione, Fondazione Vajenti, su archivio.vajenti.com. URL consultato il 25 marzo 2013.
  60. ^ Giarolli, 1955, p. 392
  61. ^ CRI Vicenza
  62. ^ Poliambulatorio Santa Lucia
  63. ^ SISP
  64. ^ Dipartimento di Prevenzione
  65. ^ SerD

Bibliografia

Testi utilizzati
  • AA. VV., Vicenza città bellissima. Iconografia vicentina a stampa dal XV al XIX secolo, Vicenza, 1983; ristampa Vicenza, 1984
  • Franco Barbieri, Vicenza: la cinta murata, 'Forma urbis', Vicenza, Ufficio UNESCO del Comune di Vicenza, 2011, ISBN 88-900990-7-0.
  • Franco Barbieri e Renato Cevese, Vicenza, ritratto di una città, Vicenza, Angelo Colla editore, 2004, ISBN 88-900990-7-0.
  • Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza, ove si vedono i fatti e le guerre de' vicentini così esterne come civili, dall'origine di essa città sino all'anno 1630, 1822
  • Emilio Franzina, Biografia di un quartiere. Il Trastevere di Vicenza (1981-1925), Vicenza, Libreria G. Traverso editore, 2003.
  • Giambattista Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1955.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, II, Dal Mille al Milletrecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1954.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/1, Il Trecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1954.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/2, Dal 1404 al 1563, Vicenza, Neri Pozza editore, 1954.
  • Giovanni Mantese), Memorie storiche della Chiesa vicentina, VI, Dal Risorgimento ai nostri giorni, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1954.
  • Ermenegildo Reato (a cura di), La carità a Vicenza: le opere e i giorni, Vicenza, IPAB Proti-Salvi-Trento di Vicenza, 2004.
  • Ugo Soragni, Architettura e città dall'Ottocento al nuovo secolo: palladianisti e ingegneri (1848-1915), in Storia di Vicenza, Vol. IV/2, L'Età contemporanea, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Natalino Sottani, Antica idrografia vicentina. Storia, evidenze, ipotesi, Vicenza, Accademia Olimpica, 2012.

Voci correlate

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