Fortezza di Hadath
Al-Ḥadath al-Ḥamrā' (tradotto dall'arabo “Hadath la Rossa”) o Adata (in greco Ἃδατα?) era una città e fortezza situata nei pressi della catena del Tauro (nell'odierna Turchia sud-orientale), che ebbe un ruolo importante nelle guerre arabo-bizantine.
Fortezza di Hadath | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Provincia | Provincia di Kahramanmaraş |
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Localizzazione
La città era situata a circa 1000 m di altitudine, alle pendici meridionali della catena montuosa del Tauro-Anti-Tauro, vicino al corso superiore del fiume Aksu, nel distretto di Gölbaşı. La sua esatta ubicazione è andata perduta ed è stata variamente identificata con località a nord o a sud del lago di Inekli[1][2].
Storia
Hadath acquisì importanza nell'alto Medioevo grazie alla sua posizione strategica: era situata nella zona fortificata di confine, il Thughūr che separavano il califfato omayyade e il califfato abbaside, dall'Impero bizantino. La città sorgeva a sud-ovest dell'importante passo di Hadath/Adata (darb al-Ḥadath) che conduceva attraverso il Tauro nell'Anatolia bizantina, ma era anche situata tra le due principali roccaforti di frontiera di Marash/Germanikeia (odierna Kahramanmaraş) e Malatya/Melitene, e controllava il passaggio dalla Mesopotamia settentrionale all'Armenia occidentale. In quanto tale, divenne una base importante per le frequenti invasioni e incursioni musulmane nei territori bizantini e fu spesso obiettivo dei Bizantini[1][3].
Fu conquistata dagli arabi sotto Habib ibn Maslama durante il regno del califfo ʿOmar (regno 634-644) e divenne una base per le annuali invasioni lanciate contro l'Anatolia bizantina sotto il califfo Muʿāwiya (r. 661-680)[1]. I Bizantini riconquistarono la città nel 750, ma non la occuparono in modo permanente. Nel 778, il generale bizantino Michele Lacanodracone saccheggiò la città, ma questa fu immediatamente ricostruita dal califfo al-Mahdi (r. 775-785). Mahdi la ribattezzò al-Mahdiya o al-Muhammadiya, ma questi nomi non riuscirono ad affermarsi[1][2][4]. Il successore di al-Mahdi, al-Hadi, ripopolò ulteriormente la città con persone provenienti dalla regione circostante, ma nell'inverno del 786 le inondazioni causarono gravi danni alle mura della città, che erano state ricostruite in fretta con mattoni essiccati al sole. Lo strategos bizantino del thema Armeniakon, Niceforo, venne a conoscenza di ciò e distrusse la città, riducendola in macerie[1][5].
Fu completamente ricostruita, fortificata e data di una guanigione da Hārūn al-Rashīd (r. 786-809), che la rese una delle città più importanti del Thughūr. È in questa veste che la città è meglio conosciuta dalle fonti letterarie: era protetta dalla fortezza di al-Uhaydab (“Piccolo Gobbo”), costruita su una collina, mentre la città stessa era, secondo quanto riferito, grande quanto Marash[1][2]. Hadath continuò a servire gli Abbasidi come base per incursioni transfrontaliere, ma anche i Bizantini attaccarono la città diverse volte, saccheggiandola nell'841 e nell'879[1][6]. La regione intorno alla città e in particolare il passo furono teatro di frequenti e sanguinosi scontri, al punto che gli arabi lo ribattezzarono darb al-salāma (“passo della pace”) nel tentativo, come commenta l'Encyclopedia of Islam, “di esorcizzare il destino avverso che sembrava essere legato ad esso”[1]. Nel 949/950, i Bizantini guidati da Leone Foca conquistarono la città e la rasero al suolo insieme alle sue fortificazioni. Fu ricostruita dall'emiro hamdanide Sayf al-Dawla nel 954, solo per cadere nuovamente in mano ai bizantini sotto Niceforo Foca nel 957[1][2][7]. I bizantini rasero al suolo e distrussero la città, ma nel 970 fu ricostruita e divenne il centro di un nuovo piccolo thema[8].
In seguito la città cadde nell'oblio. Fu conquistata dai Selgiuchidi nel 1150 e successivamente dal Regno armeno di Cilicia. Sotto il dominio armeno divenne una base per le incursioni contro gli Stati musulmani circostanti fino al 1272, quando il sultano mamelucco Baybars (r. 1260-1277) la saccheggiò, massacrò i suoi abitanti e la rase al suolo. La città continuò ad esistere per un certo periodo, chiamata Göynük (“la Bruciata”) dai turchi e dagli armeni e Alhan dalla comunità locale curda. È menzionata per l'ultima volta nel 1436, quando il sultano mamelucco Barsbay (r. 1422-1438) la utilizzò come base per una campagna contro il belicato di Dulkadir[1][2].
Vescovi ortodossi siriaci di Hadath
Hadath era un centro importante per la Chiesa ortodossa siriaca, che mantenne una diocesi di Hadath con sede nella città dall'VIII al XII secolo. Quattordici vescovi giacobiti di Hadath tra l'VIII e l'XI secolo sono menzionati negli elenchi di Michele il Siro[9].
Note
- ^ a b c d e f g h i j Ory (1971), pp. 19–20.
- ^ a b c d e Houtsma (1987), p. 187.
- ^ Kaegi (1995), p. 240.
- ^ Treadgold (1997), p. 369.
- ^ Treadgold (1997), p. 419.
- ^ Treadgold (1997), pp. 443, 458.
- ^ Treadgold (1997), pp. 489, 492–493.
- ^ Oikonomides (1972), p. 359.
- ^ Michele il Siro, Cronaca, iii. 451–82 e 499.
Bibliografia
- (EN) M. Th. Houtsma, J. Wensinck e E. Levi-Provençal (a cura di), Al-Ḥadath, in E.J. Brill's first encyclopaedia of Islam 1913–1936, Vol. III, Leida, BRILL, 1934, p. 187, ISBN 90-04-08265-4.
- (EN) Walter Emil Kaegi, Byzantium and the Early Islamic Conquests, Cambridge University Press, 1995, ISBN 0-521-48455-3.
- (FR) Nicolas Oikonomides, Les Listes de Préséance Byzantines des IXe et Xe Siècles, Paris, France, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1972.
- (EN) S. Ory, Al-Ḥadath, in Bernard Lewis, Victor Louis Ménage, Charles Pellat e Joseph Schacht (a cura di), The Encyclopaedia of Islam, Second Edition, Vol. III H–Iram, Leida, BRILL, 1971, pp. 19–20, ISBN 90-04-08118-6, OCLC 495469525.
- (DE) Klaus-Peter Todt e Bernd Andreas Vest, Tabula Imperii Byzantini, Band 15: Syria (Syria Prōtē, Syria Deutera, Syria Euphratēsia), Vienna, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 2014, ISBN 978-3-7001-7090-7.
- (EN) Warren Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, Stanford (California), Stanford University Press, 1997, ISBN 0-8047-2630-2.
- (FR) Jean-Baptiste Chabot, Chronique de Michel le Syrien, Patriarche Jacobite d'Antiche (1166-1199) Éditée pour la première fois et traduite en francais I-IV, 2010 [1910].