Valeriano

imperatore romano (r. 253-260)
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Publio Licinio Valeriano (latino: Publius Licinius Valerianus; 200 circa – Jondishapur, dopo il 260) è stato un imperatore romano. Regnò dal 253 al 260.

Valeriano
Effigie di Valeriano su di un sesterzio
Augusto dell'Impero romano
In caricasettembre 253 - 260 (con Gallieno)
PredecessoreEmiliano
SuccessoreGallieno
Nome completoPublius Licinius Valerianus
Altri titoliGermanicus maximus[1]
Nascita200 circa
MorteJondishapur, dopo 260
ConsorteEgnazia Mariniana
FigliGallieno
Valeriano il giovane

Dopo la sua ascesa al trono associò suo figlio Gallieno al potere. Il suo governo fu caratterizzato dai continui tentativi di sconfinamento di popoli alle frontiere danubiane e renane, ma anche in Numidia e sul confine partico la situazione era tutt'altro che tranquilla. Proprio mentre stava conducendo operazioni militari contro i Persiani Sasanidi nel confine orientale dell'Impero Romano, fu fatto prigioniero durante la Battaglia di Edessa, in Mesopotamia, nel 260 dal re Shapour I (Sapore I) dei Sasanidi e morì prigioniero qualche tempo dopo.

Il regno di Valeriano, in particolare la sua seconda parte, è descritto da pochissime fonti, per di più frammentarie; la cronologia si basa sulla sua data di morte, tradizionalmente assunta essere il 260, ma talvolta fatta anticipare fino al 258.

Biografia

Origini familiari

Valeriano apparteneva ad una famiglia dell'aristocrazia senatoriale italiana; era sposato probabilmente con Mariniana e aveva un figlio, Gallieno. Secondo la spesso inaffidabile Historia Augusta, nel 238, in quanto princeps senatus, negoziò il riconoscimento da parte del Senato di Gordiano I.[2]

Carriera

Sempre la Historia Augusta racconta come, nel 251, l'imperatore Decio volle ripristinare la carica di censore conferendole i poteri civili dell'imperatore, e chiese al Senato di proporre un suo membro per la carica; i senatori scelsero all'unanimità Valeriano, cui Decio offrì la censura, ottenendo un rispettoso rifiuto.[3] La questione dell'attendibilità di questo racconto è dibattuta, ma pare certo che Valeriano abbia ricoperto importanti funzioni amministrative sotto Decio.[4] Considerando che quando Decio partì per l'infausta campagna contro i Goti portò con sé il figlio maggiore Erennio Etrusco e lasciò a Roma la moglie e il figlio minore e l'adolescente Ostiliano, si può ragionevolmente ritenere che Valeriano, dall'alto della sua funzione, agì da reggente fino alla morte di Decio ed Erennio e all'ascesa al trono di Treboniano Gallo. Durante la campagna gotica di Decio, a Roma si ribellò Giulio Valente Liciniano, ma Valeriano soffocò rapidamente questa usurpazione.[5]

Fu Treboniano Gallo a nominare Valeriano governatore della Rezia, o quantomeno comandante delle truppe lì stanziate.

Ascesa al trono (253)

Lo stesso Treboniano Gallo chiese poi aiuto a Valeriano nel 253, nominandolo governatore della Rezia, quando Emiliano, proclamato imperatore dalle truppe danubiane, marciò contro l'Italia. Valeriano marciò verso sud dalla Rezia, portando con sé le truppe renane, ma non fece in tempo a salvare Gallo, sconfitto da Emiliano e ucciso dai propri uomini; le truppe di Valeriano, però, rifiutarono di riconoscere il vincitore e acclamarono il proprio generale imperatore.

Nel tardo luglio/metà settembre 253, gli eserciti di Valeriano ed Emiliano si scontrarono, ma i soldati di Emiliano decisero di abbandonarlo e lo uccisero vicino Spoleto o presso un ponte, detto dei Sanguinarii, tra Oricolum e Narnia. Contemporaneamente, una nuova ondata di Goti, Borani, Carpi ed Eruli aveva protato distruzione fino a Pessinunte ed Efeso via mare, e poi via terra fino ai territori della Cappadocia.[6][7] Ne approfittarono anche le armate dei Sasanidi di Sapore I, che provocarono un contemporaneo sfondamento del fronte orientale, penetrando in Mesopotamia e Siria fino ad occupare la stessa Antiochia (fine del 252-inizi del 253).[8][9]

Regno (253-260)

 
Aureo di Valeriano, celebrante la Felicitas dell'impero; al retro, la legenda FELICITAS AVGG si riferisce ai due augusti, Valeriano e suo figlio Gallieno.

Il Senato romano fu, presumibilmente, soddisfatto nel ratificare la nomina di un elemento della propria classe. Queste difficoltà costrinsero il nuovo imperatore, a spartire con il figlio Gallieno l'amministrazione dello Stato romano in qualità di Cesare, affidando a quest'ultimo la parte occidentale e riservando per sé quella orientale, come in passato era già avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169).[10][11] Quando Valeriano giunse a Roma, preferì innalzare il figlio al rango di co-Augusto.[12]

All'epoca della crisi del III secolo, la pratica di associare il proprio figlio al trono non era sconosciuta, ma nei casi precedenti (da Massimino Trace ed il figlio Massimo, a Filippo l'Arabo e Severo Filippo, Decio ed Erennio Etrusco, Treboniano Gallo e Volusiano, con la sola eccezione, di Gordiano I e Gordiano II), il Cesare o co-Augusto associato al trono era sempre stato più giovane dell'imperatore principale, dimostratosi sempre incapace di reggere il potere da solo. Nel caso invece di Valeriano e Gallieno, oltre a vantaggi dinastici, l'aver associato il figlio adulto al trono del padre, permise di avere due imperatori che collaboravano tra loro ed in grado di governare ciascuno di la sua pars Imperii, dando all'agire imperiale doppio vigore. Così Valeriano e Gallieno dimostrarono subito di avere intenzione di arginare le continue incursioni a settentrione ed in Oriente, partendo appena gli fu possibile per le rispettive destinazioni, Gallieno in Occidente e Valeriano in Oriente.

Tra i suoi atti amministrativi, prima di raggiungere il fronte orientale, vi fu la divinizzazione della moglie Mariniana e l'istituzione della rotazione annuale alla carica di praefectus urbi.

In Oriente: prima fase (253-254)

Valeriano: Antoniano[13]
 
IMP P LIC VALERIANO AVG, testa con corona, indossa corazza; VICTORIA GERMANICA, la Vittoria in piedi verso sinistra, con uno scudo ed una palma.
21 mm, 3.90 g, coniato nel 253

L'invasione operata da Sapore I contro le province orientali dell'Impero romano della fine del 252-inizi del 253, aveva condotto le truppe persiane ad occupare numerose città della provincia di Mesopotamia[14] (compresa la stessa Nisibis[15][16][17]). I sasanidi continuarono la loro avanzata fino in Cappadocia,[16] Licaonia[16] e Siria, dove batterono l'esercito romano accorrente a Barbalissos e si impossessarono della stessa Antiochia[18][19] (caduta forse per il tradimento di un certo Mariade[20][21]), dove ne distrussero numerosi edifici, razziarono un ingente bottino e trascinarono con sé numerosi prigionieri (253).[22][23] Ecco come viene descritta nelle Res Gestae Divi Saporis:

«(11) Poi noi attaccammo ancora l'Impero romano e distruggemmo una forza di 60.000 armati a Barbalissos, mentre la Siria ed i suoi dintorni noi bruciammo, distruggemmo (12) e depredammo tutte. In questa stessa campagna noi conquistammo numerose fortezze e città romane: la città di Anatha con i suoi dintorni, [...], Birtha, (13) Sura,[24] Barbalissos,[25] Hierapolis,[22] Beroea,[22] Chalcis[22] (oggi Qinnasrin), Apamea, (14) Rhephania,[26] Zeugma,[27] Ourima,[28] Gindaros, Armenaza, (15) Seleucia, Antiochia,[22] Cyrrhus, Alexandretta, (16) Nicopolis,[29] Sinzara, Chamath, Ariste, Dichor (a sud di Doliche), (17) Doliche, Dura Europos, Circesium, Germanicia, Batnae,[30] Chanar,[31] (18) e in Cappadocia, Satala, Domana,[32] Artangil,[33] Souisa,[34] e (19) Phreata[35] per un totale di 37 città con i loro sobborghi.»

Questa invasione nell'Oriente romano avveniva contemporaneamente ad un'altra grande incursione proveniente al di là del Danubio e del Ponto Eusino da parte dei Goti.[36]

 
Moneta di Uranio Antonino, la cui usurpazione in Oriente, iniziata come reazione alle invasioni dei Sasanidi, terminò con l'arrivo di Valeriano.
«[...] Goti, Borani, Urgundi [ndr. da identificarsi con i Burgundi, che premevano però lungo il Reno] e Carpi depredavano le città dell'Europa [...] intanto i Persiani attaccavano l'Asia, occupando la Mesopotamia ed avanzando fino in Siria, addirittura ad Antiochia, che conquistarono, metropoli di tutto l'Oriente romano. E dopo aver ucciso una parte della popolazione e portato via come prigionieri gli altri, tornarono in patria. [...] I Persiani senza dubbio avrebbero conquistato tutta l'Asia con facilità se, felici per la ricca preda conquistata, non avessero ritenuto di portarlo in patria salvo con soddisfazione.»

Accadde, anche, che una colonna militare sasanide non solo non riuscì nell'impresa di conquistare la città di Emesa, ma fu sconfitta dagli stessi abitanti della città assediata che presero l'iniziativa, compiendo una sortita contro l'armata nemica.[37][38] Alla fine di questa nuova incursione sasanide, l'imperatore Valeriano fu costretto ad intervenire, dopo aver lasciato la cura dell'Occidente al figlio Gallieno.[39] Valeriano, psartito da Roma, giunto in Oriente, riuscì a riconquistare la capitale della Siria, Antiochia, quello stesso anno (253) o l'anno successivo (254), facendone poi il suo "quartier generale" per la ricostruzione dell'intero fronte orientale.

Contemporaneamente la parte orientale dell'Impero romano era interessata dall'usurpazione di Uranio Antonino, proclamatosi imperatore in opposizione al pericolo costituito dall'invasione dei Sasanidi e nel vuoto di potere dovuto alla guerre tra gli imperatori che si succedettero in quel periodo. Quando Sapore I aveva, infatti, attaccato le province orientali romane, Uranio si sarebbe proclamato imperatore. La latitanza del potere centrale imponeva alle personalità locali di provvedere alla difesa del territorio mediante la raccolta di forze autoctone, e l'autorità di un imperatore, sia pure locale, avrebbe facilitato questa opera. Con l'approssimarsi di Valeriano e del suo esercito, Uranio avrebbe ridotto le proprie pretese, forse a seguito di un compromesso con l'imperatore stesso.[40]

Tra Danubio e Oriente: Goti, Borani, Carpi e Sasanidi (253-256)

 
Invasioni di Goti, Borani, Carpi e Sasanidi del 253-256 durante il regno di Valeriano e Gallieno.

Al principio del 254 o sul finire del precedente, una nuova incursione di Goti interesò la parte orientale dell'Impero, affidata alla difesa di Valeriano, devastando tutti i territori della Tracia e Macedonia orientale fino a Tessalonica: i Barbari non riuscirono ad espugnare la città, che, a stento e con molta fatica, fu liberata dalle armate romane del nuovo imperatore Valeriano. Il panico fu così grande che gli abitanti dell'Acaia decisero di ricostruire le antiche mura di Atene e di molte altre città del Peloponneso.[41]

Nel 255 ancora i Goti ripresero gli attacchi, questa volta via mare, lungo le coste dell'Asia Minore, dopo aver requisito numerose imbarcazioni al Bosforo Cimmerio, alleato di Roma. I primi ad impadronirsi di queste imbarcazioni furono però i Borani che, percorrendo le coste orientali del Mar Nero, si spinsero fino all'estremità dell'Impero romano, presso la città di Pityus, che per sua fortuna era dotata di una cinta di mura molto solide e di un porto ben attrezzato. Qui furono respinti grazie alla vigorosa resistenza da parte della popolazione locale, organizzata per l'occasione dall'allora governatore Successiano.[42] I Goti, invece, partiti con le loro navi dalla penisola di Crimea, raggiunsero la foce del fiume Fasi (che si trova nella regione di Guria in Georgia, nelle vicinanze dell'attuale città di Sukhumi[43]); avanzarono anch'essi verso Pityus, che riuscirono questa volta ad occupare, anche perché Successiano, promosso prefetto del Pretorio, aveva seguito l'imperatore Valeriano ad Antiochia.[44] La grande flotta proseguì quindi fino a Trapezunte, riuscendo ad occupare anche questa importante città, protetta da una duplice cinta muraria e da diverse migliaia di armati, come racconta Zosimo:

«I Goti, appena si accorsero che i soldati all'interno delle mura erano pigri ed ubriaconi e non salivano neppure lungo i camminamenti delle mura, accostarono al muro alcuni tronchi, dove era possibile, ed in piena note, a piccoli gruppi salirono e conquistarono la città. [...] I barbari si impadronirono di grandi ricchezze e di un grande numero di prigionieri [...] e dopo avere distrutti i templi, gli edifici e tutto ciò che di bello e magnifico era stato costruito, ritornarono in patria con moltissime navi»

Carichi ormai di un enorme bottino, sulla strada del ritorno saccheggiarono anche la città di Panticapeo, nell'attuale Crimea, interrompendo i rifornimenti di grano necessari ai Romani in quella regione.[45] La situazione era così grave da costringere Gallieno ad accorrere lungo i confini danubiani per riorganizzare le forse dopo questa devastante invasione, come testimonierebbe una iscrizione proveniente dalla fortezza legionaria di Viminacium.[46]

Non passò molto tempo che una nuova invasione di Goti percorse il Mar Nero (nel 256), ancora via mare ma questa volta verso la costa occidentale, avanzando fino al lago di Fileatina (l'attuale Derkos) ad occidente di Bisanzio.[47] Da qui proseguirono fin sotto le mura di Calcedonia. La città fu depredata di tutte le sue grandi ricchezze, benché, riferisce Zosimo, la guarnigione superasse il numero degli assalitori Goti.[6][48] Molte altre importanti città della Bitinia, come Prusa, Apamea e Cio furono saccheggiate dalle armate gotiche, mentre Nicomedia e Nicea furono date alle fiamme.[49]

Sul finire dell'anno o nel 257, Valeriano, preoccupato per l'invasione dei Goti dell'anno precedente, inviò un esercito di soccorso, comandato da Lucio Mummio Felice Corneliano ed alle cui dipendenze sembra ci fosse il futuro imperatore Aureliano[50], per meglio difendere l'importante roccaforte di Bisanzio; l'imperatore, a sua volta, si diresse in Cappadocia e in Bitinia per portar soccorso alle popolazioni di questa provincia.[51] Tuttavia, l'arrivo di Valeriano non sortì alcun effetto, poiché il riaccendersi di un'epidemia di peste e l'avanzata persiana degli anni precedenti aveva gettato l'oriente romano nel più grande sconforto.[52] È anche probabile che i vari assalti condotti con successo da parte dei barbari abbiano generato in Sapore I la consapevolezza che un attacco ben programmato e contemporaneo da parte del re dei Sasanidi avrebbe permesso alle sue armate di dilagare nelle province orientali romane, con il proposito di congiungersi ai Goti stessi provenienti dalle coste del Mar Nero.[53]

File:Duraeuropusmap.jpg
Pianta dell'antica città di Dura Europos

Contemporaneamente sul fronte orientale, dove Valeriano aveva posto il suo quartier generale (Antiochia), ancora nel 256[54] gli eserciti di Sapore I sottraevano importanti roccaforti al dominio romano in Siria,[55] tra cui Dura Europos che questa volta, dopo una strenue resistenza, fu definitivamente distrutta insieme all'intera guarnigione romana.

Si racconta che, nel corso dell'assedio e successiva caduta di Dura Europos del 256, i Sasanidi furono abili a costruire un tunnel sotto le mura cittadine, che permise loro di introdursi di notte ed occupare la città. La guarnigione romana, formata da 2.000 armati, tra una vexillatio della legio IIII Scythica[56] e la cohors XX Palmyrenorum sagittariorum equitata[57] era riuscita a sacrificare la strada interna che costeggiava questo lato di mura oltre ai vicini edifici, con il riempimento di quest'area attraverso le macerie dei vicini edifici abbattuti, al fine di rafforzare la base delle mura contro i possibili attacchi persiani da sotto terra. I Romani procedettero, inoltre, con la costruzione di un cumulo di terra all'esterno delle mura, formando così uno spalto, sigillato con un mattoni di fango per evitarne l'erosione, lungo il lato occidentale che aveva il suo centro nella porta palmirena, ingresso principale alla città di Dura Europos. Ciò però non fu evidentemente sufficiente a salvarsi dall'attacco finale sasanide. Sebbene nessuna fonte racconti in modo dettagliato di questo terribile assedio, durato alcuni mesi, sono rimati a testimonianza i numerosi scavi archeologici effettuati in loco.[58] Vi è da aggiungere che proprio in questa occasione, i ricercatori moderni hanno riscontrato di aver trovato le prove che i persiani utilizzarono "gas velenosi" a Dura Europos, contro i difensori romani durante l'assedio. Sono stati infatti messi in luce i resti di 20 soldati romani ai piedi delle mura della città, i quali, secondo un archeologo dell'Università di Leicester, sembra siano morti in seguito ad asfissia da gas velenosi, a causa dell'accensione di bitume e cristalli di zolfo, utilizzati probabilmente lungo il tunnel sotterraneo scavato dai Sasanidi. I soldati romani, che avevano così costruito un tunnel parallelo, si trovarono imprigionati quando le forze sasanidi rilasciarono il gas contro i Romani. Un solo soldato sasanide fu scoperto tra i corpi romani, tanto da farlo ritenere il responsabile dell'aver rilasciato i gas, prima che i fumi uccidessero anch'egli.[59][60] Quasi tutti i difensori romani della città di Dura Europos sopravvissuti furono condotti a Ctesifonte e venduti come schiavi. La città fu saccheggiata al punto che non fu mai ricostruita.

La successiva offensiva romana vide le armate di Valeriano recuperare parte dei territori perduti con buoni risultati contro le armate sasanidi, fino a tutto il 259. Sembra infatti che già nella primavera del 257 i Romani ebbero la meglio sui Persiani presso Circesium.[61]

Politica religiosa (257-258)

 
Stefano e Lorenzo davanti a Valeriano, Beato Angelico, 1447-1450 (Pinacoteca Vaticana)

Valeriano emanò due editti, nel 257 e nel 258, che prevedevano la confisca dei terreni religiosi e la condanna dei seguaci del Cristianesimo; a differenza dei suoi predecessori diresse il proprio attacco alla gerarchia ecclesiastica piuttosto che ai semplici fedeli. Tra le vittime di questa persecuzione vi furono infatti papa Stefano I, papa Sisto II, il vescovo di Cartagine Cipriano di Cartagine, Dionisio di Alessandria, san Lorenzo martire. A questi l'agiografia cristiana aggiunge martirii dubbi o impossibili, come quelli di papa Lucio I, Novaziano, Rufina e Seconda, Gervasio e Protasio, Colomba di Sens, Rustico, Mercurio di Cesarea

La persecuzione voluta da Valeriano ha avuto un esito negativo sulla storiografia del suo regno: tra le vittime vi fu anche Cipriano, vescovo di Cartagine, il quale fu prima esiliato e poi, al suo ritorno, messo a morte (settembre 258). Proprio la fine della sua corrispondenza fa mancare una importante fonte storica di quel periodo.[62]

In Oriente: la disfatta contro i Sasanidi (259-260)

 
Cameo raffigurante re Sapore I che afferra per il braccio l'imperatore Valeriano, a segnalare la cattura e sottomissione del sovrano romano dopo la battaglia di Edessa[63] (Cabinet des Médailles, Parigi).
  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Edessa.

Ancora le Res Gestae Divi Saporis ci raccontano di una terza devastante invasione compiuta da Sapore I ai danni dell'Impero romano, secondo la quale:

«Durante la terza invasione, noi marciammo contro Edessa e Carrhae e le ponemmo assedio, (20) tanto che il Cesare Valeriano fu obbligato a marciare contro di noi. C'era con lui una forza di 70.000 armati dalle nazioni della Germania, Rezia, Norico, Dacia, Pannonia, (21) Mesia, Tracia, Bitinia, Asia, Panfilia, Isauria, (22) Licaonia, Galazia, Licia, Cilicia, Cappadocia, Frigia, Siria, Fenicia, (23) Giudea, Arabia, Mauretania, Germania, Lidia e Mesopotamia

Valeriano, infatti, informato di una nuova invasione in Oriente, inviò a Bisanzio il console del 237, Lucio Mummio Felice Corneliano (a protezione del fronte nord del Pontus Euxinus contro nuove invasioni gotiche), e si recò in tutta fretta ad Antiochia, dove una volta riorganizzato l'esercito marciò fino in Cappadocia, dove però incontrò la peste che decimò il suo esercito. Ciò permise a Sapore I di saccheggiare nuovamente altri territori romani.[64][65]

«Valeriano per debolezza di vita, non riuscì a mettere rimedio a una situazione divenuta ormai grave, e volendo porre fine alla guerra con donazioni di denaro,[65] inviò a Sapore un'ambasceria, che fu rimandata indietro senza aver risolto nulla. Il Re dei re chiedeva di incontrarsi invece con l'Imperatore romano.»

Il racconto della fine di Valeriano, giunto a difendere Edessa dall'assedio persiano,[66] dove i Romani avevano avuto notevoli perdite anche a causa di una pestilenza dilagante, varia molto nelle versioni romane:

  • Eutropio, Festo e Aurelio Vittore raccontano che l'Imperatore romano fu catturato dalle armate sasanidi dopo essere stato sconfitto pesantemente in battaglia;[67]
  • Zosimo sostiene che Valeriano, recatosi ad un incontro con il re persiano, fu fatto prigioniero a tradimento nell'aprile-maggio del 260:
«[...] Sapore I chiese di incontrarsi con l'imperatore romano, per discutere ciò che fosse necessario. Valeriano, una volta accettata le risposta senza neppure riflettere, mentre si recava da Sapore in modo incauto insieme a pochi soldati, fu catturato in modo inaspettato dal nemico. Fatto prigioniero, morì tra i Persiani, causando grande disonore al nome romano presso i suoi successori.»
  • un'altra fonte suggerisce che Valeriano chiese "asilo politico" al re persiano Sapore I, per sottrarsi ad una possibile congiura, in quanto nelle file dell'esercito romano che stava assediando Edessa, serpeggiavano evidenti segni di ammutinamento.[66]
  • gli scrittori cristiani Lattanzio e Orosio raccontano, invece, che Valeriano fu punito dal Dio dei Cristiani per le sue ultime persecuzioni e quindi costretto a trascorrere i suoi ultimi giorni in schiavitù. Fu prima utilizzato come sgabello vivente da Sapore, per salire a cavallo,[68][69] poi ucciso, scuoiato, riempito di paglia e affisso in un tempio persiano come simbolo del trionfo sui Romani.[70][71]
 
Rilievo sasanide a Naqsh-e Rustam raffigurante Sapore I che tiene prigioniero Valeriano e riceve l'omaggio di Filippo l'Arabo, inginocchiato davanti al sovrano sasanide.

Secondo invece la fonte ufficiale persiana delle Res Gestae Divi Saporis:

«(24) Una grande battaglia fu combattuta tra Carrhae e Edessa tra noi [Sasanidi] e il Cesare Valeriano, e noi lo catturammo facendolo prigioniero con le nostre mani, (25) così come altri generali dell'armata romana, insieme al prefetto del Pretorio,[72] alcuni senatori e ufficiali. Tutti questi noi facemmo prigionieri e deportammo (26) in Persia

E sulla base di quest'ultima fonte alcuni autori moderni ipotizzano che Valeriano sia stato condotto a costruire Bishapur assieme a parte dei suoi soldati,[73] mentre il resto dei prigionieri romani avrebbero costruito Band-e Kaisar, "la diga di Cesare", nei pressi di Shoosh Susa.[74]

E' certo che Sapore usò ampiamente la cattura di Valeriano per fini propagandistici. A Naqsh-e Rustam un altorilievo raffigura Sapore a cavallo che tiene per le mani, prigioniero, Valeriano, mentre Filippo l'Arabo si inchina al sovrano sasanide prostrando in avanti le mani in offerta di sottomissione; a Bishapur, invece, l'iconografia rappresenta Sapore in piedi su Gordiano III morto, mentre tiene dietro di sé Valeriano prigioniero e riceve l'omaggio di Filippo. Al Cabinet des Médailles di Parigi è conservato un cameo raffigurante Sapore e Valeriano che si scontrano a cavallo: Sapore, con la mano sull'elsa della spada ancora nel fodero cattura, stringendolo per la mano, Valeriano, che sta brandendo una spada sguainata.

Morte (260?)

 
Rilievo sasanide a Bishapur raffigurante Shapour I Sapore I con Gordiano III (a terra calpestato dal cavallo), Valeriano (dietro Shapour (Sapore), che lo afferra per le mani, prigioniero) e Filippo l'Arabo (in ginocchio davanti Sapore, che tratta la resa).[75]

La cattura di Valeriano da parte dei Persiani lasciò l'Oriente romano alla mercé di Sapore I, il quale condusse una nuova offensiva dal suo "quartier generale" di Nisibis[76] (occupata nel 252 dalla armate sasanidi), riuscendo ad occupare i territori romani fino a Tarso (in Cilicia), Antiochia (in Siria) e Cesarea (in Cappadocia),[66][77][78] compresa l'intera provincia romana di Mesopotamia.[79][80]

«Noi inoltre bruciammo, devastammo e saccheggiammo la Siria, la Cilicia e la Cappadocia. (27) Nella terza campagna noi sottraemmo all'Impero romano le città di Samosata con i suoi dintorni, la città di Alessandria con i suoi dintorni, Katabolon,[81] (28) Aigeai, Mopsuestia, Mallos, Adana, Tarsus, [...], Zephyrion, (29) Sebaste, Corycus, Agrippiada, Castabala, Neronias,[82] (30) Flavias, Nicopolis, Celenderis,[83] Anemurium, (31) Selinus, Myonpolis,[84] Antiochia, Seleucia ad Calycadnum, Domitiopolis, (32) Tyana, Caesarea, Comana, Cybistra, Sebastia, (33) Birtha,[85] Rhakoundia,[85] Laranda, Iconium. Tutte queste città (34) insieme con i loro dintorni sono trentasei.»

Ancora le Res Gestae Divi Saporis raccontano che molte migliaia di prigionieri romani furono condotte all'interno dell'Impero sasanide e collocate in Persia, Partia, Susiana ed in Asorestan.[86] Valeriano trascorse così i suoi ultimi giorni di vita in prigionia,[69] sebbene molte furono le richieste da parte di re "clienti" vicini a Sapore I, affinché liberassero l'imperatore, temendo una vendetta romana.[87] Ed un'altra fonte persiana racconta che molti dei regni, prima "clienti" dei Romani, furono ora costretti a sottomettersi al "Re dei Re" persiano, come quello d'Armenia, d'Albania e d'Iberia nel Caucaso fino alle "porte degli Alani".[88]

Titolatura

Titolatura imperiale Numero di volte Datazione evento
Tribunicia potestas 7 anni: dal 253 e rinnovata annualmente al 10 dicembre di ogni anno fino al 260.
Consolato 4 volte: ? (I), 254 (II), 255 (III) e 257 (IV).
Titoli vittoriosi Germanicus e Restitutor Galliarum, nel 254;[89] Restitutor orbis, nel periodo 254-259 (?).[90]
Salutatio imperatoria ... volte: la prima quando fu fatto Augusto nel 253, l'ultima sembra nel 259.
Altri titoli Pater Patriae nel 253 (?)[91] e Pontifex Maximus nel 253.

Note

  1. ^ Lendering, Jona, "Valerian", livius.org.
  2. ^ Historia Augusta - I tre Gordiani, ix.7.
  3. ^ Historia Augusta - Valeriano, v.4-vi.9.
  4. ^ Pohlsander, Hans, "The Religious Policy of Decius", in Temporini, Hildegard, e Wolfgang Haase, Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, Walter de Gruyter, ISBN 3-11-008289-6, p. 1830.
  5. ^ Sesto Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 29.5; Liber de Caesaribus, 29.3; Historia Augusta, Tyranni triginta.
  6. ^ a b Giordane, De origine actibusque Getarum, XIX.
  7. ^ Zosimo, Storia nuova, I.26-28.
  8. ^ Zosimo, Storia nuova, I.27.2 e I, 28.1-2; Grant, p. 220-221.
  9. ^ Mazzarino, p. 526.
  10. ^ Edward Gibbon, Declino e caduta dell'impero romano, p. 113-114; Watson, p. 25 e 33; Chris Scarre, Chronicle of the roman emperors, p. 174-175.
  11. ^ Grant, p. 229.
  12. ^ Southern, p. 78.
  13. ^ Roman Imperial Coinage, Licinius Valerianus, V, 264; MIR 36, 793d; RSC 253.
  14. ^ Eutropio, 9, 8.
  15. ^ Tabari, Storia dei profeti e dei re, pp. 31-32 dell'edizione tedesca di Theodor Nöldeke, del 1879.
  16. ^ a b c Eutychius (Saʿīd b. Biṭrīq o semplicemente Biṭrīq, che in lingua araba significa "patrizio", in latino patricius), Annales, 109-110.
  17. ^ Zosimo, Storia nuova, I, 39.1.
  18. ^ Ammiano Marcellino, Storie, XX, 11.11; XXIII, 5.3.
  19. ^ Grant, p. 226.
  20. ^ Historia Augusta, Triginta tyranni, 2.
  21. ^ Giovanni Malalas, Cronografia, XII.
  22. ^ a b c d e Oracoli sibillini, XIII, 125-130.
  23. ^ Libanio, Oratio XV, 16; XXIV, 38; LX, 2-3.
  24. ^ Sura era posizionata al termine Nord della Strata Diocletiana.
  25. ^ Barbalissos è una località che troviamo anche nella Notitia dignitatum, Or., XXX, 25.
  26. ^ Rhephania sembra sia stata fortezza legionaria da Augusto alla dinastia degli Antonini.
  27. ^ Zeugma era probabilmente ancora la sede della fortezza legionaria della IV Scythica.
  28. ^ Ourima era una località sull'Eufrate, presso l'odierna Horum Hayuk, tra Belkis e Rum Kale.
  29. ^ Nicopolis era la moderna Islahiye nell'antica Cilicia Campestris.
  30. ^ Batnae è forse da identificarsi con Sarug (M.H. Dodgeon & S.N.C. Lieu, The Roman Eastern frontier and the Persian Wars (AD 226-363), p. 309, n. 18), ovvero l'antica città di Anthemusias.
  31. ^ Chanar andrebbe identificata con Ichnai in Osroene, lungo la riva orientale dell'Eufrate (Honigmann and Maricq, 1953, pp. 155-156; Kettenhofen, 1982, p. 77.).
  32. ^ Città probabilmente dell'Armenia minore, in località Kose (E. Honigmann e A. Maricq, Recherches sur les Res gestae divi Saporis, pp. 155-156.).
  33. ^ La città di Artangil è forse stata confusa con la città del regno di Armenia di Artaxanses (E. Honigmann e A. Maricq, Recherches sur les Res gestae divi Saporis, p. 156.).
  34. ^ La città di Souisa è forse da identificare con Suissa sulla strada tra Satala e Nicopolis (M.H. Dodgeon & S.N.C. Lieu, The Roman Eastern frontier and the Persian Wars (AD 226-363), p. 309, n. 19.).
  35. ^ Forse la località di Phreata è da identificarsi con quella raccontata da Claudio Tolomeo nella sua Geografia (V, 6, 13).
  36. ^ Grant, pp. 219-220.
  37. ^ Oracoli sibillini, XIII, 150-155.
  38. ^ Inscriptiones Graecae et Latinae Syriae, 1799-1801.
  39. ^ Southern, p. 84. Nel 253 Valeriano ricostituì la Legio III Augusta, Iterum Pia Iterum Vindex, per combattere contro i Berberi una guerra terminata solo nel 260.
  40. ^ Malkin, I. e Z.W. Rubinsohn, Leaders and Masses in the Roman World, Brill Academic Publishers, 1994, ISBN 90-04-09571-3, pp. 134-135.
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  44. ^ Zosimo, Storia nuova, I, 32.2-3.
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  72. ^ Il prefetto del pretorio del periodo era un certo Successiano (cfr. L.L. Howe, The Pretorian Prefect from Commodus to Diocletian (AD 180-305), pp. 80-81.).
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  79. ^ Agazia Scolastico, Sul regno di Giustiniano, IV, 24.3.
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  81. ^ Katabolon, località sconosciuta in Cilicia, forse presso l'odierna Burnaz.
  82. ^ Neronias, nella regione dello Yarpuz (cfr. Maricq, 1958, p. 356).
  83. ^ La serie delle prossime sei città si trovava lungo la costa dell'Isauria.
  84. ^ Myonpolis è una località di incerta collocazione, forse nei pressi della moderna Iskele (cfr. Kettenhofen, 1982, p. 116).
  85. ^ a b Birtha e Rhacoundia erano forse città/villaggi nei pressi di Barata(?) nel territorio moderno di Medensehir (cfr. Honingmann & Maricq, 1953, pp. 157-158).
  86. ^ Res Gestae Divi Saporis, riga 34-35.
  87. ^ Historia Augusta, Valeriani duo, 1-4.
  88. ^ M.L. Chaumont, "L'inscription de Kartir a la 'kaʿbah de Zoroastre'" (texte, traduction, commentaire), in Journal Asiatique, vol. 248, 1960, pp. 339-80 (riga 11-13 del testo in medio-persiano).
  89. ^ CIL VIII, 2380; CIL VIII, 12294; CIL VIII, 20155; CIL X, 8028; CIL XI, 826 (p 1248); CIL XI, 2914; AE 1889, 37.
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Bibliografia

Fonti primarie
Fonti secondarie
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  • Marina Silvestrini, Il potere imperiale da Severo Alessandro ad Aureliano in: AA.VV., Storia di Roma, Einaudi, Torino, 1993, vol. III, tomo 1; ripubblicata anche come Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Ediz. de Il Sole 24 ORE, Milano, 2008 (v. il vol. 18°)
  • Southern, Pat, The Roman Empire from Severus to Constantine, Routledge, 2001, ISBN 0-415-23943-5
  • Weigel, Richard, "Valerian (A.D. 253-260) and Gallienus (A.D. 253-268)", De Imperatoribus Romanis

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