Inceneritore
Gli inceneritori con recupero energetico, o anche termovalorizzatori, sono impianti che smaltiscono rifiuti (generalmente i rifiuti solidi urbani, che trattati adeguatamente vengono definiti CDR, ovvero combustibile derivato dai rifiuti) usandoli come combustibile per produrre calore e/o elettricità.
Inceneritori e termovalorizzatori: il quadro della situazione
Denominazione e utilità
In Italia il termine inceneritore ha assunto nel tempo un carattere negativo, a causa del fatto che i primi inceneritori erano fortemente inquinanti. Le innovazioni tecnologiche susseguitesi nel corso di oltre vent'anni hanno modificato la tipologia di incenerimento e cambiato la qualità di intercettazione dei gas e delle polveri emesse. Nelle altre nazioni europee (ad esempio nei paesi nordici, spesso considerati progrediti per quanto riguarda la sensibilità alle tematiche ambientali) il termine termovalorizzatore non esiste, e si continua ad usare il termine inceneritore. Il termine termovalorizzatore viene criticato, perché secondo alcuni servirebbe a nascondere il fatto che l'impianto si basi di fatto sull'utilizzo di un inceneritore. La stessa normativa italiana in materia non usa il termine "termovalorizzatore", bensì quello di "inceneritore", che del resto è piú preciso perché questo strumento si differenzia da altre tecniche di recupero di energia da rifiuti per il fatto che dà come prodotto finale della cenere, per l'appunto. D'altronde, anche il solo termine inceneritore potrebbe essere considerato fuorviante e impreciso, perché i termovalorizzatori non producono solo cenere ma anche energia. Perciò la soluzione migliore (anche se più lunga) è inceneritore con recupero energetico. Recentemente, si comincia a leggere persino termodistruttore, che sembra un perfetto equivalente di inceneritore, solo con un dettaglio in meno (cioè che il prodotto finale è cenere), adoperato solo per non usare il "dispregiativo" inceneritore.
Di fatto, un termovalorizzatore è un inceneritore che usa il calore prodotto come in una piccola centrale elettrica, anche se con rendimenti molto inferiori: la differenza sostanziale rispetto a un semplice inceneritore è che un termovalorizzatore oltre a incenerire i rifiuti riutilizza parte del calore cosí generato.
Tuttavia, il riuso ed il riciclo sono nettamente più "valorizzanti" dell'incenerimento: per esemplificare, si risparmia molta più energia riutilizzando e riciclando una bottiglia di plastica di quanta energia non si ricavi dalla sua combustione, perché quest'ultima permette di recuperare solo una minima parte dell'energia e delle materie prime consumate per produrla; d'altro canto – anche in una situazione ideale di alti valori di riciclo e recupero – è necessario smaltire, anche mediante incenerimento, i rifiuti residui (si veda sotto). Sono inoltre da considerare le emissioni più o meno tossiche che si ottengono con l'incenerimento, e che invece con il riciclo ed il riuso sono minori ma difficilmente valutabili in seno a una Valutazione del ciclo di vita (in inglese Life Cycle Assesment o LCA) del prodotto. Il termine "termovalorizzatore" appare dunque fuorviante, specie se – come ha fatto recentemente un noto politico italiano – si dipingono irresponsabilmente i "termovalorizzatori" come qualcosa che «trasforma i rifiuti in energia», come per magia, senza perdite energetiche, scorie o rilascio di inquinanti di alcun tipo.
La cosa migliore è quindi utilizzare gli inceneritori per i rifiuti non riciclabili.
Contesto normativo e diffusione in Italia ed Europa
In Italia, la produzione di energia elettrica tramite incenerimento dei rifiuti è indirettamente sovvenzionata dallo Stato per sopperire alla sua antieconomicità: infatti questa modalità di produzione è considerata impropriamente, come "da fonte rinnovabile" alla stregua di idroelettrico, solare, eolico e geotermico. Pertanto chi gestisce l'inceneritore può vendere all'Enel la propria produzione elettrica ad un costo circa triplo rispetto a quanto può fare chi produce elettricità (vendendola all'Enel) usando metano, petrolio o carbone. I costi di tali incentivi ricadono naturalmente sulle bollette, che comprendono una tassa per il sostegno delle fonti rinnovabili. Ad esempio nel 2004 il Grtn ha ritirato 56,7 TWh complessivi di elettricità da fonti "rinnovabili", di cui il 76,5% proveniente da termovalorizzatori e altri fonti assimilate, spendendo per questi circa 2,4 miliardi di euro.[1] A titolo di confronto, nel 2006 a seguito dell'introduzione degli incentivi in conto energia per il fotovoltaico sono stati stanziati 4,5 milioni di euro per 300 MW di potenza.[2]
L'Unione Europea ha inviato una procedura d'infrazione all'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici e considerandola come "fonte rinnovabile". A tal proposito già nel 2003 Il Commissario UE per i Trasporti e l'Energia, Loyola De Palacio, in risposta ad una interrogazione dell'On. Monica Frassoni al Parlamento Europeo, ha ribadito (20.11.2003, risposta E-2935/03IT) il fermo no dell'Unione Europea all'estensione del regime di sovvenzioni europee per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, previsto dalla Direttiva 2001/77, all'incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del Commissario all'energia: «La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile». Il fatto che una legge nazionale (Legge 39 del 1.3.2002, art. 43) proponga di includere, nell'atto di recepimento italiano della Direttiva 2001/77 (recepita in Italia col D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387), i «rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili, ivi compresi i rifiuti non biodegradabili», non rende meno grave la palese violazione di quanto dettato dalla direttiva europea. Una contraddizione è presente nella direttiva comunitaria 2001/77/Ce, che autorizza in deroga l'Italia a considerare l'energia prodotta dalla quota non rinnovabile dei rifiuti nel complesso dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili ai fini del raggiungimento dell'obiettivo del 25% del totale nel 2010: proprio questa deroga è nel 2006 stata attaccata in sede di Parlamento europeo coll'emendamento (articolo 15 bis) alla legge Comunitaria 2006.[1]. La finanziaria 2007 ha finalmente escluso gli incenritori da questi incentivi, ma solo per i futuri impianti e non anche per quelli esistenti.
Tuttavia l'attività principale e più lucrosa degli inceneritori con recupero di energia è lo smaltimento dei rifiuti e non la vendita di energia, la quale – pur in un regime tariffario favorevole – permette solo un abbassamento dei costi globali di esercizio.
I termovalorizzatori/inceneritori sono dotati di sistemi di controllo e riduzione delle emissioni che ne fanno, a detta di alcuni, una realtà compatibile con le esigenze di tutela ambientale, tanto che sono inseriti all'interno di svariati contesti urbani in tutto il mondo (ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen e Tokyo). Certi studi sul particolato e in particolare sulle nanopolveri mettono in dubbio queste tesi (si veda sotto).
In Europa sono attivi attualmente 304 impianti di termovalorizzazione/incenerimento, in 18 Nazioni. Paesi quali Svezia, Danimarca e Germania ne fanno ampio uso; in Olanda (ad Avr e Amsterdam) sorgono i più grandi termovalorizzatori/inceneritori d'Europa, che permettono di smaltire fino ad un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno. Anche in Olanda comunque come in Germania la politica è quella di bruciare sempre meno rifiuti per cercare di dismettere un giorno gli impianti esistenti. A tal proposito sono attuate amplissime forme di raccolta differenziata e riduzione alla fonte anche con una legge nazionale sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica (ogni cittadino paga una cauzione sulle bottiglie di plastica e vetro che gli viene restituita con un bonus per il supermercato quando riconsegna le bottiglie negli speciali spazi presso i centri commerciali). E si sta utilizzando sempre di più anche l'energia eolica e sperimentando in interi quartieri quella solare.
In Italia i termovalorizzatori sono ancora poco diffusi, anche a causa dei dubbi che permangono sulla nocività delle emissioni nel lungo periodo e delle resistenze di parte della popolazione: a Trezzo sull'Adda, in provincia di Milano, v'è uno dei più moderni termovalorizzatori/inceneritori in esercizio in Europa. A Brescia, in prossimità della città, c'è un termovalorizzatore che soddisfa da solo circa un terzo del fabbisogno di calore dell'intera città (1100 GWh/anno) e che, nonostante sia stato oggetto di diverse procedure di infrazione da parte dell'Unione Europea, nell'ottobre 2006 è stato proclamato «migliore impianto del mondo»[3] dal Waste to Energy Research and Technology Council,[4] un organismo indipendente formato da tecnici e scienziati di tutto il mondo e promosso dalla Columbia University di New York; suscita però qualche perplessità il fatto che questo organismo annoveri tra gli "enti finanziatori e sostenitori" la Martin GmbH,[5] che è tra i costruttori dell’inceneritore premiato. Nel resto del settentrione sono diffusi piccoli impianti a scarso livello tecnologico con basso rendimento, per i quali sono necessari dei rammodernamenti (come a Desio, Valmadrera e Cremona).
Funzionamento
Il funzionamento di un termovalorizzatore può essere suddiviso in sette fasi fondamentali:
- Arrivo dei rifiuti — Provenienti dagli impianti di selezione opportunamente dislocati sul territorio (ma anche direttamente dalla raccolta del rifiuto tal quale), i rifiuti sono conservati in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare il disperdersi di cattivi odori. Con una gru i materiali sono depositati nel forno. La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) e sua termovalorizzazione sfrutta la preventiva disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione combustibile, che può essere termovalorizzata producendo energia elettrica con resa nettamente migliore rispetto all'incenerimento classico e con una sensibile diminuzione di impatto ambientale.
- Combustione — Il forno è, solitamente, dotato di una o più griglie mobili per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo cosí alta la temperatura (fino a 1000 °C e più).
- Produzione del vapore — La forte emissione di calore prodotta dalla combustione dei rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore.
- Produzione di energia elettrica — Il vapore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata ad un motoriduttore ed alternatore, trasforma l'energia termica in energia elettrica.
- Estrazione delle scorie — Le componenti dei rifiuti che resistono alla combustione (circa il 10% del volume totale ed il 30% in peso, rispetto al rifiuto in ingresso) vengono raccolte in una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discarica. Separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene un abbattimento della produzione di scorie.
- Trattamento dei fumi — Dopo la combustione i fumi caldi passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera.
- Smaltimento ceneri — Le ceneri residue della combustione (circa il 30% in peso ed il 10% in volume del materiale immesso nell'inceneritore) sono normalmente classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono normalmente classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe sono normalmente smaltite in discariche per rifiuti speciali; ci sono recenti esperienze di riuso delle ceneri pesanti.
Teleriscaldamento
Un'importante tecnologia abbinata ai termovalorizzatori è il teleriscaldamento. I rifiuti non sono un buon combustibile per la produzione di elettricità, perché sprigionano poco calore e quindi producono vapore a pressione relativamente bassa e producono meno elettricità rispetto alle centrali a combustibili fossili. Da notare inoltre che un normale inceneritore non può essere a turbogas né quindi a ciclo combinato, e ciò rende basso il rendimento complessivo. Risulta quindi conveniente trasferire il calore di scarto, attraverso una rete di tubature interrate per il trasporto di acqua bollente (o altri appositi liquidi), agli edifici affinché sia sfruttato questo calore per la produzione di acqua calda sanitaria, per il riscaldamento e (se si monta un gruppo frigorifero ad assorbimento) anche per il funzionamento dei frigoriferi e dei condizionatori senza spendere un centesimo di energia elettrica. Il termovalorizzatore si trasforma così in una specie di enorme caldaia centrale. Questo sistema permette di sfruttare il triplo dell'energia recuperata sotto forma di elettricità, quindi costituisce la principale voce di recupero energetico all'interno di un inceneritore.
Scorie
Coll'incenerimento dei rifiuti si producono scorie pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%.
- Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall'impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali, che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche controllate.
- Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro –, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate.
A Noceto, ad esempio, si trova l'impianto Bsb, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati: qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori di Silea (provincia di Lecco) e di Hera (Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna): 30'000 tonnellate di rifiuti l'anno da cui si ricavano 25'000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico; appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati. E così, paradossalmente, il termovalorizzatore, nell'ideale comune spesso considerato l'antitesi della raccolta differenziata, può rivelarsi un suo valido alleato nella lotta per il riciclaggio. Inoltre, con un trattamento di questo genere, in quanto ultimo anello della catena del sistema di riciclaggio l'inceneritore può annullare del tutto il ricorso alla discarica, che è sempre la soluzione peggiore.
Altre tecnologie
I termovalorizzatori esistono in moltissime varietà.
Torcia al plasma
Una tecnologia molto interessante è la torcia al plasma, originariamente sviluppata per la Nasa allo scopo di mettere alla prova i materiali realizzati per resistere alle altissime temperature cui sono sottoposte le navicelle spaziali al rientro nell'atmosfera a causa dell'attrito. Il plasma generato dalla torcia comprende gas ionizzato a temperature comprese fra i 7.000 e i 13.000 °C: l'elevatissima quantità di energia, applicata ai rifiuti:
- decompone le molecole organiche (in una zona di reazione dove la temperatura va dai 3.000 ai 4.000 °C), che, con l'aggiunta di vapore d'acqua, producono così un gas di sintesi simile a quello prodotto una volta nei gasogeni a carbone, e più precisamente composto di idrogeno (53%) e monossido di carbonio (33%), nonché anidride carbonica, azoto molecolare e metano (recuperato per produrre elettricità);
- fonde i materiali inorganici e li trasforma in una roccia vetrosa simile alla lava, totalmente inerte e non nociva, che può essere usata come materiale da costruzione (in questo modo non può essere recuperato il materiale ferroso o l'alluminio come con le scorie degli inceneritori). In questa "lava" sono totalmente conglobati e quindi resi inerti tutti i metalli pesanti, perciò non si hanno ceneri volanti che li contengano. Tuttavia, si ipotizza che in procedimenti come questo si producano enormi quantità di nanopolveri, anche se non ci sono studi sulla loro effettiva composizione e dispersione nell'ambiente.
Questi sono gli unici scarti: il tipo di combustione non permette la produzione di nessun composto tossico o pericoloso come diossine, furani o ceneri (si veda però sotto). Per questo un reattore al plasma può anche trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri rifiuti industriali. Inoltre, è un processo relativamente economico, che costa circa il 20-40% in meno di un termovalorizzatore di ultima generazione.
Gassificatori
Non devono essere confusi con i "rigassificatori" che sono tutt'altra cosa. Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione è la dissociazione molecolare, definita pirolisi, per la gassificazione. In un ambiente chiuso con temperature inferiori ai 400°C e in quasi totale assenza di ossigeno, i rifiuti organici, cioè contenenti carbonio (precedentemente separati dagli altri componenti riciclabili degli RSU, che possono però anche essere introdotti senza alcun trattamento), possono essere completamente distrutti scindendone le molecole in molecole più semplici di monossido di carbonio, idrogeno e metano, che formano un gas di sintesi abbastanza puro da essere usato tal quale. L'energia imprigionata attraverso la fotosintesi clorofilliana in tali sostanze organiche può così essere liberata o bruciando il metano in una caldaia per sfruttarne il calore o alimentare una turbina elettrica, o usandolo come combustibile per motori a scoppio, o ricavandone idrogeno da usare poi in pile a combustibile per produrre elettricità.
Alla fine del processo rimangono ceneri per il 3% della massa immessa. Rispetto ai normali inceneritori, per via delle particolari condizioni in cui avviene il processo: la bassa temperatura riduce di oltre cento volte l'emissione di polveri sottili (e in particolare è ridotta la produzione di nanopolveri); la produzione di acido cloridrico, anidride solforosa e monossido di carbonio è ridotta a meno della metà; gli ossidi di azoto sono ridotti a un terzo; i metalli pesanti di 20-50 volte; la concentrazione di diossine e furani è inferiore ai livelli misurabili.
Il tutto con un rendimento medio del 70%, variamente distribuito in elettrico e termico a seconda dell'impianto, da confrontare con un rendimento per i termovalorizzatori che è circa del 50% termico più 10% elettrico.
I gassificatori sono molto flessibili – possono essere di varia tipologia e potenza –, e sono un sistema efficiente per sfruttare le potenzialità energetiche delle biomasse in generale, oltre che dei rifiuti solidi urbani: si prestano pertanto a essere usati in agricoltura, poiché permettono di sfruttare terreni poco produttivi o adatti solo a colture non pregiate per produrre energia, un bene invece dal valore in continua crescita.
Pertanto, a fronte di un investimento relativamente modesto sia in fase di costruzione sia in gestione (grazie alla possibilità di introdurre una grande varietà di materiale organico anche non trattato e in virtù della non necessità di smaltire o filtrare grandi quantità di emissioni o rifiuti tossici), permettono di ottenere un guadagno costante e sicuro, il che dà loro alte potenzialità di sviluppo anche nel medio-breve termine, in un contesto di difficoltà di smaltimento dei rifiuti (e di opposizione alla costruzione di inceneritori tradizionali per i timori per la salute e l'ambiente) e di contrazione del mercato per gli agricoltori.
Termovalorizzazione e altri modi di affrontare il problema dei rifiuti
La termovalorizzazione dei rifiuti non è di per sé contrapposta o alternativa alla pratica della raccolta differenziata finalizzata al riciclo. La strategia adottata dall'Unione Europea e recepita in Italia con il Decreto Legislativo n° 22/97 affronta la questione dei rifiuti delineando priorità di azioni all'interno di una logica di gestione integrata del problema. Pertanto, se il primo livello di attenzione è rivolto alla necessità di prevenire la formazione dei rifiuti e di ridurne la pericolosità, il passaggio successivo riguarda l'esigenza di riutilizzare i prodotti (es. bottiglie) ed infine, ove non sia possibile, riciclare i materiali (es. vetro). Infine, solo per quanto riguarda il materiale che non è stato possibile riutilizzare e poi riciclare (come il polistirene, i tovaglioli di carta e gli imballaggi poliaccoppiati), si propone l'incenerimento con recupero energetico al posto dello smaltimento in discarica. Sicuramente il ricorso all'incenerimento indifferenziato deve essere assolutamente evitato, anche se per uscire da situazioni di "emergenza" può apparire una via più "comoda", e anche se i rifiuti indifferenziati sono risultati essere il combustibile per inceneritori che sviluppa più calore (infatti con la raccolta differenziata e altri trattamenti viene privato di materiali altamente calorifici come la carta, oltre a buona parte della plastica).
È da notare che riduzione, reimpiego e riciclo sono (in quest'ordine) tutte pratiche molto più vantaggiose energeticamente, ambientalmente, economicamente e socialmente dell'incenerimento con recupero energetico; questo vale per tutti i materiali: solo per la plastica, l'incenerimento risulta economicamente piú vantaggioso del riciclo, perché sul mercato vale più la notevole quantità di energia sprigionata dai rifiuti plastici (ancorché recuperata solo in minima parte) che il materiale plastico ricavato dal riciclo, una materia prima seconda di bassa qualità – per questo spesso la plastica (o quantomeno quella di qualità inferiore) anche se raccolta efficientemente, separata dagli altri rifiuti, viene comunque avviata alla termovalorizzazione –. D'altro canto però la combustione della plastica è proprio quella che rilascia la maggiore quantità di sostanze tossiche (specie diossina), il cui filtraggio è molto costoso, oltre a non essere mai completo. In ogni caso, la termovalorizzazione di materiale plastico permette di recuperare solo un terzo dell'energia che sarebbe possibile risparmiare riciclandolo, perciò resta comunque la soluzione peggiore dal punto di vista energetico e quindi ambientale: una situazione difficilmente migliorabile, perché l'efficienza dei termovalorizzatori può sí essere incrementata, ma comunque non abbastanza da renderla energeticamente competitiva col riciclaggio, che inoltre offre margini di miglioramento molto superiori, nell'ambito dello sviluppo di nuovi materiali plastici di più facile riciclo (anche se naturalmente esiste già la bioplastica, che è una soluzione ancora più radicale, se non definitiva).
S'è accennato prima alla maggiore "comodità" della termovalorizzazione rispetto ad altre soluzioni, specie in casi d'emergenza. Proprio questa maggiore "comodità" è uno dei più gravi difetti difetti dei termovalorizzatori, perché può facilmente portare a un abuso dell'incenerimento. Infatti, mentre ad esempio in una discarica è possibile vedere la spazzatura crescere a vista d'occhio e rendere necessario trovare nuovi spazi, cosa molto difficile, una volta costruito un inceneritore apparentemente non cambia nulla incrementando la quantità di rifiuti bruciati, se non i guadagni dalla vendita dell'energia recuperata (incentivata dallo Stato, come s'è detto): tendenzialmente è quindi più difficile che gli amministratori locali vedano la necessità di impegnarsi per politiche più lungimiranti ed efficaci, ma almeno inizialmente molto faticose. In questo senso i termovalorizzatori possono essere dei disincentivi al riciclo (e ancor più al riuso e alla riduzione): non per colpa della tecnologia in sé, quindi, ma piuttosto per la miopia dei politici.
I termovalorizzatori sono molto costosi da costruire, e per ripagarsi devono funzionare a pieno regime per circa 20 anni. È emblematico il caso dell'inceneritore costruito recentemente dall'Amsa a Milano, Silla 2: inizialmente aveva avuto l'autorizzazione per bruciare 900 t/giorno di rifiuti, poi si è passati a 1250 e infine a 1450t/g. Se si guarda alla gestione dei rifiuti a Milano, ci si accorge che la raccolta differenziata raggiunge il 35% circa (fisso da anni), e tutto il resto (o quasi) viene incenerito da Silla 2. Se si considera che la media di riciclo della provincia di Milano è intorno al 45% (in costante miglioramento), e che a Milano la raccolta dei rifiuti organici non è mai andata oltre la sperimentazione in piccole aree della città, nonostante il più che collaudato sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta e la notevole sensibilizzazione della popolazione, che permetterebbero sicuramente di fare molto di più, appare più che lecito il sospetto che non si punti sulla raccolta differenziata proprio per soddisfare l'avidità dell'insaziabile Silla 2. Ancora una volta, non si tratta di "colpe" della termovalorizzazione in sé, ma solo dei politici (stimolati, lo ripetiamo ancora una volta, dall'irragionevole e inaccettabile incentivazione economica dell'incenerimento).
In Italia, il tasso di raccolta differenziata sta gradualmente crescendo (è oggi intorno al 22,7% per merito, soprattutto, delle regioni del Nord, dove supera il 35%), ma è ancora molto inferiore alle potenzialità. Il ricorso alla termovalorizzazione è ancora limitato e rappresenta, con circa il 12%, uno dei valori più bassi in Europa, anche se specie al Nord è in aumento, e in Lombardia ad esempio raggiunge il 30%. Dalla combinazione di questi due fattori scaturisce un ricorso eccessivo allo smaltimento in discarica, che è in continua diminuzione (dal 2001 al 2004, al Nord -21%, al Sud -4% e al Centro -3%) ma interessa attualmente in tutto circa il 56,9% dei rifiuti urbani prodotti (45% al Nord, 69,5% al Centro, 73,2% al Sud)(si stima che sul totale nazionale il 76% sia rifiuto da raccolta indifferenziata e il 24% siano residui dai diversi processi di trattamento: biostabilizzazione, CDR, incenerimento, residui da selezione delle R.D.), con conseguenze ambientali che si vanno aggravando soprattutto nel Sud, dove molti impianti sono ormai saturi e la raccolta differenziata stenta a decollare. D'altro canto, se si considera che nei comuni più virtuosi la raccolta differenziata supera già adesso l'80%, si deduce che anche al Nord essa è ancora molto meno sviluppata di quanto potrebbe, e che gli impianti di termovalorizzazione sono già adesso sovradimensionati, perciò, se non si importeranno da altre regioni rifiuti da incenerire, non si potrà sviluppare appieno la raccolta differenziata e il riciclo senza far funzionare i termovalorizzatori sotto regime e quindi in perdita. [6]
Questioni sanitarie e ambientali
I termovalorizzatori/inceneritori non possono operare se non dotati di adeguati sistemi di trattamento fumi e abbattimento delle emissioni in grado di garantire il rispetto delle norme di legge. I limiti di legge, così come tutti i limiti relativi a prestazioni tecnologiche, sono "tarati" anche sulla capacità di abbattimento dei fumi ottenibile con le attuali tecnologie; non serve imporre limiti oltre la capacità oggettiva di contenere gli inquinanti permessa dalle tecnologie disponibili. Quindi non sono norme che garantiscano un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici sull'effetto degli inquinanti emessi. Infine, i limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumo emesso: nulla viene detto riguardo all'emissione totale di inquinanti, cioè al valore commisurato alla quantità di rifiuti bruciati. In altre parole, vengono impostati come limiti di legge dei valori che si riferiscono al "miglior impianto" attualmente realizzabile e non all'effettiva rischiosità dei vari inquinanti. Questo, naturalmente, per evitare di imporre limiti nella pratica non raggiungibili (non si può applicare il principio di precauzione, in quanto questi impianti sono considerati una tessera indispensabile nel quadro della gestione dei rifiuti).
D'altro canto, a ogni miglioramento della tecnologia (ma evidentemente con un inevitabile ritardo) vengono in genere imposti per le emissioni limiti man mano più severi, cui qualsiasi impianto intenda operare si deve sottomettere. In questo modo, qualunque inceneritore può mantenersi in esercizio purché rispetti i limiti di emissioni previsti dalla normativa. Tuttavia, non sono comunque mancati casi di impianti, come quello di Brescia, con diverse infrazioni a carico per il mancato rispetto di normative o per il superamento del tonnellaggio di rifiuti inceneriti originariamente ammesso: i controlli infatti non sono sufficienti e anche quando vengono effettuati è difficile che sfocino in provvedimenti molto severi come il sequestro dell'impianto, perché in tal caso si creerebbe un'emergenza rifiuti molto pericolosa. Pertanto, l'adeguamento dei vecchi impianti alle nuove normative procede a rilento.
Emissioni
A partire dagli anni ottanta si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri. Si è passati dall'utilizzo di sistemi, quali cicloni e multicicloni, con rendimenti massimi di captazione degli inquinanti rispettivamente del 70 e dell'85%, ai filtri elettrostatici o filtri a manica che garantiscono rendimenti notevolmente superiori (fino al 99% ed oltre).
Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l'utilizzo di temperature più alte, di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria per garantire l'ossidazione completa dei prodotti della combustione. Tuttavia, in alcuni casi l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra aumenta la produzione di ossidi di azoto, per cui si deve trovare un compromesso, anche perché a temperature più alte corrispondono maggiori emissioni di nanopolveri sempre più sottili ed impossibili da intercettare anche per i più moderni filtri. Per questi motivi gli impianti più moderni prevedono postcombustori catalitici, che funzionano a temperature inferiri ai 900°.
Il particolato
Gli inceneritori e qualsiasi processo di combustione, in generale, rilasciano nell'aria polveri sottili. La quantità emessa è crescente con la temperatura (specie per il particolato ultrafine). Salvo la quota di particolato prodotta dai vulcani, quasi tutta la polvere sottile del pianeta proviene da attività umane. Si tratta di polveri grossolane (PM10) e particolato fine (PM2,5).
Le polveri sottili sono nocive per le loro piccole dimensioni, ma a questo si aggiunge il fatto che con sé portano materiali tossici e nocivi residui della combustione, come idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene e diossine, pericolosi perché persistenti e accumulabili negli organismi viventi.
Se la legge fissa dei limiti per le PM10, alcuni nuovi studi rilevano l'insorgenza del problema delle cosiddette nanopatologie, che sarebbero causate dal particolato ultrafine (da PM2,5 a PM0,1) di tipo inorganico, che nessun filtro esistente attualmente è in grado di bloccare, talché un limite all'emissione di queste particelle non sarebbe concretamente applicabile se non vietando del tutto gli impianti in questione.
In attesa di ulteriori studi e prove epidemiologiche l'OMS non ha ancora espresso un giudizio ufficiale sulla pericolosità delle nanopolveri, e – in mancanza di correlazioni tra le singole fonti di nanopolveri e l'insorgenza di nanopatologie – la medicina e la legge non possono riconoscerne e quantificarne ancora la pericolosità.
È innegabile che gli inceneritori (anche se non sono l'unica fonte, dato che il particolato viene prodotto per il 90% – si stima – da fonti naturali e per il resto da numerosissime altre attività umane) contribuiscono all'emissione antropica di particolato ultrafine in aree urbane.
In virtù del principio di precauzione è opportuno che i progetti di termovalorizzatori siano valutati ancora più attentamente, non essendo corretto asserire che non provocano alcun rischio per la salute (come non è altresì fondato asserire che sono la certa causa di nanopatologie).
La diossina
Le diossine sono tossiche e cancerogene per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio questo è il principale problema: l'organismo umano non le smaltisce. Pertanto anche una esposizione a livelli minimi ma prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute sia umana che animale (si veda in proposito la voce diossina).
È bene quindi sottolineare che la soglia minima di sicurezza per tali sostanze è ancora oggetto di investigazione scientifica; inoltre, i limiti imposti dalla UE sulle emissioni (0,1 nanogrammi/m3 di fumi), corrisponderebbero alle concentrazioni minime che è possibile ottenere applicando le tecniche di incenerimento e filtraggio presenti sul mercato e non a valori basati su studi medici, come spiegato anche più sopra.
Come detto sopra, le leggi sono tarate sugli impianti e non sul concreto rischio tossicologico, che come detto è comunque ancora incerto; è certo che gli impianti recenti hanno un elevato grado di efficicenza tale da contenere le emissioni a livelli molto inferiori al limite di legge (che però andrebbe dunque coerentemente rivisti).
Si deve altresí prendere atto che negli anni le tecnologie hanno permesso l'abbassamento dagli alti valori di legge concessi in passato ad un valore che già al camino è molto basso, ma che in considerazione dei punti di massima ricaduta in relazione allo specifico impianto, costituisce un apporto di inquinante nettamente inferiore ad altre attività umane. Pertanto, pure in assenza di un valore certo di tollerabilità umana, si può ritenere che il limite di Legge sia correttamente commisurato alla possibilità tecnologica di contenimento dell'inquinante.
Bisogna considerare comunque che la diossina è rilevabile normalmente presso numerosi altri impianti industriali (soprattutto acciaierie), nel fumo di sigaretta, nelle combustioni di legno e carbone (potature e barbecue), nella combustione (accidentale o meno) di rifiuti solidi urbani avviati in discarica. Recentemente l'EPA ha sostenuto che oramai il problema delle diossine non sono più gli inceneritori di rifiuti, ma il cosiddetto "backyard" (gli USA avevano una tradizione di mini-incenerimento domestico), e le combustioni incontrollate. Mediamente il 90% dell'esposizione umana alla diossina avviene attraverso gli alimenti (in particolare dal grasso di animali a loro volta esposti a diossina) e non direttamente per via aerea. Ciò non toglie che a loro volta gli animali, esposti ai fumi contenenti diossina, possano accumulare diossina che finisce poi nella catena alimentare umana.
Soluzioni tecniche
Sistemi multistadio
Per intervenire su specifiche sostanze come mercurio, diossine e furani, sono stati definiti sistemi di depurazione dei fumi del tipo a multistadi, che permettono di raggiungere valori minimi di emissioni nocive. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento; il che permette ad ognuno di questi di raggiungere elevate efficienze, anche nel caso si verifichi un'anomalia di uno degli stadi che compongono la linea di depurazione.
Vanno poi citate le attrezzature specificatamente previste per l'abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico. La prima di queste tecnologie, definita Riduzione Selettiva Catalitica (SCR), consiste nell'installazione di un reattore a valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniaca nebulizzata, che miscelandosi con i fumi e attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma gli ossidi di azoto in acqua e azoto gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell'atmosfera. La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR) presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi SCR, e consiste nell'iniezione di un reagente (urea che in temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione acquosa in una zona dell'impianto in cui in cui la temperatura è compresa fra 850 °C e 1.050 °C con la conseguente riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua.
Abbattimento dei microinquinanti
Altri sistemi sono stati messi a punto per l'abbattimento dei microinquinanti (metalli pesanti e diossine). Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto "particolato fine" (ceneri volanti). Il loro abbattimento è affidato all'efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma nulla può contro le PM2,5.
Per quanto riguarda l'abbattimento delle diossine il controllo dei parametri della combustione e della post-combustione, sebbene in passato fosse considerato di per sé sufficiente a garantire valori di emissione in accordo alle normative più stringenti, è attualmente accompagnato da un ulteriore intervento specifico basato sulle proprietà chimicofisiche dei carboni attivi. Questo ulterire processo di depurazione viene effettuato attraverso un meccanismo di chemiadsorbimento, consistente nel passaggio dalla fase vapore a quella condensata adsorbita su superfici solide dei carboni attivi. Tale passaggio di stato è favorito dall'abbassamento della temperatura e dall'utilizzo di materiali particolari con spiccate caratteristiche adsorbenti come il carbone attivo. Un carbone di media qualità può esibire 600 m² di superfice ogni grammo. Queste proprietà garantiscono abbattimenti dell'emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti dalla normativa. Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in coluzione oleosa per la cattura delle diossine, partendo dalla spiccata solubilità in grassi di queste.
Norme di legge
Le nuove tecnologie permettono oggi di raggiungere valori assai elevati di abbattimento delle emissioni inquinanti, tali da consentire non solo il rispetto dei valori limite adottati dalla normativa vigente in Italia (Decreto Legislativo 503/1997), ma anche quelli del Decreto Legislativo 133/2005 (decreto di recepimento della Direttiva 2000/76/CE) in vigore dal 28 dicembre 2005.
Il provvedimento regola tutte le fasi dell'incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione nell'impianto fino alla corretta gestione e smaltimento delle sostanze residue:
- disciplina i valori limite di emissione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti
- i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi impianti
- i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti
- i criteri temporali di adeguamento degli impianti già esistenti alle disposizioni del presente decreto
- prevede che i cittadini possano accedere a tutte le informazioni, cosí da essere coinvolti nelle eventuali opportune decisioni
Critiche
L'impiego dei termovalorizzatori viene spesso proposto come un'alternativa all'uso delle discariche, ma le proposte di costruzione di termovalorizzatori sono spesso accompagnate da polemiche anche molto aspre e contestazioni territoriali (NIMBY, ovvero non nel mio giardino). Si riportano qui le principali critiche:
- Il termine termovalorizzatore (presente solo nel vocabolario italiano) è criticato: primo perchè in realtà non "valorizza" nulla, anzi "svalorizza" i rifiuti che se differenziati sarebbero ben più "valorizzati". In secondo luogo perchè servirebbe a nascondere il fatto che l'impianto sia in pratica un inceneritore.
- La costruzione di termovalorizzatori si porrebbe in concorrenza con altre strategie di contenimento del "problema rifiuti", quali la riduzione del quantitativo di rifiuti prodotti, la raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio o il riuso.
- Le emissioni di sostanze tossiche (in particolare la diossina, le nanopolveri ed i furani), seppur entro i limiti di legge, sono ritenute da alcuni comunque significative, in quanto protratte nel tempo nello stesso luogo. L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossina contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione ed un veloce raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima efficienza nel recupero dell'energia termica ed aumenta inoltre l'emissione di nanopolveri. [7] [8]
- La materia destinata ai termovalorizzatori (le cosiddette ecoballe, il CDR ma anche il rifiuto tal quale) dovrebbe avere caratteristiche tali da scongiurare quanto più possibile un eventuale rilascio di sostanze nocive nell'ambiente durante la fase di stoccaggio e di trasporto prima dell'utilizzo, ma questo passaggio purtroppo in alcuni casi non avviene ancora con la necessaria trasparenza e accortezza, e nelle ecoballe finiscono materiali che sarebbe bene non bruciare.
- I termovalorizzatori producono ceneri da smaltire comunque in discarica (circa il 20% in peso e il 10% in volume rispetto ai rifiuti in entrata) e altre sostanze di scarto che costituiscono rifiuti speciali più difficili e costosi da smaltire.
- I termovalorizzatori/inceneritori producono nanopolveri inorganiche che causano le cosiddette nanopatologie (tra queste anche diverse forme di cancro).
- Il costo di smaltimento mediante incenerimento è molto più elevato dello smaltimento in discarica (indicativamente 130€/ton conto 95€/ton).
Le associazioni ambientaliste generalmente si oppongono alla costruzione di inceneritori e termovalorizzatori. In Italia è anche criticata la politica di incentivazione della termovalorizzazione che finirebbe per penalizzare la raccolta differenziata rendendola economicamente meno vantaggiosa. Tale "sussidio all'incenerimento" è pagato da tutti nelle bollette ENEL alla voce "contributi energie rinnovabili", fatto questo piuttosto singolare e contrario alle direttive UE. Mediante questi incentivi il costo di smaltimento mediante incenerimento viene artificiosamente ridotto a circa 95€/ton.
Conclusioni
Le soluzioni per la gestione dei rifiuti sono essenzialmente di cinque tipi:
- riduzione e riuso;
- riciclaggio;
- trattamento a freddo dei rifiuti;
- incenerimento o termovalorizzazione;
- smaltimento in discarica.
Tipicamente, soprattutto in assenza di una politica di gestione dei rifiuti orientata a riduzione, riuso e riciclo, l'alternativa alla costruzione di un termovalorizzatore più praticata è la creazione di una discarica, che ha anch'essa emissioni inquinanti e un impatto ambientale certamente negativo. Recentemente si stanno sperimentando anche nuove tecniche di trattamento a freddo dei rifiuti.
Troppo spesso il complesso problema della gestione dei rifiuti viene affrontato in modo superficiale o strumentale, talvolta anche con l'infiltrazione della criminalità organizzata, che spesso lucra sulla gestione illegale dei rifiuti pericolosi. Per affrontare correttamente il problema dei rifiuti, sempre più urgente in molte nazioni, è prioritaria un'informazione corretta ed esauriente, la chiarezza, la trasparenza e la concertazione.
Voci correlate
Note
- ^ a b Dall'approfondimento di Ecosportello.org del 18 settembre 2006 sull'incentivazione dei termovalorizzatori.
- ^ Notizia da edilportale.com.
- ^ iorisparmio.eu: Il termovalorizzatore di Brescia è "il migliore del mondo"
- ^ (EN) WTERT Waste-to-Energy Research and Technology Council
- ^ (EN) Martin GmbH
- ^ Dati tratti dal Rapporto Rifiuti 2005 dell'Osservatorio Nazionale dei Rifiuti.
- ^ Dioxin, 2005, Wikipedia in lingua inglese
- ^ Come funziona un inceneritore?, 2005, Greenpeace Italia
Collegamenti esterni
Quadro normativo
- (EN) Direttiva europea sull'incenerimento dei rifiuti
- Schema sul Piano di sorveglianza e controllo negli impianti di smaltimento di rifiuti (Pdf) (documento dell'Ansac)
Funzionamento dei termovalorizzatori e informazioni generali
- Scheda monografica riassuntiva sul recupero di energia da rifiuti (Pdf) (dal sito Energialab)
- Atti del convegno «La termovalorizzazione dei rifiuti in Italia: l’esperienza di esercizio e l’applicazione delle nuove tecnologie» (Milano, 22 settembre 2006) — programma (Pdf).
- Schede sui termovalorizzatori - Università Federico II di Napoli
- Termovalorizzatore: di cosa si tratta?
- Energia da rifiuti: domande e risposte (dal sito Energialab)
- Zero discarica, 100% recupero, articolo sul riciclaggio delle scorie prodotte dagli inceneritori (27-3-2006) (dal sito Ecosportello)
- Zero discarica, 100% recupero, articolo sul riciclaggio delle scorie prodotte dagli inceneritori (14-09-2005)
- Pirolisi
- I gassificatori per dissociazione molecolare: agenzia, scheda tecnico-economica, documento completo.
- Produzione di idrogeno da combustibili solidi: ottimizzazione delle rese di produzione (PDF)
Valutazioni della termovalorizzazione
- La termovalorizzazione e la politica impiantistica per un corretto smaltimento (Pdf) (dal sito Rifiutilab)
- Riciclaggio e recupero dei rifiuti plastici in Svizzera (Pdf) (dal sito Rifiutilab)
- Inceneritore e altri sistemi di trattamento termico dei rifiuti urbani_esperienze svizzere (Pdf) (dal sito Rifiutilab)
- Il termovalorizzatore Silla 2 di Milano: uno spunto per l'analisi dei costi economici e ambientali dei termovalorizzatori (dal sito Altreconomia)
- Quando il recupero è energia – Filiere di gestione dei rifiuti a confronto. Tenendo conto di Kyoto.
- (EN) Interessante documento del ministero dell'ambiente tedesco sull'impatto ambientale degli inceneritori (Pdf)
- beppegrillo.it: Articolo del Professor Massimo Giulisano (Università di Firenze) sugli inceneritori (Pdf)
Esempi di termovalorizzatori
- Valutazione di Impatto Ambientale del termovalorizzatore di Trezzo - Università degli studi di Parma, Dipartimento di Scienze Ambientali
- Termovalorizzatore: pro e contro (PDF - dal sito del comune di Firenze)
- Il termovalorizzatore di Trezzo sull'Adda - Cos'è, come funziona, FAQ
- Termovalorizzatore di Ospedaletto con fotografie
- Studio di fattibilità per la realizzazione di un termovalorizzatore nell'area pratese
- Il termovalorizzatore Silla 2 di Milano: la presentazione dell'Amsa
- Il termovalorizzatore di AER SPA
- Descrizione del termovalorizzatore di Desio(MI)