Storia di Siracusa in età spagnola (1500 - 1565)
La storia di Siracusa durante l'età spagnola si riferisce a quel secolare lasso di tempo che visse la città siciliana sotto l'egemonia della corona di Spagna: dal XV secolo al XVII secolo.
«la città e forza di Siracusa, o Sarausa, come i suoi nativi la chiamano adesso, o Çaragoça di Sicilia, come noi, gli Spagnoli, la chiamiamo»
Poiché gli Spagnoli chiamarono Siracusa come la loro città aragonese - ovvero ad essi, nel Cinquecento, era nota come «Çaragoça de Sicilia» (mentre più avanti, nel Seicento, diviene Zaragoza; sempre in riferimento alla città aragonese) - non risulta semplice odiernamente rintracciare e ordinare tutte le vicende storiche di rilievo che la videro protagonista, dato che negli archivi spagnoli questa omonimia non sempre è stata ben trattata (alle volte si ometteva il «de Sicilia»), con il risultato di creare smarrimento nella distinzione delle due antiche realtà geografiche.[1] Ciò è inoltre dovuto al fatto che gli archivi storici siracusani sono andati distrutti durante la dominazione spagnola: distrutti sia dalle forti scosse sismiche che investirono la città nel 1542 e nel 1693 (rispettivamente pari al X grado e IX grado della scala MCS[2]), con conseguenti onde di maremoto, e distrutti dagli assalti dei soldati spagnoli, che si ammutinavano e creavano quindi caos nei palazzi aretusei (Siracusa era la città più militarizzata dell'isola, per cui episodi del genere accadevano con frequenza).[3]
Dai documenti superstiti e verificati riesce ad emergere comunque un'immagine ben precisa sulla Siracusa spagnola: essa era vista come simbolo di forza del potere della monarchia di Spagna. Era la città per la quale gli spagnoli dovevano «combattere strenuamente»,[4] poiché le era stato dato il massimo ruolo difensivo: la «chiave del Regno» era stata soprannominata durante la guerra contro l'impero ottomano.[5] A Siracusa si conduceva la maggior parte dell'esercito spagnolo durante i tentativi d'invasione da parte di altre nazioni; qui si ci trincerava e si aspettava che il pericolo passasse.
Contesto storico siciliano e spagnolo
L'unione del regno di Sicilia alla Spagna
Avvenimenti dell'età spagnola
Il testamento del re Cattolico Don Ferdinando e l'ultima regina di Siracusa
Quando Isabella di Castiglia morì prematuramente, nel 1504, la Camera Reginale tornò sotto la totale facoltà del re suo marito, Ferdinando II d'Aragona, il quale, l'anno seguente, decise di nominare Giovanni Cardinas (Juan de Cárdenas) «portiere delle porte di Siracusa» (carica civica), e alla fine di quello stesso anno la fece governare dal vicerè di Sicilia: Guglielmo Raimondo VI Moncada.
Tuttavia, il re di Aragona e Castiglia si risposò a breve: nel 1505 la sua seconda moglie divenne Germana de Foix, figlia dell'infante di Navara Giovanni di Foix-Étampes e nipote del re Luigi XII di Francia, alla quale assegnò, il 1 aprile del 1506, la «Cámara de la reina de la Ciudad de Zaragoza»[6] (detta anche «Camera de Sicilia»[7]).
Germana nominò governatore della Camera Pere Sánchez de Calatayud; ai Siciliani noto come Almerigo o Almerico Centelles (acquisì il cognome del lignaggio Centelles, grazie al diritto di maggiorasco), il quale divenne nel 1513 anche presidente del Regno di Sicilia[8]
Sempre nel 1513, il fratello del governatore aretuseo, Guillem Ramón Centelles, fu nominato in Spagna vescovo di Siracusa,[N 1][N 2] e successivamente sarà egli mandato dalla regia corte in terra siciliana per placare i moti scoppiati nel 1516: infatti, l'unione di Germana con Ferdinando II non poté durare a lungo, poiché il re Cattolico (colui che insieme a Isabella legò il proprio nome alla scoperta dell'America, in quanto finanziatore della spedizione di Cristoforo Colombo) morì il 23 gennaio di quell'anno, e la sua scomparsa provocò animati disordini in tutta l'isola.[N 3]
Il re Cattolico lasciò scritte nel suo testamento precise disposizioni riguardo al futuro della città di Siracusa e delle terre che, tramite la Camera Reginale, da essa dipendevano:
- N.B. Il re nel documento parla di sé stesso in prima persona plurale. Inoltre si trascrive di seguito solamente l'introduzione del testamento e le parti più importanti che riguardano il volere di Ferdinando su Siracusa; ergo, non è il testo riportato nella sua integrità.
«Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo [...] che vive e regna per sempre, fermamente crediamo. Sia reso noto a tutti che Noi, Don Ferdinando, per la grazia di Dio, Re d'Aragona, di Navarra, delle due Sicilie, di Gerusalemme, di Valencia, di Mallorca, di Sardegna, di Corsica, Conte di Barcellona, Duca di Atene e di Neopratia, Conte di Rossiglione, di Cerdagna, Marchese di Oristano e di Goceano. Considerando nel nostro pensiero, con buono e Cattolico animo, che la natura umana è corruttibile e sottoposta alla morte corporale [...] E anche nostro Signore Dio per sua grande grazia e misericordia, e non per nostri meriti, ha ordinato che Noi siamo nati di sangue e spirito reale, e ci ha fatto e costituito nella sua terra Re e Signori di tanti popoli, regni e Signorie [...] Item, vogliamo, disponiamo e ordiniamo, e comandiamo, che [...] per quanto a Noi ci è stato consegnato e dato: alla Serenissima Regina Doña Germana, nostra carissima e amata moglie, e per le spese della sua persona e casa, le cose e quantità sottoscritte: primariamente la Città di Siracusa, con le sue terre e giurisdizione, diritti, rendite, e pertinenze, che in un anno ha mostrato di valere dieci mila fiorini d'oro. Inoltre, i Villaggi di Tàrrega, Sabadell, e Vilagrassa, nel nostro Principato di Catalogna; dai quali, crediamo, non possa ricevere rendita alcuna per via dei molti oneri a loro carico [...] E vogliamo, ordiniamo e comandiamo che la Città di Siracusa [...], la suddetta Serenissima Regina Doña Germana, nostra carissima e amata moglie, possegga e custodisca, riceva, faccia e goda di ciò durante la sua vedovanza [...] che così come Noi l'abbiamo amata, e lei ci ha amato in vita, così dopo la nostra morte custodisca le cose della nostra anima con speciale cura, e si occupi di quelle cose come da ella ci aspettiamo che faccia [...] ed è anche nostra volontà che riceva e adempia alle suddette consegne, rispettando la vedovanza, con la giurisdizione, governazione e altri uffici di Siracusa [...] ma non si devono inserire persone straniere nella reggenza e nel governo delle sopracitate Città e Villaggi, in alcun modo. E nel caso in cui la suddetta Serenissima Regina renda noto di volersi sposare, vogliamo ed è nostra volontà che la suddetta Città e Villaggi tornino ai nostri eredi e successori [...]»
Il re Cattolico ordinò quindi che la città di Siracusa restasse sotto speciale amministrazione della regina Germana (da essa la regina riceverà 30.000 fiorini d'oro per la sua personale rendita), ma le impedì di mettere nel suo governo persone estranee o nemiche della corte; in altre parole: «que la governacion, y justicia dellas tuviessen personas naturales» (che il governo e la giustizia fossero affidati a persone native del luogo).[10] E specificò inoltre, Don Ferdinando, che in caso la sua vedova decidesse di contrarre seconde nozze, la città sarebbe dovuta ritornare in possesso degli eredi della corona d'Aragona; questa era la sua volontà.
I siracusani tra Germana e Carlo V
Il re Cattolico nel suo testamento nominò come suo successore al trono il nipote Carlo d'Asburgo, figlio di sua figlia Giovanna d'Aragona e di Castiglia (detta Giovanna la Pazza e impossibilitata a regnare), non avendo potuto avere con Germana il tanto sperato figlio maschio (la coppia ebbe un bambino, Juan de Aragón y Foix, ma morì poche ore dopo essere nato), la quale veniva affidata, secondo le ultime volontà del re, alla protezione del giovane Carlo.
I tumulti siciliani del 1516 incominciarono a Palermo e scoppiarono mentre Carlo d'Asburgo aspettava di stabilirsi in Spagna per essere incoronato primo re del regno spagnolo unificato. Lo scopo dei ribelli isolani era far capitolare il vicerè Hugo de Moncada, poiché, sostenevano, non essendo più in vita colui che lo aveva eletto, ovvero il re Cattolico, i siciliani non erano più obbligati a riconoscere in Moncada il continuatore del potere regio.
La città di Siracusa, che a rigor di logica sarebbe dovuta rimanere estranea a tali avvenimenti, visto che nel testamento del re Cattolico si esplicitava senza alcun'ombra di dubbio che essa continuava a rimanere sotto il potere della vedova Germana de Foix, con il titolo di regina, fu comunque coinvolta nella rivolta: il capitano d'armi Pietro II Cardona, da Catania (città demaniale e non reginale) prese il controllo su Siracusa, ponendola in clima di guerriglia, e gli animi degli abitanti vennero fomentati anche dai lentinesi (la cui città venne presa da Moncada e staccata dai domini di Germana), i quali, in massa, vennero tra i siracusani a persuaderli del fatto che il potere della regina su di loro dovesse essere abolito; l'invitavano quindi all'ennesima ribellione (considerando che i siracusani, tempo prima, erano stati minacciati di pena di morte se non avessero finalmente giurato fedeltà alle regine della Spagna).
I lentinesi, approfittando dell'assenza del governatore di Siracusa, Almerigo Centellas, il quale era andato ad accompagnare Moncada da Carlo d'Asburgo, irruppero nel castello Maniace e ne cacciarono via la moglie e i figli di Centellas. Ne seguì il tumulto totale anche tra i siracusani: ci fu la ribellione nei confronti della regina e la città si dichiarò fuori dal potere reginale. La situazione siracusana si placò infine insieme a quella generale delle altre città di Sicilia: quando Carlo iniziò a regnare sostituì Hugo de Moncada con il vicerè Ettore Pignatelli, che attuando una dura repressione, nel 1517 ristabilì l'autorità monarchica spagnola sull'isola.
Quello stesso anno il re Carlo conobbe Germana de Foix e tra i due nacque una relazione d'amore che, per ovvi motivi, era proibita e mal vista dalle Cortes spagnole. La regina, ancora vedova, chiese a Carlo di far ripristinare la Camera regianle di Siracusa, che per diritto ereditario le spettava, il nuovo re, quindi, da Bruxelles scrisse a Ettore Pignatelli il 28 marzo 1517, dandogli l'ordine di riportare i siracusani al governo della regina Germana. La città tornò ufficialmente al potere reginale nel febbraio del 1518, anno in cui fu concesso l'indulto a tutti i siracusani che si erano precedentemente ribellati.
Da segnalare in questo periodo anche l'importante nomina del nuovo vescovo di Siracusa, che era stato scelto dallo stesso re Carlo (il 28 settembre 1516[11]): lo spagnolo Don Pedro de Urrea; nelle fonti italiane noto come Pietro Urries. Costui era il cugino del vicerè di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi (che governò durante il regno di Alfonso V)[12] ed era inoltre l'ambasciatore di Spagna presso il papa, e venne da questi consacrato vescovo di Siracusa il 6 febbraio 1517, ma trovandosi ancora a Roma, poté governare la chiesa siracusana solo tramite vicari (Carlo per Urries andò contro i dettami del cardinale Francisco Jiménez de Cisneros, il quale, dall'ottobre del 1516, manifestava la sua contrarietà alla presenza del nominato vescovo siracusano presso la Santa Sede, perché esso riteneva che nel contesto della neonata unificazione spagnola Urries rappresentasse gli aragonesi a Roma ma non i castigliani[13]). Ad egli il papa Leone X scrisse il 15 maggio 1517 il celebre breve, per i siracusani, che definiva la loro chiesa come la prima ad essere nata in Occidente[14] (frase destinata a creare varie discussioni tra i teologi moderni). Purtroppo, così come Ramón Centelles, nemmeno Pietro Urries poté mai occupare il suo posto da vescovo in Siracusa, poiché egli morì repentinamente a Roma il 15 marzo[15] (o il 10 aprile[16]) 1518. Lo spagnolo Cristóbal Escobar (Lucio Cristoforo Scobar nei documenti italiani), canonico prima di Agrigento e poi di Siracusa («andaluso di nascita ma siciliano d'adozione»[17]) gli dedicò nel 1519 il vocabolario latino-castellano tradotto nel dialetto siciliano, originariamente scritto da Antonio de Nebrija, del quale Escobar in Spagna fu allievo.[17] A Escobar Siracusa deve, inoltre, la prima opera scritta in epoca moderna con lo scopo di desriverne la storia (egli infatti conosceva anche il greco, oltre al latino, e poté così consultare gli scritti degli antichi sui fasti siracusani)[18] e il primo catalogo dei suoi vescovi.[19]
Nel 1519 la situazione politica ella città aretusea risultava tuttavia ancora turbolenta: in questo anno vi fu l'ingerenza del vicerè nell'elezione del governatore della Camera, che piazzò un uomo del suo entourage al comando della capitale reginale, Giacomo Alliata (fondatore,[20] o rifondatore,[21] del centro trapanese di Castellammare del Golfo e luogotenente del maestro giustiziere del regno), la qual cosa non fu gradita dai siracusani (il vicerè di Sicilia non aveva infatti potere amministrativo nei domini della regina), per cui essi mandarono un loro ambasciatore alla corta spagnola, chiedendo alla regina di far ritornare Almerigo Centelles (egli era stato trattenuto in Spagna dopo la ribellione del 1516); Germana acconsentì e, con l'assenso del re Carlo I di Spagna (dato il 13 novembre 1519), Centelles riprese il comando del senato aretuseo.
Carlo, che nel gennaio del 1519 assunse il titolo di imperatore, ereditando oltre ai domini spagnoli anche i confini del Sacro Romano impero, divenendo Carlo V d'Asburgo, confermò in quello stesso periodo l'esonero di Siracusa dal donativo regio (i siracusani avevano ricevuto da diverso tempo il privilegio di non essere obbligati a mandare soldi alla corte di Spagna), scatenando così la reazione delle altre città reginali; specialmente di Lentini, i cui abitanti, non ancora dimentichi della passata rivolta del 1516, si rivolsero stavolta alla Magna Curia del tribunale regio di Palermo, per avere ragione della vicenda. Ma sia la regina Germana e sia il re Carlo ricordarono ai funzionari regi che la questione sul donativo delle città reginali non era affar loro, invitandoli quindi a non intromettersi (in tal senso vi era una ben precisa separazione tra città demaniali e città reginali).
I privilegi concessi a Siracusa (la quale comunque aveva in compenso da affrontare le spese belliche per la sua difesa) indussero alcune città reginali a chiedere l'abolizione della suddetta Camera della regina: si fecero avanti Mineo, Vizzini e Lentini, sollecitando il sovrano affinché eliminasse la Camera siracusana, ma Carlo V, in verità, non aveva alcuna intenzione di assecondare tali richieste, ed egli nel 1521 tranquillizzò i siracusani, dicendo loro che la Camera sarebbe continuata ad esistere.
L'anno in cui Carlo divenne imperatore, ovvero il 1519, Germana de Foix venne concessa in seconde nozze al canonico di Colonia (pare si facesse ciò per mettere a tacere le voci, sempre più insistenti, del suo legame fin troppo intimo con Carlo), il tedesco Giovanni di Brandeburgo-Ansbach (figlio di Federico I di Brandeburgo-Ansbach). Carlo tenne comunque Germana vicino a sé, nominandola viceregina di Valencia e nominando suo marito il marchese capitano generale del Regno. A questo punto Carlo avrebbe dovuto toglierle il governo di Siracusa e delle altre terre siciliane che ad essa facevano riferimento, così come era stato stabilito nel testamento di suo nonno, il re Cattolico, ma invece non lo fece, e Germana continuò anche dopo il 1519 a rimanere regina di Siracusa (Carlo, ovviamente, e non il canonico di Colonia, rimase la sua controparte maschile nelle vicende aretusee).[22]
Siracusa: la grande carestia del 1524 e l'attesa della fine del mondo
La guerra contro l'impero ottomano
Contesto storico europeo, mediorentale e africano
Mentre i vari stati dell'Europa centrale e occidentale si facevano la guerra a vicenda, nel 1453 crollava definitivamente l'impero bizantino, con la conquista da parte dei Turchi della capitale Costantinopoli (la quale aveva chiesto invano i soccorsi europei), che finiva così sotto il potere del sultano Maometto II: lì metterà solide radici il governo principale dell'impero ottomano, universalmente noto con il nome di Sublime Porta.
Per la Grecia iniziò da quel momento una dura dominazione (che sarebbe durata per secoli), e con essa cadevano anche i già mezzi conquistati Balcani (l'impero serbo era caduto in mano ai Turchi nel 1389, mentre il Secondo Impero bulgaro lo assoggettavano nel 1396) e il regno d'Ungheria, dopo la definitiva sconfitta del suo re, morto sul campo di battaglia nell'assedio di Belgrado il 1456, durante la fase finale delle guerre ottomano-ungheresi.
Senza più la barriera ungherese, l'impero ottomano ebbe la strada libera verso la conquista dell'Europa centrale: nel 1480 conquistò e occupò la città salentina di Otranto, in Italia, dopo essersi annesso anche l'Albania nel 1471 ed essere già entrato in conflitto con i vari possedimenti della repubblica di Venezia; lo stesso anno cercò di far capitolare una prima volta la base dei cavalieri ospitalieri (che erano divenuti un importante braccio armato della religione cristiana), l'isola di Rodi, dai quali essi prendevano il nome (cavalieri di Rodi), senza tuttavia riuscirvi. Il sultano allora si spostò nel Vicino Oriente, conquistandolo; abbatté inoltre il sultanato mamelucco de Il Cairo, annettendosi quindi pure l'Egitto e la Siria.
Il sultano vigente, Solimano il Magnifico, prima di dirigere le sue mire espansionistiche verso l'Africa occidentale, assediò nuovamente l'isola di Rodi, nel 1522, e stavolta i cavalieri non riuscirono a respingere l'attacco. Solimano, avendoli sconfitti, permise a coloro che erano sopravvissuti di recarsi nel regno di Sicilia (che però era già sotto il diretto controllo della Spagna).
Nel frattempo, la Francia, che era in aspra guerra contro la Spagna e si sentiva minacciata dai confini del Sacro Romano impero germanico, decise di legarsi al potere ottomano e, nel 1525, il suo re Francesco I stipulò con la Sublime Porta il trattato che sarebbe passato alla storia con il nome di «Empia alleanza» (poiché una nazione cristiana e cattolica metteva le proprie forze a disposizione dei conquistatori musulmani, che cercavano di penetrare stabilmente in Europa).
A questo punto, l'imperatore di Spagna, Carlo V, non poté più ignorare la crescente minaccia dei Turchi e decise quindi di partecipare attivamente - insieme agli Asburgo, suoi consanguinei, che già combattevano i Turchi nel nord Europa - alla guerra contro lo strapotere ottomano nel mediterraneo.
Il coinvolgimento della Sicilia
È in questo contesto - guerre ottomano-asburgiche - che si sviluppa la storia siracusana del Cinquecento: Siracusa, che nella precedente conquista araba fu una delle ultime e più agguerrite città cristiane della Sicilia a cadere sotto il completo dominio islamico (nelle ultime ore dell'assedio si arrivò a combattere a mani nude), si trovava in un punto strategico ed esposto alla minaccia della nuova guerra; fu per questo motivo che la città stessa, le sue terre e i paesi che la circondavano, vennero ripetutamente coinvolti nel difficile conflitto.
La Spagna aveva dato alla Sicilia un ruolo molto importante, per la difesa del potere della sua monarchia in Europa, e ciò emerge maggiormente nella guerra intrapresa contro il sultanato turco:
«L'isola di Sicilia divenne, dalla sua incorporazione alla Corona d'Aragona, un enclave fondamentale per la stretegia difensiva del Mediterraneo [...] per la sua situazione di fronte al pericolo turco nel Mediterraneo, il regno di Sicilia è stato denominato persino con diversi termini, con i quali si è manifestata la sua importanza geostrategica, come: «fortezza», «antemurale», «frontiera della Cristianità» e «baluardo».»
Carlo V chiamò a raccolta un'ingente quantità di forze belliche nelle spedizioni che egli, alle volte anche di persona, compì contro gli invasori della Sublime Porta. E i siracusani furono presenti, con uomini e navi giunti dalla loro città, sia quando l'imperatore spagnolo guidò la spedizione vittoriosa contro Tunisi (1535) e sia in quelle dove si perse: contro Algeri (1551) e Gerba - il cui obiettivo iniziale fu Tripoli, governata dal pirata Dragut - (1560), durante la quale la città fu la principale base spagnola di partenza e approdo, nella quale confluivano uomini e mezzi.
A queste battaglie parteciparono comandanti del calibro di Ferrante I Gonzaga (che in qualità di vicerè di Sicilia si occupò in special modo delle fortificazioni aretusee; definite come le più esposte al pericolo[23]), Hernán Cortés (il conquistatore dell'impero azteca, la cui unica discendente diretta divenne feudataria delle terre siracusane[N 4]) e Andrea Doria (l'ammiraglio patriota genovese che, al servizio della Spagna, difese più volte la città di Siracusa dalla flotta ottomana[27]).
La città e le prime fasi della guerra: la nascita dell'ordine dei cavalieri di Malta
Nell'estate del 1528, un anno prima che facessero il loro ingresso in città i superstiti cavalieri di Rodi, Siracusa aveva subito un'irruenta incursione dei Turchi, i quali erano riusciti a sbarcare presso Stentino (nella cui area sorgono i resti dell'omonimo sito archeologico), giungendo alle spalle dell'abitato e devastando gli antichi quartieri che in epoca greca furono popolati: Tiche e Neapolis (qui misero a sacco e diedero fuoco a una delle più vetuste chiese siracusane: la chiesa di San Giovanni alle catacombe, che custodiva un tempo le relique di Marciano di Siracusa, considerato il «primo vescovo dell'Occidente»[28]). Tuttavia non si spinsero fino al centro della città, Ortigia, dove si trovavano gli abitanti.[29]
Messi in allarme, i siracusani, la cui città in quegli anni apparteneva ancora al controllo della regina Germana, mandarono dei propri rappresentanti direttamente dall'imperatore Carlo V, a Madrid, il 10 luglio 1528, per informarlo della grave situazione in cui versavano le fortificazioni aretusee.
Alla corte madrilena incontrarono il loro concittadino Claudio Mario Arezzo, che, divenuto «chronista et creado de Vostra Maestà Cesarea»[30] (ad egli si dovrà, nel 1530, la prima descrizione geografica della Spagna[31]), viveva tra le mura reali, e quindi a lui si affidarono i siracusani per perorare la causa della difesa della città davanti al sovrano spagnolo. Ciononostante, bisognerà attendere ancora diversi decenni affinché la città riceva le effettive e sufficienti difese di cui sente la necessità (le quali la porteranno a divenire, forse suo malgrado,[32] l'«inespugnabile fortezza» di Sicilia[33]).
I cavalieri dell'Ordine gerosolimitano approdarono con le loro navi nel porto di Siracusa il 7 ottobre del 1529, di giovedì,[34] dopo essersi fermati per qualche tempo nella confinante Augusta (vi erano giunti il 15 settembre) e dopo aver peregrinato in diversi luoghi del Mediterraneo in cerca di una nuova sede sicura.[N 5]
L'armata che approdò era composta da 12 galee, ornate di nero in segno di lutto, a causa della sconfitta. Sulla nave ammiraglia, capitanata dal Gran Maestro Philippe de Villiers de L'Isle-Adam, sventolava la bandiera con l'immagine della Pietà (Maria Addolorata porta sulle ginocchia il figlio morto), attorniata dal motto (in riferimento a Maria)[36]:
«Nella mia sventura, Tu sei la mia unica speranza»
Sul molo si radunò la popolazione e i suoi rappresentanti (politici e religiosi). I cavalieri vennero accolti benevolmente.[37] Ai siracusani erano infatti note le gesta dei cavalieri di Rodi; essi inoltre erano presenti in città, con chiese e immobili di loro appartanenza, fin dal XIII secolo.[38]
Carlo V separa Siracusa dalla terraferma (1552)
La spia ottomana all'interno di Siracusa (1562)
La città durante l'assedio turco di Malta (1565)
Lo sbarco dell'imponente flotta ottomana nella spiaggia aretusea (1574)
La guerra franco-spagnola
La rivolta di Messina e i tentativi di conquista da parte dei francesi
I francesi provano a conquistare Siracusa, volendola sottrarre alla Spagna (anno 1674):
I francesi avevano la propria base nella piazzaforte di Augusta.
La guerra di successione spagnola (1700)
Il trattato di Utrecht
La Spagna contro la Quadruplice Alleanza (1718)
Savoia: il vicerè Maffei e il ruolo di piazzaforte piemontese
Le acque controllate dagli inglesi e l'arrivo delle truppe d'Austria
Il 16 agosto 1718 il capitano di vascello G. Walton, dalla sua nave posta a largo di Siracusa, scrive all'ammiraglio Byng un importante e corto messaggio che diviene celebre nella storia marinara dell'Inghilterra:
«Signore [Byng] - Abbiamo preso e distrutto tutte le navi Spagnole che erano sulla costa; il numero come da margine. Io sono, &c., G. Walton. Canterbury [la nave] al largo di Siracusa, 16 Agosto 1718.»
G. Walton ha appena dato a Byng la notizia dell'annientamento delle ultime navi spagnole sopravvissute alla battaglia dell'11 agosto, svolatasi tra Siracusa e Capo Passero. La Spagna non sarà più in grado, dopo di ciò, di mandare altre navi da guerra in soccorso alle sue truppe da terra, poichè gli inglesi, da quel momento in avanti, controlleranno meticolosamente tutte le acque siciliane.
(segue la risposta di Byng (dalla sua Barfleur, off Syracuse) che gira il messaggio di Walton al segretario Creggs; al Lord Stair ha già scritto il 15 agosto, quando si trovava vicino Reggio)
(il 23 agosto è il re Giorgio d'Inghilterra a scrivere a Byng e a felicitarsi con lui per la battaglia navale in questione; suo portavoce è Creggs. Sempre il 23 agosto Byng lascia momentaneamente Siracusa e si dirige a Reggio, dove arriverà il 26 agosto per prendere accordi con il generale austriaco Wetzell).
Il compromesso tra Spagna e Inghilterra
La nascita del Regno borbonico napoletano (1735)
Conseguenze
(ricordarsi di analizare il contesto che durante l'età borbonica napoletana, e italiana dopo, portò al declino del porto siracusano (così importante invece durante l'epoca spagnola), ricordarsi inoltre di inserire testuali parole di Nino Bixio sulla sua visita a Siracusa dopo la conquista garibaldina: egli trovò il porto siracusano in stato di abbandono e a chi pretendeva di dare inmportanza all'approdo marittimo catanese (a discapito di quello siracusano), così egli rispose: "Catania non sarà mai un porto senza spendere perseveranetemente molto, ma molto denaro" (ed evidentemente lo spenderanno).
Aggiungere inoltre quanto Bixio lasciò scritto sul porto aretuseo e sulla sua declassificazione post-spagnola:
"''Siracusa è un sorprendente porto, stupendamente trascurato - Se un bel giorno Iddiio (Dio) s'immischia nelle cose nostre, il meno che possa fare è di cacciarci lungi dalle coste marittime e dai nostri più bei porti collo staffile (con una sferza): - via dal mare chi non l'usa!" (Nino Bixio, 1870)
Calamità naturali
I due terremoti: 1542 e 1693
La vita della città-fortezza
All'interno delle mura
«A Siracusa affiorò, in maniera significativa, l'opposizione tra due concezioni della fortificazione; tra la ragione bellica del Gonzaga e l'aspirazione alla sicurezza di una comunità di cittadini [che si sentivano tali].»
La città e l'economia durante lo stato di guerra
Siracusa: i pirati e gli schiavi
Premesso che la città ebbe da rapportarsi con la pirateria fin dalle epoche storiche più antiche mediterranee, fu proprio sotto l'egemonia spagnola che i suoi contatti con il mondo dei corsari si intensificarono.
Siracusa fu meta di approdo dei primi e più influenti pirati occidentali, che ne solcarono le acque e ne batterono le vie durante l'epoca medievale. Fu città ben nota alla repubblica marinara di Genova e ai suoi pirati, che la conquistarono e ne vollero reggere il governo feudale (combattendo nel porto aretuseo, per ottenerla, contro Pisani e Veneziani); è questo il periodo in cui Siracusa viene governata direttamente da un pirata genovese, Alemanno Costa, che si dichiara suo Signore «per la grazia di Dio e della repubblica di Genova»[39] (sarà infine Federico II di Svevia a riportare la città sotto il potere demaniale degli Hohenstaufen).[N 6] E furono siracusani coloro che, per volere del re spagnolo Alfonso V d'Aragona, mandarono le proprie navi pirata a intralciare i traffici orientali dei Veneziani, attirandosi così le ire della Serenissima, la quale fece giungere la sua flotta nel porto siciliano; covo di pirati, ma saldamente difeso dagli Spagnoli.[N 7]
Questa città fu inoltre uno dei bersagli ambiti della pirateria della Sublime Porta e delle coste africane: tra i tentativi di conquista, si segnala lo sbarco - più volte ripetuto ma invano - dell'imponente flotta ottomana presso il lido aretuseo di Fontane Bianche, all'indomani della significativa battaglia di Lepanto.[41] Appaiono, infatti, numerose le testimonianze sullo stretto legame che esisteva tra la Siracusa pre-sapgnola, e poi con quella prettamente spagnola, durante l'epoca storica dei pirati nel mar Mediterraneo.
Gli assalti dei pirati
Siracusa, per via della sua posizione, costiera e strategica, ha attirato in essa un gran numero di personalità che praticavano alacremente il mestiere del pirata e, più in generale, del corsaro. Uno degli episodi di pirtateria più efferrati e noti nella storia della città si verificò già sotto i Normanni, con il coinvolgimento della penisola iberica:
Nel 1127 Ruggero II di Sicilia - colui che ripristinerà il trono siciliano dichiarandosi erede dei re Siracusani[N 11] - si recò in Africa con 40 navi per compiere scorrerie contro i domini dei musulmani (è questo l'anno della conquista dell'isola di Malta da parte del Normanno[48]); essi allora, per vendicarsi, armarono a loro volta 80 navi e le spedirono nei siti siciliani di Patti (nel messinese) e Siracusa. Narrano le fonti cristiane, come Guglielmo I arcivescovo di Tiro, che il capitano dei pirati era un musulmano di Spagna, ovvero un almorávide, di nome Gaitus Maymonus, il quale assalì con la sua squadra i siracusani in data 17 luglio 1127. Niente fu risparmiato: dopo aver distrutto le case, appiccato gli incendi, i pirati catturarono uomini e donne e li portarono con sé.[49] Aggiunge lo storico Ottavio Gaetani, in Vitae Sanctorum Siculorum, che i pirati - che egli specifica essere «pirati di Spagna»[50] - in quell'occasione a Siracusa non lasciarono intatte altro che le mura, depredando tutto il resto.[51]
L'offensiva piratesca giunta da Al-Andalus ai danni dei siracusani causò due reazioni nel regno di Sicilia: a breve termine l'alleanza di Ruggero con il conte Raimondo Berengario III di Barcellona, quindi l'impegno siciliano nella Reconquista della Spagna cristiana,[52] e a lungo termine la partecipazione dei siciliani alle crociate in atto; essi si unirono alla seconda di tali spedizioni, che risultò essere la più imponente.[53]
Ma Siracusa fu anche aiutata dai pirati; in base alle esigenze politiche del momento: quando il papato, supportato dagli Angiò, e i primi re aragonesi si contendevano la Sicilia, Siracusa subì un nuovo assedio, e nel 1298 la città rischiava il cedimento a causa della fame imposta dal blocco dei belligeranti, allora venne in suo soccorso Roger de Flor, famoso per essere il pirata capitano degli Almogàver (temibili soldati saraceni al servizio della Corona d'Aragona). Roger de Flor assaltò una delle navi francesi poste al servizio del principe Carlo di Valois, piena di viveri (soprattutto piena di farina[54]), e da Catania la dirittò nel porto di Siracusa, sfamando così la popolazione assediata e permettendo alla città di rimanere in mani aragonesi. Il pirata de Flor rimase un anno nella città aretusea, organizzando da qui navi e spedizioni piratesche per i suoi equipaggi.[55]
Altro aiuto dei pirati per Siracusa si verificò diversi secoli più avanti (XVII secolo), quando furono le navi corsare spagnole - e non quelle della regia marina spagnola - ad assaltare e a far così allontanare le navi della regia marina francese che cercavano di penetrare nella città-fortezza di Filippo II.
Sede di navi pirata e mercati di schiavi
I siracusani, tuttavia, non subirono solamente la guerra da corsa e la pirateria; essi stessi la praticarono pure. Nel 1300 aragonese Siracusa aveva la fama di essere, insieme a Messina, la principale base dei pirati siciliani, i quali facevano scorrerie dall'Adriatico all'Egeo.[56] E se è pur vero che in quegli anni in città si costruivano navi veloci - dette saettie - per dare la caccia ai pirati, e si faceva altresì divieto di armare le navi pirata a disposizione nel porto,[N 12] è vero anche che nel 1500 Siracusa, per via degli Spagnoli, era ormai diventata, con Augusta, uno dei punti di riferimento europei per il commercio degli schiavi, catturati durante le missioni corsare. Ed erano Spagnoli di Siracusa, i Catalani della città, insieme agli Arabi che commerciavano con Trapani, i più influenti trafficanti di schiavi nel Mediterraneo: si sostiene infatti che proprio dai mercati della Sicilia giunsero nel «Nuovo mondo» i primi schiavi africani; probabilmente sbarcati per la prima volta nella spagnola Haiti (Hispaniola).[57]
Le coste siracusane e i pirati turchi e barbareschi
«In Europa, di fronte alla semplice menzione del nome di Barbarossa, gli uomini proferivano giuramenti, e le donne si facevano il segno della croce.»
Ciononostante, dal 1500 in avanti, il territorio subì, come il resto della Sicilia e di molte altre coste mediterranee, l'assalto continuo e destabilizzante della pirateria della Sublime Porta: i corsari Turchi, o semplicemente corsari barbareschi (di religione musulmana ma non appartenenti al governo della Sublime Porta), il cui scopo era quello di portare nei mercati dell'impero ottomano, e nei mercati delle principali città islamiche, gli schiavi cristiani europei. Algeri, Tripoli, Tunisi erano i mercati più importanti dove venivano venduti i siciliani che cadevano preda dei pirati musulmani.[N 13]
A causa della feroce espansione di questa attività, molte località costiere vennero abbandonate. Nel siracusano ci furono gravi e ripetute incursioni, soprattutto contro la vicina Augusta (importante base militare)[61] e i villaggi a sud del territorio (tra Ognina e Capo Passero), mentre era diventato molto difficile arrivare a toccare Siracusa, poiché, proprio a causa del crescente e pericoloso potere ottomano, era stata meglio fortificata e difesa con maggiori forze dagli Spagnoli.
E dato che le acque aretusee erano trafficate, spesso era nei dintorni di questo capoluogo che si potevano incrociare navi corsare barbaresche e ottomane, e gli equipaggi delle navi mercantili, provenienti da più parti del Mediterraneo, finivano in schiavitù. Ciò era inoltre dovuto al fatto che Siracusa era parecchio vicina all'isola di Malta, divenuta dal 1530 sede dei cavalieri cristiani gerosolimitani, che erano nemici giurati dell'impero ottomano e dei suoi stati vassalli, per cui tutta la zona del siracusano si trovò particolarmente esposta al pericolo degli invasori durante le lunghe guerre ottomano-asburgiche (non va tra l'altro dimenticato che i cavalieri, dopo aver perso Rodi e prima di approdare a Malta, avevano chiesto a Carlo V che fosse loro concessa come sede dell'Ordine la città di Siracusa e il suo porto; richiesta infine rifiutata dal sovrano di Spagna[62]).
Alla vista delle navi pirata, gli abitanti della città avevano preso l'abitudine di suonare le campane, per rovinare l'effetto sorpresa al nemico, che era prerogativa degli attacchi di questi pirati (fu così che si salvarono dall'attacco di Sinan Pascià nel 1594).[63] I nomi dei più grandi e crudeli di loro, che segnarono quei decenni travagliati, come Barbarossa (Khayr al-Dīn),[64] il suo erede Dragut (Torgut Reis), il giannizzero Sinan Pascià (Scipione Cicala), Pialì Pascià, erano con frequenza ripetuti nel siracusano, e tutti essi diedero il tormento alla popolazione, senza tuttavia riuscire a penetrare nelle mura del centro aretuseo (riuscirono però a lambirne i confini terrestri, invadendo il quartiere Tiche nel 1528[65]) e creare devastazione, come successe invece ai tempi del dominio musulmano e post-musulmano sulla Sicilia, quando i cittadini siracusani furono, tutti o in gran parte, schiavizzati (tratta araba degli schiavi).
Ad ogni modo, nonostante gli sforzi comuni dell'Europa, e in particolar modo della Spagna per quanto riguarda la Sicilia, bisognerà attendere l'inizio del XIX secolo e le guerre barbaresche (combattute soprattutto dai neonati Stati Uniti d'America) per stroncare definitivamente la pirateria e la schiavizzazione dei cristiani nel Mediterraneo.
Famiglie d'origine spagnola nel siracusano
Gli Spagnoli e la cucina siracusana
Pomodori e cioccolato
Navi dell'epoca spagnola rinvenute nei fondali siracusani
Contatti precedenti tra le due culture
Avvenimenti storici
Ha scritto il noto storico britannico Norman Davies sul ruolo chiave che ebbe lo spagnolo Merico nel far capitolare la polis aretusea:
La reazione della monarchia di Spagna
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Appunti:
Il nome di Siracusa con gli spagnoli: Çaragoça de Sicilia (Zaragosa); "de Sicilia" per distinguerla da Zaragoza della Spagna (Saragozza).
Per la ricerca di altri doc. in lingua: varianti del nome sotto influenza spagnola: Caragoça (con la C iniziale e non la Ç); Saragosa; Zaragoza (con la Z finale invece della S); Saragossa (più raro e edito quasi esclusivamente in doc. italiani).
Nel cinquecento si conosceva, e quindi era già in uso, il nome dialettale odierno della città: Sarausa (con ogni probabilità modellato dai locali proprio sulla fonetica adoperata dagli Spagnoli, dai quali si sentivano chiamare sempre come gli abitanti della città aragonese: caragocanos e zaragozanos; dall'originale nome di Zaragoza: ovvero Caesar Augusta, poi Caesaraugusta, quindi Saraqusta; da lì in poi le due città hanno mescolato la propria etimologia, influenzandosi a vicenda).
Citazione sul culmine del potere spagnolo:
«L'ambizione degli spagnoli, che li ha fatto accumulare tante terre e mari, li fa pensare che nulla sia per loro inaccessibile»
nota: ricordarsi di approfondire la vicenda sui "siculos españoles" (o Españoles Siculos) dell'epoca greca (vicenda che probabilmente ha a che vedere con il mito cinquecentesco del Siculo originario di Spagna)
Appunto importante:
Gli Spagnoli a Siracusa per riconquistare i territori perduti nel 1713 (per fare ciò disubbidiscono al trattato di Utrecht). Tempo dell'azione: agosto 1718. Tempo della cronaca: 1725 (molto vicino alla data della battaglia):
«Gli Inglesi, per riprendersi dai danni subiti, stettero quattro giorni in mare, distanti cinquanta miglia[dalla costa]; dopo, furiosi, entrarono a Siracusa con a seguito le navi (spagnole), ormai arrese, nei giorni 16 e 17 di agosto. Questa è la sconfitta dell'Armada Española, volontariamente flagellata nel Golfo di Araich,[N 15] [nel] Canale di Malta, dove soffrì un combattimento senza linea, né assetto militare. Gl Inglesi poterono attaccare le navi spagnole a loro piacimento, poiché esse erano divise. Non fu una battaglia, bensì un combattimento disordinato, che fa risaltare in maggior maniera la criticabile condotta degli Spagnoli, anche se questi dimostrarono un indubbio valore, più degli Inglesi, i quali mai vollero abbordare; nonostante le occasioni offerte dagli Spagnoli.»
(aggiungere in seguito i nomi delle navi spagnole che rimasero al porto siracusano sotto il controllo inglese)
Altra testimonianza sull'arrivo di Bing e Antonio de Gastaneta (rispettivamente ammiraglio della flotta inglese e comandante dell'armata spagnola) al porto aretuseo:
«[...] e il vincitore, appena riuscì a riparare i propri danni [alle navi], andò ad ostentare nel porto di Siracusa le [navi spagnole] prese, frutto vergognoso della sua perfidia.»
Nota: generale, ufficiali e marinai dell'Aramata Spagnola vengono fatti prigionieri dagli Inglesi e trasferiti ad Augusta.
Conseguenza (capitolo finale):
A seguito di questa battaglia, si forma la Quadruplice alleanza: Inghilterra, Francia, Austria e Paesi Bassi dichiarano guerra alla Spagna. Questa, per rimprendersi la Sicilia, deve rimanere in armi dall'Europa all'America, fino alle Indie Orientali: cede nel 1720, con la firma del trattato dell'Aia, nel quale dichiara di rinunicare definitivamente all'isola:
Nota: nel mese di luglio 1718 (prima della sconfitta spagnola), a Siracusa viene fucilato, previo processo militare, il capitano piemontese Carlo Marelli (arrivò in città su una nave degli Inglesi), colpevole di essersi arreso, con la sua guarnigione, il 12 luglio nella Sicilia occidentale, consegnandosi agli Spagnoli.
Nota2: 1720: Quando dalle navi inglesi, ormeggiate nel porto aretuseo, arriva la notizia che la Spagna ha rinunciato alla Sicilia, che passa così di fatto agli Alemanni (Tedeschi-Austriaci), si sparge il malumore a Siracusa (piazzaforte piemontese e austriaca, ma che continua a rimanere filo-spagnola).
Ultima azione degli Spagnoli a Siracusa:
Dopo decenni di apparente calma (dopo il 1720 il re spagnolo non ha tentato altri approcci in Sicilia), la Spagna ritorna a far parlare di sé attaccando nuovamente gli Austriaci nelle città siciliane. Siracusa è teatro di battaglia tra Spagnoli e Alemmani per ben due volte: il 15 ottobre 1734 (con vittoria spagnola) e poi assedio del maggio 1735: gli Austriaci evacuano la popolazione della città con le navi (abitanti esiliati presso la penisola della Maddalena e nei paesi vicini). Le cannonate con gli Spagnoli danneggiano l'assetto urbano. Gli Austriaci si arrendono il 1 giugno 1735. Gli Spagnoli scortano i Siracusani all'interno della loro città, che passa ai Borbone.
(ma dopo tale azione l'influenza spagnola diminuisce, fino quasi a sparire del tutto, lasciando spazio al potere territoriale degli Italiani continentali: inizio del governo napoletano sulla Sicilia).
Altri appunti:
A fine voce ricordarsi di approfondire il seguente tema: relazioni dirette tra le due culture prima dell'egemonia spagnola:
- Ritrovamento di monete antiche siracusane nei siti archeologici di antiche città spagnole.
- Ingenti quantità di soldati Iberici al servizio dei tiranni di Siracusa.
- L'impatto decisivo di Merico spagnolo durante l'assedio romano della polis.
Fine appunti
Note
- Note esplicative
- ^ Egli nel 1513 era il canonico di Valencia, e da allora venne appellato dai Catalani come «bisbe de Çaragoça de Sicilia», ovvero vescovo di Siracusa. Vd. José Mª Castillo del Carpio, La Generalitat valenciana durante el siglo XVI: Su estructura burocrática , 2013, p. 172.
- ^ Dopo la morte del vescovo Dalamu (Dalmazio), avvenuta nel 1511, Almerigo Centelles prese possesso anche del vescovado siracusano, cosicché fece dare il posto vacante a suo fratello Ramón, religioso di Spagna. Ma questi non poté incominciare mai l'incarico datogli dla fratello, poiché giunto a Palermo, nel 1516 - dove si era inizialmente recato per volere della corte iberica -, morì durante il viaggio che lo avrebbe dovuto condurre a Siracusa. Il posto da vescovo della città rimarrà vacante fino al 1518.
- ^ La regina Giovanna, da Bruxelles, aveva affidato a Ramón Centelles, già investito della carica religiosa siracusana, il compito di studiare l'origine della rivolta siciliana e di tranquillizzare i ribelli, convincendoli che non appena il nuovo re fosse giunto in Spagna ci sarebbero stati importanti risvolti per loro; ciò doveva comunque avvenire nella massima prudenza e riservatezza. Dopo tre mesi (data in cui probabilmente egli partì per il suo fatale viaggio verso Siracusa) venne sostituito dal nuovo re con due ambasciatori Catalani, che rimasero al suo posto a Palermo.[9]
- ^ La figura di Hernán Cortés è oggetto di numerosi aneddoti che lo legano agli antichi popoli del Messico (Maya e Aztechi), chiamato dai Conquistadores la "Nueva España"; Cortés ebbe numerosi figli, ma illegittimi, per cui tutta la sua eredità si concentrò su un'unica figura: la sua sola nipote, Stefania Cortés, marchesa delle valli messicane, che nel 1648 andò in sposa al siciliano Diego d'Aragona Pignatelli Tagliavia. Costui era il IV° marchese di Avola e discendeva da una nobile famiglia di Siracusa che ebbe importanti e diversi ruoli nel Val di Noto (essi si dicevano discendenti di un figlio illegittimo del re Federico III d'Aragona).[24] Unitisi ad altre famiglie dell'isola, vennero in seguito infeudatati di molte terre, tra le quali anche terre palermitane; trasferitisi quindi nella Sicilia occidentale, fu qui che i messicani indipendentisti (anti-hispanos) inviarono i resti monumentali del mausoleo di Hernán Cortés, per farlo recapitare ai discendenti della sua unica erede, facendo credere inoltre nella loro terra, in Messico, di aver inviato ai Cortés siciliani anche i resti mortali del Conquistador, calmando così l'ira degli anti-hispanos.[25] Tra l'altro, i Cortés di Avola furono tra coloro che tentarono di aiutare la Spagna nella riconquista delle terre siracusane durante la guerra causata dal trattato di Utrecht.[26]
- ^ Dopo che il sultano Solimano li sconfisse a Rodi, i cavalieri si rifugiarono dapprima a Candia e poi a Messina, in seguito lasciarono la città dello Stretto e cercarono rifugio a Napoli; lasciata anche la città partenopea approdarono a Civitavecchia, da qui si diressero - sempre in cerca di un luogo definitivo dove stare - a Viterbo; ancora non appagati nella loro ricerca, navigarono verso Corneto e, successivamente, verso Nizza. Infine, giunti all'anno 1529, ritornarono in Sicilia e si acquartierarono in un primo momento nel porto di Augusta e infine approdarono nella città di Siracusa.[35]
- ^ Genova attaccò Siracusa proprio a causa di una promessa fattale dal padre di Federico II, Federico I Hohenstaufen (meglio noto come Federico Barbarossa), che aveva assicurato ai Genovesi che se questi lo avessero condotto sano e salvo fino in Sicilia, lui per ricompensarli avrebbe donato loro la città di Siracusa (all'epoca contea dei Normanni): stesso genere di promessa fece suo figlio, Enrico VI di Svevia (fratello di Federico II), il quale in cambio dell'aiuto dei Genovesi per la conquista del trono di Sicilia, assicurava loro il possesso di Siracusa. Ma, una volta ottenuti i loro scopi, né Federico di Hohenstaufen né suo figlio vollero adempiere alla promessa fatta, e i Genovesi quindi si presero la città aretusea con le armi e con atti di pirateria: «Ma Siracusa era stata solennemente promessa a Genova tanto da Federico Barbarossa quanto da Enrico VI e la Repubblica non aveva mai rinunciato al suo diritto.»
- ^ L'ostilità tra Siracusa e Venezia aveva origine in Spagna, infatti il re Alfonso e il doge veneziano si contendevano i domini nell'Italia settentrionale, ed essendo Siracusa una solida piazzaforte spagnola, essa veniva coinvolta nelle lotte degli Spagnoli contro gli italiani del Nord. Il doge, per vendicarsi delle continue scorrerie piratesche di siracusani e messinesi (Alfonso era famoso per armare navi pirata sotto la sua protezione; dunque corsari), mandò contro queste due città la sua flotta, con l'intento di porre un freno alla pirateria spagnola che era diretta esattamente contro di lui. Nel porto di Siracusa - nel quale riuscì a penetrare rompendo la barriera di legno - dopo che i suoi soldati ebbero versato molto sangue in una battaglia contro con le forze armate spagnole e siracusane - nel quale i veneziani stavano avendo la peggio - venne presa la decisione di bruciare le navi reali di Alfonso: approfittando del trambusto generale, i Veneziani diedero fuoco ai legni regi con carichi di paglia; è però dibattuto il fatto se una delle due navi si fosse riuscita o meno a salvare da quell'incendio notturno.[40]
- ^ Sia Ruggero II (nome originale Roger II de Hauteville) che Roger de Flor (nome italianizzato in Ruggero di Fiore) furono dei templari medievali e secondo alcune ipotesi storiche contemporanee - poiché sulle origini della bandiera pirata in verità non vi è alcuna certezza - risalirebbe a uno dei due la nascita della celebre bandiera nera con il simbolo piratesco: per quanto riguarda Ruggero II di Sicilia, pare che egli, per il suo carattere generoso e allegro, fosse soprannominato «L'Allegro Ruggero»[43] (o «Ruggero il Gaio»[44]), per cui chi avvistava la sua bandiera, riferendosi al carattere di chi le comandava, la dichiarava «bandiera di Jolly Roger» (in inglese Jolly significa Gioiviale). Il teschio e le tibie incrociate sono due antichi simboli templari che indicano «pericolo»,[45] Ruggero le avrebbe adottate poiché ebbe - e ciò è storicamente accertato - da combattere con la sua flotta una lunga e complessa guerra, poiché egli, contro il volere papale e di gran parte dell'Europa, s'incoronò, tramite l'antipapa, re di Sicilia, dichiarandosi «incoronato da Cristo»,[46] e intraprese guerre di conquista nel Mediterraneo.[47]
- ^ A Ruggero II è inoltre attribuita la fondazione di un'importante scuola di navigazione e un trattato sulla navigazione in lingua araba chiamato «Al Rojari» (David Hatcher Childress, 2010, p. 59). (spagnolo)«Sus navíos de saque hacían ondear banderas pintadas con el antiguo craneo templaro y un motivo de tibias cruzadas, el simbolo alquímico de los primeros caballeros que se terminó apodando Jolly Roger a partir de Rogelio II, un rey templario de Sicilia. Desde aqyel tiempo en adelante, el Jolly Roger se convertió en el simbolo de los piratss del mundo entero.»(italiano)
«Le sue navi da saccheggio facevano ondeggiare bandiere pitturate con l'antico cranio templaree un motivo di tibie incrociate, il simbolo alchimistico dei primi cavalieri, che terminò per appellarsi Jolly Roger, a partire da Ruggero II, un re templare di Sicilia. Da quel momento in avanti, il Jolly Roger si convertì nel simbolo dei pirati del mondo intero.» - ^ Roger de Flor (madre italiana e pradre tedesco: von Blum, che significa Fiore), oltre che cavaliere vicinissimo all'Ordine dei templari (e quindi conoscitore dei simboli templari come teschio e tibie incrociate) era anche un pirata dichiarato: molto potente; secondo alcuni studiosi né il papa né il re di Francia avrebbero osato attaccare i cavalieri templari fino a quando questi fossero stati sotto la protezione del pirata Roger. Vd. Karen Ralls, I Templari e il Graal, 2004, p. 41.
- ^ Il titolo di re a Ruggero venne stabilito nel parlamento di Salerno (nel 1129), dove si dava al Normanno la facoltà di porsi il diadema sul capo, proprio in virtù degli antichi re che governarono la Sicilia. Qui però avvenne una contraddizione tutta a danno di Siracusa: nell'incontro di Salerno, infatti, si fecero pressioni affinché la capitale di questo ripristinato regno divenisse Palermo, facendo passare i suoi emiri arabi, che la governarono durante l'epoca islamica dell'isola, per i più antichi re di Sicilia; occultando gravemente il fatto che essi, in realtà, provenissero tutti da Siracusa: furono difatti i tiranni siracusani i primi a detenere il massimo potere su tutte le terre siciliane e fu Agatocle il vero primo re di Sicilia (il quale si pose il diadema sul capo nel 307 a.C., così come fecero i diadochi di Alessandro Magno). Per questo motivo, gli storici, non sono concordi nel riconoscere a Ruggero II la piena eredità del trono siracusano, additando, piuttosto, la risoluazione di Salerno come il frutto delle tante terre che il Normanno aveva conquistato e che necessitavano quindi di essere governate da qualcuno che avesse un titolo superiore a quello di «duca» e «conte». Cfr. Cenno istorico politico sulla Sicilia, Napoli, 1848, pp 26-28.
- ^ Poiché le pratiche piratesche dei siracusani stavano allontanando i mercanti forestieri, con grave danno per l'economia cittadina. Cfr. Società Siracusana di Storia Patria, Archivio storico siracusano, vol. 9, 1963, p. 26.
- ^ Gli schiavi europei catturati via mare - per la maggior parte siciliani, italiani e spagnoli - venivano privati della loro identità sociale: per i musulmani non contava che la persona presa fosse ricca o povera; erano trattati tutti nella stessa maniera, ovvero senza alcun riguardo, la qual cosa appariva sconcertante agli occhi della nobiltà europea. Essi venivano tutti quanti denudati, esposti al mercato, fatti sfilare e infine venduti. La nudità pubblica fu un altro fattore di cocente indignazione per gli europei; l'imbarazzo per tale pratica raggiunse livelli tali che ad un certo punto, nelle cronache occidentali dell'epoca, emergeva maggiormente la preoccupazione per il pudore calpestato anziché la terrificante prospettiva di finire i propri giorni in catene (si riuscirà più avanti a proibire la denudazione dell'europeo nei mercati pubblici, ma continuerà in privato). Lo schiavo cristiano, se uomo, con molta probabilità finiva nelle file dei rematori forzati (al contrario dei buonavoglia, che erano invece rematori consenzienti e pagati), mentre se era donna essa veniva destinata agli harem. I bambini invece venivano convertiti all'islam e spediti da adulti contro i nemici dell'impero (i cosiddetti giannizzeri), ovvero contro la stessa Europa. Nacquero molte associazioni cristiane per liberare gli europei, e si prese l'abitudine di catturare schiavi turchi e berberi per riscattare quelli cristiani.[58]
- ^ Nella pagina in questione è trattata la vicenda e il ruolo dello spagnolo Merico (colui che aprì le porte di Siracusa ai Romani) e, più in generale, il ruolo degli antichi Iberici (nel libro chiamati già Spagnoli) all'interno della polis di Siracusa (epoca greca).
- ^ In diverse cronache spagnole del tempo, non compare il nome di Capo Passero e delle acque siracusane e maltesi, ma compare invece il nome del golfo di Araich, specificando che esso si trovasse nel Canale di Malta.
- Riferimenti
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- ^ Enzo Boschi, Franco Bordieri, Terremoti d'Italia: il rischio sismico, l'allarme degli scienziati, l'indifferenza del potere, 1998, p. 77; Erasmo D'Angelis, Ripariamo l'Italia: storia di terremoti e terremotati. Vittime e danni. Colpe e colpevoli. Come possiamo difenderci?, 2018, cap. 5, Seicento.
- ^ Serafino Privitera, Storia di Siracusa, vol. II, pp. 145, 150.
- ^ Salvatore Andrea Galizia, Università degli studi di Catania, Territorio, economia e popolazione nella Sicilia d'età moderna (1571-1577), 2009-2012, p. 179.
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- ^ Francisca Hernández-León de Sánchez, Doña María de Castilla, esposa de Alfonso V el Magnánimo, 1959, p. 71.
- ^ Prudencio de Sandoval, Historia de la vida y hechos del Emperador Carlos V, p. 50, 1634.
- ^ Carmelo Trasselli, Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V: l'esperienza siciliana, 1475-1525, 1982, p. 422.
- ^ Cfr. Cancilleria de Ferdando II, Itinerum Sigilli Segreti, 3678, ff. 158 r.160v. cit. in La Sicilia di Ferdinando il Cattolico: tradizioni politiche e conflitto tra Quattrocento e Cinquecento (1468-1523) (Simona Giurato), 2003, pp. 298-299.
- ^ Prudencio de Sandoval, Historia de la vida y hechos del Emperador Carlos V, Parigi 1634, p. 51.
- ^ Miguel Ángel Ochoa Brun, Historia de la diplomacia española, vol. 5, 1999, p. 102. Vd. anche Alessio Narbone, Epoca cristiana. Primi otto secoli dell'era volgare, vol. 5, 1856, p. 13.
- ^ José María Doussinague, Fernando el Católico y el cisma de Pisa, 1946, p. 192.
- ^ Sulla vicenda vd. Walter Brandmüller, Remigius Bäumer, Internationale Zeitschrift Für Konziliengeschichtsforschung, vol. 3-7, 1974, pp. 204-205.
- ^ Giuseppe Agnello, Santi Luigi Agnello, Il Duomo di Siracusa ed i suoi restauri: discorso letto il 14 gennaio 1927 nel Salone Torres del Palazzo Arcivescovile di Siracusa, 1996;
- ^ Escuela Española de Arqueología e Historia, Rome, Cuadernos de trabajos, Volúmenes 1-5, 1924, p. 83.
- ^ Miguel Ángel Ochoa Brun, Historia de la diplomacia española, 1999, p. 102.
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- ^ Salvatore Russo, 2004, p. 14; Archivio storico per la Sicilia orientale, vol. 30-31, 1934, p. 40; Rivista del sovrano militare Ordine di Malta, 1939, p. 16.
- ^ Salvatore Russo, 2004, p. 15.
- ^ Angela Scandaliato, Nuccio Mulè, La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, 2002, p. 50; Salvatore Russo, 2004, p. 14.
- ^ Gioacchino di Marzo, Dizionario Topografico Della Sicilia di Vito Amico, 1859, p. 512.
- ^ Vd. Giovanni Evangelista Di Blasi Gambacorta, Storia cronologica dei vicere, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, 1842, pp. 72-73.
- ^ Società Siciliana per la Storia Patria, vol. 2, 1877, pp. 10-13; Università di Catania, Istituto di storia economica, Annali del Mezzogiorno, vol. 19, 1979, p. 81.
- ^ Così in Joseph-François Michaud, Storia delle crociate, vol. 2, p. 216.
- ^ Vd. Ernesto Frers, Piratas y templarios, 2005, p. 55.
- ^ Libera associazione ricercatori templari italiani (L.A.R.T.I.), Ventesimo quarto Convegno di ricerche templari, 2007, p. 134.
- ^ Vd. al riguardo Mark Amaru Pinkham, Los guardianes del Santo Grial (trad. Mariano García Noval, Barcellona), 2006, p. 279; Valeria Bobbio, Il mistero dell'ultimo maestro gnostico, 2015, cap. XXVI.
- ^ I caratteri originari della conquista normanna: diversità e identità nel Mezzogiorno, 1030-1130 : atti delle sedicesime Giornate normanno-sveve, Bari, 5-8 ottobre 2004, 2006, p. 398.
- ^ Ernesto Frers, Piratas y templarios, 2005, p. 55; David Hatcher Childress, El secreto de Cristóbal Colón: Las claves de la identidad de Colón, el tesoro perdido de los Templarios, la piratería y el origen de la masonería en América, 2010, pp. 58-59.
- ^ Cfr. la contemporaneità dei due eventi in Jean-Marie Martin, La vita quotidiana nell'Italia Meridionale ai tempi dei Normanni, 2018, cap. Crociate e spedizioni.
- ^ Guglielmo I arcivescovo di Tiro, lib. XIII, cap. 22 (in Caruso, p. 1001).
- ^ Vd. il passo del Gaetani in Michele Amari: Storia dei Musulmani di Sicilia, 1872, vol. 3, pp. 378-379.
- ^ Ottavio Gaetani, Vitae Sanctorum Siculorum, I, p. 60, XV sec.
- ^ Giosuè Musca, Università di Bari. Centro di studi normanno-svevi, Il mezzogiorno normanno-svevo e le crociate: atti delle quattordicesime giornate normanno-sveve, Bari, 17-20 ottobre 2000, 2002, p. 133.
- ^ L'interesse di Ruggero, e il suo invito con le navi per questa crociata, è descritto in: Joseph-François Michaud, Histoire des croisades. Trad. da Francesco Ambrosoli, Milano, 1831, vol. sec. p. 155.
- ^ Rafael Manzano, Los grandes capitanes españoles, 1960, p. 29
- ^ Antonio de Bofarull, Crónica catalana de Ramon Muntaner, 1860, pp. 371-374. Ricardo de Isabel Martínez, Almogávares: La mejor infantería del mundo, 2000, cap. Roger de Flor.
- ^ Alberto Tenenti, Venezia e il senso del mare: storia di un prisma culturale dal XIII al XVIII secolo, 1999, p. 113.
- ^ Giovanna Fiume, Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna, 2012, cap. 1, La guerra mediterranea.
- ^ Cfr. Traffici commerciali, sicurezza marittima, guerra di corsa (a cura di Marco Cini) in I Corsari e le loro vittime, Mediterranean Institute, University of Malta, 2011, pp. 23-48.
- ^ Ministerio della marina, Rivista marittima, 1953, p. 71.
- ^ La vita di Kheir-ed-Din, Hayreddin, Haradin, Ariadeno Barbarossa in Archivio storico eoliano.
- ^ Simon Mercieca, Mediterranean Institute, University of Malta, Traffici commerciali, sicurezza marittima, guerra di corsa: Il Mediterraneo e l'Ordine di Santo Stefano (a cura di Marco Cini), 2011, pp. 24-25.
- ^ Vd. Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta con note e documenti giustificativi dall'epoca della fondazione dell'ordine a' tempi attuali: Epoca terza dalla cacciata dell'ordine da Rodi, suo stabilimento in Malta fino l'ultimo Gran Maestro, Volumen 3, 1853.
- ^ Vd. Pippo Lo Cascio, Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana dai fani al telegrafo, 2001, pp. 43-44.
- ^ Sulle scorrerie dei pirati di Barbarossa a Siracusa vd. Cuadernos hispanoamericanos, Números 103-108 (Ediciones Cultura Hispánica), 1958, p. 357.
- ^ Serafino Privitera, Storia di Siracusa antica e moderna, vol. 3, 1878, p. 148.
- ^ Annali d'Italia: anno 1719, tom. XXVI, p. 339 (pubb. a Venezia, 1804).