Utente:Claudio Gioseffi/Sandbox 26
Borgo Porta Nova | |
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Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | ![]() |
Città | File:Vicenza-Stemma.png Vicenza |
Circoscrizione | 1 Centro |
Codice postale | 36100 |
Borgo Porta Nova (chiamato nella sua parte originaria Borgo Santa Croce) è il quartiere del centro storico di Vicenza sviluppatosi in piccola parte durante il Medioevo ma soprattutto in età moderna nell'area a ovest del Bacchiglione compresa tra il fiume e la cinta fortificata scaligera costruita nel XIV secolo.
Storia
Origine dei nomi
- Borgo indica l'espansione della città al di fuori della cerchia delle mura[1]; questo significato è stato appropriato per San Pietro fino al 1370, quando fu costruita dagli Scaligeri la seconda cerchia di mura, proprio per rinchiudere e proteggere il Borgo; da quel momento in poi, al di là della cinta muraria si sono formati nuovi borghi, come quelli di Santa Lucia, di Padova e di Casale. San Pietro divenne un quartiere della città.
- Porta Nova.
- Santa Croce.
Epoca antica
Medioevo
Intorno al IX-X secolo fu costruita intorno alla ristretta area urbana la cinta di mura altomedievali, con la porta di San Pietro[2] che consentiva il transito alle parti della città al di là del fiume e che dava loro il nome di Porsampiero, secondo la vecchia dizione e le descrizioni del Castellini[3]; in quel periodo è certa la formazione del borgo articolato in contrade, che vengono citate nel Decreto edilizio vicentino del 1208[4].
Il borgo di San Vito e la contrada di Santa Lucia
Lungo l'antica Via Postumia in quel periodo si formò il borgo di San Vito, il cui nome faceva riferimento all'omonima abbazia benedettina, eretta sul luogo in cui oggi si trova il Cimitero acattolico. Essendo al di fuori delle mura cittadine, la chiesa aveva il fonte battesimale e la cura d'anime su un ampio territorio, esteso fino alla pieve di Santa Maria di Bolzano Vicentino.
Nel 1206 l'abbazia fu assegnata ai Camaldolesi che nel 1314 acquistarono un edificio più vicino alla città e al suo posto costruirono un oratorio dedicato a santa Lucia[5]; questo portò un ulteriore sviluppo del borgo.
Nel 1370, l'erezione delle mura scaligere inglobò nella città la parte più popolosa e benestante di esso e la parte che ne rimase fuori da allora fu chiamata borgo di Santa Lucia[6], mentre la parte interna contrà de Santa Lùssia, o contrada di Santa Lucia.
La contrada di San Pietro
Prima del X secolo a poca distanza dalla sponda sinistra del fiume fu fondato il monastero benedettino di San Pietro, dapprima probabilmente maschile, poi femminile[7]. Durante l'Alto Medioevo esso ebbe una vita difficile, quasi certamente subì le scorrerie degli Ungari agli inizi del X secolo e forse fu distrutto; nel 977 un privilegium del vescovo Rodolfo lo definiva "quasi annientato e deserto di ogni culto monastico e divino ufficio". Dopo il Mille i vescovi assegnarono in feudo alle benedettine una notevole quantità di possedimenti, tutt'intorno al monastero ma anche altri in tutto il territorio vicentino.
Dal monastero dipendevano anche altre chiese, alcune all'interno del borgo San Pietro, come quella di San Vitale, prospiciente la piazza sulla quale si affacciava il monastero, sull'area in cui nell'Ottocento fu costruito l'Istituto Trento [8], e quella di Sant'Andrea, nei pressi della Corte dei Roda[9].
La chiesa di Sant'Andrea è citata in documenti del 1129 e del 1166, mediante i quali la badessa di San Pietro investiva gente del posto di terreni e case nella zona vicino alla chiesa. Dal XIII al XV secolo fu sede parrocchiale, il che testimonia l'esistenza della contrada, officiata da un sacerdote secolare nominato dalla badessa del monastero.
Agli inizi del Quattrocento la chiesa risulta fosse abbandonata e cadente, anche perché si trovava in un'area spesso alluvionata dalle esondazioni del Bacchiglione[10].
Il borgo di Porta Padova
Situato lungo una delle due principali strade che uscivano dalla città attraverso la Porsanpiero, sicuramente il borgo era esistente nell'Alto Medioevo. Nel 1270 le benedettine di San Pietro affittarono un appezzamento di terreno per costruire "un ospitale per benefizio dei poveri", chiamato Chà di Dio, la cui chiesa, intitolata a san Giuliano l'ospitaliere, risulta esistente fin dal 1319, annessa all'ospitale per mendicanti e pellegrini che transitavano sulla strada tra Vicenza e Padova.
Quello di San Giuliano fu in quest'epoca uno tra i più importanti ospitali situati nei dintorni della città, tanto che nel 1295 alcuni privati cittadini si proposero di aiutarlo economicamente per essere partecipi dei frutti spirituali delle opere di pietà e carità[11]. Rimasto tuttavia fuori della cinta di mura fatta costruire dagli Scaligeri nel 1370[12], cessò di funzionare intorno alla metà del XV secolo.
La chiesa, comunque, continuò a essere officiata e anzi nello stesso periodo ebbe arredamenti e restauri. Diventata proprietà della municipalità cittadina, dopo il ritiro delle benedettine, fu associata alla chiesa di San Vincenzo e le fu attribuita la cura d'anime nel territorio circostante. Divenne tradizionale luogo di incontro tra la cittadinanza e i vescovi - quasi tutti veneziani nel XV secolo - nel giorno del loro ingresso nella diocesi vicentina[13].
Tutto questo fa pensare che anche dopo il 1370, nonostante la costruzione delle mura avesse ridotto a contrada la parte interna dell'abitato, la parte esterna del borgo sia rimasta in notevole comunicazione con la prima, favorita dal fatto che la porta, in periodo veneziano, aveva solo una funzione di barriera per la riscossione del dazio.
Il borgo delle Roblandine (o di San Domenico)
Il nome di questo borgo - e quindi la testimonianza della sua esistenza nel XIV secolo - come uno tra i burgorum Sancti Petri Civitatis Vincentie è citato nel "Testamento di Guglielmo Bolognini" del 1377[14].
Si trattava dell'abitato intorno al convento di San Domenico, fatto costruire intorno al 1264 dalle domenicane; completamente rifatti nel XV secolo e successivi[15], chiesa, chiostri ed edifici del convento sono attualmente sede del Conservatorio di musica "Arrigo Pedrollo".
La cinta muraria scaligera
Dagli Statuti comunali del 1264 si ricava che a quell'epoca, a protezione dell'abitato che si stava sviluppando fuori della cinta altomedievale verso nord e verso ovest, era stata scavata una fossa, che dal Bacchiglione portava l'acqua fin nei pressi di Porta Feliciana. Lo sviluppo urbano riguardava i due borghi di Porta Nova - che da detta porta andava fino all'ospitale e alla chiesa di Santa Croce - e di San Felice - che andava da Porta Feliciana all'abbazia e dove già esistevano alcuni ospitali con relative chiese[16].
Un secolo più tardi gli Scaligeri, nell'estremo tentativo di consolidare il territorio rimasto ancora sotto il proprio dominio, maturarono l'idea di fortificare la zona di nuova espansione ma, data l'estensione complessiva della zona e la necessità di restringere l'area da difendere, decisero l'abbandono di borgo San Felice che, a parte le chiese e gli ospitali, fu raso al suolo[17].
Non è chiaro quando iniziarono i lavori di costruzione del fortilizio della Rocchetta, che precedettero quelli di edificazione di Porta Santa Croce - il cui nome fu mutuato dalla vicina chiesa dei Crociferi - e del nuovo tratto di mura che raccordava le due rocche, che molto probabilmente fu costruito lungo la fossa già esistente. Per racchiudere il nuovo borgo, infine, furono costruiti gli ultimi due tratti che raccordavano la nuova cortina alla cinta medioevale. A nord le mura da Porta Santa Croce seguivano per un tratto la riva destra del Bacchiglione (fino al punto in cui in seguito fu costruito il Ponte Novo) per proseguire quindi lungo l'attuale contrà Mure Carmini e agganciarsi alle mura altomedievali presso la primitiva Porta Nova. A sud, dalla Rocchetta le mura puntavano verso il Castello e si collegavano a quelle più antiche, più o meno dove oggi si trova la salita di contrà Ponte dele Bele.
La lunghezza complessiva della nuova cinta era di 1680 m.
Il nuovo tratto racchiudeva così un'area non ancora abitata che, per volontà di Antonio della Scala, fu dotata di un tracciato viario ad assi ortogonali, con isolati regolari di notevoli dimensioni, che lasciava ampie fasce inedificate a protezione del perimetro difensivo. Nel tempo, dentro al recinto si sviluppò un'edilizia privata non molto intensiva, allineata lungo le strade e che lasciava larghi vuoti interni di orti e giardini, in una dignitosa uniformità piuttosto aliena da esiti monumentali e intervallata da frequenti e imponenti complessi di Ordini religiosi[18].
La costruzione delle mura comportò alcune modifiche al percorso del Bacchiglione e della roggia Seriola - che divennero i fossati di completamento - e rispettò l'integrità della vecchia cinta. Questo fatto mantenne l'identità del nucleo storico cittadino, al punto che le nuove inclusioni furono ancora chiamate, dagli storici locali come nel linguaggio corrente, i borghi della città.
- La Porta Nova
La nuova cinta del borgo, però, rendeva difficile l'ingresso e l'uscita dalla città, dato che aveva solo due porte: Santa Croce e Porta Castello. Intorno al 1392, accogliendo una supplica dei vicentini, Gian Galeazzo Visconti concesse loro di aprire una terza porta vicino alla Rocchetta, chiamata anch'essa Porta Nova come la prima - vicina alla chiesa di San Lorenzo, porta dalla quale aveva ricevuto questo nome il borgo - e che in seguito venne chiamata il portone di Porta Nova[19].
Dalla relazione che, agli inizi del Novecento quando ormai si parlava di demolirla, ne fece l'ingegnere Vittorio Saccardo, appare che: la sua struttura murale era veramente ammirabile, tanto per la qualità e la lavorazione dei materiali, quanto per l'accuratissima esecuzione. Era anche fortissima. L'alta mole merlata era protetta, all'esterno, dalla fossa larga e profonda, nella quale si immetteva l'acqua della Seriola; ponti levatoi e solide imposte di quercia erano all'entrata principale esterna e alla postierla; imposte di quercia e saracinesca, con sovrastanti piombatoi, proteggevano l'entrata interna; infine, a completare la difesa, ergevasi, di fianco alla porta, un'altra, formidabile torre[20]
- Percorso (con riferimento alla toponomastica attuale)
Questa parte della cinta rappresenta ancora, nonostante le passate manomissioni, il più consistente e integro resto delle fortificazioni cittadine e, a buona ragione, viene valorizzata nel tratto esterno di viale Mazzini, dove il marciapiedi ricopre la fossa della Seriola ormai colmata e delimita il largo prato che costituiva in antico la Piarda delle Rason Vecchie[21]. Caratteristica è la struttura del muro di pietre listato con mattoni - tipica tradizione scaligera -ogni 75–80 cm.: in questa cortina fu introdotta l'innovazione della torre pentagonale a puntone - frutto dell'architettura militare trecentesca nel Veneto - che offriva una miglior difesa contro il fuoco della nascente artiglieria.
La Porta di Santa Croce, in particolare, fiancheggiata a est da una torre e quasi intatta nell'interna “corte d'arme”, resta ormai unico esempio della tipologia fortificatoria scaligera, data anche la totale scomparsa delle porte coeve di Verona[22].
Partendo da contrà Ponte delle Bele, la cinta muraria resta sempre a sinistra di contrà Mure Porta Nova, dove il muro è stato demolito negli anni cinquanta del secolo scorso, per far posto ai padiglioni di esposizione della fiera campionaria. Qui, all'incrocio con l'omonima contrà, c'era la Porta Nova che, ridotta in cattivo stato, nel luglio 1926 venne fatta saltare in aria mediante una carica di esplosivo[23].
Il muro prosegue per contrà Mure della Rocchetta, fino ad arrivare al fortilizio. Di lì, piegando ad angolo retto verso nord, continua per contrà Mure San Rocco e Mure Corpus Domini fino a Porta Santa Croce. Da questa porta le mura - ora sostituite dalle case di contrà del Borghetto - seguivano il corso del Bacchiglione fino a Ponte Novo, per puntare poi verso il centro lungo contrà Mure Carmini e contrà Beccariette, fino ad innestarsi presso la Porta Nova, che si trovava dove oggi si incrociano corso Fogazzaro e contrà Pedemuro San Biagio.
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Mura scaligere occidentali in contrà Mure Carmini
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Mura scaligere occidentali in viale Mazzini
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Mura scaligere occidentali in viale Mazzini
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Mura scaligere occidentali
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Porta Santa Croce
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Tratto di mura scaligere presso Porta Santa Croce
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Porta Santa Croce
- La Seriola e il Bacchiglione a protezione delle mura occidentali
Nel punto in cui le nuove mura intercettavano la roggia Seriola, poco a sud di Santa Croce, fu creata una derivazione[24] per far scorrere l'acqua a fianco della cinta, aggirare la Rocchetta - dove un'ulteriore derivazione consentiva di isolare completamente il fortilizio - e continuare, sempre seguendo le mura, fino al Castello[25].
Sul lato orientale, invece, la cinta era protetta da una piarda triangolare, che si era creata tra la vecchia e la nuova cinta e il Bacchiglione.
Età moderna
Dai registri e dagli elenchi del Cinquecento si ricava che lo spazio all'interno della cinta muraria già allora si presentava caratterizzato da un maggior addensamento demografico e da un tasso di popolarità superiore a quello di altre parti della città. Dal XVI al XVIII secolo le famiglie del borgo (l'insieme delle parrocchie di Santa Lucia e di San Pietro, comprese alcune frazioni presenti nelle colture da esse dipendenti) rappresentavano quasi un quarto della popolazione cittadina[27].
Durante tutto il periodo veneziano il borgo conservò anche un seppur modesto numero di nobili - come i Thiene e i Monza - di mercanti e di borghesi padroni di case e di discrete fortune[28]; fin dal XV secolo alcune famiglie abbienti vi fecero costruire residenze signorili, come il gotico palazzo Regaù, il rinascimentale palazzo Angaran, le case Thiene nel Cinquecento, il palazzetto Belisario a fine Settecento.
Il borgo era, però, soprattutto e sostanzialmente popolare; a dare un tono particolare alle contrade erano le botteghe artigianali, i mulini e i mestieri, alcuni dei quali destinati a durare sin quasi alle soglie della modernizzazione: merzari, callegari, murari, pellattieri, sartori, tessari, a testimoniare l'operosità della popolazione qui insediata.
In contrà Sant'Andrea erano numerosi i pellettieri, anche benestanti come Gaspare Manente titolare di un fillatorio et torzatorio menato da l'acqua con una roda … uno follo da pelli, sega da legname, rode tre de molini. Ancora poche invece, fino al Settecento, le case con arnesi da lavorar seda, anche se in tutte le contrade vi erano tintori, lanari, tessari …. Numerose le abitazioni con orto e cortile.
Nel Settecento i rioni popolari di Santa Lucia e di San Pietro furono le zone della città tra più esposte al degrado e all'impoverimento, anche per l'aumento del numero di persone allontanate dai quartieri più benestanti e relegate nella periferia urbana; l'élite cittadina cercava di ridurre i contatti sociali con loro (questo era soprattutto evidente nel caso di lavoratori impiegati in mestieri maleodoranti, come i conciatori, i macellai, ecc.), così come con i contadini inurbati e i questuanti; in borgo Padova erano acquartierati anche gli sbiri, le guardie della Repubblica di Venezia più invisi al popolo[29].
Progressivamente, in epoca preindustriale verso la fine del Settecento, il crescente affollamento e congestionamento contribuì a degradare la vivibilità e l'abitabilità delle contrade: nelle strade il selciato era sempre più sconnesso, soggetto a deterioramento da fango, piogge e frequenti alluvioni; le case erano sempre meno confortevoli mancando, tra l'altro, di impianti igienici. Sempre più, allora, la gente usciva dalle case, si riversava nelle strade, aumentando in senso positivo e negativo - cioè sia con le amicizie che con i litigi - la socializzazione di base. Goethe attribuiva la sua simpatia per i vicentini al fatto che essi "hanno modi spigliati e affabili e ciò deriva dalla loro continua vita all'aperto"[30].
Negli ultimi decenni del Settecento in queste contrade, dalle quali si raggiungeva facilmente borgo Pusterla, zona di opifici, erano vivi il mestiere e l'arte di fabbricare le sete; i numerosi telai erano costantemente in funzione e i samitari (i lavoranti del samit, il drappo di seta intessuto con oro o argento) con le loro famiglie dimoravano in maggior numero qui rispetto ad altre zone della città; peraltro vi era una sola filanda con 24 fornelli alle Fontanelle e un unico opificio collegato della Ditta Felice Savi[31].
Età contemporanea
La chiusura dei conventi. L'impoverimento e il degrado del quartiere
Dopo la caduta della Serenissima nel 1797 e le campagne napoleoniche che ebbero ripercussioni negative sulla città e sul territorio,
Le istituzioni sannitarie
- Centro antitubercolare
- Servizio psichiatrico
La nascita di Istituti assistenziali e religiosi
- San Rocco
- Checozzi
- Istituto Novello
- Fondazione Cordellina (profughi giuliani)
Un mutamento di conformazione del quartiere fu dato anche dal concentrarsi in esso di istituzioni cittadine di assistenza che, sommate a quelle religiose, lo rendevano non più la residenza di classi laboriose seppur poco abbienti, quanto piuttosto un luogo deputato alla raccolta e al controllo di quote instabili ed emarginate di popolazione povera[32].
La demolizione delle mura e l'apertura della città
I primi decenni del Novecento furono caratterizzati dallo sviluppo della città e dal notevole aumento del traffico, il che rese necessario lo smantellamento di una parte delle mura e portò all'allargamento del quartiere.
Il quartiere attuale
Corso Fogazzaro
Il Borghetto e contrà Porta Santa Croce
Le contrade interne lungo le mura scaligere
- Contrà Mure Corpus Domini
- Contrà Mure San Rocco
- Contrà Mure della Rocchetta
- Contrà Mure Porta Nova
Le contrade interne in direzione ovest-est
- Contrà San Rocco e stradella Soccorso Soccorsetto
- Contrà Santa Maria Nova e contrà Lodi
- Via Giampaolo Bonollo e contrà del Quartiere
Le contrade interne in direzione nord-sud
- Contrà Giovanni Busato, contrà Sant'Ambrogio e conterà Porta Nova
- Contrà Cantarane e piazzale del Mutilato
Luoghi significativi
Chiese ed edifici religiosi
Chiesa parrocchiale di Santa Croce in San Giacomo Maggiore detta dei Carmini
45.55121°N 11.53901°E , in corso Fogazzaro.
- Fu fatta costruire nel 1373 per il nuovo Borgo di Porta Nova e affidata ai Carmelitani; completamente ricostruita nel 1425 e in epoca contemporanea in stile neogotico, raccoglie varie opere d'arte provenienti dalla demolita Chiesa di San Bartolomeo.
Chiesa di Santa Croce
in contrà Porta Santa Croce 57.
- Era annessa a uno dei più antichi ospitali di Vicenza, fondato dai Crociferi; la chiesa nel 2007 è stata data in gestione alla comunità ortodossa moldava di San Nicola; i resti del convento sono inglobati nelle strutture della scuola della fondazione Levis Plona[33].
Chiesa di San Rocco
, in contrà Mure San Rocco (Borgo Porta Nova).
- Costruita nel 1485 quasi a ridosso delle mura, in uno stile che rimanda a Lorenzo da Bologna, benché completata da altri. Vi è annesso il convento di San Rocco, dei Canonici regolari di San Giorgio in Alga, demanializzato dal 1810 e ora sede di servizi sociali.
Chiesa dei santi Ambrogio e Bellino
, in contrà Sant'Ambrogio 23 (Borgo Porta Nova), non più adibita al culto.
- Di proprietà del Comune di Vicenza, è adibita a mostre estemporanee.
nell'omonima contrà, 45.548314°N 11.537505°E , sconsacrata, non è visitabile ed è utilizzata dal Comune come deposito di libri.
- La chiesa della fine del Cinquecento rappresenta l'unica chiesa interamente progettata da Andrea Palladio e costruita a Vicenza, benché realizzata postuma; dal 1994 fa parte dei monumenti patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Era annessa a un monastero fondato nel 1538 da monache agostiniane appartenenti a famiglie nobili, funzionante fino al 1810, quando per le soppressioni napoleoniche tutti gli edifici furono demanializzati.
Edifici religiosi non più esistenti
- Chiesa di Santa Maria Assunta, non più esistente.
- Annessa all'Ospizio del Soccorso Soccorsetto[34].
- Chiesa e monastero del Corpus Domini, nell'omonima contrà, non più esistenti.
- Furono fondati nel 1539 da monache canonichesse lateranensi della regola di Sant'Agostino, appartenenti a famiglie nobili. Nel 1810 il monastero fu soppresso e tutti gli edifici ridotti a private abitazioni.
Palazzi
Ponti
Ponte degli Angeli
Il ponte, forse il più antico della città, fu costruito in epoca romana all'estremità orientale del decumano massimo, dove cioè la via Postumia entrava in città; nel Medioevo prese il nome dal monastero benedettino di San Pietro, che si trovava a poche centinaia di metri al di là dell'Astico (sostituito un millennio più tardi dal Bacchiglione).
Il vecchio ponte romano aveva un orientamento diverso dall'attuale: il decumano finiva più a nord sulla riva destra del fiume, così da infilarsi entro la romana porta San Pietro, che fu poi inglobata nel castello costruito dai padovani nella seconda metà del Duecento. Il ponte era a tre arcate e nel 1570 una quarta arcata fu aggiunta su progetto del Palladio[35].
In epoca moderna fu chiamato ponte degli Angeli, dalla chiesa di santa Maria degli Angeli che sorgeva alla sua estremità occidentale, addossata all'antico torrione difensivo che era stato trasformato in campanile[36]. Dopo l'alluvione del 1882 che lo distrusse, fu ricostruito in ferro in posizione più disassata[37]; a causa della sua insufficiente larghezza, non più adeguata alle crescenti esigenze del traffico, fu demolito nel 1950[38] e sostituito dall'attuale in cemento armato, dalla carreggiata più larga e rettificata.
Ponte di ferro
Passerella pedonale che collega gli argini del Bacchiglione (o meglio del ramo del fiume deviato nel 1876) e i due tratti stradali di via Nazario Sauro e di viale Giuriolo. Una targa, posta ad un'estremità, dice: "Andrea e Cesare Piovene, nell'anno 1911, fecero costruire questo ponte di ferro, poi divenuto di uso pubblico".
Ponte dei falliti
La corte dei Roda, che si trova a ridosso della sponda sinistra del Bacchiglione, comunicava un tempo direttamente con la piazza dell'Isola mediante un rustico ponte di legno, detto il "ponte dei falliti", la cui manutenzione era a carico degli abitanti della contrà di San Pietro, essendo quelli che del manufatto avevano maggiore e più frequente bisogno per accedere alla città. Ciò si rileva da certe domande di aiuto per restauri urgenti presentate da quegli abitanti ai "Deputati ad utilia" del Comune[39].
Istituzioni di carattere formativo e culturale
Essendosi di molto ridotta, negli ultimi decenni, la popolazione infantile del Centro storico, poche sono ormai le istituzioni educative presenti nel quartiere.
- Asilo nido aziendale (Comune - Ipab)
- Presso l'Istituto Salvi, in corso Padova
- Scuola dell'infanzia comunale Antonio Fogazzaro
- in via Nazario Sauro
- Scuola primaria "Giacomo Zanella" - Comunale
- In contrà Porta Padova
- Istituto Onnicomprensivo G.A. Farina - Paritario
- Comprende una Scuola dell'infanzia, una Scuola primaria, una Scuola secondaria di I grado e una Scuola secondaria di II grado, tutte in via IV Novembre
Conservatorio Arrigo Pedrollo
Istituzioni di carattere sanitario e sociale
Istituzioni di carattere assistenziale
Note
- ^ Voce Borgo nel vocabolario Treccani
- ^ I cui ultimi resti andarono perduti quando a fine Ottocento venne rifatto il ponte
- ^ Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza... sino all'anno 1630, 1822
- ^ Franzina, 2003, pp. 33-34
- ^ Mantese, 1958, p. 222
- ^ Sottani, 2012, pp. 191-93
- ^ Vi sono opinioni diverse sul momento in cui esso divenne un monastero femminile. Secondo il Mantese lo era già nella prima metà dell'XI secolo, secondo altri lo divenne qualche decennio dopo, Mantese, 1954, pp. 46-47, 533
- ^ Doveva essere già scomparsa nel XVI secolo, perché non si vede nella Pianta Angelica del 1580; se ne vede però ancora il campanile nella pianta del Monticolo del 1611. Aristide Dani, in AA.VV., 1997, p. 27
- ^ Le monache la fecero restaurare nel 1536; fu abbattuta durante il periodo napoleonico, Mantese, 1958, p. 223; Mantese, 1964, p. 448-89
- ^ Mantese, 1958, p. 223
- ^ Mantese, 1958, pp. 519-20
- ^ Sottani, 2012, p. 242
- ^ Mantese, 1964, p. 1039
- ^ Riportato nella Storia del monistero di Santo Francesco di Vicenza, 1789, p. 111 di Gaetano Girolamo Maccà
- ^ Mantese, 1954, p. 489
- ^ Erano la chiesetta di Santa Maria Maddalena, con annesso ospedale della Misericordia costruiti probabilmte verso la metà del XIII secolo, la chiesa di San Nicolò, con un ospizio per lebbrosi che poi fu trasferito a San Lazzaro e la chiesa di San Martino, all'angolo tra la strada per Verona e l'attuale Viale Mazzini
- ^ Questa drastica operazione spiega il ritardo nello sviluppo del borgo, che giunse molto più tardi in avanzata fase del dominio veneziano, quando ormai cioè non vi erano più ragioni militari a limitarlo. Barbieri, 2011, pp. 115-16
- ^ Barbieri, 2011, p. 118
- ^ Mantese, 1958, pp. 372-74; Barbieri, 2011, p. 125
- ^ Citato da Giarolli, 1955, pp. 366-67
- ^ Rason Vecchie era il nome del Demanio Veneto
- ^ Sono qui ancora visibili, attorno alle aperture d'accesso, gli sfondati nella muratura destinati ad accogliere, quando alzati, i ponti levatoi: e di essi, recenti scavi hanno scoperto le strutture di appoggio, quando abbassati. Sopra, si ritagliano le sedi, lunghe e strette, per i due paralleli bolzoni in legno, leve del passaggio carraio, nonché per la forcola in ferro, leva della passerella pedonale. Barbieri, 2011, pp. 119-20
- ^ Barbieri, 2011, p. 123
- ^ Il fatto venne raccontato dal cronista Conforto da Costozza nei suoi Frammenti di storia vicentina e descritto nelle mappe del Cinquecento
- ^ Sottani, 2012, pp. 237-41
- ^ Vicenza amplissima, in [Georgius Braun, Simon Nouellanus, Franciscus Hogenbergius], Liber quartus Ciuitates orbis terrarum, Colonia, 1588. Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana
- ^ Franzina, 2003, pp. 39-42 in cui riporta alcune tabelle del tempo
- ^ Franzina, 2003, pp. 35-36
- ^ Franzina, 2003, pp. 45-46
- ^ Citato da Franzina, 2003, p. 44
- ^ Franzina, 2003, pp. 51-54
- ^ Franzina, 2003, pp. 55, 77-78
- ^ Barbieri, 2004, p. 40
- ^ Sottani, 2014, pp. 269-70
- ^ Il disegno è pubblicato ne I quattro libri dell'architettura, XV, 224, Sottani, 2012, p. 21
- ^ Lo ricorda una targa apposta alla base della torre Coxina
- ^ Immagine del 1920, Fondazione Vajenti, su archivio.vajenti.com. URL consultato il 25 marzo 2013.
- ^ Immagine della demolizione, Fondazione Vajenti, su archivio.vajenti.com. URL consultato il 25 marzo 2013.
- ^ Giarolli, 1955, p. 392
Bibliografia
- Testi utilizzati
- AA. VV., Vicenza città bellissima. Iconografia vicentina a stampa dal XV al XIX secolo, Vicenza, 1983; ristampa Vicenza, 1984
- Franco Barbieri, Vicenza: la cinta murata, 'Forma urbis', Vicenza, Ufficio UNESCO del Comune di Vicenza, 2011, ISBN 88-900990-7-0.
- Franco Barbieri e Renato Cevese, Vicenza, ritratto di una città, Vicenza, Angelo Colla editore, 2004, ISBN 88-900990-7-0.
- Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza, ove si vedono i fatti e le guerre de' vicentini così esterne come civili, dall'origine di essa città sino all'anno 1630, 1822
- Giambattista Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1955.
- Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, II, Dal Mille al Milletrecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1954.
- Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/1, Il Trecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1954.
- Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/2, Dal 1404 al 1563, Vicenza, Neri Pozza editore, 1954.
- Giovanni Mantese), Memorie storiche della Chiesa vicentina, VI, Dal Risorgimento ai nostri giorni, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1954.
- Ermenegildo Reato (a cura di), La carità a Vicenza: le opere e i giorni, Vicenza, IPAB Proti-Salvi-Trento di Vicenza, 2004.
- Ugo Soragni, Architettura e città dall'Ottocento al nuovo secolo: palladianisti e ingegneri (1848-1915), in Storia di Vicenza, Vol. IV/2, L'Età contemporanea, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
- Natalino Sottani, Antica idrografia vicentina. Storia, evidenze, ipotesi, Vicenza, Accademia Olimpica, 2012.
Voci correlate
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