Apis mellifera

specie di ape

L'ape europea (Apis mellifera Linnaeus 1758) è la specie del genere Apis maggiormente diffusa nel mondo.

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Apis mellifera
Classificazione scientifica
RegnoAnimalia
PhylumArthropoda
SubphylumHexapoda
ClasseInsecta
OrdineHymenoptera
SottordineApocrita
SuperfamigliaApoidea
FamigliaApidae
SottofamigliaApinae
TribùApini
GenereApis
SpecieApis mellifera
Nomenclatura binomiale
Apis mellifera
(Linnaeus, 1758)

Originaria del vecchio mondo, Europa, Africa e parte dell Asia, fu introdotta nei continenti americano e australiano. Fu classificata da Carolus Linnaeus nel 1758 con il nome Apis mellifica, per tale motivo, nonostante sia oramai utilizzata la nuova nomenclatura, alcuni autori utilizzano la denominazione originaria.

Apparato boccale

L’apparato boccale tipico degli insetti era in origine masticatore, quale si ritrova ancora negli Ortotteri, Coleotteri, etc. Gli adattamenti dovuti ai regimi alimentari hanno però determinato negli insetti radicali trasformazioni. Nell’ape, i pezzi originari si sono trasformati costituendo un apparato boccale lambente e succhiante. Il complesso maxillo-facciale si piega tra cardini e stipiti, e si sposta un po’ all’indietro sotto il cranio, costituendo un canale temporaneo per suggere il nettare. L’organo aspirante, lungo e flessibile, è formato dalle glosse labiali; per mezzo di questo le api raccolgono il nettare e manipolano il miele nell’arnia. I lati di questa ligula sono ripiegati verso l’interno e verso il basso, fino quasi ad incontrarsi, per formare un tubo racchiuso dalle mascelle e dai palpi labiali.Il labium (labbro inferiore) è provvisto di palpi assai sviluppati e 4-articolati (con il primo articolo molto allungato e piuttosto largo, il secondo più corto, gli ultimi molto brevi) e di una ligula (o glossa, o lingua) lunga ( in estensione misura 5,5-7 mm ), cilindrica, densamente pelosa, flessibile e contrattile, percorsa da un

due molto brevi) e di una ligula (o glossa, o lingua) lunga ( in estensione misura 5,5-7 mm ), cilindrica, densamente pelosa, flessibile e contrattile, percorsa da                                         
un solco ventrale (canale ligulare) e terminante con un’espansione a cucchiaio (labello o flabello). Le galee mascellari ed i palpi labiali, accostandosi alla ligula formano un tubo, o proboscide, delimitante un canale  di suzione che permette all’ape  di succhiare il nettare liquido mediante l’azione aspirante del cibario ( porzione della cavità boccale anteriore alla faringe) e della faringe (pompa cibario-faringea), convogliandolo nella grande ingluvie (o borsa o borsetta melaria, o stomaco mellifico), un sacco a parete estensibile costituito da una dilatazione dell’esofago, dove il nettare subisce una prima trasformazione chimico-fisica che lo converte in miele.

Alla base della faccia interna delle mandibole sboccano 2 ghiandole mandibolari ; nelle operaie esse producono una frazione della gelatina, o pappa reale, e sono funzionali in relazione alla lavorazione della cera; nei fuchi sono ridotte ad una piccola masserella; nella regina sono molto sviluppate e producono il feromone di coesione della colonia (miscela degli acidi 9-ossodeca-trans-2-enoico e 9-idrossi-2-enoico che ha la funzione di far identificare la regina come tale all’interno e fuori dell’alveare, di inibire lo sviluppo dei loro ovarìoli, e di impedire la costruzione di celle reali). Quando il livello di questo feromone nella colonia scende al disotto di un certo valore (per la morte o l’invecchiamento della regina, o per un eccessivo aumento della popolazione), l’inibizione cessa e le operaie cominciano a costruire celle reali in cui allevare nuove regine o, eccezionalmente, sviluppano ovarioli funzionali (operaie ovificatrici) e depongono uova partenogenetiche maschili. Sulla superficie dorsale del labbro inferiore sboccano le ghiandole labiali, o salivari, presenti in tutte e tre le caste, e costituite da due distinti sistemi ghiandolari: le ghiandole postcerebrali, situate contro la parete posteriore del capo, e le ghiandole toraciche, situate nella porzione ventrale anteriore del torace; il loro secreto ha funzioni non ancora del tutto chiarite, una della quali è probabilmente quella di sciogliere le sostanze zuccherine presenti nell’alimento facilitandone così la suzione.

Zampe

La zampa di Apis mellifica porta un tarso 5-articolato con pretarso con 2 unghie ed arolio. Nella zampa anteriore (protoracica), la tibia reca sul margine anteriore della superficie interna una frangia di peli corti e rigidi che costituiscono la spazzola degli occhi , usata dall’ape per pulire gli occhi composti, e, inserita sul suo margine distale esterno, una spina mobile piatta detta sperone o raschiatoio semicircolare provvisto di spine disposte circolarmente a pettine, che si sviluppa sul margine interno del primo articolo del tarso. Quando la zampa si piega, lo sperone chiude l’apertura dell’incavo delimitando, in tal modo, un foro attraverso il quale l’ape fa passare l’antenna per pulirla e liberarla dalla polvere e dai granuli di polline. Lunghi peli distribuiti sul basitarso formano la spazzola del polline che l’ape usa per raccogliere i granuli pollinici dalle parti anteriori del corpo: incrociando le zampe l’ape spinge il polline dentro la cestella aiutandosi con la spazzola del polline situata sul primo articolo del tarso, che è particolarmente sviluppata. Nella zampa media (o mesotoracica), il tarso appiattito è provvisto anch’esso di una spazzola del polline per asportare i granuli pollinici dalle zampe anteriori e dal corpo; e l’estremità distale interna della tibia reca uno sperone o spina tibiale che l’ape usa come leva per staccare le lamelle di cera, secrete dalle ghiandole situate nella regione sternale dell’addome, e le pallottoline di polline dalle cestelle quando, giunta nell’alveare, deve scaricarle e disporle nelle apposite celle, come dispositivo di pulizia per liberare dai corpi estranei le ali e gli spiracoli tracheali,ecc. Nella zampa posteriore (o metatoracica), la larga tibia presenta esternamente una lieve concavità marginata da forti e lunghi peli incurvati, che forma la cestella (o cestello, o corbella, o corbicula) dove l’ape accumula il polline per trasportarlo nell’alveare. In corrispondenza della articolazione tibio-tarsale, il margine distale libero della tibia, provvisto di un pettine o spazzola della cera, formato da numerose grosse spine, ed il margine prossimale libero del tarso, provvisto di peli e ricurvo a forma di becco (sperone tarsale o auricola), formano una pinza tibio-tarsale che serve per raccogliere le lamelle di cera dall’addome. La faccia esterna del basitarso è provvista di peli collettori per raccogliere i granuli pollinici dalle parti posteriori del corpo e la sua faccia interna reca una decina di serie trasversali di spine brevi e robuste, rivolte verso il basso, che costituiscono la spazzola del polline o scopa.


Corredi genetici dei membri della colonia

Apis mellifera è specie aplo-diploide in quanto il maschio è apolide, derivante da uova non e la femmina è diploide, derivante da uova regolarmente fecondate. Il corredo cromosomico è 2n=32 , ed i maschi, quindi, sono portatori del solo corredo n=16 di derivazione materna (*). La determinazione aplo-diploide del sesso, caratteristica nelle formiche, vespe ed api ( Hymenoptera Formicoidea, Vespoidea ed Apoidea) secondo alcuni autori sarebbe particolarmente favorevole alla evoluzione sociale, e spiegherebbe perciò il suo ripetuto comparire nell’ambito di questi gruppi. Le madri e le figlie hanno in comune 1/2 dei geni, le sorelle ne hanno i 3/4; conseguentemente, le figlie risultano meglio predisposte ad aiutare la madre a prolificare ulteriormente che non a prolificare esse stesse, favorendo la nascita di individui che, per i 3/4, hanno il loro medesimo corredo genetico. Sarebbe questa una spiegazione del perché, negli Imenotteri sociali, i maschi non sono “socializzati”, mentre lo sono negli Isotteri, i cui maschi sono invece diploidi. Negli Imenotteri, infatti, i maschi e le loro figlie hanno in comune 1/2 dei geni ereditari, i maschi e le loro sorelle e fratelli solamente 1/4 dei geni. (*) Anche l’Apis cerana ha 32 cromosomi, ed è ibridabile con Apis mellifica.

Sono stati documentati i meccanismi genetici che determinano l’indirizzo di sviluppo di una giovane ape in operaia oppure in regina. Legando una serie di immagini che descrivono quali geni sono attivi, sono stati individuati con esattezza i meccanismi con i quali gli ormoni, stimolati da fattori ambientali, nutrizionali e feromonici, fanno sì che le larve attivino i geni necessari a compiere il loro destino. Ciò rappresenta la prima visione su scala genomica di questo tipo di sviluppo. Le femmine di Apis mellifica, infatti, cominciano la loro esistenza come larve bipotenziali, sebbene ospitate in celle diverse, con la capacità cioè di formarsi nella morfologia ed anatomia di entrambe le caste, quella delle operaie o quella delle regine. (questa potenzialità è detta polifenismo). Il risultato è stato ottenuto utilizzando profili di espressione dei geni noti come «array»; con essi è stato possibile stabilire esattamente quali geni fossero attivi durante lo sviluppo delle larve. Dalle osservazioni si è potuto concludere che le larve destinate a diventare regine sembrano attivare un insieme distinto di geni legati alla casta, inclusi quelli responsabili del metabolismo e della respirazione. Nel caso delle api operaie, viceversa, continuano a esprimersi i geni tipici della fase giovanile di larva. La differenza nell’espressione dei geni porterebbe alle differenze morfo-anatomiche e funzionali.(da Evans). I geni regolerebbero molto da vicino il comportamento delle api, al punto che l'occupazione e il ruolo di una singola ape può essere prevista conoscendo il profilo dell'espressione genica nel suo cervello. Un complesso studio molecolare su 6878 differenti geni, replicati con 72 microarray di cDNA, che hanno catturato l'essenza dell'attività genica del cervello delle api ha rivelato che, anche se la maggior parte delle differenze nell'espressione genica era molto piccola, erano osservabili cambiamenti significativi nel 40 per cento dei geni studiati. Le microarray hanno consentito di studiare l'attività dei geni generando misure simultanee dell'RNA-messaggero, che riflette i livelli dell'attività delle proteine. Il mRNA si lega a siti specifici sulle array, consentendo la misura dell'espressione di migliaia di geni. Quindi vi è una chiara impronta molecolare nel cervello delle api associata in modo consistente con il comportamento specifico dell'individuo, e questo fatto dà una immagine del genoma come entità dinamica, coinvolta nella modulazione del comportamento nel cervello adulto (da Robinson).

Regolazione del microclima nell’alveare

Quando un alveare, in estate, comincia a surriscaldarsi, numerose api si mettono insieme per rinfrescarlo e per mantenerne la temperatura interna a circa 33ºC, adatta all’allevamento della covata, e necessaria per fare evaporare l’acqua in eccesso dal miele contenuto nelle celle aperte (il miele contiene circa il 17% di acqua). Dapprima le api agitano vigorosamente le loro ali, ventilando l’alveare; ma quando il tempo è secco, e via via che la temperatura esterna si innalza, trasportano acqua all’interno dell’alveare; l’evaporazione umidifica e rinfresca la colonia. Le api eseguono questa operazione allo stesso modo di come riversano acqua nel miele, cioè facendola scendere goccia a goccia dalla loro bocca. Questo sistema di refrigerazione per mezzo dell’acqua spesso produce una notevole stabilizzazione della temperatura: un alveare il pieno sole ha una temperatura interna di 35ºC anche quando quella esterna raggiunge i 71ºC. Le bottinatrici raccolgono l’acqua e le giovani api funzionano da spruzzatori, distribuendo le gocce portate della vecchie raccoglitrici. Nei brevi momenti in cui ritornano all’alveare per depositare le gocce, le raccoglitrici vengono anche informate se occorre continuare il trasporto d’acqua. Per tutto il tempo durante il quale continua il surriscaldamento, le giovani spruzzatrici si danno da fare e prendono l’acqua con molta enfasi. Questo fatto indica alle raccoglitrici che è necessaria altra acqua, e queste compiono un altro viaggio di approvvigionamento. Se invece l’alveare è stato sufficientemente rinfrescato, quando le raccoglitrici ritornano le api spruzzatici non mostrano più enfasi, e le raccoglitrici non escono più per un altro carico. Durante l’inverno, quando il miele immagazzinato viene usato come alimento (occorrono circa 30 Kg di miele per permettere ad una colonia di superare l’inverno), le api si ammassano assieme formando un aggruppamento a forma di palla, detto glomere, metà da un lato e metà dall’altro di una serie di favi, e producono calore mediante movimenti attivi del corpo e delle ali. I glomeri si formano ad una temperatura di 14ºC, o inferiore, e riescono ad innalzare la temperatura dell’alveare fino a 24-30ºC, anche quando la temperatura esterna è inferiore a 0ºC. Le api al centro, essendo isolate dagli strati di altre api aggruppate intorno a loro, stanno assai calde, poiché la temperatura nell’interno del glomere può essere mantenuta anche a 38ºC. Le api cambiano continuamente di posizione, cosicché ciascun individuo si sposta gradualmente dalla zona esterna fredda del glomere a quella interna calda, e poi retrocede. Questa formazione dura per tutta la stagione fredda, spostan- -dosi gradatamente sulle superfici dei favi, e nutrendosi del cibo immagazzinato. Temperature molto basse possono tuttavia immobilizzare le api, e farle morire di fame, anche se hanno a disposizione il cibo necessario. In un ambiente freddo, una singola ape è assolutamente incapace di conservare alta la temperatura del proprio corpo. Gli insetti sono animali pecilotermi e la temperatura interna è in accordo con quella esterna, diversamente da uccelli e mammiferi che sono omeotermi, cioè in grado di autoregolare la propria temperatura interna mediante meccanismi fisiologici. Si vede qui tutta l’importanza dell’evoluzione sociale delle api, le quali, nei giorni invernali con temperature più miti e sin dal cominciare della primavera possono sfruttare risorse precluse ad altre specie, in quanto dispongono sempre di individui adulti. Inoltre la popolazione dell’alveare non deve essere ricostituita daccapo ogni anno, ed anche il lavoro delle generazioni precedenti per la costruzione del nido viene ereditato dalle generazioni successive.

Dispersione antropocora(=dovuta all’uomo)

Apis mellifica è originaria dell’Egitto e delle regioni situate poco più ad est. Nel Pleistocene (circa 2 mya) si è suddivisa in 24 sottospecie che oggi formano tre gruppi ben riconoscibili: uno del Mediterraneo occidentale (Italia compresa), uno del Mediterraneo orientale ed uno dell’Africa tropicale. Dal 1600 al 1900 vari ceppi di api mediterranee sono stati introdotti sia in Nord-America, con successo, sia in Sud-America, ma con scarso successo. Nel 1956 furono portate in Brasile 47 regine della sottospecie africana Apis mellifica scutellata, allo scopo di creare ibridi locali dotati di caratteristiche migliori. Ma gli ibridi ottenuti si dimostrarono piuttosto aggressivi e troppo inclini ad abbandonare il nido in seguito al disturbo arrecato dalle normali operazioni di apicoltura. Casualmente sfuggito in natura il nuovo ceppo invase gran parte del Sud-America, poi il Centro-America fino a giungere negli USA, entrando rovinosamente in contatto con i ceppi mediterranei. Oggi i biologi che lottano contro questa ed altre forme indesiderate, procedono al riconoscimento delle diverse sottospecie facendo uso della RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism), tecnica che mette in evidenza i polimorfismi a livello di DNA mediante taglio con enzimi di restrizione.


Filogenesi

Attualmente la tassonomia descrive varietà geografiche o sottospecie comprendenti più di trenta razze.

Il genoma di Apis mellifera è stato di recente interamente sequenziato [1] [2].

Antagonisti biologici

Alcuni antagonisti biologici delle api

Bacillus larvae ( peste americana, graam-positivo) Streptococcus pluteus (peste europea,graam- negativo) Nosema apis Microsporidi Misumena vatia Aracnidia Araneae Thomisidae Araneus diadematus Araneidi Acarapsis woodi Acari Varroa jakobsoni “ Varroa persicus ” Thomisus onustus Opilionidi Braula coeca Ditteri Meloe violaceus Coleotteri Meloe proscarabeus “ Potosia opaca “ Aethina tumida “ Achroia grisella Lepidotteri Galleria mellonella “ Acherontia atropos “

Nosema apis (Protozoi Microsporidi) parassiti, 1,5 – 2,5 μm. Si localizzano nelle cellule dell’epitelio intestinale ed in altre cellule (di Artropodi, più raramente di Pesci, Anfibi, Rettili; sono stati ritrovati anche in altri protozoi). Le spore sono circondate da uno spesso involucro prodotto dalla cellula che vi è contenuta; entro la spora vi è un “filamento polare” che si diparte da un sacco, o “cappa polare”, e si avvolge nella par- -te periferica della cellula. Presso la cappa polare vi è una struttura formata da membrane arrangiate in vario modo, dette “polaroplasto”, probabilmente coinvolto nell’estroflessione del filamento. Il filamento assicura l’aggancio alle cellule dell’ospite e serve anche come dotto di uscita per l’amebula; questa entra nelle cellule intestinali ove inizia l’accrescimento. Il trofozoide presenta il citoplasma privo di mitocondri; esso va incontro ad una serie di divisioni in seguito alle quali si formano molte cellule: ognuna di queste dà luogo ad una spora. Le cellule ospiti divengono ipertrofiche e rilasciano le spore mature che escono all’esterno con le feci.

Braula coeca NITZSCH ( Diptera Brachicera Acalyptrata Lauxanioidea Braulidae) Ditteri piccolissimi (1,5 mm. circa), atteri, setolosi, privi di veri occhi composti, con antenne incassate nel capo a riposo, privi di mesoscutello, con mesonoto e metanoto simili ad urotergiti. Tarsi distalmente rigonfi ed unghie trasformate in pettini. Le larve sono metapneustiche con un solo paio posteriore di stigmi, con processi al capo, al torace, all’estremità addominale. La pupa è racchiusa nella spoglia trasparente dell’ultima età larvale (pupario di tipo primitivo). Gli adulti vivono da commensali all’interno dell’alveare, localizzandosi sul corpo delle api (in numero di 1-3 sul corsaletto delle operaie o, di preferenza, della regina in numero di 15-20) e giungendo fino all’apparato boccale da dove riescono a ricavare liquidi rigurgitanti. Braula coeca ha un rapporto commensalistico con l’ape, a cui sottrae miele e sercreti ghiandolari o diterramente dalla ligula, oppure obbligandola a rigurgitare il contenuto dell’ingluvie. Le larve si localizzano sotto gli opercoli delle cellette, nelle quali scavano gallerie o si costruiscono tunnel filiformi con lo stesso materiale ceroso, nutrendosi di questo, di polline ed altri detriti. Gli alveari ne possono essere invasi. La specie è monovoltina. E’ di probabile origine africana, ma oramai quasi cosmopolita. In Italia sono note le sottospecie angolata., OR.PAL .di provenienza africana, e la schitzi OR.PAL. Per il controllo è sufficiente eliminare uova e larve con la disopercolatura, oppure fumigazioni con fluvalinate, flumetrina , coumaphos, bromopropilato (clorobenzilato→Folbex), efficaci anche contro la Varroa. Acherontia atropos L. ( Lepidoptera Heteroneura Ditrysia Bombycoidea Sphingidae) Uovo verdastro. Larva matura circa 12 cm. Di colore giallo e verde con 7-8 fasce oblique laterali brune orlate di giallo lateralmente. Adulto con ali anteriori brunastre marmorizzate di biancastro e nerastro, con macchiolina discale bianca; ali posteriori gialle con due fasce brune Colorazione celeste sul dorso. Cornetto granuloso e di colore giallo. Crisalide brunastra. Sul torace spicca una macchia biancastra e due puntini neri, a forma di teschio. Addome giallo con bande nerastre trasversali. Spiritromba breve, robusta e rigida. Frequente su solanacee, ma anche su piante

arboree e arbustive (ligustro, olivo, vite, oleandro, frassino,etc.). Il suo sviluppo all’aperto decorre con un numero variabile di generazioni (1-3), con svernamento da crisalide nel terreno. L’adulto è capace anche di lunghe migrazioni notturne, e frequenta gli alveari, nei quali si nutre del miele delle cellette percolate, riuscendo dannosa nonostante l’offensiva delle api. Il suo aspetto mediante vibrazione della lamina palatina. Suo nemico naturale è il dittero tachinide Sturmia atropivora R.D. 
Galleria mellonella (L.) Tarma grande della cera o degli alveari.

( Lepidoptera Heteroneura Ditrysia Pyraloidea Galleriidae ) Larva matura 3 cm. circ, di colore grigio brunastra o grigio giallastro più chiara al ventre, con capo e scuto protoracico castano-rossastri, pseudozampe anali della larva di prima età più sviluppate delle altre. Crisalide color rosso-mattone. Adulto di colore grigio-topo con ali anteriori dello stesso colore (al centro di ciascuna si nota un’area sbiadita con macchiette bruno- rossastre) e con il margine distale incavato, soprattutto nel maschio, il quale presenta, inoltre, un’area dilatata alla base della costa (visibile alla faccia inferiore). Ali posteriori bruno-grigiastre. Cosmopolita. Nota quale antico nemico degli alveari (il suo nome deriva da Mellona, dea romana dell’apicoltura). Le femmine adulte, che cominciano a sfarfallare all’inizio della primavera, dopo un breve periodo di attività notturna all’esterno, ritornano nelle arnie e depongono varie centinaia di uova ( secondo alcuni oltre un migliaio) in croste, sulle pareti interne o sui favi. Dopo l’incubazione, che dura da 1 a 3 settimane (una sola settimana con una temperatura tra 26º ed i 28 ºC), nascono le larvette che, spostandosi agilmente (fino a saltare) con l’aiuto di pseudo-zampe anali, iniziano la loro attività di devastazione dei favi, scavando gallerie attraverso la cera di cui si nutrono direttamente, integrando però questa dieta con polline ed altri residui organici presenti nelle celle. La loro agilità e la loro protezione sericea le mettono spesso al riparo dall’assalto delle api. Attraverso 5-9 età le larve raggiungono la maturità in circa un mese e, portatesi fuori dai favi (sulle pareti, sotto il coperchio dell’arnia) si costruiscono bozzoli biancastri e robusti, spesso disposti parallelamente tra loro a causa del’istinto plesiotropico delle larve, le quali in questo periodo riescono anche a corrodere il legno per ottenere una migliore adesione dei bozzoli stessi. Nei paesi caldi (India, Egitto) la specie può arrivare fino al tetravoltinismo; in Italia 2-3 gene-razioni l’anno, con sfarfallamento continuo di adulti fino a settembre-ottobre e svernamento da larva in diapausa facoltativa o anche, occasionalmente, da uovo o da crisalide. E’molto resistente all’attacco di microrganismi, pur non mancando di nemici naturali (esempio il braconide Apanteles galleriae WILK.- Calcidoidei, Tricogrammatidi oofagi,etc.). Con l’adattamento a diete artificiali, la Galleria ha acquistato importanza quale ospitatore intermedio di entomofagi in laboratorio. L’allevamento si fa con popolazioni non soggette a diapausa. La sua resistenza ai microrganismi la favorisce in questo ruolo. Se favorita da scarsa cura dell’alveare e scarsa pulizia dei magazzini (anche qui attacca la cera) può costituire una preoccupazione seria per gli apicoltori che devono curare il mantenimento delle arnie in condizioni di pulizia e vigore; ciò consente, ad esempio, all’ape ligustica di sopraffare il parassita.Inoltre devono curare il mantenimento in condizioni di perfetta conservazione dei favi utilizzando DDVP da porre negli armadi e nei cassoni.

Meloe violaceus MARCHALL - Meloe proscarabeus L. (Coleoptera Polyphaga Meloidae)

I Meloidae sono caratterizzati da ipermetamorfosi: oltre che ai normali stadi di larva, ninfa ed immagine, ne presentano vari altri, intercalati tra l’una e l’altra delle forme solite, con grande differenza di aspetto e di genere di vita. In maggio-giugno, la femmina scava nel terreno buchi cilindrici profondi 2-3 cm., nei quali depone oltre 4 000 uova. Dopo circa un mese dalle uova escono larve campodeiformi dette triungulini, che si arrampicano sui fili d’erba o sui fiori in attesa di potersi attaccare al torace di insetti in cerca di polline o di nettare. Se ciò avviene essi possono continuare il loro ciclo di sviluppo e, se si attaccano ad un maschio, durante l’accoppiamen- -to passano sulla femmina. Quando questa depone le uova nelle cellette il triungulino vi si lascia cadere, mangia l’uovo dell’ape, aumenta di volume e si trasforma nella seconda larva, o caraboide, che continua il suo sviluppo nutrendosi col miele e col polline destinato alla larva dell’ape. Dopo qualche giorno di immobilità si ha una terza larva, detta pseudopupa, coarta-ta, senza zampe, nella cui esuvia si forma una quarta larva, con testa e zampe, quasi immobile in uno stadio preninfale. Chiusa, infine, nella esuvia intatta dei due ultimi stadi, si forma la ninfa che, in questo doppio involucro, diviene immagine. I Meloinae hanno brevi elitre convesse e mancano di ali posteriori. Sono di colore nero-azzurro e preferiscono i luoghi soleggiati. Il corpo è piuttosto allungato (20-25 cm.), con tegumento sottile, testa ben distinta, antenne moniliformi, e con il 7º antennomero ritorto. Le coxe delle due prime paia di zampe sono grandi e coniche e le cavità coxali sono aperte posteriormente e confluenti; le coxe delle zampe posteriori sono sviluppate trasversalmente ed assai sporgenti, con unghie e dentelli o munite di lunga appendice. Il tarso è pentarticolato nelle prime due paia di zampe e tetrarticolato nel terzo paio. La Famiglia è compresa nel gruppo degli Heteromera. Le larve provocano danni gravi se penetrano negli alveari.

Misumena vatia (Aracnidia Araneae Thomisidae)

I ragni Tomisidi sono una famiglia di araneidi cacciatori; essi ,infatti non costruiscono tela ma tendono agguati sulle piante e sui fiori, sfruttando l’omocromia dei loro colori con i petali dei fiori per mimetizzarsi. Hanno forma di granchio, ed attaccano anche prede grandi e temibili come, appunto, le api.


Varroa jacobsoni OUDEMANS

Gli acari varroidi comprendono 5 specie, tutte parassite delle api. La Varroa jacobsoni OUDEMANS è un acaro che proviene dall'Est-asiatico. La sua diffusione è fondamentalmente antropocora, dovuta alla commercializzazione di sciami e di api regine. Altre cause sono anche la sciamatura naturale, il saccheggio ed il trasporto via fuco, insieme a grandi capacità di adattamento che ne facilitano la diffusione. La varroa è di forma ovoidale, di colore rosso-bruno, poco più grande di un millimetro, visibile ad occhio nudo con molta difficoltà oltre che per le dimensioni ridotte, anche per la straordinaria capacità mimetica sul corpo delle api. Gli apicoltori l'hanno spesso confusa con l'innocua Braula caeca. La varroa ha invece otto zampe, un apparato pungente e succhiante. Il suo maschio è ancora più piccolo, mai visibile ad occhio nudo, costretto ad accoppiarsi ed a vivere solo all'interno delle cellette dei favi. La varroa parassitizza sia la covata, che l'ape adulta. La sua forza distruttiva si manifesta in particolare all'interno delle celle di covata: succhia l'emolinfa delle larve, provocando la nascita di api deformi, l'indebolimento generale della colonia, la diffusione di virus e batteri, che porta alla distruzione totale della colonia nel giro di qualche anno. La varroa si nasconde tra i segmenti addominali dell'ape e all'interno delle cellette dei favi con covata, subito prima che vengano opercolati; ha preferenza a riprodursi in celle con larve da fuco. La varroa si riproduce solo all'interno delle celle di covata opercolata.La femmina adulta vi entra poche ore prima che la celletta venga chiusa.Essa avrà a disposizione circa 13 giorni se si sviluppa su covata di operaia e circa 15 giorni se si riproduce su covata maschile. Depone fino ad un massimo di 6 uova: il primo darà vita ad una varroa femmina,il secondo, solitamente, ad un maschio; femmine le rimanenti. Dalla celletta di operaia usciranno la varroa madre (che di norma non si riprodurrà più), una varroa figlia feconda ed una varroa non feconda. Dalla celletta di fuco, invece, usciranno: la varroa madre, due varroe figlie feconde ed una varroa figlia non feconda.


Linee filogenetiche

Tutte le sottospecie, o razze, di Apis mellifera sono raggruppate in tre gruppi filogenetici derivanti dalle osservazioni morfologiche e dall'analisi del DNA mitocondriale


Tra le sottospecie più importanti sono da menzionare:

Sottospecie originarie dell'Europa

  • Apis mellifera ligustica o Ape italiana. Classificata da Spinola nel 1806. È una razza molto comune e distribuita in tutti i continenti per l'azione dell'uomo. La sua area di distribuzione naturale comprende la penisola Italiana ad esclusione della Sicilia.
  • Apis mellifera sicula o Ape siciliana. Spesso definita come Apis mellifera siciliana, classificata da Montagno nel 1911. La sua area di distribuzione naturale è la provincia di Trapani.

Sottospecie originarie dell'Africa

Sottospecie originarie della transizione Europa-Asia

Sottospecie meno note

Ibridi tra le sottospecie di Apis mellifera

Razze o sottospecie Mediterranee

13 sono le razze che possiamo trovare sulle coste del mar Mediterraneo:

Si dividono nei gruppi:

Bibliografia

  1. ^ Pennisi E. Honey Bee Genome Illuminates Insect Evolution and Social Behavior. Science 2006; 314: 578 - 579
  2. ^ Hummon A.B. From the Genome to the Proteome: Uncovering Peptides in the Apis Brain. Science 2006; 314: 647 - 649

Ermenegildo Tremblay - Entomologia applicata - Liguori ,Napoli P.Sagnibene - Apis mellifica -(estratti dalla bozza in corso di redazione con l'autorizzazione dell'editore)

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