Specie
In biologia, la specie è alla base della classificazione degli organismi viventi, essendo il livello tassonomico obbligatorio gerarchicamente più basso.
Concetto di specie
modificaLa “specie” è un concetto molto importante e molto usato in biologia, anche se non esiste una definizione universalmente applicabile.
Molti biologi potrebbero essere d'accordo sul fatto che una specie è “la più piccola unità evolutiva indipendente”. L’indipendenza evolutiva si verifica quando il flusso genico tra individui di una popolazione si interrompe (o diventa molto limitato) e quando le forze evolutive agiscono separatamente nelle popolazioni. Quindi, si potrebbe dire che l’essenza nel concetto di specie è l’assenza del flusso genico, e che la speciazione implica almeno due stadi: isolamento genetico e divergenza. Non è tutto così semplice, e in pratica verificare l’assenza di flusso genico e la divergenza, e la “indipendenza evolutiva” è spesso difficile (soprattutto senza studi genetici). Come detto, non esiste una sola definizione per il termine “specie”.[1]
La scelta di un criterio univoco e universale per identificare le specie è difficile, soprattutto in quanto esse sono entità non statiche, ma che si modificano nel tempo e nello spazio e, pertanto, ciò che osserviamo è un momento di un processo evolutivo che è in realtà continuo; da qui la difficoltà a creare confini certi e di conseguenza l'incertezza nella definizione.
Quello di specie è un concetto multidimensionale, derivante da un analogo significato filosofico,[2] sotto il quale ricadono varie definizioni che dipendono dall'aspetto che si considera: la specie può essere dunque biologica, morfologica, tipologica, cronologica e filofenetica.
Concetto morfologico di specie
modificaSecondo il concetto morfologico (o fenetico) di specie, una specie è un gruppo di organismi simili fenotipicamente. La specie "morfologica" è quella basata su caratteri morfologici. Viene generalmente usata per le specie attuali e per quelle fossili. Il concetto morfologico di specie si basa soprattutto su dati morfologici, ma a volte anche su dati comportamentali. È la base del sistema linneano: Linneo, nel Settecento, definiva, identificava, descriveva, catalogava e classificava le diverse specie animali e vegetali su base morfologica. Gran parte delle specie sono definite sulla base di questo concetto, vista l’assenza di dettagliate informazioni sulla compatibilità e le relazioni filogenetiche.[1]
Ad esempio, la distinzione tra l’aquila di mare testa bianca (Haliaeetus leucocephalus) e l’aquila reale (Aquila chrysaetos) può essere fatta sulla base del concetto morfologico di specie: sono evidenti differenze nella morfologia, nelle dimensioni e nella colorazione che fanno sì che possiamo riconoscerle sin da subito come specie diverse.
Il giglio martagone (Lilium martagon) presenta presenta numerosi fiori rosati punteggiati di scuro, caratteristiche che permettono di distinguerlo dal giglio rosso (Lilium bulbiferum), che è invece caratterizzato da dense infiorescenze erette di colore giallo-arancio punteggiate di marrone.
Quando si hanno a disposizione molti esemplari (minimo 50) i caratteri rappresentabili da numeri possono essere indagati con metodi statistici. In passato strettamente connessa al concetto di specie tipologica oggi è sempre più rimpiazzata, perlomeno nelle specie viventi, da studi di ordine molecolare e genetico. È infatti ovvia la difficoltà di applicazione di tale definizione a criptospecie e a specie con una variabilità morfologica molto marcata. Il dimorfismo sessuale unito a variabilità morfologica, ad esempio, possono apparentemente accomunare esteriormente organismi appartenenti a specie totalmente differenti.
Tipico è ad esempio il caso di maschi di dimensioni ridotte di alcuni coleotteri che tendono a rassomigliare a femmine di specie differenti. Portando alle estreme conseguenze l'applicazione del concetto di specie morfologica, si rischia di cadere in situazioni paradossali. Ad esempio, due individui possono essere molto diversi pur appartenendo alla stessa popolazione o addirittura alla stessa nidiata: è questo il caso delle specie polimorfiche.[3] Dal lato opposto, due individui possono essere morfologicamente quasi identici pur appartenendo a due popolazioni diverse e geneticamente incompatibili: è questo il caso delle specie sorelle (sibling species).
Un altro esempio è dato dal verme piatto Pseudoceros dimidiatus, un platelminta delle barriere coralline tropicali, è presente in diverse varianti cromatiche; se ci dovessimo basare sull’aspetto esteriore come previsto dal concetto morfologico, i diversi individui di questo organismo sarebbero visti come specie diverse; in realtà, essi possono incrociarsi e dare vita a prole fertile, e sono pertanto la stessa specie.
I limiti al concetto morfologico di specie si possono osservare ad esempio anche osservando un individuo maschio e un individuo femmina di anatra mandarina (Aix galericulata); queste due anatre, sebbene presentino considerevoli differenze dal punto di vista della morfologia, delle dimensioni e della colorazione, appartengono alla stessa specie.
Per questi motivi il criterio morfologico viene applicato in biologia solo in quanto riflesso (e indicatore) dei rapporti filogenetici tra i gruppi presi in considerazione, non diversamente da come il grado di parentela in un albero genealogico viene ricostruito sulla base dei trascorsi storici della linea familiare piuttosto che sulla similarità di aspetto (per quanto mediamente possa essere maggiore tra individui strettamente imparentati che tra non imparentati). Similmente, i delfini vengono considerati mammiferi e non pesci in base alla presenza di alcuni caratteri morfologici tra cui le ghiandole mammarie: questi caratteri sono stati scelti su altri caratteri (ad esempio, la presenza di pinne e la forma del corpo) per sancire l'appartenenza alla stessa Classe in quanto più conservati degli altri e quindi maggiormente indicativi dei rapporti di parentela all'interno del gruppo.
Quindi il concetto morfologico di specie presenta alcuni limiti e risulta spesso fuorviante, per questo motivo nella biologia di oggi non viene adoperato.
Concetto tipologico di specie
modificaLa "specie tipologica" è quella fondata su un tipo, definito olotipo, cioè su un esemplare che la rappresenta e che dovrebbe essere in un museo pubblico a disposizione degli studiosi. L'esemplare quindi può servire per i confronti; ma non è sempre così, perché ad es. può perdersi. In questo caso può essere rimpiazzato da un neotipo. Quindi, per definizione, il concetto di specie tipologica non implica necessariamente il fissismo di Linneo, perché al tipo se ne possono aggiungere altri, paratipi, che danno l'idea della variabilità. Questo concetto, sebbene oggi comunemente utilizzato in tassonomia, è formalmente incompleto e di utilizzo più pratico che teorico, in quanto criticato aspramente da Lamarck in poi, che con la teoria nominalistica mette in discussione l'idea stessa di archetipo.
Concetto ecologico di specie
modificaSecondo il concetto ecologico di specie una specie è il gruppo di organismi simili che occupa una specifica nicchia ecologica. Per nicchia definiamo uno spazio concettuale delineato da tutte le interazioni (biotiche ed abiotiche) che influenzano l’esistenza di una specie in un ambiente. Il concetto ecologico di specie quindi definisce una specie in base alla nicchia ecologica occupata da quel determinato gruppo di individui e si basa sulla somma delle interazioni che i membri di una specie stabiliscono con le altre componenti abiotiche e biotiche dell’ambiente in cui vivono. Il concetto ecologico di specie funziona per le specie che si riproducono per via sia sessuata sia asessuata. per le specie asessuali. Sulla base di tale concetto, l’integrità di specie non è mantenuta solo dagli aspetti fisici e strutturali come si è visto nel concetto morfologico, e non è neanche tanto mantenuta dall’isolamento riproduttivo come dice il concetto biologico (si vedrà in seguito), ma piuttosto dalla selezione per l’adattamento a diverse nicchie (secondo il concetto di specie ecologica, nicchia diversa è uguale a specie diversa).[1]
Anche questo concetto presenta dei limiti:
- è difficile da definire per specie in cui diversi stadi vitali occupano diverse nicchie;
- la nicchia è difficile da definire senza considerare la specie che la occupa;
- è provato che la nicchia può variare all’interno di una specie.
Per esempio, due individui diversi possono avere morfologie e dimensioni diverse (e pertanto rappresenterebbero, secondo il concetto morfologico, due specie differenti) o una diversa tolleranza alla siccità e ad un determinato erbivoro o parassita (e rappresenterebbero pertanto, secondo il concetto ecologico di specie, due specie differenti), ma possono comunque incrociarsi occasionalmente e dare vita a prole fertile. Poiché presentano morfologie diverse e occupano nicchie ecologiche diverse, questi individui sarebbero considerati specie separate secondo i concetti morfologico ed ecologico nonostante il flusso genico che le collega.[1]
Concetto biologico di specie
modificaQuindi i limiti dei concetti morfologico ed ecologico sono importanti e considerevoli. Oggi la definizione più utilizzata, e quella in genere considerata più utile, è quella del concetto biologico di specie.
Secondo il concetto biologico di specie (biological species concept, BSC), elaborato dal biologo evoluzionista Ernst Mayr (1942), una specie è un gruppo di organismi interfecondi, riproduttivamente isolati da un altro gruppo di organismi che quindi appartengono ad una specie diversa.[1]
In base a tale concetto, una specie è rappresentata da un gruppo di popolazioni i cui membri, in condizioni naturali, sono potenzialmente in grado di accoppiarsi tra loro generando tra loro una prole vitale e fertile; tale condizione non può verificarsi con membri di gruppi diversi. Gli individui di una specie non si accoppiano con individui di una specie diversa in condizioni naturali, o se lo fanno, non producono prole vitale o fertile. La specie corrisponde quindi ad un pool genico che non scambia geni con altri pool genici (altre specie).[1]
Il concetto biologico di specie si basa quindi sull’interfecondità piuttosto che sulle somiglianze fisiche e morfologiche. L’allodola di prato orientale (Sturnella magna) e l’allodola di prato occidentale (Sturnella neglecta) hanno aspetto e colorazione molto simili. Tuttavia, sono considerate specie biologiche diverse dal momento che la diversità dei loro canti e di altri comportamenti risulta in grado di impedire il loro incrocio anche qualora questi animali vengano a contatto nell’ambiente naturale.[1]
Il concetto biologico di specie è in accordo con l’idea di evoluzione di pool genici; se c’è libero scambio di geni tra individui, il gruppo è un'unica unità evolutiva che evolve in maniera indipendente da altre unità evolutive (altre specie), mantiene omogeneità intraspecifica ed evolve geni che interagiscono in modo coordinato nei genomi.[1]
A differenza del concetto morfologico di specie, il concetto biologico di specie non dà molta importanza al livello di somiglianza fenotipica, o meglio, lo fa relativamente, perché puntualizza che la sola morfologia non è sufficiente per definire una specie diversa da un'altra e tiene in considerazione aspetti come la variabilità morfologica intraspecifica, i polimorfismi, le specie politipiche ecc.[1]
Anche il concetto biologico di specie però presenta dei limiti:
- non è considerabile a specie asessuali (che si riproducono attraverso riproduzione asessuata);
- non si può applicare ai fossili;
- è difficile da applicare direttamente in molte piante ed animali che ibridano molto.
La "specie biologica" è la più diffusa, usata in zoologia. Essa pare la più completa, in quanto si basa su un criterio che è insieme temporale e spaziale: una specie è infatti definita sulla base di una prossimità filogenetica tra i membri componenti (cioè il fatto di possedere un antenato comune più recente di quello condiviso coi membri di altri gruppi), ma anche dalla presenza di meccanismi di isolamento riproduttivo rispetto ad altri gruppi (questo garantisce una discontinuità fenotipica e genotipica che concorre a definire la specie stessa). Dalla definizione di Dobžanskij e Mayr, la specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Come si amplierà più sotto, il termine si basa su un modello necessariamente artificiale e non è valido per tutti i casi di organismi in cui sia assente la riproduzione sessuale. In questi casi, tipici ad esempio in microbiologia, la definizione è più articolata ed è reperibile su testi di tassonomia batterica.
Il concetto di "illimitatamente" e "feconda" è a fondamento della classificazione artificiale attuata dall'uomo, che, come tale, lascia aperto il campo a molte eccezioni di ibridi interspecifici o intergenerici sani e fecondi. Va posta attenzione sul fatto che la definizione di specie come composta da individui "illimitatamente fecondi tra di loro" non esclude che individui che possono creare prole (ibrida, per quanto segue nella frase) "illimitatamente feconda", trovandosi in condizioni particolari (es.: in cattività, ma non solo), possano comunque essere classificati come specie diverse, in quanto "in natura" non entrano mai (o quasi) in contatto riproduttivo (e quindi non creano ibridi). È noto che l'asino e la cavalla generano il mulo, che è sterile; non così però l'incrocio, ad esempio, del grizzly con l'orso polare, che pure continuano a essere considerate due specie diverse, nonostante la loro prole sia fertile.[4] In linea generale, il fatto che gli ibridi nati in condizioni di cattività siano fertili non può essere di per sé considerata un'evidenza invalidante della sussistenza di due specie separate, nel caso in cui una barriera riproduttiva sia effettivamente presente "in natura".[5] Tale conclusione può essere tratta dall'affermazione, formulata da Ernst Mayr, secondo il quale le specie animali "non si incrociano in condizioni naturali".
Ciò non esclude dunque la possibilità che possano farlo, e con esiti positivi, in condizioni artificiali. Gli accoppiamenti che sono il risultato della deliberata azione dell'uomo, così come il caso più generale di specie che sarebbero fisiologicamente e geneticamente in grado di generare prole, ma che per vari motivi non lo fanno in natura (es.: specie geneticamente simili che vivono in luoghi geograficamente separati, ma anche specie che occupano gli stessi luoghi ma che hanno sistemi di corteggiamento diversi, che occupano nicchie ecologiche diverse, che hanno ritmi di attività asincroni etc.), non possono rappresentare evidenze a sostegno di una supposta impossibilità di elevare due popolazioni al rango di specie separate.[6] L'idea dunque che specie differenti non possano incrociarsi o che la prole di un tale incrocio debba essere in tutti i casi sterile rappresenta un travisamento del concetto di specie biologica formulato da Ernst Mayr nel 1942,[7] come messo in evidenza da P. Mohelman: «Molti non-tassonomi si basano su un fraintendimento del concetto biologico di specie di Mayr (1942). Il fraintendimento popolare è che specie differenti non possono incrociarsi; alcuni fanno un passo avanti, credendo che le specie possono talvolta incrociarsi, ma che gli ibridi debbano essere sterili. Questo non è quanto Mayr ha affermato. Egli propose che le specie "non si ibridano sotto condizioni naturali", enfatizzando che questo isolamento riproduttivo può essere il risultato di meccanismi di isolamento pre- o post-copula ( [...] ) Il meccanismo pre-copula include cose come meccanismi etologici che possono essere rotti in condizioni non naturali, come la cattività».
D'altra parte, la generazione di prole fertile come risultato dell'incrocio di due specie rappresenta un'evidenza della vicinanza filogenetica delle stesse. In accordo con Mayr, l'elemento chiave per la definizione di una specie biologica sarebbe dunque la sussistenza di un isolamento riproduttivo "in natura" rispetto ad altre popolazioni, assieme a una coesione riproduttiva interna alla popolazione stessa.
Tuttavia, tale definizione, per quanto rigorosa, non è rigidamente applicabile in campo botanico. Molte forme vegetali, pur presentando evidenti diversità, tali da non poter essere considerate della medesima specie, si incrociano originando ibridi illimitatamente fertili. In questi casi l'applicabilità di tale definizione tassonomica risulta limitata e si ricorre a diverse classificazioni, basate sulle diversità somatiche e/o filogenetiche.
Concetto cronologico di specie
modificaLa specie "cronologica" è basata sul concetto "tempo" ed è il classico campo di studi sulla paleontologia sistematica e biostratigrafia.
Si possono indicare vari esempi da sezioni stratigrafiche affidabili. Uno di questi, molto significativo è il concetto di cronospecie per l'ammonite del genere Hildoceras (che si può considerare una specie il cui ambito morfologico è quello della specie tipo Hildoceras bifrons). Questo discorso è legato al limite, all'interno del piano Toarciano, tra la zona a Hildaites undicosta e quella a Hildoceras bifrons. La prima comparsa degli ammoniti del genere Hildoceras, che sono in realtà Hildoceras primitivi senza solco giro-laterale, è basata su un criterio morfologico-evolutivo. Cioè sulla comparsa all'interno della sottofamiglia Hildoceratinae delle forme con coste anguliradiate.[8] Prima del limite non ci sono forme con coste anguliradiate, dopo il limite compaiono forme dubbie o con coste anguliradiate. La zona a Bifrons, nota in gran parte dell'Europa, indagata in Appennino (Rosso Ammonitico umbro-marchigiano) è rappresentata circa da 40 livelli fossiliferi, tutti con fossili ben conservati come modelli interni conchigliari e campionati dettagliatamente.[9] Sono posti nel membro rosso ammonitico nodulare-marnoso. Tutti e 40 quasi, in 2 m circa di spessore, contengono ammoniti del genere Hildoceras, generalmente inteso con il solco giro-laterale e parte interna della spira liscia. Negli ultimi 2-3 livelli dei 40 il genere è rappresentato da forme debolmente ornate, involute, subdiscoidali e con area ventrale stretta non solcata. Con queste forme si definisce il limite superiore della zona. Sopra la zona a Hildoceras bifrons, così come noi la intendiamo per esperienza, il genere Hildoceras è assente per non più poi ricomparire.
È questo un concetto concreto di specie, definita con le sue comparsa e scomparsa; però una documentazione così ricca e varia al riguardo (varie centinaia di campioni) è tipica dell'Italia e cioè del Rosso Ammonitico, unità che può essere considerata continua o quasi; manca infatti anche se parzialmente nello stratotipo del Toarciano francese.[10]
Concetto filofenetico di specie
modificaLa "specie filofenetica" è basata sulla combinazione della metodologia fenetica con la teoria evolutiva, considerando nell'analisi delle similitudini anche le relazioni filogenetiche.
La specie fenetica applica algoritmi di analisi delle similitudini e dei caratteri comuni, rendendo questa metodologia in grado di analizzare anche esseri inanimati. Utile per i fossili, anche questa definizione non tiene conto delle relazioni filogenetiche tra i rami evolutivi e le specie.
Qui, nella figura annessa, si consideri che i generi citati sono da considerare specie morfo-cronologiche, quindi indagabili statisticamente per la loro variabilità.
Sicuramente due organismi per appartenere alla stessa specie devono condividere caratteristiche di base e numerose particolarità, talora prive di importanza adattativa ("caratteri meristici").
Poiché ci si trova spesso di fronte a varie popolazioni apprezzabilmente differenziate, la "creazione" di specie separate o la loro unificazione in una sola specie, a causa del polimorfismo, dipende dalla esperienza dei ricercatori che valutano la diversità intra ed extra-specifica.
La definizione attualmente più utilizzata è quella del russo Teodosij Dobžanskij e del tedesco Ernst Mayr, basata sulla capacità di organismi cospecifici di incrociarsi e dare prole fertile. Benché funzioni nella maggior parte dei casi, questo criterio non si applica o lascia dubbi nei casi di:
- riproduzione asessuale, ermafroditismo sufficiente o partenogenesi esclusive;
- subfertilità di vario grado degli ibridi;
- presenza di gruppi morfologicamente identici al resto della specie ma riproduttivamente separati a causa di rimaneggiamenti cromosomici (criptospecie).
In pratica si individuano le specie basandosi su criteri gestiti dall'esperienza e dal buon senso. Dal punto di vista dell'evoluzione, per l'idea darwiniana, la formazione di una specie è spesso un fenomeno graduale e implicava entità naturali che cambiavano, adattandosi continuamente a fattori ambientali. Linneo, invece era un fissista, perché le specie naturali per lui erano materializzazioni di idee immutabili ben distinte (ispirazione della filosofia platonica). I paleontologi del '900, tenendo conto che le sequenze evolutive erano affette da salti e che tra le specie non si trovavano forme intermedie, hanno cercato di spiegare il fenomeno con le stasi evolutive e le comparse improvvise (vedi equilibri punteggiati di Gould e Eldredge). Però la documentazione paleontologica reperibile nelle successioni marine a strati, anche se lacunose per quel che riguarda l'evoluzione, presenta talora la continuità darwiniana: vedi ad es. le serie evolutive concrete degli Echinoidi MIcraster del Cretaceo superiore inglese[11][12] e degli ammoniti Hildoceratidae citate sopra. La loro continuità di documentazione si manifesta nella obbiettiva difficoltà di classificazione, che pone ai paleontologi problemi di difficile soluzione. Quindi quando si ha, nelle serie evolutive concrete, oltre alle specie note, una grande varietà di forme, intermedie e non, in ciò è il carattere dell'evoluzione gradualistica in cui Darwin credeva, anche se in modo teorico.
Sulla sostanziale arbitrarietà di un qualsiasi tipo di classificazione è chiara la posizione di Darwin, che ha avuto grande lungimiranza influenzato come era dall'evoluzione che stava studiando, posizione che oggi appare, però, sotto questo profilo in parte superata:
Isolamento riproduttivo e barriere riproduttive
modificaUn aspetto fondamentale del concetto di specie è l’isolamento riproduttivo, sulla separazione tra specie diverse in seguito alla formazione di barriere riproduttive: due specie simili che hanno un antenato comune molto recente, come l’esempio delle due allodole di prato (Sturnella magna e Sturnella neglecta) della figura precedente, sono considerate specie differenti (è avvenuta la speciazione) quando tra queste non può più avvenire la riproduzione, o, nei rari casi in cui questa avvenga, non possa essere prodotta prole fertile. I meccanismi che garantiscono questo sono le cosiddette barriere riproduttive, e possono essere di diverse tipologie. In particolare, possiamo distinguere due tipologie di barriere riproduttive a seconda che queste impediscano la riproduzione tra due individui di specie diverse prima dell’accoppiamento (barriere prezigotiche) o dopo l’accoppiamento (barriere postzigotiche).[1]
Barriere prezigotiche
modificaLe barriere prezigotiche, o pre-accoppiamento, impediscono il trasferimento di gameti, impediscono che due individui appartenenti a specie diverse si accoppiano. Distinguiamo diverse tipologie di isolamento riproduttivo prezigotico.[1]
L’isolamento ecologico prevede che le due specie non possono incontrarsi nel momento della riproduzione, e pertanto, non possono accoppiarsi; questo può avvenire per isolamento temporale o per isolamento dell'habitat.[1]
- Si parla di isolamento temporale quando la riproduzione delle due specie avviene in diverse stagioni dell’anno o in diverse ore del giorno. Ad esempio, Nel Nord America le aree geografiche popolate dalle moffette macchiate Spilogale putorius e Spilogale gracilis coincidono; tuttavia, S. putorius si riproduce in tardo inverno, mentre S. gracilis in tarda estate.[1]
- Si parla di isolamento dell’habitat quando le due specie si riproducono in ambienti diversi, le aree preferite per l’accoppiamento sono diverse. Ad esempio, due specie di serpente giarrettiera del genere Thamnophis, sebbene occupino la stessa area, non possono incontrarsi perché una specie vive e si riproduce soprattutto in acqua, mentre l’altra è prevalentemente terricola.[1]
L’isolamento comportamentale o etologico prevede che tra le due specie, sebbene queste possano incontrarsi, l’accoppiamento non può avvenire perché le due specie sono caratterizzate da diversi comportamenti riproduttivi (es: diversi rituali di corteggiamento, canti, vocalizzazioni, colorazioni o segnali chimici come feromoni). I rituali di corteggiamento e altri comportamenti esclusivi di una specie rappresentano delle vere e proprie barriere riproduttive, anche tra specie strettamente imparentate. Alcuni rituali permettono il riconoscimento del compagno sessuale, rappresentando un modo per identificare potenziali partner della stessa specie. Questo è il caso delle due specie di allodole di prato (Sturnella magna e Sturnella neglecta), che non possono incrociarsi perché le due specie presentano differenze nel canto, nelle vocalizzazioni e in altri comportamenti volti alla comunicazione intraspecifica e alla riproduzione. Un altro classico esempio è quello della sula dai piedi azzurri (Sula nebouxii), che si accoppiano solo dopo un rituale di corteggiamento esclusivo della loro specie. Questi uccelli sono caratterizzati da un intenso colore azzurro dei suoi piedi palmati, che il maschio sfoggia durante il corteggiamento, tale rituale di corteggiamento prevede che il maschio sollevi alternativamente le zampe azzurre richiamando l’attenzione della femmina (solo gli individui di questa specie sanno leggere questo segnale).[1]
L’isolamento meccanico prevede che le due specie possono incontrarsi ma non accoppiarsi perché caratterizzate da differenze strutturali, anatomiche, che impediscono in modo meccanico, l’accoppiamento (es. differenze negli apparati riproduttivi).[1]
L’isolamento gametico prevede che gli spermatozoi di una specie possono non essere in grado di fecondare le cellule uovo di una specie diversa. Per esempio, gli spermatozoi possono non sopravvivere nelle vie genitali delle femmine dell’altra specie, oppure certi meccanismi biochimici possono impedirne la penetrazione attraverso le membrane della cellula uovo. Ad esempio, l’isolamento gametico separa alcune specie acquatiche di animali strettamente imparentati, quali i ricci di mare. I ricci rilasciano cellule uovo e spermatozoi nell’acqua in cui vivono e i gameti si fondono producendo zigoti. È difficile per i gameti di specie diverse, come i ricci rossi e i ricci viola, unirsi a causa dell’incompatibilità di proteine recettrici presenti sulla superficie delle cellule uovo e degli spermatozoi.[1]
Barriere postzigotiche
modificaLe barriere postzigotiche, o post-accoppiamento, avvengono quando lo zigote si forma, ma non si sviluppa in un adulto fertile: due specie diverse non possono riprodursi e dare origine a prole fertile. In questo tipo di barriera riproduttiva, è avvenuto l’incontro, l’accoppiamento e la riproduzione tra due individui appartenenti a specie differenti seppur simili e strettamente imparentate, ma il meccanismo di isolamento fa sì che la prole che derivi da tale accoppiamento non sia fertile.[1]
L’accoppiamento e la riproduzione tra due specie differenti dà origine ai cosiddetti ibridi; di ibridi se ne conoscono diversi esempi, sia in natura sia in laboratorio o in cattività. Gli ibridi, pur mostrando in molte occasioni un ottimo grado di vitalità, tendono ad essere sterili (ridotta fertilità degli ibridi). Se i cromosomi delle due specie parentali differiscono per numero o struttura, negli ibridi la meiosi non può produrre gameti normali. Dal momento che gli ibridi sterili non sono in grado di concepire neppure in caso di accoppiamento con una delle specie parentali, non può verificarsi il flusso genico da una specie all’altra. Un classico esempio è rappresentato dal mulo, ossia la prole ibrida di un asino (Equus africanus asinus) e una cavalla (Equus ferus caballus); il mulo è un animale robusto, prestante, ma sterile: non è capace di riprodursi. Anche il bardotto, generato da un’asina e un cavallo, è sterile.[1]
Speciazione
modificaLa speciazione in biologia è un processo evolutivo grazie al quale si formano nuove specie da quelle preesistenti. Il concetto di speciazione è stato essenzialmente sviluppato da Ernst Mayr, Julian Huxley e Teodosij Dobžanskij.
Il processo di speciazione è fondamentale nella comprensione dell’evoluzione e della biodiversità. La speciazione risulta dalla selezione naturale e/o dalla deriva genetica, che sono i due motori dell'evoluzione. La speciazione avviene principalmente tramite l’isolamento riproduttivo tra popolazioni, che porta alla divergenza genetica e alla formazione di nuove specie. Questo fenomeno è una delle colonne portanti del neodarwinismo.
Quando nell'Ottocento il naturalista inglese Charles Darwin, padre della teoria dell'evoluzione, si recò alle isole Galápagos notò che erano popolate da specie uniche. In seguito, Darwin si rese conto che tali specie erano relativamente recenti. Il “mistero dei misteri” che affascinava tanto Darwin è proprio la speciazione, è l’origine delle specie (al punto che questo è il nome che ha dato alla sua opera più influente, L'Origine delle specie), il processo attraverso cui una specie si trasforma in due o più specie differenti. La speciazione affascinava Darwin (e da allora molti altri biologi) in quanto è responsabile della straordinaria biodiversità che si manifesta ripetutamente con la formazione di nuove specie, diverse rispetto a quelle già esistenti.
Modalità di speciazione
modificaLe diverse modalità di speciazione possono essere classificate in due ampie categorie: la divergenza adattiva, che consiste nello sviluppo graduale e in tempi lunghi dell'isolamento riproduttivo, sotto la spinta della deriva genetica o della selezione naturale, e la speciazione improvvisa, che avviene bruscamente e riguarda in massima parte la nascita di individui (di solito vegetali) con corredo cromosomico poliploide (es. tabacco, cotone, patata)[13].
Divergenza adattiva
modificaVi sono quattro differenti modalità di speciazione per divergenza adattiva[14]: allopatrica, parapatrica, peripatrica e simpatrica, associate al livello di isolamento geografico delle popolazioni speciantesi.
Speciazione allopatrica
modificaEsistono due grandi tipi di speciazione allopatrica, entrambi i modelli proposti da Ernst Mayr:
- Speciazione dicopatrica o per vicarianza
- Speciazione peripatrica o per dispersione
La speciazione allopatrica prevede l'esistenza di barriere geografiche che separando due popolazioni di individui della stessa specie in due territori differenti (definiti isole), interrompono il flusso genico della popolazione iniziale portando alla diversificazione di due specie differenti (vicarianza)[15].
L'isolamento geografico può essere legato alla presenza di barriere naturali preesistenti quali montagne, deserti, mari, etc. oppure essere il risultato di una modificazione ambientale (innalzamento del livello del mare, deviazione di un corso d'acqua, costruzione di barriere artificiali, etc.).
Quando due popolazioni di individui della stessa specie si trovano in condizioni di isolamento, le nuove condizioni ambientali favoriscono per selezione ulteriori cambiamenti genetici, per cui, se l'isolamento persiste per un periodo sufficiente, la neo-specie non sarà più in grado di incrociarsi con la popolazione di origine.
L'esempio classico, da cui prende origine questa teoria, è quello dei "fringuelli di Darwin", osservati da Charles Darwin sulle isole Galápagos.
Speciazione parapatrica
modificaSi parla di speciazione parapatrica quando la divergenza avviene all'interno di popolazioni che non sono totalmente isolate geograficamente ma possiedono una ristretta zona di contatto. Le migrazioni tra popolazioni sono tuttavia limitate poiché queste ultime si perpetuano all'interno di condizioni ambientali differenti (per esempio gradienti climatici). La selezione naturale ha dunque un ruolo importante in questa modalità di speciazione.
- Se le due specie hanno acquisito completo isolamento riproduttivo possono sovrapporsi, in base alle preferenze di habitat.
- Se si sono sviluppate barriere di isolamento riproduttivo ma non compatibilità ecologica, gli areali si mantengono parapatrici.
- Se non sono state acquisite barriere anti-ibridazione, si forma una zona di contatto che porta alla formazione di ibridi, nei quali possono evolvere barriere post-copula.
Speciazione peripatrica
modificaLa speciazione peripatrica, o speciazione per "effetto del fondatore" avviene quando un piccolo numero di individui costituisce una nuova popolazione ai margini dell'areale della specie di origine, ad esempio colonizzando una piccola isola vicina alla costa. La nuova popolazione può rapidamente evolvere in una nuova specie. A questo modello sono riferibili i casi di semi-specie, circoli di specie, super specie.
Speciazione simpatrica
modificaLa speciazione simpatrica avviene quando due popolazioni non isolate geograficamente si evolvono in specie distinte grazie alla presenza di polimorfismo nel tempo. In questo caso la selezione naturale gioca un ruolo cruciale nella divergenza delle popolazioni. Il fenomeno presenta tuttora degli aspetti controversi ma è stato ben documentato in alcuni casi, per esempio nei pesci di acqua dolce della famiglia dei Ciclidi[16].
I principali studi in questo campo riguardano gli esperimenti sulla Drosophila.
La speciazione simpatrica può avvenire per formazione di una criptospecie, ossia di una popolazione non più interfeconda con la specie di origine, a causa di alterazioni del cariotipo.
Questo meccanismo può rientrare tra le modalità di speciazione improvvisa.
La speciazione simpatrica si può vedere in paleontologia quando specie e generi, indagati con criterio stratigrafico, dimostrano le derivazioni fra loro e i rapporti filetici; tali taxa si susseguono nel tempo geologico, nell'ambito di un dominio paleogeografico isolato. Vedi l'esempio degli ammoniti Hildoceratidae in Appennino durante il Toarciano della Tetide occidentale (Giurassico inferiore; Venturi et al., 2010).
Speciazione improvvisa
modificaLa speciazione improvvisa, o istantanea, è un processo che riguarda prevalentemente gli organismi vegetali e si verifica in tempi brevi. Tipica causa è il fenomeno della poliploidia, che consiste in un aumento del numero di cromosomi rispetto al normale assetto diploide.
La poliploidia può avvenire per:
- una non-disgiunzione dei cromosomi durante il processo mitotico o meiotico;
- un processo meiotico o mitotico avvenuto senza errori, ma senza la successiva citodieresi.
Dunque, prendendo in esame un qualunque individuo diploide, si ha una situazione del genere:
- l'individuo effettua la meiosi;
- durante la meiosi, avviene una non-disgiunzione dei cromosomi: i gameti risulteranno quindi diploidi;
- i gameti si incrociano tra loro: lo zigote risultante sarà tetraploide, ossia avrà un assetto cromosomico doppio rispetto al suo ascendente originario, cioè l'organismo iniziale preso in considerazione.
Tuttavia, la formazione di criptospecie avviene perlopiù a livello di ibridi, cioè di individui frutto dell'incrocio di due specie differenti e quindi sterili. Nel caso degli organismi vegetali, gli ibridi sterili sopperiscono attraverso la riproduzione le specie saranno sempre differenti da quelle precedenti e paradossalmente si avranno specie a rischio di estinzione di massa.
Nel 2011 è stato documentato il caso di speciazione simpatrica in organismi termofili[17].
Note
modifica- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s Urry Lisa A.; Cain Michael L.; Wasserman Steven A.; Reece Jane B. Campbell. Meccanismi dell'evoluzione e origini della diversità. Pearson. 2021.
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- ^ (EN) V. B. Rastogi, Modern Biology, Pitambar Publishing, 1º gennaio 1997, ISBN 9788120904965. URL consultato il 24 ottobre 2016.
- ^ (EN) Patricia Des Roses Moehlman, Equids: Zebras, Asses, and Horses : Status Survey and Conservation Action Plan, IUCN, 1º gennaio 2002, ISBN 9782831706474. URL consultato il 24 ottobre 2016.
- ^ Copia archiviata (PDF), su ucl.ac.uk. URL consultato il 4 maggio 2019 (archiviato il 15 settembre 2012).
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- ^ (FR) Jean Gabilly, Le Toarcien à Thouars et dans le centre-ouest de la France, collana Les stratotipe Francais. Biostratigraphie-Evolution de la faune (Harpoceratinae, Hildoceratinae),, Parigi, Editions du CNRS, 1976.
- ^ Venturi Federico (2017) - Sito Internet: viaggioefossiliAppennino.org. Nota, ammoniti del gen. Hildoceras in Appennino. Comparsa ed evoluzione nel Toarciano.
- ^ Federico Venturi, Giuseppe Rea, Giancarlo Silvestrini e Massimiliano Bilotta, Ammoniti, un viaggio geologico nelle montagne appenniniche, Porzi edit. Stampa Tipolito Properzio, 2010, ISBN 8895000277.
- ^ Giovanni Pinna, Paleontologia ed evoluzione, Firenze, Martello - Giunti edit., 1974.
- ^ Brouwer Aart (1972) - Paleontologia Generale, le testimonianze fossili della vita. Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, 221 pp., ediz. italiana, Milano.
- ^ Helena Curtis, N. Sue Barnes, Adriana Schnek e Graciela Flores, Invito alla biologia.blu PLUS, Bologna, Zanichelli, 2012, pp. B158 - B163.
- ^ (EN) Joseph Boxhorn. Observed Instances of Speciation. Accesso 8 giugno 2009.
- ^ Helena Curtis, Invito alla biologia, Bologna, Zanichelli, 2009, p. 320.
- ^ (EN) Marta Barluenga, Kai N. Stölting, Walter Salzburger, Moritz Muschick e Axel Meyer, Sympatric speciation in Nicaraguan crater lake cichlid fish, in Nature, vol. 439.
- ^ (EN) Hinsby Cadillo-Quiroz, et. al, Patterns of Gene Flow Define Species of Thermophilic Archaea, in PLoS Biol 10(2): e1001265., doi:10.1371/journal.pbio.1001265.
Voci correlate
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modifica- Wikiquote contiene citazioni sulla specie
- Wikizionario contiene il lemma di dizionario «specie»
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla specie
Collegamenti esterni
modifica- (EN) John L. Gittleman, species-taxon, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) species, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Specie, su Stanford Encyclopedia of Philosophy.
- (EN) IUPAC Gold Book, "species (taxonomic)", su goldbook.iupac.org.
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