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Il termine Germani (chiamati anche Teutoni o, per sineddoche, Goti) indica un insieme di popoli parlanti lingue germaniche, nati dalla fusione fra gruppi etnici di origine indoeuropea e gruppi etnici autoctoni di origine paleo-mesolitica e neolitica nella loro patria originaria (Scandinavia meridionale, Jutland, odierna Germania settentrionale), che, dopo essersi cristallizzati in un'unica compagine, a partire dai primi secoli del I millennio si diffusero fino a occupare un'ampia area dell'Europa centro-settentrionale, dalla Scandinavia all'alto corso del Danubio e dal Reno alla Vistola. Da qui, a partire soprattutto dal III secolo, numerose tribù germaniche migrarono in molteplici ondate verso ogni direzione, toccando gran parte del continente europeo e arrivando fino in Nordafrica e in Nordamerica.

Germani
Espansione dei Germani in Europa centrale
(VIII secolo a.C.-I secolo d.C.):

     Insediamenti prima del 750 a.C.

     nuovi insediamenti dal 750 a.C. al 1 d.C.

     nuovi insediamenti fino al 100 d.C.

     nuovi insediamenti dopo il 100 d.C.

 
Nomi alternativiPopoli germanici
Sottogruppi
Luogo d'origineScandinavia meridionale, Jutland
PeriodoEtnogenesi nel I millennio a.C.
LinguaLingue germaniche
Distribuzione
Europa settentrionale (Germania Magna e Scandinavia)

Dopo il periodo delle migrazioni i popoli germanici attraversarono un nuovo periodo di etnogenesi dal quale emersero alcune nazioni odierne:[1] i popoli scandinavi (Danesi, Faroesi, Islandesi, Norvegesi, Svedesi); i popoli tedeschi federati, gli Austriaci, gli Svizzeri Alemanni; i popoli franconi (Fiamminghi, Olandesi, Lussemburghesi) e i popoli di matrice anglo-frisone (Frisoni, Inglesi),[2] sebbene il lascito dei Germani sia presente in tutta Europa, anche in nazioni che non parlano lingue germaniche dove essi si fusero con le popolazioni locali non germaniche, dai paesi del mediterraneo, alla Francia dove essi assunsero la lingua gallo-romanza locale, alla Russia (Variaghi).

Dall'età moderna furono soprattutto gruppi germanici, almeno in origine, a fondare colonie nell'America del nord e in altre zone non europee. Da questo periodo in poi elementi culturali originariamente propri di gruppi germanici, quali la lingua inglese e la religione protestante che fu creata in ambito germanico nel XVI secolo, si sono diffusi in tutto il mondo anche tra popolazioni non germaniche.

Etnonimo

 
Un germano, rappresentato su un rilievo trionfale romano oggi custodito ai Musei Vaticani, a Roma.

Esonimo: Germani

Il termine "Germani" delle fonti classiche (latino Germanus(-i), pronunciato con G iniziale dura=«ghermani») Tacito sostiene sia di origine celtica. Utilizzato inizialmente per identificare una specifica tribù, passò in seguito a essere impiegato per la totalità dei Germani. Tacito sostiene che il termine indicasse originariamente una tribù gallica stanziata nell'odierno Belgio prima di essere scacciata da una penetrazione germanica: quella dei Tungri che, una volta insediatisi nel territorio dei "Germani" celtici, sarebbero stati indicati dai vicini con il medesimo nome, in un secondo tempo esteso a tutte le genti a loro affini.[3] L'etimologia dell'etnonimo Germani non è certa. Se davvero derivasse dalla lingua gallica è stato proposto si tratti di un composto di *ger "vicini" + *mani "uomini", comparabile al gallese ger "vicino", l'antico irlandese gair "vicino", e l'irlandese gar- (prefisso) "vicino" e garach "vicinamente".[4][5][6][7] Un altro etimo celtico ricollega la radice "ger" a "rumoroso", quindi "Germani" a "uomini rumorosi" o "urlanti"; cf. bretone/cornico garm "urlare", irlandese gairm "chiamare".[8] Tuttavia non v'è corrispondenza tra le vocali e la lunghezza delle stesse.

Altri studiosi hanno proposto una etimologia dal germanico comune stesso, *gēr-manni, "uomini di lancia" o "di spada" o in senso lato "uomini d'arme", cf. olandese medio ghere, alto tedesco antico Ger, norreno antico geirr,[9] o anche inglese contemporaneo gear, "arnese", "congegno", "equipaggiamento". Tuttavia, la forma gēr (dal protogermanico *gaizaz) sembra foneticamente di molto posteriore al I secolo, perché ha una vocale lunga dove dovrebbe essercene una corta per le lingue germaniche del periodo, e la forma latina Germanus(-i) ha una sola -n-, non una geminata.

Endonimo: "Teutoni, Tedeschi"

I Germani identificavano sé stessi semplicemente come "il popolo" o "i popoli", con una varietà di parole tutte aventi la stessa origine nel germanico comune *þiudiskaz (thiudiskaz). La radice *þeudō (theudo) significava appunto "popolo" (nel senso del moderno volk, ovvero "gruppo etnico", gruppo di gente accomunata dalla stessa origine e dagli stessi costumi), e il suffisso *-iskaz formava l'aggettivo (tale suffisso continua p.es. nell'inglese -ish e nel tedesco odierno -isch, nonché nell'italiano -esco per prestito dal germanico, cfr. p.es. il nome proprio in origine etnonimo "Francesco"). La parola proto-indoeuropea *tewtéh₂ ("tribù"), che è accettata negli studi linguistici come base di theudo, è all'origine anche di parole affini in altre lingue indoeuropee quali il lituano tautà ("nazione"), l'irlandese antico túath ("tribù", "popolo") e l'osco (una delle antiche lingue italiche) touto ("comunità").[10] Dalla forma in germanico occidentale *þiudisk e sue variazioni successive deriva il prestito latino medievale theodiscus e le sue varianti neolatine.[11]

Thiudiskaz nell'inglese medio divenne thede/thedisc, ma già dal Medioevo gli Inglesi si riferivano a sé stessi come Englisc poi English, e dal primo inglese moderno thede era già perso (conservandosi solo in alcuni toponimi in Inghilterra come Thetford, "passo pubblico"). Continua nell'islandese þjóð (thiod) che sta per "popolo, nazione" e nel norvegese nuovo tjod dallo stesso significato, e specialmente nel tedesco della Germania Deutsch dove non indica un concetto generico di popolo ma proprio il "popolo germanico". Indicano specificamente la nazione della Germania anche l'olandese Duits (che pure possiede una variante antiquata, Deits, a significare il solo "popolo olandese"), lo yiddish (germanico giudaico) דײַטש daytsh, il danese tysk, il norvegese tysk, lo svedese tyska, e i derivati neolatini come lo spagnolo tudesco e l'italiano tedesco.

La parola "teutone", in forma aggettivale "teutonico", deriva anch'essa dal germanico thiudiskaz ma non attraverso il latino medievale theodiscus, quanto attraverso il latino antico Teutones già adottato dai Romani ad identificare una delle prime tribù germaniche con le quali erano entrati in contatto, i Teutoni appunto.

Storia

Le origini

Le prime testimonianze storiche e archeologiche (III-II millennio a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura della ceramica cordata e Indoeuropei.
 
Ascia in pietra della cultura della ceramica cordata da Tidaholm

I Germani furono il risultato dell'indoeuropeizzazione, nella prima metà del III millennio a.C., della Scandinavia meridionale e dello Jutland da parte di genti provenienti dall'Europa centrale, già indoeuropeizzata nel corso del IV millennio a.C. Sebbene la cronologia esatta di questa penetrazione sia ancora oggetto di disputa, è riconosciuto che entro il 2500 a.C. gli elementi culturali propri di questi popoli - la cultura della ceramica cordata - avevano raggiunto un'ampia area dell'Europa settentrionale, dal Mar Baltico orientale all'odierna Russia europea, dalla Penisola scandinava alle coste orientali del Mare del Nord[12].

Al momento del loro insediamento in quella che sarebbe divenuta la patria originaria dei Germani, gli elementi indoeuropei trovarono già sviluppata una civiltà agricola, autrice dei megaliti propri dell'Età della Pietra nordica. Non si conoscono i caratteri etnici propri di questi popoli, ma è possibile che fossero affini a quelli delle (relativamente) vicine genti finniche[13]. La fusione, più o meno pacifica, di questi elementi pre-indoeuropei con i gruppi indoeuropei provenienti da sud determinò la cristallizzazione dei Germani, che conservarono la lingua indoeuropea dei nuovi venuti[12].

Il grado di compattezza dell'insieme dei Germani è oggetto di dibattito storiografico. Comunemente si ritiene che, nonostante la scissione in numerose tribù e l'assenza di un endoetnonimo attestato, i Germani avessero coscienza della propria identità etnica, secondo quanto ampiamente attestato sia dalla storiografica coeva greca e romana, sia dalla stessa produzione germanica di poco successiva[14]; tuttavia alcuni recenti filoni storiografici criticano tale impostazione e, interpretando le attestazioni di appartenenza come conseguenti alla descrizione etnografica classica, negano ogni forma di coscienza identitaria comune[15]. Permane in ogni caso piena convergenza sia sul carattere etnicamente composito delle varie tribù germaniche, sia sulla contemporanea omogeneità sociale, religiosa e linguistica[14][15].

Età del bronzo (XVII-VI secolo a.C.)

 
Petroglifi dell'età del bronzo scandinava da Tanum

La cultura materiale che si sviluppò sulle rive del mar Baltico occidentale e nella Scandinavia meridionale durante la tarda età del bronzo europea (1700 a.C.-500 a.C.), nota come età del bronzo nordica, è già considerata la cultura comune ancestrale del popolo germanico[12]. Esistevano a quel tempo insediamenti piccoli ed indipendenti, oltre ad un'economia fortemente incentrata sulla disponibilità di bestiame.

Fu questa l'epoca in cui la lingua proto-germanica assunse, all'interno della famiglia linguistica indoeuropea, le proprie caratteristiche peculiari[16]. Il germanico comune - da intendersi più come un insieme di dialetti affini che come una lingua completamente unitaria - rimase sostanzialmente compatto fino alle grandi migrazioni di Germani verso sud, iniziate già nell'800 a.C.-750 a.C. A metà dell'VIII secolo a.C., infatti, i Germani risultano attestati lungo l'intera fascia litoranea che va dai Paesi Bassi alla foce della Vistola. La pressione continuò nei secoli successivi, non come un movimento unitario e unidirezionale ma come un intricato processo di avanzamenti, retrocessioni e infiltrazioni in regioni abitate anche da altri popoli. Intorno al 550 a.C. raggiunsero l'area del Reno, imponendosi sulle preesistenti popolazioni celtiche[17] e in parte mescolandosi a esse (è considerato misto il popolo di confine dei Belgi).

Durante questo periodo i Germani furono a lungo in contatto, linguisticamente e culturalmente, con i Celti e gli Italici (sia Osco-umbri, sia proto-Latini e proto-Veneti) a sud e con i Balti a est[17]. I rapporti con gli Italici, certificati dalla linguistica storica, si interruppero alla fine del II millennio a.C., quando questi popoli avviarono la loro migrazione verso sud[16] e sarebbero ripresi soltanto a partire dal I secolo a.C., quando con Gaio Giulio Cesare l'espansione di Roma sarebbe arrivata fino al Reno.

Età del ferro (V-I secolo a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di Przeworsk e Cultura di Wielbark.
 
L'area occupata dai Germani durante l'Età del ferro (500 a.C.-60 a.C. circa). In rosso, la loro patria originaria (Scandinavia meridionale e Jutland), corrispondente a quella dell'Età del bronzo nordica; in magenta, le prime regioni toccate dalla loro espansione e dove si sviluppò la Cultura di Jastorf
 
L'espansione dei Germani in Europa centrale tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C..

Dal V al I secolo a.C., durante l'Età del ferro, i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa[senza fonte]. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti[senza fonte]. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba[senza fonte]. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori.

Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio[18].

Sul finire del II secolo a.C. i Germani risultavano presenti, oltre che nella loro patria originaria baltico-scandinava, in un'ampia ma indefinita regione dell'Europa centrale, all'epoca ricoperta di fitte foreste e corrispondente agli attuali Paesi Bassi, Germania centro-settentrionale e Polonia centro-occidentale. I confini dell'area da loro raggiunta, sia pure fluidi e soggetti a mutamenti e a condivisioni con altri popoli, coincidevano a grandi linee con i bassi corsi del Reno a ovest e della Vistola a est; a sud la situazione era ancor più incerta, con penetrazioni germaniche anche profonde in regioni abitate prevalentemente da Celti, come Norico e Pannonia. Già nel secolo successivo, tuttavia, la presenza germanica si sarebbe meglio definita, da un punto di vista territoriale, quale quella predominante nelle aree poste immediatamente al di là del Limes romano, marcato in quelle regioni dal Reno e dall'alto Danubio.

Il mito e la loro suddivisione nella storiografia romana

  Lo stesso argomento in dettaglio: Germania Magna e Tribù germaniche.

In età antica era diffusa l'ipotesi, riferita dallo storico latino, Publio Cornelio Tacito, nel De origine et situ Germanorum (del 98 d.C.), secondo cui i Germani fossero un popolo indigeno della Germania stessa, dal momento che nelle epoche più antiche gli spostamenti di intere popolazioni avvenivano esclusivamente via mare ed egli ritiene che nessun popolo del Mediterraneo si sia spinto verso il Mare del Nord.[19] Oltre a ciò, lo storico romano riferisce anche delle origini mitiche che la tradizione germanica attribuiva al proprio popolo, trasmesse oralmente; essi si consideravano discendenti di Tuistone, divinità della terra. I suoi nipoti, figli di suo figlio Manno, sarebbero i capostipiti delle tre stirpi germaniche:

  1. quella degli Ingevoni (le popolazioni vicino all'Oceano),
  2. degli Istevoni (che occupano la zona di mezzo)
  3. e degli Erminoni (tutte le altre).

Secondo altre tradizioni, sempre riferite da Tacito, Manno ebbe tanti altri figli oltre ai primi tre, dai quali derivarono anche i Marsi, i Gambrivi, i Suebi, i Vandili, e dunque avrebbero dato origine ad altre tribù.[20]

Vent'anni prima, nel 77/78, Plinio il Vecchio scriveva qualcosa di molto simile nella sua Naturalis Historia, che andrebbe a completare il quadro descritto da Tacito sui popoli germanici. Secondo lo storico e naturista latino: «i Germani hanno 5 razze:

  1. i Vandali, di cui fanno parte i Burgundi, i Varinni, i Carini, Gutoni;
  2. gli Ingueoni (assimilabili agli Ingevoni di Tacito), comprendenti Cimbri, Teutoni e Cauci (sulle coste dell'Oceano Germanico);
  3. gli Istueoni (assimilabili agli Istevoni), vicini al Reno (e che occupano la terra di mezzo);
  4. gli Ermioni (assimilabili agli Erminoni), più nell'interno e di cui fanno parte Suebi, Ermunduri, Catti e Cherusci;
  5. la quinta ripartizione è costituita da Peucini e Bastarni».[21]
 
La Germania Magna e la sua suddivisione per popolazioni sulla base degli scritti di Plinio il Vecchio (77/78) e Tacito (98):

     Ingaevones

     Istaevones

     Herminones

Il conflitto contro Roma (II secolo a.C. - V secolo d.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre romano-germaniche, Limes renano e Limes danubiano.

Cimbri e Teutoni (113 - 101 a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre cimbriche.
 
La coalizione germanica di Cimbri e Teutoni muovono dal mare del Nord in direzione prima del Danubio e poi verso la Gallia, dove si scontrano con i Romani alcune volte tra il 113 ed il 105 a.C.

I Germani vennero a contatto con Roma fin dall'ultimo scorcio del II secolo a.C., con le incursioni di Cimbri e Teutoni in territorio romano. I due popoli germanici mossero dal natio Jutland e penetrarono in Gallia, spingendosi fino alla provincia romana della Gallia Narbonense, di recente costituzione. Qui discesero il corso del Rodano favorendo una ribellione delle tribù celtiche appena assoggettate a Roma e sconfiggendo in più occasioni le legioni romane che avevano tentato di arginarne l'invasione.

Negli anni successivi i Cimbri penetrarono in Iberia, mentre i Teutoni proseguirono le loro scorrerie in Gallia settentrionale. I due popoli tornarono poi a volgersi contro i domini di Roma, minacciando la Gallia cisalpina; a opporsi a loro fu inviato il console Gaio Mario, che in due battaglie annientò entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae Sextiae (l'odierna Aix-en-Provence) nel 102 a.C., i Cimbri ai Campi Raudii (presso Vercelli) nel 101 a.C.

Superato il pericolo dell'invasione di Cimbri e Teutoni, Roma passò a una politica marcatamente espansionistica verso nord, nei territori dell'Europa centro-occidentale. Il processo, articolato in varie fasi, portò alla conquista di tutte le aree collocate a ovest del Reno e a sud del Danubio, oltre a varie penetrazioni al di là di tale linea. L'ininterrotta frontiera dell'Impero romano, estesa dal Mare del Nord al Mar Nero, fu il Limes, per secoli argine alla spinta espansionista dei Germani verso sud e verso ovest. Lungo il Limes, numerosi furono i conflitti che si accesero nel corso dei secoli tra i Romani e i Germani, che tentarono a più riprese di penetrare nel più ricco e organizzato territorio soggetto all'Urbe. Soltanto però quando l'Impero romano entrò - per cause interne - in grave crisi, ai Germani riuscì la penetrazione con ampie masse al di qua del Limes (III secolo).

Cesare e la Gallia: il Reno come confine naturale con i Germani (58-54 a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista della Gallia.

Al tempo della conquista della Gallia condotta da Cesare, nuovi conflitti si accesero lungo il Reno, confine tra i Celti e i Germani. Fin dal 72 a.C. un gruppo di tribù germaniche, capeggiate dai Suebi di Ariovisto, aveva passato il fiume e tormentava con le sue scorribande il territorio gallico, infliggendo anche una dura sconfitta ai Galli presso Admagetobriga (60 a.C.). I Galli invocarono allora l'aiuto di Cesare, che sconfisse definitivamente Ariovisto presso Mulhouse (58 a.C.).

La disfatta di Ariovisto non fu comunque sufficiente ad arrestare la pressione esercitata in quegli anni dai Germani sui Galli. Una massa di Usipeti e Tencteri minacciò i Menapi belgi presso la foce del Reno, fornendo a Cesare una nuova opportunità di intervento (55 a.C.). Sconfitte le due tribù in Gallia belgica, il proconsole sconfinò nelle terre dei Germani: valicato il Reno, compì razzie e saccheggi per terrorizzare il nemico e indurlo a rinunciare a nuove incursioni verso la Gallia. Fissò quindi stabilmente il confine dei territori soggetti a Roma sullo stesso Reno.

Il tentativo di conquista romana sotto Augusto (12 a.C.-9 d.C.)

 
La mappa della disfatta di Varo, nella Selva di Teutoburgo

Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[22] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[23] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto suo padre Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero.[24][25]

Toccò al figliastro di Augusto, Druso maggiore, il gravoso compito di operare in Germania. Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 d.C. portando alla costituzione della nuova provincia di Germania con l'insediamento di numerose installazioni militari a sua difesa. Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono però definitivamente compromessi quando nel 7 Augusto inviò in Germania Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi. Nel 9 un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni venne massacrato nella selva di Teutoburgo, portando alla definitiva perdita di tutta la zona tra il Reno e l'Elba.[24][25][26]

L'occupazione romana degli Agri decumati

  Lo stesso argomento in dettaglio: Limes germanico-retico e Campagne suebo-sarmatiche di Domiziano.

Dopo il disastro di Teutoburgo, Roma tentò nuovamente di ridurre all'obbedienza i Germani, ma questi riuscirono sempre a evitare di piegarsi al giogo romano, salvo episodi momentanei. Una spedizione condotta da Germanico sotto Tiberio (14-16 d.C.) si concluse con la vittoria della Battaglia di Idistaviso, che tuttavia non portò a un ampliamento dei domini romani. Nel 47 Claudio decise di ritirare definitivamente le legioni al di qua del Reno. Durante questo periodo, varie tribù germaniche stanziate nei pressi della foce del fiume avevano dovuto accettare lo status di tributari di Roma, salvo poi ribellarsi (i Frisoni nel 28, i Batavi nel 69-70).

Tra l'83 e l'85 una nuova campagna contro i Germani fu condotta dall'imperatore romano Domiziano, che si scontrò con i Catti e occupò l'area degli Agri decumates, riducendo così la lunghezza del Limes tra Reno e Danubio. In seguito, lo stesso imperatore combatté contro altre tribù germaniche (i Marcomanni e i Quadi) più a est, lungo il medio corso del Danubio (Pannonia), in una serie di campagne proseguite poi da Traiano (89-97).

Le tribù germaniche alla fine del I secolo

Risale alla fine del I secolo la prima dettagliata descrizione dei Germani, riportata nella Germania di Gaio Cornelio Tacito (98 d.C. circa). A quel tempo i Germani erano ormai diventati da un pezzo agricoltori sedentari. Lo storico romano, come già Cesare prima di lui, si occupa esclusivamente dei "Germani occidentali", che sono dunque i primi a essere descritti dettagliatamente dalla storiografia. Tacito testimonia che inizialmente questi Germani non erano interessati ai territori romani. Ogni tanto sommovimenti generati all'interno o indotti da pressioni esterne convogliavano l'aggressività endemica di queste tribù guerriere verso i confini dell'Impero romano, che suscitava in loro paura, riverenza e cupidigia. Ma l'Impero era troppo forte e le tribù troppo deboli per potere consolidare quelle incursioni in vere e proprie campagne militari. Le incursioni erano piuttosto i Romani a effettuarle nelle terre barbare, con risultati terrorizzanti.[27] Fu solo tra il II e il IV secolo che, spinti dalle tribù di nomadi delle steppe che, superiori militarmente, ne occuparono i pascoli, essi iniziarono a premere verso sud.

La partizione dell'insieme delle tribù germaniche in tre grandi sottoinsiemi, geograficamente caratterizzati (occidentali, orientali e settentrionali), segue una distinzione linguistica interna alle lingue germaniche più che una strettamente storica[28], giacché frequenti erano, presso i Germani, i mescolamenti e le ibridazioni di tribù diverse.

 
La Germania Magna nel 98 d.C. al tempo dello scritto di Tacito, De origine et situ Germanorum, inclusi i ritrovamenti archeologici.
I Germani occidentali
  Lo stesso argomento in dettaglio: Popoli germanici occidentali.

Nella Germania Tacito ripartisce i Germani (occidentali) in tre gruppi: Ingaevones, Istaevones e Herminones. Tale tripartizione è stata accolta anche dalla storiografia moderna, che li identifica rispettivamente con le tribù del Mare del Nord, del bacino del Reno-Weser e di quello dell'Elba[29].

Gli Ingaevones all'epoca di Tacito erano le tribù stanziate lungo le coste del Mare del Nord e le piccole isole adiacenti; tra queste, i Frisoni (presso la foce del Reno), gli Angli (nell'odierno Schleswig-Holstein), i Sassoni (anch'essi originari dello Schleswig-Holstein, poi espansi verso sud e verso ovest fino a raggiungere il Reno e a entrare in conflitto con altre tribù germaniche) e gli Juti (tradizionalmente collocati nello Jutland. Angli, Juti e gran parte dei Sassoni migrarono in massa in Gran Bretagna nel V secolo[30].

Gli Istaevones si trovavano, nel I secolo-II secolo nell'area dei bacini dei fiumi Reno e Weser. Tra le varie tribù che facevano parte di questo gruppo spiccano i Batavi, gli Ubi, i Treveri, i Catti e i Franchi, che presto si evolsero da singola tribù a confederazione includente anche apporti di diversa origine.

Gli Herminones (spesso indicati anche con il nome generico di Suebi, impiegato tuttavia in modo incoerente dalle fonti classiche) occupavano, sempre intorno al I secolo, la regione compresa tra il basso corso dell'Elba e il Mar Baltico, chiamata allora Golfo di Codano. Tra le tribù che ne facevano parte, oltre agli stessi Suebi, si contavano i Marcomanni, i Quadi e i Semnoni; questi ultimi avrebbero costituito il nucleo della confederazione degli Alemanni.

I Germani orientali
  Lo stesso argomento in dettaglio: Popoli germanici orientali.

Chiamati anche, dal luogo del loro insediamento tra I e II secolo, "gruppo dell'Oder-Vistola", anche questo grande sottoinsieme dei Germani, identificato principalmente su base linguistica[31], era frazionato in numerose tribù; tra le principali, Vandali, Burgundi, Gepidi, Rugi, Eruli, Bastarni, Sciri, Goti (poi scissi in due rami: Ostrogoti e Visigoti) e Longobardi (questi ultimi, però, a volte sono inseriti tra gli Herminones, Germani occidentali)[32].

Scarse sono le informazioni su questa branca germanica nei primi secoli d.C.: a causa dei rari contatti con il mondo classico, le testimonianze degli storici e dei geografici greci e latine sono poche e confuse. Soltanto a partire dal III-IV secolo, con i primi grandi movimenti migratori dei Germani orientali dall'area baltica verso il Limes romano e con la traduzione in lingua gotica della Bibbia per opera di Ulfila, le tribù germaniche orientali sarebbero entrate nella linea della storia.

I Germani settentrionali
  Lo stesso argomento in dettaglio: Popoli germanici settentrionali.

Nonostante la scarsità dei contatti, gli storici e i geografi latini hanno tramandato alcune informazioni sul ramo settentrionale dei Germani: Plinio il Vecchio li indica con il nome generico di Hilleviones, mentre Tacito ricorda la tribù dei Suioni (dal cui nome deriva quello della Svezia). Accomunate dalla lingua proto-norrena, tramandata dalle iscrizioni in alfabeto runico, nei primi secoli d.C. le varie tribù erano stanziate nella parte meridionale della Penisola scandinava; soltanto a partire dal V secolo ebbero inizio vari movimenti migratori, che espansero notevolmente l'area occupata da questa branca germanica[33].

Le Guerre marcomanniche della fine del II secolo

 
Le Guerre marcomanniche, combattute nella (progettata) regione della Marcomannia
  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre marcomanniche e Marcomannia.

Dopo un periodo di tranquillità, i Germani ripresero a manovrare contro l'Impero romano nel 135, con i Suebi; contro di loro mosse, in due campagne, Lucio Elio Cesare (136-137). Ma nel corso del II secolo furono soprattutto i Marcomanni a combattere contro Roma, dando vita a un lungo periodo di conflitti militari (dal 167 al 188) combattuti soprattutto in Pannonia.

Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia, ad opera di poche bande di predoni Longobardi e Osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio fu gestita direttamente dagli stessi imperatori, Marco Aurelio e Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168).[34] La morte prematura del fratello Lucio (nel 169 poco distante da Aquileia), ed il venir meno ai patti da parte dei barbari (molti dei quali erano stati "clienti" fin dall'epoca di Tiberio), portò una massa mai vista prima d'allora, a riversarsi in modo devastante nell'Italia settentrionale fin sotto le mura di Aquileia, il cuore della Venetia. Enorme fu l'impressione provocata: era dai tempi di Mario che una popolazione barbarica non assediava dei centri del nord Italia.[35] Intorno ai Marcomanni si realizzò una coalizione di tribù, che includeva anche Quadi, Vandali, Naristi, Longobardi e perfino popoli non germanici, come gli Iazigi di ceppo sarmatico. Contro di essa mosse l'imperatore Marco Aurelio che, pur sconfiggendo a più riprese i barbari, non riuscì a completare il suo progetto a causa della morte dell'imperatore romano (nel 180). Ciò portò a porre fine ai piani espansionistici romani e determinò l'abbandono dei territori occupati della Marcomannia e la stipula di nuovi trattati con le popolazioni "clienti" a nord-est del medio Danubio.[36]

Invasioni del III secolo: le federazioni etniche

  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni barbariche del III secolo.
 
Invasioni in Occidente di Franchi, Alemanni, Marcomanni, Quadi, Iazigi e Roxolani degli anni 258-260.

Dopo le Guerre marcomanniche, tra i Germani si verificò un nuovo processo: in luogo delle semplici coalizioni di tribù si realizzarono vere e proprie federazioni etniche. Le identità proprie di ogni singolo gruppo tribale lasciavano cioè il posto, in questi casi, a una nuova identità più ampia, "nazionale": quella della federazione. Esempi di questa nuova modalità furono i Franchi, gli Alamanni e più tardi, dal V secolo, gli Anglosassoni. Il processo si realizzò soltanto in alcuni casi, e fu soltanto una delle linee di sviluppo possibili del grande processo di riorganizzazione compiuto dalle tribù germaniche durante i processi migratori noti come Invasioni barbariche; in altri casi continuò a operare l'aggregazione di tribù, parti di tribù e perfino di singoli guerrieri attorno a tribù già esistenti, che funzionarono così da catalizzatore e continuarono a conservare la propria identità (anche se ora allargata). Aggregazioni di questo genere furono, per esempio, quelle che si realizzarono intorno ai Suebi, agli Ostrogoti, ai Visigoti e ai Longobardi. Anche Marcomanni e Quadi agirono più volte in coalizione, uniti anche a popoli non germanici come gli Iazigi di ceppo sarmatico.

Le di questo periodo (dal 212/213 al 305) costituirono un periodo ininterrotto di scorrerie all'interno dei confini dell'impero romano, condotte per fini di saccheggio e bottino[37] da genti armate appartenenti alle popolazioni che gravitavano lungo le frontiere settentrionali: Pitti, Caledoni e Sassoni in Britannia; le tribù germaniche di Frisi, Sassoni, Franchi, Alemanni, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Lugi, Vandali, Iutungi, Gepidi e Goti (Tervingi ad occidente e Grutungi ad oriente[38]), le tribù daciche dei Carpi e quelle sarmatiche di Iazigi, Roxolani ed Alani, oltre a Bastarni, Sciti, Borani ed Eruli lungo i fiumi Reno-Danubio ed il Mar Nero.

 
L'invasione delle genti gotiche del 267/268-270 durante i regni di Gallieno e Claudio il Gotico. In colore verde il regno di Palmira della regina Zenobia e Vaballato.

La crescente pericolosità per l'Impero romano di Germani e Sarmati era dovuta principalmente al cambiamento sopra citato, rispetto ai secoli precedenti nella struttura tribale della loro società: la popolazione, in costante crescita e sospinta dai popoli orientali, necessitava di nuovi territori per espandersi, pena l'estinzione delle tribù più deboli. Da qui la necessità di aggregarsi in federazioni etniche di grandi dimensioni, come quelle di Alemanni,[39] Franchi[40] e Goti,[41] per meglio aggredire il vicino Impero o per difendersi dall'irruzione di altre popolazioni barbariche confinanti. Per altri studiosi, invece, oltre alla pressione delle popolazioni esterne, fu anche il contatto ed il confronto con la civiltà imperiale romana (le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione) a suggerire ai popoli germanici di ristrutturarsi ed organizzarsi in sistemi sociali più robusti e permanenti, in grado di difendersi meglio o di attaccare seriamente l'Impero.[42] Roma, dal canto suo, ormai dal I secolo d.C. provava ad impedire la penetrazione dei barbari trincerandosi dietro il limes, ovvero la linea continua di fortificazioni estesa tra il Reno e il Danubio e costruita proprio per contenere la pressione dei popoli germanici.[43]

Lo sfondamento da parte delle popolazioni barbariche che si trovavano lungo il limes fu facilitato anche dal periodo di grave instabilità interna che attraversava l'Impero romano nel corso del III secolo. A Roma, infatti, era un continuo alternarsi di imperatori ed usurpatori (la cosiddetta anarchia militare). Le guerre interne non solo consumavano inutilmente importanti risorse negli scontri tra i vari contendenti, ma - cosa ben più grave - finivano per sguarnire proprio le frontiere sottoposte all'aggressione dei barbari.

Invasioni del IV secolo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni barbariche del IV secolo.

Verso la metà del IV secolo la pressione delle tribù germaniche sui confini del Danubio e del Reno era diventata molto forte, incalzata dagli Unni provenienti dalle steppe centro-asiatiche (forse la stessa popolazione, ricordata con il nome di Xiongnu, che un secolo prima avevano insidiato l'Impero cinese presso la Grande Muraglia). L'irruzione degli Unni sulla scacchiere europeo modificò profondamente i caratteri degli attacchi germanici contro il territorio romano: se durante il III secolo la modalità prevalente era stata quella delle incursioni con finalità di saccheggio, esaurite le quali le varie tribù, federazioni o coalizioni facevano ritorno nei loro insediamenti posti immediatamente al di là del Limes romano, nel IV presero avvio migrazioni di massa vero l'Impero. In questo processo, a spostarsi erano non soltanto più i guerrieri, ma l'intero popolo, in cerca di nuove aree di stanziamento; la migrazione, comunque, non sostituì completamente la razzia, ma le due modalità si intersecarono e si sovrapposero ripetutamente.

In un primo momento, meno alluvionale, delle invasioni, Roma tentò di assorbire gli spostamenti delle popolazioni germaniche inserendole all'interno delle proprie strutture, affidando loro un territorio di stanziamento lungo il Limes e impegnandole, in cambio dell'accoglienza, alla difesa del Limes stesso. In seguito allo stanziamento unno in Pannonia (361), tuttavia, la politica di progressiva assimilazione non poté più essere proseguita, e i Germani irruppero in massa e al di fuori di ogni pianificazione all'interno dell'Impero. Al termine del processo, proseguito anche nei secoli seguenti, numerosi popoli germanici si trovarono insediati in vari territori dell'Europa occidentale, meridionale e perfino in Nordafrica, ridisegnando di conseguenza la mappa etnica e linguistica del Vecchio continente.

La nuova situazione ebbe come momento di svolta la battaglia di Adrianopoli (378), nella quale i Visigoti sconfissero l'esercito dell'imperatore Valente, che perse la vita nello scontro. La battaglia portò all'elaborazione, da parte di Roma, di una nuova strategia di contenimento nei confronti dei barbari. Da quel momento infatti gli imperatori, incapaci di fermare le invasioni militarmente, cominciarono ad adottare una politica basata sui sistemi della hospitalitas e della foederatio.

Alemanni, Franchi e Sassoni
  Lo stesso argomento in dettaglio: Alemanni, Franchi e Sassoni.

Lungo il Limes settentrionale, tra l'area renana e la Britannia, protagonisti delle incursioni furono coalizioni e federazioni tribali a componente prevalentemente occidentale (Istaevones, Ingaevones ed Herminones).

Nel 354 una nuova incursione alemanna contro l'Impero romano, mossa partendo sempre dal loro territorio d'insediamento nell'odierna Germania meridionale, sfociò in un ampio conflitto contro l'imperatore Costanzo II. Guidata dai fratelli Gundomado e Vadomario, la confederazione penetrò in Gallia attraverso il Limes renano, saccheggiò numerose città e vinse nella Battaglia di Reims (356) il cesare d'Occidente, Giuliano, che tuttavia ebbe la sua rivincita già l'anno seguente, nella Battaglia di Strasburgo (357). Poco più tardi gli Alemanni si accordarono con lo stesso imperatore per scendere in campo contro Giuliano (359), che tuttavia costrinse Vadomario a negoziare una pace (360). Roma, dilaniata dalle rivalità tra i diversi cesari e augusti, cercò di inserire gli Alemanni all'interno dei propri giochi politici; nonostante un attacco a tradimento contro Giuliano nel 361, Vadomario e i suoi guerrieri furono impiegati come truppe mercenarie in Asia (365-366) e in Armenia (371). Il nucleo della confederazione proseguiva intanto nelle sue scorrerie: nel 368 travolsero Magonza e costrinsero l'imperatore Valentiniano I ad accorrere e a ricacciare i Germani con la Battaglia di Solicinium; nel 378 a sconfiggerli fu Graziano, nella Battaglia di Argentovaria.

Intorno alla metà del secolo, la federazione dei Franchi fu protagonista di diverse incursioni in territorio gallico, condotte a partire dalla loro area d'insediamento presso il Reno. Nel 342 furono respinti da Costanzo I e nel 358 da Giuliano.

Verso il 370 i Sassoni iniziarono a cercare di muoversi in massa dalla loro regione d'insediamento, presso la costa sudorientale del Mare del Nord, verso la Gran Bretagna, ma furono inizialmente arginati dall'imperatore Valentiniano I.

Marcomanni e Quadi
  Lo stesso argomento in dettaglio: Marcomanni e Quadi.

Nella primavera del 357 la consueta coalizione tra Marcomanni e Quadi, cui si erano uniti anche i Sarmati iranici, tornò ad agitarsi sul Danubio, invadendo e saccheggiando Rezia, Pannonia e Mesia. Le razzie furono arginate da Costanzo II, che operò sia militarmente sia diplomaticamente, anche assegnando nuove aree d'insediamento ad alcune tribù della coalizione. Dopo qualche decennio di relativa tranquillità, nel 374 i Quadi ripresero la via delle incursioni in Pannonia, ancora insieme a tribù sarmatiche (gli Iazigi). Contro di loro mosse Valentiniano I, che morì durante la campagna.

Ostrogoti e Visigoti
  Lo stesso argomento in dettaglio: Ostrogoti e Visigoti.

La scissione della grande famiglia gotica nei due rami "occidentale" (Visigoti) e "orientale" (Ostrogoti) non frenò la loro pressione contro il Limes danubiano, che tra III e IV secolo esercitarono sia singolarmente, sia congiuntamente.

 
La Bibbia di Ulfila (Codex Argenteus)

Nel 332 i Visigoti sfondarono il Limes, ma furono sconfitti dall'imperatore Costantino. Tuttavia, invece di rientrare nelle loro basi secondo la modalità consueta delle Invasioni barbariche del III secolo, furono accolti dall'imperatore all'interno dell'Impero romano, in seguito a un accordo che li impegnava, in cambio del territorio ottenuto, a difenderne i confini. Da allora rimasero in pace fino al 367, quando, guidati da Atanarico, appoggiarono l'usurpazione di Procopio contro l'imperatore Valente e pianificarono una rivolta. Valente passò il Danubio, ma Atanarico evitò lo scontro aperto e si ritirò sui Carpazi; gli scontri proseguirono fino al 369, quando fu siglata una tregua che sospendeva i precedenti rapporti di collaborazione basati sui sussidi (o tributi) offerti dai romani in cambio di contingenti mercenari, stabilità nella regione e scambi commerciali. In quegli anni, intanto, aveva preso il via la conversione di una parte del popolo gotico al Cristianesimo, secondo la variante ariana promossa da Ulfila, e lo stesso vescovo aveva intrapreso la messa per iscritto della Bibbia, che divenne così il primo testo in lingua gotica e la più estesa testimonianza delle lingue germaniche antiche.

Nel 375, incalzati dagli Unni che li avevano scacciati dalla loro regione d'insediamento tra il Danubio e il Mar Nero, i Visigoti chiesero pressantemente asilo a Valente, accalcandosi in duecentomila tra le foci del Danubio, la Mesia e la Tracia (376). L'accoglienza fu concessa, ma malamente gestita: i Goti furono spogliati delle armi e privati dei bambini, consegnati come ostaggi, ma non venne adeguatamente assicurato l'approvvigionamento alimentare. La fame e gli stenti spinsero i Visigoti, guidati da Fritigerno alla rivolta: si unirono agli Ostrogoti che avevano a loro volta passato il Danubio e insieme sconfissero un esercito romano a Marcianopoli. Mosse allora contro i Germani lo stesso imperatore che, nella battaglia di Adrianopoli (378), subì una disastrosa sconfitta, tanto da cadere egli stesso sul campo. I Visigoti rimasero in Mesia, compiendo ripetute razzie nelle regioni circostanti, fino al 390, dopo aver ottenuto dal nuovo imperatore Teodosio I il riconoscimento quali alleati.

Invasioni del V secolo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni barbariche del V secolo.

A partire dalla battaglia di Adrianopoli (378) i rapporti tra i Germani, soprattutto quelli occidentali e orientali, e l'Impero romano mutarono radicalmente. A partire da quella data, infatti, i conflitti non furono più limitati alle regioni poste a ridosso del Limes romano, anche se con incursioni più o meno profonde all'interno del territorio imperiale, ma assunsero i caratteri di migrazioni di massa, compiute da popoli interi, che raggiunsero gran parte dell'Impero e portarono nuclei germanici a insediarsi in una vastissima area, dalle Isole britanniche alla Penisola balcanica all'Africa settentrionale.

Franchi
 
Carlo Martello, X secolo.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Franchi.

Stabilizzati nella Gallia centrale come foederati, fin dagli inizi del V secolo i Franchi furono incaricati di difendere la frontiera del Reno contro Alani, Suebi e Vandali. Con il disfacimento dell'Impero romano d'Occidente, i Franchi si stanziarono con maggiore libertà oltre il Reno, creando due regni principali: i Franchi dell'ovest (Salii) nella valle della Schelda e i Franchi dell'est (Ripuari) presso la Mosella.

Anglosassoni
  Lo stesso argomento in dettaglio: Anglosassoni.

Forti contingenti di Germani occidentali verso la Gran Bretagna, a completamento di un processo avviato fin dal V secolo: a partire da quell'epoca, infatti, gran parte degli Ingaevones (praticamente tutti gli Angli e gli Juti e numerosi contingenti di Frisoni e Sassoni) si erano stanziati in Gran Bretagna.

Con il ritiro dei Romani, la Gran Bretagna si spezzettò in regni formati da gruppi di Britanni spesso in lotta tra loro o con i popoli non celtici del nord, e in queste lotte i re e capi locali cominciarono ad ingaggiare milizie germaniche provenienti dal continente; esse occuparono le terre sud-orientali dell'isola principale spingendo le popolazioni celtiche verso nord e ovest. Gli Angli occuparono la parte centrale e orientale dell'antica Britannia, i Sassoni quella del sud, mentre gli Juti, in minor numero, si stanziarono nell'estremo lembo sudorientale corrispondente più o meno all'attuale Kent. Presto le varie tribù germaniche sarebbero arrivate a fondersi[30]: già nell'VIII secolo lo storico longobardo Paolo Diacono li indica collettivamente con il nome di Anglosassoni.[39] La più antica testimonianza della loro lingua (l'inglese antico), il poema epico Beowulf, risale al VII secolo[39].

Alemanni e Suebi
 
Cranio con tipico nodo suebo.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Alemanni e Suebi.

I Suebi penetrarono in Gallia (406-409) e, in seguito, nella Penisola iberica (410) insieme ai Vandali. Giunti in territorio iberico si stabilirono nella parte nordoccidentale della penisola (Galizia, Lusitania), dove fondarono un regno che si estendeva fino alle foci del Tago.

Non tutti i Suebi seguirono però i Vandali nella marcia verso occidente; forti contingenti rimasero in Europa centrale e si confusero con Alemanni e Marcomanni, rimanendo insediati nella regione da tempo occupata dagli stessi Alemanni. Nel corso del V e soprattutto del VI secolo la federazione degli Alemanni andò infatti via via perdendo i suoi connotati distintivi, confondendosi con quella dei Suebi tanto che dagli inizi del VI secolo il loro territorio d'origine, chiamato fino ad allora "Alemannia", incominciò a essere indicato con il nome di Svevia (che tuttavia si sarebbe imposto definitivamente soltanto a partire dall'XI secolo[39]).

Burgundi
  Lo stesso argomento in dettaglio: Burgundi.

Foederati insediati nella prima metà del V secolo tra Meno e Reno, i Burgundi subirono nel 436 l'attacco degli Unni, allora arruolati da Ezio. Lo stesso condottiero romano permise poi ai Burgundi di stanziarsi tra la Saona e il Rodano, in quella che da essi prenderà il nome di Borgogna, per difendere i passi alpini.

Vandali
  Lo stesso argomento in dettaglio: Vandali.

Già attestati a ridosso del Limes settentrionale fin dal III secolo e in seguito insediatisi in Pannonia, nel 406-409 i Vandali passarono il Reno e dilagarono in Gallia. Razziando e saccheggiando, i Germani attraversarono l'intera Gallia fino a oltrepassare i Pirenei. In questo periodo, attorno ai Vandali si era formata una coalizione di tribù, che includeva sia altri elementi germanici (Seubi, Silingi) sia popoli di diversa stirpe (Alani). Nel 409 passarono i Pirenei e penetrarono nella Penisola iberica, dove ottennero lo status di foederati dall'imperatore romano Onorio (410). Una prima spartizione tra le diverse tribù che formavano la coalizione fu messa in discussione dall'arrivo dei Visigoti, inviati nel 416 dall'imperatore a "ristabilire" l'autorità romana. Inizialmente sconfitti dai Visigoti, i Vandali, guidati da re Gunderico riuscirono a contrattaccare nel 421-422, ottenendo il controllo di numerosi porti sul Mediterraneo dai quali avviarono un'attività di pirateria.

La marina vandala compì fin dal 425 incursioni in Nordafrica (Mauretania), attratta dalle prospettive di bottino che quella ricca e allora fertile provincia offriva. Nel 429 il nuovo re, Genserico, decise il trasbordo dell'intera popolazione (ottantamila persone, inclusi anche circa trentamila non vandali) in Africa, anche per sfuggire alla pressione dei Visigoti. Una volta sbarcati, nel giro di un decennio (429-440) i Vandali conquistarono l'intera costa nordafricana compresa tra le antiche province romane di Mauretania e Africa). Cartagine cadde nel 439 e divenne la capitale del regno di Genserico.

Visigoti
  Lo stesso argomento in dettaglio: Visigoti e Regno visigoto.

La battaglia di Adrianopoli (378) fu il momento culminante di una serie di scontri che si combatterono pressoché ininterrottamente, nelle province romane di area balcanica, fino al 382, noti come Guerra gotica. Gli scontri ebbero termine con la pace ratificata nel 382 tra il nuovo imperatore Teodosio I e i capi visigoti, fra i quali spiccava Fravita. Ai Visigoti, cui fu riconosciuto lo status di foederati, venne assegnata la Pannonia, ma forti nuclei rimasero insediati ancora a lungo in Mesia. Secondo la concezione del diritto germanico, i capi goti si ritenevano vincolati ai patti solo in forma individuale, e non già "statale"; così, alla morte di Teodosio (395), si ritennero liberi di intraprendere nuovamente una politica attiva. Già in precedenza, comunque, alcuni contingenti di guerrieri visigoti, capeggiati da Alarico e ingrossati da apporti di altre popolazioni (anche non germaniche, come gli Unni), avevano compiuto nuove scorrerie in territorio imperiale, sia in Tracia (391-392) sia verso l'Italia (394). In entrambe le occasioni furono fermati, ma non annientati dal comandante in capo dell'esercito romano, il vandalo Stilicone.

Proclamato re Alarico, nel 395 i Visigoti penetrarono nuovamente nelle province balcaniche, occupando e saccheggiando la Macedonia, la Tessaglia, la Beozia e l'Attica; dopo aver costretto alla resa Atene, cui fu risparmiato il saccheggio, nel 396 passarono nel Peloponneso, dove occuparono anche Corinto, Argo e Sparta. Stilicone, sbarcato nel 397, giunse a un accordo con Alarico, che si ritirò verso l'Epiro; qui ottenne, nel 399, un'investitura ufficiale da parte dell'imperatore d'Oriente Arcadio sull'Illirico romano, che governò in qualità di magister militum. Insoddisfatti della sistemazione e sobillati dalle rivalità che dividevano Arcadio dal suo fratello e collega sul trono d'Occidente, Onorio, nel 401 mossero verso l'Italia. Qui furono ripetutamente affrontati e sconfitti da Stilicone, che nuovamente non ebbe la forza o la volontà di annientarli e consentì loro di ritirarsi tra Norico e Pannonia.

Alla morte di Stilicone (408) Alarico calò nuovamente in Italia e, dopo il fallimento delle trattative con Onorio, trincerato a Ravenna, occupò e saccheggiò la stessa Roma (Sacco di Roma del 410). L'orda visigota continuò la sua marcia verso sud, fino in Calabria; qui Alarico morì e il nuovo re, suo fratello Ataulfo, li guidò a ritroso lungo penisola, fino alla Gallia dove giunsero nel 412. Insediati inizialmente tra Provenza ed Aquitania, nel 414-416 abbandonarono le regioni più orientali per espandersi invece nella Penisola iberica. Si stanziarono quindi definitivamente nell'ampia regione a cavallo dei Pirenei, occupando gran parte della Penisola iberica e della Gallia sudoccidentale. Qui governarono inizialmente come legati in nome di Roma e in seguito, dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476) come regno anche formalmente indipendente, protagonista di vari scontri con gli altri Regni latino-germanici creati ai loro confini da Franchi, Burgundi, Suebi e Vandali.

Ostrogoti
  Lo stesso argomento in dettaglio: Ostrogoti.

Travolti dall'invasione unna, numerosi nuclei di Ostrogoti entrarono a far parte dell'orda di Attila; dopo la morte del condottiero unno (453), il popolo ostrogoto si ricostituì e si stanziò lungo il medio corso del Danubio, in un territorio corrispondente grosso modo all'odierna Serbia. Qui il re Teodorico, salito al trono nel 474, siglò un accordo con l'imperatore bizantino Zenone, che lo invitò a invadere l'Italia in suo nome per scacciare il re degli Eruli Odoacre, che dopo aver deposto l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto (476) ed essersi proclamato Rex Italiae, amministrava la penisola in totale autonomia.

Gli Ostrogoti risalirono quindi la Sava e penetrarono in Italia attraverso le Alpi Giulie; penetrati nella Pianura Padana, si scontrarono più volte con Odoacre, sconfiggendolo definitivamente nel 493. Teodorico ottenne il titolo di patricius da parte dell'Imperatore d'Oriente e governò in suo nome il regno degli Ostrogoti, esteso dall'Italia a un'ampia porzione nordoccidentale della Penisola balcanica, anche se di fatto era pienamente indipendente.

Eruli
  Lo stesso argomento in dettaglio: Eruli.

Gli Eruli erano la componente principale dell'insieme di tribù germaniche che, entrate al servizio dell'Impero romano in qualità di mercenari, ne decisero le sorti in territorio italico: nel 476, infatti, il loro re Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto, e assunse il controllo dell'Italia. Il regno degli Eruli fu però di breve durata, scalzato nel 493 dagli Ostrogoti di Teodorico.

Regni romano-germanici (V-VI secolo)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Regni romano-barbarici.

Nei territori appartenuti all'Impero romano e in seguito sommersi dalla Invasioni barbariche, i nuovi venuti germani diedero vita, insieme ai vinti Romanici (gruppi etnici gallo-romani e ibero-romani e genti d'altra origine residuati della dissoluzione dell'antico Impero Romano), a istituzioni statali di nuovo tipo, dette regni romano-barbarici (o latino-germanici). All'interno di questi regni avvenne, durante l'Alto Medioevo, l'integrazione tra gli invasori germani e gli autoctoni romanici, dando così vita - almeno nelle linee più generali - alla composizione etnica e linguistica dell'Europa moderna.

Stati germanici medievali e moderni

Normanni e migrazioni vichinghe (IX-X secolo)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Normanni, Norreni e Vichinghi.

Società

Famiglia

 
Una tipica famiglia germanica.

Tacito aggiunge che accanto alle schiere di combattenti, stanno nelle retrovie i loro famigliari, così vicini da sentire le urla di incitamento delle loro donne e dei loro figli. Questi sono per ogni soldato le persone più care, a cui porgono le ferite da curare (a madri e mogli) e dalle quali sono nutriti con cibo, esortati ed incoraggiati.[44]

«Si racconta che a volte le schiere che ripiegarono, tanto da trovarsi sul punto di cedere, furono sospinte a tornare a combattere grazie alle insistenti preghiere delle donne che, mostrando i loro petti, facevano capire ai loro uomini il pericolo che su di loro incombeva se cadevano prigioniere. E infatti i Germani temono maggiormente la prigionia delle donne, che la propria

Nelle donne i Germani vedevano qualcosa di santo e di profetico e non disprezzavano i loro consigli, né trascuravano i loro responsi.[45] Non a caso durante il principato di Vespasiano, una donna, Veleda, fu ritenuta dalla maggior parte dei suoi quasi una dea, mentre in tempi più antichi questo ruolo fu ricoperto da una certa Albrinia.[46]

Ai giovani è concesso di portare le armi, solo dopo che la tribù abbia riconosciuto loro di essere in grado di poterle maneggiare. In assemblea, uno dei capi o il padre o uno dei parenti, provvede a fornire al giovane una lancia (framea) e uno scudo. In questo modo si evidenzia una prima forma di onore della gioventù. Se prima di tale cerimonia i giovani erano considerati come parte della famiglia, ora fanno parte della loro tribù o popolo.[47] Una grande nobiltà o i grandi meriti e virtù che i giovani possono avere, conferiscono ad alcuni di essi anche la dignità di capo; altri di loro si mettono al seguito dei più forti di loro, il cui valore è già stato messo alla prova.[48]

In tempo di pace, piuttosto che rimanere nell'ozio per un lungo periodo, alcuni giovani si recavano presso quelle popolazioni alleate che erano impegnate in guerra, in quanto, come sostiene Tacito, «la razza germanica è insofferente alla pace». Ciò serviva per acquisire gloria più facilmente se in mazzo ai pericoli, e «solo con la violenza e la guerra era possibile mantenere un grande seguito».[49]

Forme di governo

Struttura

La struttura fondamentale della società germanica era il *kunja (inglese: kin, cynn, sassone: cunni, tedesco: kunne), che significa "generazione", "razza", "discendenza", etimologicamente imparentato al greco ghenos e al latino genus, istituito nel *sibjō (tedesco: sippe; equivalente al clan), formato dall'unione di più famiglie patriarcali imparentate fra loro. Il clan costituiva un'entità economica, militare e politica del tutto autonoma e autosufficiente. L'entità superiore delle sippen era il *theudō (anche thiuda), il volk, "popolo" (inglese: thede, sassone: thiod, tedesco: diot [poi deutsch con il suffisso aggettivale -isch], norreno: thjóð, con la forma tedesca poi latinizzata in theodiscus), territorialmente esteso nel gau, chiamato dai latini civitas, cioè una tribù stanziata in un determinato territorio.

Sostanzialmente democratica, la società germanica conobbe forme di monarchia elettiva entro le quali l'assemblea degli uomini liberi, il thing (o allthing, o, nei regni anglosassoni witan) periodicamente riunita manteneva di fatto tutti i poteri, compreso quello giudiziario. Le assemblee esprimevano le decisioni del popolo, che quindi consisteva nell'unione libera e volontaria di diversi kin.

Capi-clan, re e principi
  Lo stesso argomento in dettaglio: Principe germanico.
 
Busto detto di Arminius, principe germanico e eroe nazionale tedesco

Tacito scrive che, attorno alla fine del I secolo, i re germani erano eletti in virtù della loro stirpe, i generali invece in relazione al valore dimostrato in battaglia. E se il potere dei primi non era illimitato, né libero, i secondi fondavano la loro autorità sull'esempio, suscitando ammirazione se erano coraggiosi, se combattevano davanti alle loro schiere in battaglia.[50]

I capi-clan avevano un proprio seguito, all'interno del quale vi era una gerarchia di posizioni, distribuiti secondo il volere di colui che li guidava. Spesso i vari subalterni (comites) gareggiavano tra loro per ottenere una posizione più avanzata, più vicina al loro capo, mentre i capi gareggiavano tra loro per avere compagni più numerosi e forti dei loro pari.[51] La notorietà dei capi si affermava non solo presso la propria gente, ma anche presso le altre popolazioni, quando il suo gruppo era conosciuto per il valore dimostrato. Non a caso alcuni di loro erano richiesti insistentemente tramite ambascerie, recanti offerte di doni, e con la loro fama potevano influenzare sull'esito di una guerra.[52]

In battaglia era vergognoso per un capo-clan lasciarsi superare in valore dai suoi stessi subordinati. Ed era altrettanto vergognoso per questi, non eguagliare il coraggio del proprio comandante. Peggio ancora, costituiva marchio d'infamia e di vergogna per tutta la vita, tornare salvi da un combattimento quando il proprio capitano era morto in battaglia, poiché l'impegno più sacro era di difendere e proteggere il proprio capo, arrivando anche ad attribuire allo stesso i propri atti di eroismo.[53] I compagni di clan, pretendevano invece dal proprio comandante un cavallo, una lancia vittoriosa bagnata di sangue nemico, poiché risultava abbondante il vitto, per quanto fosse semplice e rozzo e costituisse di fatto un vero e proprio stipendium militare. Risultava pertanto molto apprezzato il bottino che si potevano dividere al termine di una guerra o di una razzia.[54] Non a caso Tacito scrive che tra i Germani costituisse «prova di ignavia e di viltà, acquistare con il sudore della fronte (come lavorare la terra e attendere il raccolto) ciò che invece era possibile procurarsi con il sangue e l'onore dele ferite [in battaglia]».[55]

Assemblee

I capi-clan diedero vita, probabilmente già in età molto antica, a periodiche riunioni assembleari. Le adunanze assembleari dell'intero popolo avvenivano in giorni fissi, durante il novilunio o il plenilunio, periodo che considerano il più favorevole per prendere certe iniziative.[56]

«Il fatto di essere liberi, dava loro un certo svantaggio nel fatto di non adunarsi mai tutti insieme, come dietro ad un comando; perdono due o tre giorni per attendere quelli che indugiano. Quando fa comodo alla folla disordinata, essi si siedono portando con sé le armi. I sacerdoti allora, a cui spetta anche il diritto di punire, impongono il silenzio»

Durante l'assemblea generale, prima si ascoltano i discorsi del re, o del capo, in ordine di maggiore età o per nobiltà di stirpe, o per valore militare, o per eloquenza, che viene misurata per l'efficacia dei loro argomenti persuasivi, più che per l'autorità di comando che essi ricoprono.[57] Quando le idee incontrano il favore della maggioranza, queste vengono accolte da un rumore di lance che si urtano.[58]

In caso di guerra l'assemblea nominava comandanti uomini di particolare valore o autorità, e questi, semplici "primi fra pari", dovevano sempre rispondere del loro operato all'assemblea stessa. Solo in epoca più tarda i comandanti militari eletti iniziarono ad assumere tratti da re e con la formazione dei regni romano-barbarici, dopo la fine dell'Impero romano d'Occidente, si affermarono stirpi reali prestigiose. In ogni caso, le figure dei sovrani germanici furono sempre limitate nel loro potere dall'assemblea.

Interessante era l'uso del comitatus, cioè l'abitudine di aggregare i giovani delle famiglie meno in vista a quelli delle famiglie più importanti, facendoli diventare compagni inseparabili in pace e in guerra. Questo modello di fedeltà personale avrebbe influenzato, tramite le legislazioni romano-barbariche, le istituzioni del Medioevo, divenendone anzi una delle caratteristiche salienti.

Uomini semiliberi e schiavi

Dopo gli uomini liberi, la minoranza col diritto di portare le armi e che deteneva l'intero potere (tra i Longobardi si chiamavano per esempio arimanni), venivano gli aldi (hald, latinizzato: haldii), uomini semiliberi legati alla terra quasi alla stregua di servi della gleba; infine gli schiavi, quasi sempre prigionieri di guerra o civili catturati durante le razzie.

Calendario

I Germani al tempo di Tacito, diversamente dai Romani, computavano le notti al posto dei giorni. Con questo criterio fissano il tempo, e di conseguenza le citazioni in giudizio.[56]

Insediamenti

I germani vivevano in piccole comunità o insediamenti sparsi. Le costruzioni erano in legno e assai semplici, e già Tacito testimonia l'esistenza di edifici simili a quella che sarebbe poi diventata la fachwerkhaus, la casa caratteristica dei popoli germanici. Le scoperte archeologiche testimoniano inoltre l'esistenza nelle zone occupate dai Germani di luoghi fortificati, i burga, da cui i nomi delle città che terminano in burg, borg[59] (come Würzburg, in Germania) oppure burgh, borough o bury (come Peterborough o Canterbury, in Gran Bretagna).

Presso le tribù germaniche non esisteva la proprietà privata della terra: le terre via via occupate venivano spartite tra i clan, ciascuno dei quali provvedeva a sua volta a suddividere la propria quota tra le famiglie che lo componevano. L'agricoltura del resto era primitiva, e tendeva semplicemente a sfruttare il più possibile, nell'immediato, il terreno strappato alla foresta.

Vestiario antico e tradizionale

Quando combattono sono spesso spogli o comunque ricoperti da una leggera tunica.[60] Cesare aggiunge che sono abituati a lavarsi nei fiumi e a portare come vestito, in quelle regioni freddissime, solo delle pelli che, piccole come sono, lasciano scoperta gran parte del corpo.[61]

Tecniche militari

  Lo stesso argomento in dettaglio: Organizzazione militare dei Germani.

Al tempo di Mario e Cesare (I secolo a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia in Alsazia (58 a.C.).

Cesare testimonia, parlando del potente popolo dei Suebi, di come i cavalieri germani combattessero a piedi.

«[...] Durante gli scontri di cavalleria spesso smontano da cavallo e combattono a piedi; hanno addestrato a rimanere sul posto i cavalli, presso i quali rapidamente riparano, se necessario; secondo il loro modo di vedere, non c'è niente di più vergognoso o inerte che usare la sella. Così, per quanto pochi siano, osano attaccare qualsiasi gruppo di cavalieri che montino su sella, non importa quanto numeroso.»

Da questa forma tecno-tattica, si ritiene che in seguito nacquero le cosiddette coorti equitate al tempo della riforma augustea dell'esercito romano:

«Ariovisto [...] ogni giorno combatté con la cavalleria. Era questo il genere di combattimento nel quale i Germani si esercitavano. I cavalieri erano 6.000: c'erano altrettanti fanti molto valorosi e assai veloci nella corsa. I cavalieri li avevano scelti da ogni reparto, uno ad uno per la propria difesa personale. Partecipavano alle battaglie in loro compagnia. I cavalieri si ritiravano presso di loro e se il combattimento si inaspriva, andavano anche loro alla carica. Se qualcuno era ferito in modo grave, era caduto da cavallo, lo circondavano. Se dovevano compiere una lunga avanzata o una rapida ritirata, la loro velocità era tanto grande per l'esercizio, che sostenendosi alle criniere dei cavalli ne eguagliavano la corsa in velocità.»

Il normale schieramento delle fanterie germaniche era invece di tipo falangitico come ci racconta ancora Cesare:

«Con tale violenza i Romani andarono all'assalto dei Germani, ma altrettanto improvvisamente e rapidamente i Germani corsero all'attacco, che non vi fu spazio [da parte dei Romani] di lanciare i pilum contro il nemico. Lasciati da parte i pila si combatté, corpo a corpo, con le spade. Ma i Germani velocemente secondo il loro costume, si schierarono in falange e sostennero l'assalto delle spade.»

Al tempo di Tacito (I secolo d.C.)

 
Assalto dei Germani alle legioni romane nella clades variana.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione romana della Germania sotto Augusto.

I Germani, a differenza dei Celti, combattevano soprattutto a piedi, in formazione falangitica a "cuneo", come viene indicato da Tacito nella sua Germania.[62] Dalle tribù nomadiche delle steppe (sciti e sarmati) appresero poi un maggior utilizzo del cavallo a discapito della fanteria.

«Pochi [Germani] si servono di spade o di grandi lance. Maneggiano invece delle aste che essi chiamano "framee", dalla punta aguzza e breve, ma così appuntite e facili all'utilizzo che con una stessa arma, a seconda del caso, possono combattere da vicino o da lontano. I cavalieri inoltre non si servono che dello scudo e di questo tipo di lancia, mentre i fanti lanciano anche [altri] proiettili. Ciascuno di loro ne lancia molti anche molto lontano. Combattono nudi o al massimo con indosso una leggera veste. I Germani non sfoggiano alcuna eleganza, si limitano ad ornare i loro scudi con particolari colori. Pochi tra di loro utilizzano una corazza, solo uno o due indossano un elmo di metallo o di cuoio.
I loro cavalli non si differenziano per bellezza o velocità. A loro i Germani non insegnano a compiere delle evoluzioni, come facciamo noi [Romani], ma li guidano dritti alla carica, o li fanno ripiegare con un solo tipo di conversione verso destra, in modo che in virtù di questa mossa serrata in modo circolare, nessuno rimane indietro. A giudicare dal complesso, sta nella fanteria il nerbo del loro esercito. Nel combattimento i fanti si mischiano ai cavalieri, in modo che bene si adattano alla battaglia tra cavallerie e si armonizza la velocità dei soldati della fanteria, scelti tra i giovani e destinati al fronte dello schieramento. Anche il numero di questi è fisso. Sono 100 per ogni distretto, e si chiamano così tra loro, in modo che quello che inizialmente fu solo un numero, oggi è un appellativo d'onore.
L'esercito schierato a battaglia, si dispone a cuneo. I Germani non ritengono un atto di viltà, ma solo un segno di prudenza, il ritirarsi, purché si ritorni a combattere. Anche quando l'esito della battaglia non è stato troppo favorevole, riportano dal campo i corpi dei compagni caduti. È per loro massima vergogna abbandonare lo scudo. Chi si macchia di una simile colpa viene escluso dalle assemblee e dalle cerimonie sacre, tanto che molti che si erano ritirati dal combattimento, poi si impiccarono per porre fine alla vergogna.»

Nel IV-V secolo

 
Cavalieri barbari (in particolare Visigoti e Vandali) assaltano l'Impero romano e saccheggiano la stessa Roma nel V secolo.

Anche la loro tecnica militare si era evoluta notevolmente, soprattutto grazie alle tecniche apprese durante gli anni trascorsi nelle file delle truppe ausiliarie dell'esercito romano. L'arma principale rimaneva l'asta da urto (framea) di varia lunghezza. L'uso della spada era invece meno diffuso presso alcune tribù. Adoperavano anche giavellotti da lancio, come i Franchi, simili al pilum romano. L'arco rimase un'arma secondaria per la maggior parte di questi popoli. Altre armi usate in combattimento erano l'ascia, in particolare dai Franchi, e la mazza.

L'armamento difensivo si era notevolmente evoluto, accompagnando al tradizionale uno scudo di legno al cui centro era posto un umbone in metallo, un elmo e spesso una corazza di maglie di ferro. E comunque indossavano tutti delle brache (simili ai nostri pantaloni), una tunica, a volte dei mantelli (come nel caso degli Alamanni) oltre a calzari simili a sandali che si legavano fino a sotto le ginocchia, ed erano indossati sopra una sorta di primitive calze (utilizzate soprattutto durante l'inverno).

Restano famose alcune tribù per le caratteristiche della loro cavalleria: i cavalieri combattevano mischiati ai fanti leggeri, e spesso abbandonavano il loro cavallo, abituato ad attenderli, per combattere loro stessi a piedi. Il nucleo dell'esercito rimaneva, però, la fanteria. Suoni di corno ed il famoso barritus o barditus (grido di guerra), stimolavano l'ardore dei combattenti.[63]

I Germani appresero l'arte di costruire valli difensivi per i loro campi dai Romani, come pure il concetto di comando della battaglia. I capi, una volta erano abituati a dare l'esempio, lanciandosi all'attacco. Durante questo periodo cambiarono tattica, dirigere i propri soldati come facevano i Romani, lontani dalle prime linee.

Furono utilizzati per il loro coraggio e capacità guerresche come alleati delle truppe romane di confine. Si racconta infatti che nel 288 d.C. Massimiano fece dei Franchi un regno vassallo, al quale venne affidata la difesa della frontiera contro gli altri Germani. I Franchi da quel momento, oltre ad essere arruolati nelle truppe ausiliare dell'esercito, cominciarono ad entrare al servizio di Roma come federati, conservando la loro organizzazione, i loro capi nazionali, la loro lingua e i loro costumi, la loro indipendenza, tanto da renderli sempre meno assimilabili e sempre più pericolosi per l'Impero romano.

Fu poi la volta dei Goti, al tempo di Teodosio I, ad essere riconosciuti come federati. E l'uccisione di Stilicone nel 408 d.C. risultò l'ultimo tentativo da parte dell'elemento romano di combattere la superiorità dei Germani nell'esercito e nello Stato. Con il 410 d.C., anno del sacco di Roma da parte di Alarico, ebbe inizio l'epoca dei Regni romano-barbarici.

Religione

Origini

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sacro (antica religione germanica).
 
Thor, assimilabile al dio Marte dei Romani, raffigurato sul suo carro mentre brandisce il martello Mjöllnir (dipinto di Mårten Eskil Winge, 1872)

La carenza di fonti impedisce di conoscere a fondo la religione originale dei Germani: le loro fonti (archeologiche, rune e poemi) sono spesso di difficile interpretazione, mentre le fonti latine e greche sono tarde e scarsamente obiettive per l'implicita difficoltà di capire culture estranee a quelle del loro mondo.

Conosciamo gli dei germanici, gli Asi (cfr. norreno áss, protogermanico *ansuz, protoindoeuropeo *h₂énsus, "generati" o "generanti", cioè i "genii" o "dèi") e i Vani (norreno vanir, protoindoeuropeo *wen, "sforzo"), grazie soprattutto alle fonti scandinave. Nella loro mitologia si trovano molte affinità con altre culture euro-asiatiche, che testimoniano indirettamente una serie di influenze esterne difficilmente districabili dai contenuti "originali" della cultura germanica, anche per via della disomogeneità tra le varie tribù.

Asi e Vani ricordano gli Asura e i Deva indo-iranici, mentre le Norne ricordano le Parche/Moire greco-romane che presiedono il destino umano; Odino/Wotan, in quanto presente al passaggio tra vita e morte, è assimilabile a Hermes/Mercurio, mentre Thor è simile a Ares/Marte, al quale immolano animali per placarlo.[64] I Vani (Njordhr o Freyja) sono più ascrivibili al culto della Terra/Madre e della fecondità, in quanto dispensatori di ricchezza, pace e fertilità di terra e mare.

Tacito scriveva nella Germania che i Germani non avevano una casta sacerdotale, né effigi religiose, né ritenevano adeguato alla maestà degli dèi il rinchiuderli tra pareti chiuse, né il ritrarli in forme che ricordassero l'immagine umana,[65] anche se non è del tutto corretto, perché sono state trovate rappresentazioni religiose antropomorfe, resti di templi ed esistevano dei sacerdoti. Uno dei più importanti centri sacri era Uppsala, in Svezia, dove sorgeva un tempio dedicato ai tre dèi Odino, Thor e Freyr. Esistevano poi sciamani che mediavano tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.

I Germani, in particolare i Suebi, erano scrupolosi osservatori dei presagi e delle divinazioni. Se si trattava di una consultazione collettiva, era il sacerdote della città a chiederlo, se si trattava di una consultazione privata era lo stesso capo famiglia. Si invocavano quindi gli dèi; si estraevano delle schegge di un albero da frutto, precedentemente fatto a pezzi e sparso sopra una candida veste, tre frammenti e, sollevatili, se ne interpretava il significato. Se i segni erano sfavorevoli, non si facevano altre consultazioni per tutto il giorno, se invece risultavano favorevoli, si richiedeva una nuova prova per garantire l'auspicio. Anche tra i Germani si usava poi interpretare i canti e il volo degli uccelli.[66] Vi è poi un'altra forma di presagio presso i Germani, soprattutto per prevedere l'esito di guerre importanti. Qualora abbiano un prigioniero contro la cui nazione essi dovranno combattere una guerra, era spinto a combattere contro un campione dei loro, servendosi ciascuno dei due delle sue proprie armi. La vittoria di uno o dell'altro era considerata come un presagio sull'esito finale della guerra da affrontare.[67]

Adozione del cristianesimo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cristianizzazione dei Germani.

Le popolazioni germaniche che per prime penetrarono nell'Impero romano ne adottarono la religione di stato, il cristianesimo. La maggior parte di essi optò nelle fasi iniziali per l'arianesimo, una dottrina che dal 380 era stata dichiarata eretica dalla Chiesa di Roma e che riconosceva al Verbo (e quindi al Cristo) una natura posteriore rispetto a quella di Dio Padre (semplificando, non valevano per gli ariani i primi versi del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio"; il Verbo per gli ariani non si identificava con Dio ma ne era la creazione). I vescovi e i preti ariani, allontanati dalle aree d'influenza dell'impero, trovarono seguaci presso i popoli germanici.

Con lo stabilirsi dei regni romano-germanici e a partire dalla conversione alla Chiesa di Roma (cattolica) dei Franchi per opera di Clodoveo nel 511, anche i popoli germanici ariani aderirono gradualmente alla dottrina ufficiale della Chiesa romana.

Le popolazioni che erano rimaste fuori dall'Impero romano avevano conservato la religione germanica. Furono convertiti al cristianesimo relativamente tardi da un'intensa attività missionaria ad opera soprattutto dell'Impero carolingio (caso dell'Inghilterra), oppure per decreto regio (Norvegia e Islanda), oppure ancora con la forza militare da parte della potenza carolingia (caso dei Sassoni, la cui conversione accompagnò l'annessione all'Impero carolingio).

La riforma protestante

  Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma protestante.

Nel 1517 un frate agostiniano sassone, Martin Lutero, si fece portatore del generale malcontento che in area germanica generavano le politiche finanziare della Chiesa di Roma, specialmente quelle legate alla pratica dell'indulgenza, dando inizio a un movimento di riforma della religione cristiana noto da allora come "riforma protestante" che prevedeva innanzitutto l'abbandono della Chiesa romana.

Il protestantesimo trovò subito l'adesione dei potentati di area germanica e nell'arco di relativamente poco tempo quasi tutti i popoli germanici (eccezion fatta per principati della Germania meridionale e l'attuale Austria, zone dell'Olanda meridionale compresi i Fiamminghi) furono convertiti alla nuova fede, la quale trovò espressione in una grande diversità di chiese e dottrine, inizialmente il luteranesimo, il calvinismo (Chiese riformate) e l'anglicanesimo (Chiesa inglese).

La riforma determinò una spaccatura religiosa dell'Europa occidentale tra un nord germanico-protestante e un sud cattolico-romano che ha avuto conseguenze politiche e culturali i cui effetti proseguono anche ai nostri giorni.

Sviluppi moderni

 
Un gruppo della Ásatrúarfélagið ("Sodalizio della Fedeltà Divina" o "agli Asi") degli Islandesi si avvia a celebrare il Þingblót al Þingvellir.

I cambiamenti radicali che la riforma protestante comportò nelle società germaniche e nella visione del mondo di ogni singolo individuo, e specificamente le dottrine protestanti che sono alla base di questi cambiamenti, come la dottrina dei "due regni" di Martin Lutero, sono considerati da alcuni studiosi come i semi che aprirono la strada per i processi di separazione tra Stato e Chiesa e conseguente secolarizzazione.[68] A partire dal XX secolo i paesi che furono culle della riforma protestante sono stati teatro di un graduale e costante declino del cristianesimo. Nel 2013 solo il 34% degli Olandesi dichiarava di aderire al cristianesimo. Anche negli stati della Germania Est che furono incorporati nell'Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale si è verificato un declino del cristianesimo anche dovuto alle politiche contrarie alla religione dell'unione, tanto che nel 2010 in Sassonia-Anhalt, la terra d'origine di Martin Lutero, i cristiani erano solo il 18% (14% protestanti e 4% cattolici).[69] Un declino simile si verifica nei paesi scandinavi e in Inghilterra.

A partire dalla seconda metà del XX secolo s'è verificata d'altro canto una riscoperta della religione germanica antica, il culto agli Asi (dall'indoeuropeo *h₂énsus, cioè i "generati" o "generanti", cioè i "genii" o "dèi"), e anche ai Vani, che ha preso la forma di una costellazione di gruppuscoli diversi che nondimeno si riconoscono sotto il termine comune di "Etenismo" (cfr. ing. Heathenism, "religione della landa" o "dei boschi"). Ancora minoritario in tutta Europa, il movimento ha una certa visibilità in Islanda dove l'Ásatrúarfélagið ("Sodalizio della Fedeltà Divina" o "agli Asi") raccoglie circa l'1% della popolazione.

Diritto

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del diritto germanico.

Secondo Tacito, i Germani non usavano né condannare a morte, né porre i ceppi. A nessuno, al di fuori dei soli sacerdoti, era concesso di percuotere qualcuno. I sacerdoti potevano infatti punire qualcuno, in obbedienza ad un ordine generale, come se avessero ricevuto il comando dal dio stesso, che essi credono presente in battaglia.[70]

Riguardo ai problemi di minore importanza decidono i capi. Le deliberazioni più importanti sono invece prese da tutti, anche se vengono discusse davanti ai capi.[71]

Durante le adunanze, potevano essere pronunciati atti di accusa o intentare un processo capitale. E secondo i delitti commessi, si distinguevano le pene da somministrare:[72]

  • i traditori e i disertori erano impiccati agli alberi;[72]
  • i vili e i codardi, oltre a quelli che compivano atti «contro natura» come l'omosessualità, erano immersi nel fango della palude e ricoperti da una stuoia,[72] quasi a nascondere le «turpi scelleratezze».[73]
  • per i misfatti più lievi, la pena era proporzionata alla gravità della colpa (tra cui lo stesso omicidio). I colpevoli, infatti, erano obbligati a pagare, dando un certo numero di cavalli o capi di bestiame; una parte della multa era pagata al re o alla tribù, una parte a colui che era stato offeso o ai suoi parenti.[73]

In queste stesse assemblee erano scelti quei capi a cui spettava di amministrare la giustizia nei vari distretti e villaggi. Cento compagni selezionati in mezzo al popolo davano, quindi, una mano ai primi, grazie al loro consiglio e autorità.[74]

Per gli antichi Germani la giustizia era una questione soprattutto privata. Non trattano nessun affare, che sia pubblico o privato, senza essere armati, a parte i giovani a cui non sia stato dato ancora il permesso di portare le armi.[47] Chi osava offendere qualcuno ne subiva la vendetta dell'offeso, chiamata faida. Se uno non aveva prove certe per accusare qualcuno, si verificava la colpevolezza dell'accusato attraverso l'ordalia o giudizio di Dio (giudizio di Dio non è il nome originale, ma è stato dato dai Germani cristianizzati e dai Longobardi): se l'imputato rimaneva illeso dopo aver camminato sui carboni ardenti oppure aveva sconfitto l'accusatore poteva essere dichiarato innocente (i Germani, infatti, pensavano che il Fato non avrebbe aiutato i colpevoli). Esisteva anche una pena scontata con una multa pesante, chiamata guidrigildo.

Economia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Via dell'ambra.
 
La via dell'ambra.

Dell'agricoltura i Germani, almeno al tempo di Cesare, non si occupano con zelo. Il proconsole romano raccontava infatti che:

«[…] non hanno terreni privati o divisi, nessuno può rimanere più di un anno nello stesso luogo per praticare l'agricoltura. Si nutrono poco di frumento, vivono soprattutto di latte e carne ovina,[75] praticano molto la caccia. […] Concedono libero accesso ai mercanti, più per aver modo di vendere il loro bottino di guerra che per desiderio di comprare prodotti d'importazione. Anzi, i Germani non fanno uso di puledri importati (al contrario dei Galli, che per essi hanno una vera passione e li acquistano a caro prezzo), ma sfruttano i cavalli della loro regione, piccoli e sgraziati, rendendoli con l'esercizio quotidiano robustissimi animali da fatica. […] Non permettono assolutamente l'importazione del vino, perché ritengono che indebolisca la capacità di sopportare la fatica e che infiacchisca gli animi.»

Tacito aggiunge che la terra era in generale fertile per la coltivazione di semenze, ma non produttiva di alberi da frutta. È ricca di bestiame, soprattutto di bassa statura. I bovini poi non portano le corna. I Germani si accontentano di verna molti, poiché questa rappresenta la loro vera ricchezza.[76] Essi non avevano miniere né di argento, né di oro sempre secondo lo storico latino.[77] E neppure il ferro si trovava in abbondanza in quei territori, almeno attorno alla fine del I secolo. Pochi erano, infatti, i guerrieri che si servivano di lance o di grandi lance fatte di questo metallo.[78]

Commercializzano con i Romani, soprattutto le genti più prossime al limes, ricevendo in cambio vasi d'argento, oltre a monete d'oro e d'argento, in particolare quelle con l'orlo seghettato o con l'incisione della biga romana. Quelli delle regioni più interne invece, a causa della loro rozzezza e semplicità, si servono ancora del baratto delle merci.[79] Frequenti furono, infatti, gli scambi di merci con i popoli settentrionali, a nord dei confini imperiali di Reno e Danubio, della Germania Magna, di Sarmatia e Scandinavia. Le merci che erano importate dall'Impero romano erano solitamente, grano e bestiame che, secondo lo storico Tacito, era di dimensioni sgradevoli,[80] come pure schiavi, spesso impiegati come guardie del corpo o gladiatori.[81] Durante invece il periodo della tarda antichità erano invece importate pelli e maiali.

 
Esempi di terra sigillata dal forte romano di Saalburg, lungo il limes germanico-retico.

Gli scambi con il nord furono rinomati anche per l'importazione di ambra, bene di lusso che giungeva nell'emporio di Aquileia, per poi essere smerciato in Italia ed essere utilizzato qual ornamento in vasi, gioielli e amuleti. Plinio il Vecchio raccontò di una spedizione di un cavaliere romano fino al Mar Baltico al tempo dell'Imperatore Nerone, per procurarsi una grande quantità di ambra.[82] Venivano, inoltre, importate ciocche di capelli biondi, per farne parrucche.[83]

Al contrario venivano esportati in Germania Magna e Scandinavia grandi quantità di terra sigillata, soprattutto della Gallia meridionale e centrale, oltre a vasi in bronzo e vetro, utensili vari, armi d'argento, anelli e tessuti.

Lingua

  Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua proto-germanica e Lingue germaniche.

Le antiche tribù germaniche parlavano dialetti mutuamente intelligibili e condividevano una comune cultura e la stessa mitologia, come è chiaramente indicato dal Beowulf e dalla Volsunga saga. L'esistenza di una identità comune è testimoniata dall'esistenza di un termine proprio, ad indicare le popolazioni non-germaniche: *walhaz (plurale di *walhoz), da cui sono derivati toponimi ancora in uso oggi come Galles (Welsh), Vallese (Wallis), Vallonia (Walloon) e Tirolo italiano (Welschtirol)[84].

Un ulteriore esempio di questa unità etnica è dato dal fatto che i Romani li riconoscevano come unica popolazione e davano loro il nome collettivo di Germani.
In assenza di una politica egemonica come quella imposta dai Romani alle popolazioni italiche, le diverse tribù rimasero libere, sotto la guida dei propri capi, ereditari oppure eletti.

Cultura

I Germani non usavano estesamente la scrittura, facendo invece affidamento sulla tradizione orale e cantoriale di miti e leggende che esaltavano il valore ed il coraggio dei protagonisti. Alcune testimonianze artistiche dei germani giunte sino a noi sono degli oggetti in metallo (come armi, fibbie e gioielli) finemente lavorati ed incisi.

Aspetto fisico e carattere

 
Germano con pelle d'orso, di Hermann Katsch (1893).

Del loro aspetto Gaio Giulio Cesare scrisse:

«[…] Il tipo di alimentazione, l'esercizio quotidiano e la vita libera che conducono (fin da piccoli, infatti, non sono sottoposti ad alcun dovere o disciplina e non fanno assolutamente nulla contro la propria volontà) accrescono le loro forze e li rendono uomini dal fisico imponente.»

Cento cinquanta anni dopo, lo storico romano Tacito, ci tramandò quanto segue:

«[...] senza essersi mescolati con altre nazioni esser [loro] gente propria, e schietta, solamente a sé stessa e non ad altri simile. Onde ancora l'aspetto dei corpi, quantunque in tanto gran numero d'uomini, è in tutti il medesimo: gli occhi fieri, di colore ceruleo (azzurro), i capelli biondi, grandi di statura, vigorosi solamente nell'impeto, ma non già nelle fatiche e nel patire, come neanche possono tollerare la sete e il caldo, ma sono abituati dalla qualità del [loro] paese e dell'aria a sopportare il freddo e la fame.»»

All'epoca di Gaio Giulio Cesare (58-53 a.C.) i Germani ad est del Reno erano più alti rispetto ai soldati romani dell'epoca; se infatti i Romani superavano di rado il metro e sessantacinque di statura[85], i Germani arrivavano anche a poco più di 170 cm[86]. Tacito afferma che generalmente i Germani avevano occhi azzurri e capelli fulvi (biondi e biondo-rossastri), dotati di un fisico robusto ma incapace di resistere alla sete e al caldo, sebbene ottimo sia per il combattimento che per resistere al gelo.[87]

Studi genetici

File:HG I1 in europa.jpg
Distribuzione dell'aplogruppo I1a del cromosoma Y in Europa.

Gli studi della moderna genetica delle popolazioni sostengono una stretta correlazione tra i movimenti migratorii dei popoli germanici e la distribuzione che ha oggi il lignaggio maschile rappresentato dall'aplogruppo I1 (e specialmente I1a) del cromosoma Y, la cui origine è tracciata a un uomo (quello che la genetica delle popolazioni definisce "antenato comune più recente") che visse tra i 4,000 e i 6,000 anni fa nell'Europa settentrionale, possibilmente nella zona che è oggi la Danimarca. In altre parole, l'aplogruppo I1a è quello che più caratterizza i popoli germanici.[88][89]

È anche probabile che l'aplogruppo I1 sia pre-indoeuropeo, ossia l'aplogruppo I1 potrebbe appartenere a quelle popolazioni paleolitiche native del nord Europa che furono assimilate dagli Indoeuropei quando questi vennero dall'Asia centrale, compartecipando alla formazione etnica, culturale e linguistica dei Germani. In altre parole, l'analisi dell'Y-DNA sia delle popolazioni germaniche moderne (Tedeschi, Scandinavi, Inglesi, ecc.) sia dei resti lasciati presso gli antichi insediamenti rivela un misto omogeneo di aplogruppo I1 con elementi di aplogruppi tipici di altre popolazioni indoeuropee (specialmente Celti e Slavi), quali gli aplogruppi R1a1a, R1b-P312 e R1b-U106. Tale composizione è quella che possibilmente portava l'"antenato comune più recente".[90]

L'aplogruppo I1 è rilevato nel 40% dei maschi islandesi, nel 40%–50% degli svedesi, nel 40% dei norvegesi, e nel 40% dei danesi. Ha poi picchi sopra il 30% tra i Tedeschi della Germania del nord e tra gli Inglesi dell'Inghilterra dell'est. Gli aplogruppi R1b e R1a, comuni ad altri popoli di matrice indoeuropea, insieme sono rilevati nel 40% dei maschi svedesi, nel 50% di quelli norvegesi, nel 60% di quelli islandesi, nel 60-70% dei tedeschi, e tra il 50% e il 70% nei maschi inglesi e olandesi con variazioni regionali.[91] La presenza di aplogruppi R1b-P312 e R1b-L21 nelle genti germaniche odierne fa pensare a un substrato celtico e si trova con frequenza in Olanda e Inghilterra sudoccidentale.[92] L'aplogruppo R1b-U106 ha picchi in Scandinavia e fornisce informazioni rilevanti sui tragitti di migrazione seguiti dai Germani.[93]

Note

  1. ^ Carl Waldman e Catherine Catherine, Encyclopedia of European Peoples, Infobase Publishing, 2006, p. xii, ISBN 1-4381-2918-1. URL consultato il 25 maggio 2013.
  2. ^ James Minahan, One Europe, many nations: a historical dictionary of European national groups, Greenwood Publishing Group, 2000, p. 769, ISBN 0-313-30984-1. URL consultato il 25 maggio 2013.
  3. ^ Villar 1997, p. 431.
  4. ^ Oxford Dictionary of English Etymology 1966
  5. ^ McBain's An Etymological Dictionary of the Gaelic Language
  6. ^ Schulze (1998). Germany: A New History, p. 4.
  7. ^ "German", The Concise Oxford Dictionary of English Etymology. Ed. T. F. Hoad. Oxford: Oxford University Press, 1996. Oxford Reference Online. Oxford University Press. Retrieved 4 March 2008.
  8. ^ Eric Partridge, Origins: A Short Etymological Dictionary of Modern English, p. 1265.
  9. ^ Mallory e Adams, The Oxford Introduction to Proto-Indo-European and the Proto-Indo-European World, Oxford, p. 245.
  10. ^ J. P. Mallory e D. Q. Adams, The Oxford Introduction to Proto-Indo-European and the Proto-Indo-European World, USA, Oxford University Press, 2006, ISBN 0-19-929668-5., p. 269.
  11. ^ W. Haubrichs, "Theodiscus, Deutsch und Germanisch - drei Ethnonyme, drei Forschungsbegriffe. Zur Frage der Instrumentalisierung und Wertbesetzung deutscher Sprach- und Volksbezeichnungen." In: H. Beck et al., Zur Geschichte der Gleichung "germanisch-deutsch" (2004), 199-228
  12. ^ a b c Villar 1997, p. 425.
  13. ^ Simili considerazioni si basano esclusivamente sull'osservazione dei tratti somatici (pelle molto chiara, occhi spesso azzurri, capelli biondi) diffusi in quelle aree e generalmente considerati elementi di sostrato genetico pre-indoeuropeo; dal punto di vista linguistico, invece, non esiste alcun elemento che possa mettere in correlazione la lingua proto-germanica con le lingue ugrofinniche; cfr. Villar, cit., p. 425. Alcuni studiosi hanno ipotizzato l'esistenza nell'area di un substrato linguistico non-indoeuropeo, affine al basco e al berbero, nel lessico e nella toponomastica germanica (ipotesi vasconica).
  14. ^ a b Villar 1997, p. 421.
  15. ^ a b Renato Bordone-Giuseppe Sergi, Dieci secoli di Medioevo, pp. 5-6.
  16. ^ a b Villar 1997, p. 426.
  17. ^ a b Villar 1997, p. 428.
  18. ^ Villar 1997, pp. 428-429.
  19. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, II, 3 e IV, 1.
  20. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, II, 4.
  21. ^ Plinio il Vecchio, IV, 99-100.
  22. ^ Strabone, IV, 3, 4 (Gallia).
  23. ^ Con riferimento all'episodio del 17 a.C. confronta: Floro, II, 30, 23-25; Cassio Dione, LIV, 20; Velleio Patercolo, II, 97; SvetonioAugustus, 23; Tacito, I, 10.
  24. ^ a b Nardi 2009, pp. 92-112.
  25. ^ a b Maxfield 1989, pp. 159-163.
  26. ^ Wells 1995.
  27. ^ Ruffolo 2004, p. 82.
  28. ^ Secondo lo schema classico di August Schleicher, che ripartiva le lingue germaniche nei tre rami occidentale, orientale e settentrionale; cfr. Villar 1997, p. 432.
  29. ^ Villar 1997, p. 436.
  30. ^ a b Villar 1997, p. 437.
  31. ^ L'unica lingua pienamente attestata dall'antichità è, tra le germaniche orientali, quella gotica; delle altre si conservano soltanto glosse e parole isolate. Cfr. Villar 1997, p. 435.
  32. ^ Villar 1997, p. 435.
  33. ^ Villar 1997, p. 433.
  34. ^ Historia Augusta - Marco Aurelio, 14.1-5
  35. ^ Cassio Dione, Storia romana, LXXII, 3.1.
  36. ^ AE 1956, 124
  37. ^ Non si trattava, quindi, ancora di spostamenti di massa di intere popolazioni come quelli che si sarebbero verificati nei secoli successivi, quando l'irruzione degli Unni nello scacchiere europeo avrebbe indotto molte tribù germaniche a cercare nuove sedi d'insediamento all'interno dell'Impero romano. Nel III secolo a muoversi erano più o meno numerose orde di guerrieri, che per lo più lasciavano alle loro spalle, nei territori dove si erano stabiliti immediatamente al di là del Limes, le famiglie e gli accampamenti delle tribù; dopo una o due stagioni di razzie, facevano rientro alle basi, non curandosi di creare colonie stabili nel territorio romano.
  38. ^ Peter Heather, La migrazione dei Goti: dalla Scandinavia alla Tracia, in Roma e i Barbari, la nascita di un nuovo mondo, p. 239.
  39. ^ a b c d Villar 1997, p. 438
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  44. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, VII, 4.
  45. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, VIII, 2.
  46. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, VIII, 3.
  47. ^ a b Tacito, De origine et situ Germanorum, XIII, 1.
  48. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIII, 2.
  49. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIV, 3.
  50. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, VII, 1.
  51. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIII, 3.
  52. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIII, 4-5.
  53. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIV, 1-2.
  54. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIV, 4.
  55. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XIV, 5.
  56. ^ a b Tacito, De origine et situ Germanorum, XI, 2.
  57. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XI, 5.
  58. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, XI, 6.
  59. ^ di origine indoeuropea. Si confronti con il celtico briga, "luogo rilevato", o "città".
  60. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, VI, 2.
  61. ^ Cesare, De bello gallico, IV, 1.
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Bibliografia

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