Storia di Siracusa in età spagnola (1500 - 1565)

storia di Siracusa (1500-1565)

La storia di Siracusa durante l'età spagnola si riferisce a quel secolare lasso di tempo che visse la città siciliana sotto l'egemonia della corona di Spagna: dal XV secolo al XVII secolo.

Il siracusano Mario Minniti ritratto da Caravaggio durante il suo soggiorno aretuseo (1608)
Il siracusano Mario Minniti ritratto da Caravaggio durante il suo soggiorno aretuseo (1608)
 
Lo stemma del viceré di Sicilia Claude Lamoral I di Ligne rinvenuto in città (1674)
Lo stemma del viceré di Sicilia Claude Lamoral I di Ligne rinvenuto in città (1674)
 
Un reliquiario di tarda epoca spagnola a Siracusa (1705)
Un reliquiario di tarda epoca spagnola a Siracusa (1705)
(spagnolo)
«la ciudad y fuerza de Siracusa, o Sarausa, como sus naturales ahora la llaman, o Çaragoça de Sicilia, como nosotros los Españoles la nõmbramos»
(italiano)
«la città e forza di Siracusa, o Sarausa, come i suoi nativi la chiamano adesso, o Çaragoça di Sicilia, come noi, gli Spagnoli, la chiamiamo»

Poiché gli Spagnoli chiamarono Siracusa come la loro città aragonese - ovvero ad essi, nel Cinquecento, era nota come «Çaragoça de Sicilia» (mentre più avanti, nel Seicento, diviene Zaragoza; sempre in riferimento alla città aragonese) - non risulta semplice odiernamente rintracciare e ordinare tutte le vicende storiche di rilievo che la videro protagonista, dato che negli archivi spagnoli questa omonimia non sempre è stata ben trattata (alle volte si ometteva il «de Sicilia»), con il risultato di creare smarrimento nella distinzione delle due antiche realtà geografiche.[1] Ciò è inoltre dovuto al fatto che gli archivi storici siracusani sono andati distrutti durante la dominazione spagnola: distrutti sia dalle forti scosse sismiche che investirono la città nel 1542 e nel 1693 (rispettivamente pari al X grado e IX grado della scala MCS[2]), con conseguenti onde di maremoto, e distrutti dagli assalti dei soldati spagnoli, che si ammutinavano e creavano quindi caos nei palazzi aretusei (Siracusa era la città più militarizzata dell'isola, per cui episodi del genere accadevano con frequenza).[3]

Dai documenti superstiti e verificati riesce ad emergere comunque un'immagine ben precisa sulla Siracusa spagnola: essa era vista come simbolo di forza del potere della monarchia di Spagna. Era la città per la quale gli spagnoli dovevano «combattere strenuamente»,[4] poiché le era stato dato il massimo ruolo difensivo: la «chiave del Regno» era stata soprannominata durante la guerra contro l'impero ottomano.[5] A Siracusa si conduceva la maggior parte dell'esercito spagnolo durante i tentativi d'invasione da parte di altre nazioni; qui si ci trincerava e si aspettava che il pericolo passasse.


Contesto storico siciliano e spagnolo

L'unione del regno di Sicilia alla Spagna


Avvenimenti dell'età spagnola

Il testamento del re Cattolico Don Ferdinando e l'ultima regina di Siracusa

 
Il re Ferdinando il Cattolico e la sua seconda moglie, Germana de Foix (dipinto di José Ribelles, Museo di belle arti di Valencia, XVIII secolo)

Quando Isabella di Castiglia morì prematuramente, nel 1504, la Camera Reginale tornò sotto la totale facoltà del re suo marito, Ferdinando II d'Aragona, il quale, l'anno seguente, decise di nominare Giovanni Cardinas (Juan de Cárdenas) «portiere delle porte di Siracusa» (carica civica), e alla fine di quello stesso anno la fece governare dal vicerè di Sicilia: Guglielmo Raimondo VI Moncada.

Tuttavia, il re di Aragona e Castiglia si risposò a breve: nel 1505 la sua seconda moglie divenne Germana de Foix, figlia dell'infante di Navara Giovanni di Foix-Étampes e nipote del re Luigi XII di Francia, alla quale assegnò, il 1 aprile del 1506, la «Cámara de la reina de la Ciudad de Zaragoza»[6] (detta anche «Camera de Sicilia»[7]).

Germana nominò governatore della Camera Pere Sánchez de Calatayud, ai siciliani noto come Almerigo Centelles (acquisì il cognome del lignaggio Centelles, grazie al diritto di maggiorasco), il quale divenne nel 1513 anche presidente del Regno di Sicilia[8]

Sempre nel 1513, il fratello del governatore aretuseo, Guillem Ramón Centelles, fu nominato in Spagna vescovo di Siracusa,[N 1][N 2]

L'unione di Germana con Ferdinando II non poté tuttavia durare a lungo, poiché il re Cattolico (colui che insieme a Isabella legò il proprio nome alla scoperta dell'America, in quanto finanziatore della spedizione di Cristoforo Colombo) morì il 23 gennaio di quell'anno.

Il re Cattolico lasciò scritte nel suo testamento precise disposizioni riguardo al futuro della città di Siracusa e delle terre che, tramite la Camera Reginale, da essa dipendevano:

  • N.B. Il re nel documento parla di sé stesso in prima persona plurale. Inoltre si trascrive di seguito solamente l'introduzione del testamento e le parti più importanti che riguardano il volere di Ferdinando su Siracusa; ergo, non è il testo riportato nella sua integrità.
(spagnolo)
«En el nombre de nuestro Señor Jesu-Christo, verdadero Dios y verdadero hombre [...] que vive y reina para siempre jamas firmemente creemos. Sea todos manifestos que Nos Don Fernando por la gracia de Dios Rey de Aragon, de Navarra, de las dos Sicilias, de Jerusalen, de Valencia, de Mallorca, de Cerdena, de Corcega, Conde de Barcelona, Duque de Athenas é de Neopatria, Conde de Ruysellon, de Cerdena, Marques de Oristan é de Gociano. Considerando en nuestro pensamiento con bueno é Catolico animo, que la natura humana es corruptible é supuesta a la muerte corporal [...] Y anque nuestro Senor Dios por su grande gracia é misericordia, é no por nuestros merescimientos haya ordenado que Nos hayamos nacido de sangre y espiritu Real, y nos haya hecho e constituido en su tierra Rey e Señor de tantos pueblos, reynos é Senorios [...] Item, queremos, disponemos é ordenamos, y mandamos, que [...] por quanto por Nos ha sido consignado é dado: a la Serenisima Reyna Doña Germana nuestra muy cara é amada muger, y para los gastos de su persona é casa, las cosas é cantidades infrascritas: primeramente la Cibdad de Zaragoza de Sicilia con su tierras é jurisdicion, derechos, rentas, é pertinencias, que un año con otro se ha hallado valer diez mil florines de oro. Y mas, las villas de Tarrega y Sabadele, é Villagrasa en el nuestro Principado de Cataluna; de las quales creemos no recibe renta alguna por tener muchos cargos. [...] Y queremos, ordenamos y mandamos, que la dicha Cibdad de Zaragoza de Sicilia [...], la dicha Serenesima Reyna Doña Germana nuestra muy cara y amada muger, posea y tenga, reciba, haya é goze dello durante su viudedad [...] que asi como Nos la habemos amado, é nos ha amado en vida, asi despues de nuestra muerte haya las cosas de nuestra anima en especial encomienda, é entienda en aquella cosas, como da aquella esperamos [...] es tambien nuestra voluntad recibs y cobre las dichas consignaciones teniendo vuidedad, con la jurisdicion, gobernacion é otros oficios de Zaragoza de Sicilia [...] pues no se haya de poner en el regimiento y gobierno de las dichas Cibdades, é Villas, personas estrangeras en manera alguna. E en caso que la dicha Serenisima Reyna deliberase casar, queremos y es nuestra voluntad la dicha Cibdad y Villas tornen a nuestros herederos y subcesores [...]»
(italiano)
«Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo [...] che vive e regna per sempre, fermamente crediamo. Sia reso noto a tutti che Noi, Don Ferdinando, per la grazia di Dio, Re d'Aragona, di Navarra, delle due Sicilie, di Gerusalemme, di Valencia, di Mallorca, di Sardegna, di Corsica, Conte di Barcellona, Duca di Atene e di Neopratia, Conte di Rossiglione, di Cerdagna, Marchese di Oristano e di Goceano. Considerando nel nostro pensiero, con buono e Cattolico animo, che la natura umana è corruttibile e sottoposta alla morte corporale [...] E anche nostro Signore Dio per sua grande grazia e misericordia, e non per nostri meriti, ha ordinato che Noi siamo nati di sangue e spirito reale, e ci ha fatto e costituito nella sua terra Re e Signori di tanti popoli, regni e Signorie [...] Item, vogliamo, disponiamo e ordiniamo, e comandiamo, che [...] per quanto a Noi ci è stato consegnato e dato: alla Serenissima Regina Doña Germana, nostra carissima e amata moglie, e per le spese della sua persona e casa, le cose e quantità sottoscritte: primariamente la Città di Siracusa, con le sue terre e giurisdizione, diritti, rendite, e pertinenze, che in un anno ha mostrato di valere dieci mila fiorini d'oro. Inoltre, i Villaggi di Tàrrega, Sabadell, e Vilagrassa, nel nostro Principato di Catalogna; dai quali, crediamo, non possa ricevere rendita alcuna per via dei molti oneri a loro carico [...] E vogliamo, ordiniamo e comandiamo che la Città di Siracusa [...], la suddetta Serenissima Regina Doña Germana, nostra carissima e amata moglie, possegga e custodisca, riceva, faccia e goda di ciò durante la sua vedovanza [...] che così come Noi l'abbiamo amata, e lei ci ha amato in vita, così dopo la nostra morte custodisca le cose della nostra anima con speciale cura, e si occupi di quelle cose come da ella ci aspettiamo che faccia [...] ed è anche nostra volontà che riceva e adempia alle suddette consegne, rispettando la vedovanza, con la giurisdizione, governazione e altri uffici di Siracusa [...] ma non si devono inserire persone straniere nella reggenza e nel governo delle sopracitate Città e Villaggi, in alcun modo. E nel caso in cui la suddetta Serenissima Regina renda noto di volersi sposare, vogliamo ed è nostra volontà che la suddetta Città e Villaggi tornino ai nostri eredi e successori [...]»

Il re Cattolico ordinò quindi che la città di Siracusa restasse sotto speciale amministrazione della regina Germana (da essa la regina riceverà 30.000 fiorini d'oro per la sua personale rendita), ma le impedì di mettere nel suo governo persone estranee o nemiche della corte; in altre parole: «que la governacion, y justicia dellas tuviessen personas naturales» (che il governo e la giustizia fossero affidati a persone native del luogo).[9] E specificò inoltre, Don Ferdinando, che in caso la sua vedova decidesse di contrarre seconde nozze, la città sarebbe dovuta ritornare in possesso degli eredi della corona d'Aragona; questa era la sua volontà.

I siracusani tra Germana e Carlo V

 
Carlo d'Asburgo all'età di sedici anni (nel 1516, anno della morte del nonno Ferdinando II d'Aragona)

Il re Cattolico nel suo testamento nominò come suo successore al trono il nipote Carlo d'Asburgo, figlio di sua figlia Giovanna d'Aragona e di Castiglia (detta Giovanna la Pazza e impossibilitata a regnare), non avendo potuto avere con Germana il tanto sperato figlio maschio (la coppia ebbe un bambino, Juan de Aragón y Foix, ma morì poche ore dopo essere nato), la quale veniva affidata, secondo le ultime volontà del re, alla protezione del giovane Carlo.

Mentre Carlo d'Asburgo aspettava di stabilirsi in Spagna per essere incoronato primo re del regno spagnolo unificato, in Sicilia, nel 1516, scoppiarono dei violenti tumuti; incominciati a Palermo: lo scopo dei ribelli isolani era far capitolare il vicerè Hugo de Moncada, poiché, sostenevano, non essendo più in vita colui che lo aveva eletto, ovvero il re Cattolico, i siciliani non erano più obbligati a riconoscere in Moncada il continuatore del potere regio.

 

 

Alcuni degli ambienti del castello Maniace: costruzione federiciana che divenne sede capitale della Camera delle regine spagnole

Il vescovo di Siracusa, Ramón Centelles, venne allora mandato dalla regina Giovanna in missione diplomatica: nel gennaio del 1516 il suo compito era quello di studiare l'origine della rivolta siciliana e di tranquillizzare i ribelli, convincendoli che non appena il nuovo re fosse giunto in Spagna ci sarebbero stati importanti risvolti per loro (ciò doveva comunque avvenire nella massima prudenza e segretezza).[10] Al prelato della chiesa siracusana, Ramón, il Consiglio della corte spagnola affidò poi anche un altro compito di grande importanza: dal mese di agosto egli doveva indagare sullo status dell'Inquisizione siciliana, la quale sembrava essersi troppo distaccata dalla conformità che doveva mantenere con la sua gemella; l'Inquisizione spagnola:

«El 29 de agosto de 1516, el Consejo encarga al obispo de Siracusa una inspección de la Inquisición en Sicilia. En la carta, el Consejo expone sus preocupaciones sobre el funcionamiento y la actividad del Santo Oficio en el reino de Sicilia, ya que han sido informados de durante el tiempo pasado, los ministros y funcionarios del Tribunal no han desempeñado sus tareas en la forma prevista»

La città di Siracusa non poteva comunque essere coinvolta nella ribellione siciliana, poiché il testamento del re Cattolico la stabilizzava in ogni caso, avendola affidata, chiaramente, alla vedova Germana de Foix, con il titolo di sua regina. Eppure essa venne trascinata ugualmente nella rivolta: prima venne il capitano d'armi Pietro II Cardona, da Catania (città demaniale e non reginale), che ne prese il controllo e la pose in clima di guerriglia (egli sosteneva gli avversari del Moncada, e non la regina vedova, che erano desiderosi di mettere un uomo nuovo al comando del vicereame[12]), poi sopraggiunsero i lentinesi (la cui città era stata presa dal Moncada e staccata dai domini di Germana), i quali, fomentando ulteriolmente gli animi degli abitanti di Siracusa, in massa sostennero che il capoluogo reginale aretuseo dovesse dichiararsi a favore dell'abolizione del potere della regina sulle loro terre. I siracusani, quindi, venivano invitati all'ennesima ribellione da entrambe le fazioni (senza considerare che essi, tempo prima, erano stati minacciati di pena di morte se non avessero finalmente giurato fedeltà alle regine della Spagna).

I lentinesi, approfittando dell'assenza del governatore di Siracusa, Almerigo Centelles - il quale era andato ad accompagnare Moncada da Carlo d'Asburgo[N 3] -, irruppero nel castello Maniace e cacciarono da esso la moglie e i figli di Centelles. Ne seguì il tumulto generale anche tra i siracusani: ci fu la provocata ribellione nei confronti della regina e la città si dichiarò fuori dal potere reginale. I lentinesi non tolleravano lo stare sotto la giurisdizione dei siracusani, a tal punto che essi scrissero al re Carlo, nel 1516, la seguente accorata supplica:

«Lo stesso nome di Camera devi ordinare che si cancelli: che se riconosci che ne siamo indegni, mandaci tutti ai Turchi e ai Mauri, per essere tagliati a pezzi, e così perdendo il corpo, poter salvare almeno l'anima.»

Durante la ribellione, il capoluogo aretuseo non subì le ire della Spagna, ma Lentini sì, poiché si venne a sapere, dopo il verificarsi dei fatti (nel 1522), che il capopopolo lentinese, il prete Matteo Sancetta, era stato torturato dalla R.G.C.[14] (la Regia Gran Corte di Sicilia[N 4]). La situazione dell'area siracusana si placò infine insieme a quella generale delle altre città di Sicilia: quando Carlo iniziò a regnare, sostituì Hugo de Moncada con il vicerè Ettore Pignatelli, il quale, attuando una dura repressione, nell'aprile del 1517, ristabilì l'autorità monarchica spagnola sull'isola. Quello stesso anno Carlo conobbe, di persona, Germana de Foix e tra i due nacque una relazione d'amore che, per ovvi motivi, era proibita e mal vista dalle Cortes spagnole.

La regina, ancora vedova, aveva chiesto al re Carlo di far ripristinare la Camera regianle di Siracusa, che per diritto ereditario le spettava, il nuovo re, quindi, da Bruxelles scrisse a Ettore Pignatelli il 28 marzo 1517, dandogli l'ordine di riportare i siracusani al governo della regina Germana. La città tornò ufficialmente al potere reginale nel febbraio del 1518, anno in cui fu concesso l'indulto a tutti i siracusani che si erano precedentemente ribellati (per i lentinesi invece il perdono venne concesso nel novembre del 1522[14] ).

 
Papa Leone X ritratto da Raffaello Sanzio (il papa autore del breve indirizzato alla chiesa siracusana)

Poiché Ramón Centelles perì durante il viaggio che lo doveva condurre a Siracusa,[15] la sede episcopale della città rimase vacante e quindi, in quello stesso periodo, avvenne la nomina del nuovo vescovo aretuseo, scelto dal re Carlo (il 28 settembre 1516[16]): lo spagnolo Don Pedro de Urrea; nelle fonti italiane noto come Pietro Urries. Costui era il cugino del vicerè di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi (che governò durante il regno di Alfonso V)[17] ed era inoltre l'ambasciatore di Spagna presso il papa, e venne da questi consacrato vescovo di Siracusa il 6 febbraio 1517, ma trovandosi ancora a Roma, poté governare la chiesa siracusana solo tramite vicari.

Carlo per Urries andò contro i dettami del cardinale Francisco Jiménez de Cisneros, il quale, dall'ottobre del 1516, manifestava la sua contrarietà alla presenza del nominato vescovo siracusano presso la Santa Sede, perché esso riteneva che nel contesto della neonata unificazione spagnola Urries rappresentasse gli aragonesi a Roma ma non i castigliani.[18])

A Urries il papa Leone X scrisse il 15 maggio 1517 il celebre breve apostolico, per i siracusani, che definiva la loro chiesa come la prima figlia di San Pietro e la seconda dedicata a Cristo dopo la chiesa di Antiochia[19] (frase destinata a creare varie discussioni tra i teologi moderni). Purtroppo, così come Ramón Centelles, nemmeno Pietro Urries poté mai occupare il suo posto da vescovo in Siracusa, poiché egli morì repentinamente a Roma il 15 marzo[20] (o il 10 aprile[21]) 1518.

Lo spagnolo Cristóbal Escobar (Lucio Cristoforo Scobar nei documenti italiani), canonico prima di Agrigento e poi di Siracusa («andaluso di nascita ma siciliano d'adozione»[22]) dedicò a Pietro Urries, nel 1519, il vocabolario latino-castellano tradotto nel dialetto siciliano, originariamente scritto da Antonio de Nebrija, del quale Escobar in Spagna fu allievo.[22] A Escobar Siracusa deve, inoltre, la prima opera scritta in epoca moderna con lo scopo di desriverne la storia (egli infatti conosceva anche il greco, oltre al latino, e poté così consultare gli scritti degli antichi sui fasti siracusani)[23] e il primo catalogo dei suoi vescovi.[24]

Busto dell'imperatore Carlo V
Ritratto di Germana de Foix

Nel 1519 la situazione politica risultava tuttavia ancora turbolenta: vi fu l'ingerenza del vicerè Ettore nell'elezione del governatore della Camera, che piazzò un uomo del suo entourage al comando della capitale reginale, Giacomo Alliata (fondatore,[25] o rifondatore,[26] del centro urbano trapanese di Castellammare del Golfo e luogotenente del maestro giustiziere del regno), la qual cosa non fu gradita dai siracusani (il vicerè di Sicilia non aveva infatti potere amministrativo nei domini della regina, egli poteva intervenire solo su richiesta dei sovrani).

La città decise quindi di mandare un ambasciatore alla corta spagnola, chiedendo alla regina di far ritornare Almerigo Centelles (egli era stato trattenuto in Spagna dopo la ribellione del 1516); Germana acconsentì e, con l'assenso del re Carlo I di Spagna (dato il 13 novembre 1519), Centelles riprese il comando del senato aretuseo.

Carlo, che nel gennaio del 1519 assunse il titolo di imperatore, ereditando oltre ai domini spagnoli anche i confini del Sacro Romano impero, divenendo Carlo V d'Asburgo, diede ai siracusani un nuovo privilegio: essi potevano acquistare il frumento dai porti della Camera a prezzo politico in caso di necessità. Inoltre, il re confermò l'antico privilegio degli aretusei: erano esentati dal donativo regio (i siracusani, a differenza della maggior parte delle città siciliane, non erano obbligati a mandare soldi alla corte di Spagna), scatenando così la reazione degli altri centri reginali, specialmente di Lentini, i cui abitanti, non ancora dimentichi della passata rivolta del 1516, si rivolsero stavolta alla Magna Curia del tribunale regio di Palermo, per avere ragione della vicenda. Ma sia la regina Germana e sia il re Carlo ricordarono ai funzionari regi che la questione sul donativo delle città reginali non era affar loro, invitandoli quindi a non intromettersi (in tal senso vi era una ben precisa separazione tra città demaniali e città reginali).

I privilegi concessi a Siracusa (la quale comunque aveva in compenso da affrontare le spese belliche per la sua difesa) indussero alcune città reginali a chiedere l'abolizione della Camera della regina: si fecero avanti Mineo, Vizzini e Lentini, sollecitando il sovrano affinché eliminasse la Camera siracusana, ma Carlo V, in verità, non aveva alcuna intenzione di assecondare tali richieste, ed egli nel 1521 tranquillizzò i siracusani, dicendo loro che la Camera sarebbe continuata ad esistere.

L'anno in cui Carlo divenne imperatore, ovvero il 1519, Germana de Foix venne concessa in seconde nozze al canonico di Colonia (pare si facesse ciò per mettere a tacere le voci, sempre più insistenti, del suo legame fin troppo intimo con Carlo), il tedesco Giovanni di Brandeburgo-Ansbach (figlio di Federico I di Brandeburgo-Ansbach). Carlo tenne comunque Germana vicino a sé, nominandola viceregina di Valencia e nominando suo marito il marchese capitano generale del Regno (cariche donate nel 1523[27]).

Visto che l'infante di Navarra contrasse nuovo matrimonio (e non era più regina consorte di un sovrano d'Aragona), Carlo avrebbe dovuto toglierle il governo di Siracusa e delle altre aree siciliane che ad essa facevano riferimento, così come era stato stabilito nel testamento di suo nonno, il re Cattolico, ma invece non lo fece, e Germana continuò anche dopo il 1519 a rimanere la regina di Siracusa (Carlo, naturalmente, e non il canonico di Colonia, restava la controparte maschile di Germana in tutto ciò che concerneva le vicende delle terre aretusee).[28]

La carestia e l'attesa della fine del mondo

Negli anni che furono a cavallo tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, Siracusa poteva dirsi una città che stava socialmente ed economicamente abbastanza bene (fu in questo periodo di prosperità economica che si popolarono pure le sue campagne e nacque, o rinacque, l'affitto rurale detto enfiteusi[29]); certo non arrivò mai a raggiungere i livelli demografici della sua età classica (all'epoca, in tutta Europa, solamente l'antica Atene poteva appena compararsi al numero di abitanti che vantava la metropoli siciliana[30]), ma considerando il superamento dei secoli bui (durante i quali le fonti arabe tacciono del tutto ciò che ne fu della popolazione siracusana da essi conquistata) e il superamento della peste bubbonica (che nel Trecento flagellò i siciliani così come il resto del vecchio continente, dimezzandone la demografia), con i suoi 5190 fuochi (ovvero nuclei familiari composti da quattro persone ciascuno) nel 1497 (avendo triplicato in soli cento anni i 1755 fuochi del 1376) Siracusa si poneva tranquillamente nella media di una benestante città europea del periodo ed era nuovamente tra i maggiori centri di Sicilia (nell'isola essa era seconda solamente alle due capitali regie, Palermo e Messina, mentre aveva già superato per popolazione sia Noto, che aveva rappresentato il capo valle orientale scelto dagli Arabi, e sia Catania, che durante il primo periodo aragonese siciliano era stata sede di re e regine).

Le Colonne d'Ercole con il motto di Carlo V "Plus Ultra" impresse nell'attuale stemma della Spagna; le medesime colonne, con la medesima scritta, impresse nell'attuale palazzo del Senato siracusano (edificato in epoca spagnola)

Tutto ciò però cambiò dopo che passarono i primi anni dalla scoperta di quella che gli Spagnoli denominarono essere la «Terra ferma del Mar Oceano» («Tierra firme del Mar Océano»),[31] ovvero dopo che incominciò il commercio con il nuovo mondo (i loro Reinos de Indias): nel 1519 Carlo V riconobbe, per legge, come appartenenti e indissolubilmente legati alla corona spagnola le terre conquistate nelle Nuove Indie (futura America), di cui egli diveniva sovrano.[32] Carlo V cambiò il motto che vi era, mitologicamente, nelle Colonne d'Ercole (poste sullo stretto di Gibilterra) da « Non Plus Ultra» («nada más allá»; «non vi è nulla oltre questo punto»)[33] a «Plus Ultra» («más allá»; «esiste un più in là»),[33] adottandolo come simbolo del dinamismo dell'impero spagnolo e come suo lemma personale (e questo stesso motto sarà in seguito effigiato accanto allo stemma di Siracusa, in diversi luoghi della città).

L'intensificarsi dell'attenzione verso le sconfinate terre appena scoperte, portò a un aumento sempre maggiore del traffico marittimo rivolto all'Atlantico e di conseguenza a un improvviso impoverimento delle rotte mediterranee; passate in secondo piano (la Sicilia era al centro di tali rotte[34]). Inoltre vi fu una vertiginosa crescita dell'offerta delle merci che giungevano dal nuovo mondo, facendo crollare i prezzi di quelle siciliane (ed europee in generale). Si aprì dunque una crisi economica nel vecchio continente.[35] A ciò si aggiunse il ritorno della peste: già nel 1500-1501 Siracusa ebbe la sua più grave epidemia dell'epoca (nella quale morirono quasi 10.000 cittadini siracusani)[36] e un'altra ondata violenta si verificò a partire dal 1522.

 
Conquistadores spagnoli esplorano il nuovo mondo (Juan Lepiani, museo nazionale di archeologia, antropologia e storia del Perù)

La situazione sociale era aggravata sia dalla nuova povertà cinquecentesca e sia da una serie di particolari calamità naturali che arrivarono a portare all'esasperazione la popolazione aretusea:

«Negli anni che precessero quelli della peste, stemperatissime procelle, e piogge, e alluvioni da non finire, poi di anno in anno le acque vennero meno, e nel 1506 cessarono siffattamente, che l’Anapo scorreva appena, i pozzi e le fonti seccarono, e l’Aretusa per trentasei giorni restò interamente asciutta.»

Il morbo pare che giunse in città tramite una nave che, respinta da altri porti siciliani, si ancorò presso Fontane Bianche e riuscì a vendere della merce infetta.[38] Colpì particolarmente Siracusa, a tal punto che gli abitanti non volevano più dimorare all'interno delle mura, e li si dovette imporre loro, tramite decreti di legge, il divieto di abbandonare la città nonostante il verificarsi della fame, della peste o della guerra (probabilmente tale severità era dettata dal fatto che fuori le mura vi era la seria possibilità di finire rapiti dai pirati Turchi, che stazionavano molto spesso lungo le coste siracusane). La gente allora si mise a rubare persino il pane e, data l'estrema penuria di cibo, Siracusa fece valere, nel giugno del 1522, un suo privilegio spagnolo secondo il quale poteva farsi inviare da chiunque nel Regno, anche forzatamente, il frumento e le vettovaglie che le occorrevano urgentemente (da non confendere con il privilegio datole da Carlo nel 1519)[N 5], per cui obbligò la contea di Augusta a darle il frumento che aveva nei suoi magazzini (Augusta ne aveva sempre parecchio poiché era sede logistica del rifornimento per i militari) e a inviarlo dentro quelli del capoluogo. Nel 1523, essendo che la peste non cessava, gli ufficiali della Camera reginale vennero eletti da Lentini, poiché tutti avevano paura di entrare a Siracusa (il governatore Almerigo Centelles fu richiamato a corte, in Spagna, e amministrò i siracusani tramite dei vicari[N 6]). Si verificò anche una moria di bestiame, per cui iniziò a scarseggiare pure la carne, e la siccità non dava tregua.

 
Carlo V consulta Agostino Nifo sulla profezia del febbraio 1524 (Luigi Toro, XIX secolo, Sessa Aurunca)

Fu allora che la città aretusea prese in seria considerazione l'ipotesi, che da tempo circolava in Europa, su un'imminente fine del mondo[38]: il primo a dichiarare ciò fu l'astronomo tedesco Johannes Stöffler, il quale asserì che nel febbraio del 1524, a causa della congiunzione dei pianeti Giove e Saturno con Marte nella costellazione dei Pesci,[N 7] vi sarebbe stato un nuovo diluvio universale. Nel 1519 allora, lo stimato filosofo napoletano Agostino Nifo (colui che predicò l'immortalità dell'anima) scrisse per Carlo V, che come il papa Clemente VII era inquietato da simili voci, il libro De falsa diluvii prognosticatione, che aveva lo scopo di tranquillizzare l'imperatore e di allontanare la minaccia profetica di Stöffler.[39] Tuttavia, man mano che si avvicinava la data prestabilita, il panico aumentò in tutto il vecchio continente: vi era chi costruiva arche e chi, come il generale dei fiorentini Guido II Rangoni, pregava l'imperatore affinché provvedesse allo stabilire dei punti di raccolta in luoghi sicuri per cercare di salvare quanti più uomini e animali fosse possibile.[40]

Siracusa, dal canto suo, un mese prima del predetto diluvio, il 22 gennaio del 1524, aprì una difficile assemblea cittadina, durante la quale si doveva stabilire il da farsi per affrontare al meglio l'imminente tragedia: a differenza di altre realtà geografiche, questa città pensò ai suoi numerosi poveri (nel 1524 l'economia aretusea era già in ginocchio), ingegnadosi per dar loro rifugio e da mangiare durante i giorni del flagello: non avendo più a disposizione denari contanti, il Senato decise di vendere ai privati gli introiti derivati dalla gabella (l'imposta sui beni materiali). Poi, trovato il modo di sfamare e proteggere la popolazione, si attese l'inevitabile, considerandolo come una punizione divina:[38] era infatti divenuta opinione comune il credere che il secondo diluvio sarebbe giunto a causa dell'efferatezza raggiunta dall'umana società. Ma passato il 19 febbraio, i siracusani valutarono l'allarme come cessato e smisero di dar credito alle voci apocalittiche. La peste cessò in quell'anno, anche se la crisi economica continuò e nei decenni a seguire la città avrebbe trovato altri sistemi giudiziari per tutelare il sempre maggiore numero di poveri.

A seguito del sofferente periodo appena trascorso, la regina Germana concesse ai siracusani, nel 1525, parte della sua rendita regale, che le derivava dalla secrezia aretusea.

La decisione presa nel parlamento siciliano

Se una parte della città era favorevole al mantenimento della Camera reginale, vi era un'altra parte che, praticamente da sempre, ne chiedeva l'abolizione (per i motivi precedentemente elencati). Così accadde che, nel 1523, non furono più le città minori della Camera a chiedere che venisse soppressa questa forma di «Stato dentro lo Stato» (come fecero nel 1516 e nel 1521) ma fu la capitale reginale stessa a farsi capofila di tale richiesta, durante il parlamento siciliano di quell'anno. Per cui tra le delibere vi fu il capitolo (De reginali cammera ad Regium demanium redducenda) nel quale si affermava la volontà «che Siracusa e le altre terre appartenenti alla Camera Reginale passassero a far parte del demanio».[38]

 
La richiesta dei siracusani a Carlo V sul ritorno al demanio regio; dal testo originale del 1526

Carlo V non fu contento di ciò, e se anche s'impegnò con i siracusani nel dire che avrebbe provveduto a convincere Germana a rinunciare alla Camera, pure dietro compenso, in realtà lasciò solo passare del tempo, cosicché i siracusani, nel 1526, gli rifecero la stessa richiesta, ed egli ancora tergiversò.

Nel frattempo, l'imperatore convolò alle sue prime e uniche nozze nel marzo del 1526, sposando Isabella del Portogallo, alla quale (stroncando definitivamente la secolare tradizione) non passò la Camera reginale siracusana (com'era naturale che si facesse con le regine della monarchia spagnola), lasciandola ancora a Germana.

La regina di Siracusa, nello stesso periodo (agosto 1526), andò in sposa per la terza volta (Giovanni di Brandeburgo-Ansbach era morto l'anno passato, nel 1525): il suo nuovo e ultimo marito fu Ferdinando d'Aragona (l'ultimo erede della casata aragonese-partenopea che regnò su Napoli prima della conquista ad opera del re Cattolico).

All'ennesima richiesta dei siracusani, Carlo V decise di mettere bene in chiaro il suo pensiero al riguardo e, con dispaccio reale, scrisse loro il 17 settembre 1535, dicendoli che non se la sentiva di dare questo dispiacere a Germana de Foix e che quindi la Camera reginale era da considerarsi intoccabile fino a quando la sua protetta sarebbe vissuta. Ovvero, l'imperatore s'impegnava ad estinguere la Camera aretusea solo dopo la morte di Germana. Ed egli manterrà la sua promessa. I siracusani, dopo di ciò, non insistettero oltre. Essi avevano, di fatto, vincolato la cessazione del loro particolare status sociale con quel capitolo del 1523 (che è quello al quale l'imperatore farà riferimento dopo la morte di Germana, adempiendo al «voto del Regno»).[41]

L'inizio dell'opera di fortificazione di Carlo V e l'attacco a Scala Greca

Il 1526 fu l'anno in cui si incominciò a parlare seriamente delle fortificazioni siracusane, poiché la situazione geopolitica in cui si trovava la Spagna era estremamente complessa e variegata, e Siracusa si trovava, per natura, in un luogo particolarmente esposto agli attacchi dei tanti nemici della corona.

 
Carlo V diede l'ordine nel 1526 di distruggere la scena del teatro greco per adoperarne le pietre con altro scopo, poiché in quel momento urgeva sopra ogni cosa fortificare Siracusa

Carlo V manifestò la sua preoccupazione subito dopo la caduta dell'isola di Rodi, poiché essa era stata fino a quel momento la sede dell'Ordine dei cavalieri Ospitalieri gerosolimitani (durante la caduta dell'isola morì, difendendola, anche il gerosolimitano siracusano Francesco di Naro, con il rango di capitano[42]), ed aveva rappresentato una solida difesa all'avanzare incessante del sultanato della Sublime Porta (l'impero ottomano, che all'epoca di Carlo V aveva già conquistato grande parte dei paesi mediterranei in ogni latitudine). L'imperatore quindi scrisse da Granada ai magistrati di Siracusa, il 9 ottobre del 1526, esortandoli a incominciare l'opera di fortificazione, data l'incombente minaccia turca.[43]

«Nel primo Cinquecento, la Sicilia assumeva infatti il compito di baluardo della cristianità nella guerra contro i turchi, e Siracusa rappresentava in questa strategia difensiva, secondo le parole stesse dell'imperatore Carlo V, una chiave del Regno [una de las claves del Reyno].[N 8]»

Il problema consisteva nel fatto, principalmente, che la città si trovava in quegli anni in considerevoli disagi economici, e poiché, per legge, il costo della difesa cittadina gravava sulle spalle dei siciliani e non della corte spagnola, l'urbs aretusea non riusciva a fare avanzare, nei tempi stretti desiderati dall'imperatore, le numerose opere difensive richieste. Fu così che si decise di utilizzare in parte ciò che dell'epoca greca e romana era rimasto intatto.[44] Come nel caso del teatro greco di Siracusa che, sparito dalle fonti per tutta l'epoca medievale, fu proprio sotto Carlo V che fece la sua riapparizione: esso era ormai seminascosto dalla vegetazione e in disuso, poiché i siracusani non vi recitavano più da diversi secoli, e gli ingegneri militari del sovrano spagnolo lo utilizzarono a mo' di cava per l'approvvigionamento della preziosa pietra.[45]

Carlo, per assicurarsi che i siracusani non gli disobbedissero nel compito affidatoli, inviò presso di loro il vicerè di Sicilia, Ettore, a osservare l'esecuzione dei lavori. La città ottenne però di farsi aiutare nelle spese belliche dai paesi della sua comarca.

Il 30 novembre del 1527 Carlo infine si compiacque dell'operato dei siracusani, lodandoli per la loro fedeltà e bravura.[46] Vennero tirati su due bastioni difensivi. Tuttavia questo sarebbe stato solo l'inizio dell'ambizioso progetto di fortificazione che il sovrano di Spagna aveva in serbo per Siracusa: non a caso egli, con la sua volontà e meticolosità nel voler trasformare la città aretusea in una roccaforte sorvegliata e isolata, sarà paragonato dagli studiosi moderni al tiranno siracusano Dionisio I, poiché simili opere di fortificazioni Siracusa le vide solamente al tempo dell'intrigato regno dionigiano, nel IV secolo a.C.[47][N 9]

«Sempre nel '500 gli architetti militari di Carlo V si servirono pure ed ampiamente di questi materiali pronti all'uso, senza rendersi conto che se avessero fabbricato lì dove smantellavano avrebbero ricostruito l'antica sistemazione portuale e fortificata della Siracusa classica.»
 
Madonna con Bambino scolpita da Antonello Gagini nel XVI sec. (museo di palazzo Bellomo, isola di Ortigia)

Non era tuttavia solamente l'espansione dell'impero ottomano a preoccupare Carlo V. Egli infatti in quel periodo si trovava anche in forte contrasto con papa Clemente VII (nel 1527 Carlo comandò di mettere a sacco Roma), il quale aveva fatto una lega contro di lui (guerra della lega di Cognac), annoverando il re Cristianissimo, ovvero Francesco I di Francia, e il doge della repubblica di Venezia (entrambi da tempo in guerra contro Carlo, poiché non ne avevano mai accettato l'incoronazione imperiale).

Mentre sia a corte che in Sicilia si viveva aspettandosi da un momento all'altro un assedio bellico (o da parte dei Turchi o da parte della lega di Cognac), in Siracusa faceva il suo ritorno Almerigo Centelles (Carlo V lo autorizzò a tornare nel gennaio del 1528 e gli diede il compito di far fortificare, oltre la capitale, le altre città della Camera reginale di Germana) ed avvenne uno scontro interno con il nuovo vescovo di Siracusa, Ludovico Platamone; costui (eletto nel 1518, si vide confermati da Carlo V, nell'anno successivo, tutti i privilegi della chiesa aretusea[48]), appartenente a una nobile famiglia patrizia di siracusani, i Platamone,[49] nel 1526 commissionò al noto scultore palermitano, Antonello Gagini, numerose opere per ornare i luoghi sacri della città[50] e nel 1528, per via del suo carattere, definito autoritario, si scontrò con Centelles: tra Ludovico e Almerigo vi fu una lotta di potere (tra clero e politica) che venne tenuta a bada sia da Carlo V e sia dal papa Clemente VII:

Platamone, in contrasto anche con altri ecclesiastici della città, dovendo affrontare un processo in Sicilia a suo carico, preferì recarsi direttamente alla Santa Sede, dove il papa lo riconobbe come innocente ma, a sua volta, lo mandò da Carlo V. Fu infine il vicerè Ettore a ricevere la facoltà di esiliarlo da Siracusa per tre anni (in seguito però sarà reintegrato nella sua carica).[51] Per quanto concerne Centelles, invece, sia la regina Germana che il re Carlo V lo invitatorno a comportarsi adeguatamente nel compito assegnatogli (Carlo lo sollecitò inoltre a rispettare i diritti che aveva Germana su quelle terre).

Il 1528 fu anche l'anno in cui arrivarono le temute incursioni: dapprima accadde un episodio ambiguo con i Veneziani, i quali, capitanati dal futuro doge Pietro Lando, vennero a reclamare i granai siracusani di Augusta, affermando che Venezia stava subendo una dura carestia e che ciò le occorreva per sfamarsi, e quando il castellano della rocca li nego il permesso di prelevare, essi lo fecero ugualmente con la forza (anche se Pietro Lando sosterrà di aver pagato ai siciliani un prezzo onorevole per quanto preso dai granai).[52]. Non è chiaro se essi tentarono dopo un approccio diretto contro Siracusa (il re di Francia li attendeva a Napoli, per porla d'assedio). La milizia dell'isola rimase in allerta, aspettandosi un loro ritorno[53] Effettivamente pare che la Francia avesse intenzioni di attaccare la Siiclia in quei mesi, ma uno dei suoi migliori ammiragli, il genovese Andrea Doria, in estate, mentre Pietro Lando approdava ad Augusta, decise di cambiare alleanza e passare dalla parte di Carlo V,[54] quindi, con una forte eloquenza, convinse le forze anti-imperiali a lasciare in pace i siciliani e a dirigersi verso la Sardegna; essi accettarono, ancora inconsapevoli del cambio di Doria, nella speranza che dopo aver preso quest'isola, la conquista della Sicilia sarebbe risultata meno ardua[55] (sarà tra l'altro Andrea Doria, nel giugno dell'anno successivo, a prendersi la premura di avvisare i siracusani sull'imminente arrivo di flotte nemiche che si dirigevano verso la loro città, dandoli il tempo di organizzare una difesa[56]).

La facciata superiore laterale della chiesa che i Turchi bruciarono nel 1528 (nel quartiere Neapolis) e il loro luogo di sbarco sotto Scala Greca (Tiche, Siracusa nord)

Sempre nell'estate del 1528 a Siracusa avvenne lo sbarco, ben più cruento di quello dei Veneziani, di una ciurma ottomana: sbarcati presso Scala Greca, nella zona aretusea detta Stentino (dove sorgono i resti dell'omonimo sito archeologico), i Turchi giunsero alle spalle dell'abitato, percorsero e devastarono gli antichi quartieri che in epoca greca furono popolati: Tiche e Neapolis (qui misero a sacco e diedero fuoco a una delle più vetuste chiese siracusane: la chiesa di San Giovanni alle catacombe, che custodiva un tempo le relique di Marciano di Siracusa, considerato il «primo vescovo dell'Occidente»[57]). Tuttavia non si spinsero fino al centro della città, Ortigia, dove si trovavano gli abitanti.[58]

Dopo l'attacco turco, in città si verificò pure una ribellione dei militari Spagnoli, nel mese di agosto: essi esigevano la loro paga, e scagliandosi contro la città (facilmente, poiché nel 1512, su ordine del re Cattolico, era stato buttato giù il muro che divideva i soldati di castel Maniace dalla popolazione, per consentire loro un maggiore controllo), protestarono contro Almerigo, ma crearono gran danno soprattutto agli archivi generali aretusei (essi appiccarono il fuoco al palazzo vescovile, sede di importanti documenti).[59] A seguito di ciò, Centelles fu richiamato nuovamente alla corte di Spagna, dove lo attendevano i sovrani, per sapere nei dettagli quanto accaduto.[60]

La città e la nascita dell'Ordine dei cavalieri di Malta

Carlo V aveva accordato al Senato siracusano il permesso di tenere, e all'occorrenza mandare, propri ambasciatori a corte,[61] per cui la città, molto preoccupata dall'avanzare della potenza turca, decise di inviare alcuni dei suoi rappresentanti a Madrid, per informarlo personalmente della grave situazione in cui versavano le fortificazioni aretusee (dopo il conseguimento dei due bastioni difensivi, Carlo aveva richiesto altre fortificazioni, sollecitando più volte i siracusani, ma essi si erano momentaneamente arrestati di fronte alle spese belliche).

A palazzo reale, il 10 luglio 1528, s'incontrarono con il loro concittadino Claudio Mario Arezzo: egli aveva ricevuto da Carlo il titolo di «chronista et creado de Vostra Maestà Cesarea»[62] (figlio del militare siracusano che due decenni dopo tali avvenimenti ordinerà che sotto l'arma della città venga apposta la scritta «Nisi fidelitas»[N 10]) e aveva dimorato con il sovrano in Germania e nelle Fiandre, lo aveva difeso dalle accuse che si erano scatenate contro di lui dopo il sacco di Roma e quando nel maggio del 1527 era stato battezzato il primo figlio dell'imperatore, Filippo II, Claudio aveva già dedicato al futuro re numerosi epigrammi.[63] Quindi, data la vicinanza tra i due, i siracusani decisero di eleggerlo come loro ambasciatore, affidandogli il compito di «implorare il restauro delle mura e delle fortificazioni».[62]

Ma Carlo V, cosciente da tempo del pericolo al quale andavano incontro particolarmente Siracusa e la costa della Sicilia orientale, aveva pianificato a breve termine altre mosse per la difesa della città aretusea, cosicché, quando i siracusani giunsero alla sua corte, egli aveva già preso accordi con i cavalieri di Rodi - ancora erranti[N 11] - affinché questi venissero nel siracusano, per meglio difendere i confini dell'impero dagli attacchi del sultano turco Solimano il Magnifico.

 
Busto di Carlo V negli anni '20 del '500 (museo nazionale di scultura, Spagna, Valladolid)
(spagnolo)
«Durante este tiempo visitó el gran maestre diferentes cortes y en 1525 vino a España, donde recibió las mayores distinciones de Carlos V e de Francisco I, á la sazon prisionero en Madrid. Viendo a su órden errante y sin asilo cierto, suplicó Felipe de Villers á Carlos V cediera las islas de Malta y Gozo á fin de que pudiesen establecerse en ellas los caballeros de Rodas; pero temiendo el emperador una irrupcion en Italia por parte de Soliman, los llamó á Siracusa.»
(italiano)
«Durante questo tempo il gran maestro visitò diverse corti e nel 1525 venne in Spagna, dove ricevette i maggiori ossequi da Carlo V e Francesco I, in quel periodo prigioniero a Madrid. Vedendo il suo ordine errante e senza sicuro asilo, Filippo di Villiers supplicò Carlo V affinché cedesse le isole di Malta e Gozo, con il fine di farvi stabilire in esse i cavalieri di Rodi; però, l'imperatore, temendo un'irruzione in Italia da parte di Solimano, li chiamò a Siracusa.»

Il 4 dicembre 1524[65], quindi ancor prima della petizione del 1525 fatta a Carlo dal Gran Maestro in persona, i cavalieri erranti di Rodi avevano mandato all'imperatore due ambasciatori straordinari, con il compito di convincerlo a «prestare o affittare[65]» la città di Siracusa, e il suo porto, con ogni sua giurisdizione all'Ordine giovannita, fino a quando Malta e Gozo (che, su proposta di papa Clemente VII, erano state ritenute un buon sito per farvi stabilire l'Ordine) non fossero state meglio munite.[65] Tuttavia, Carlo V negò loro la, se pur temporanea, cessione di Siracusa, ed anzi li disse che, al suo posto, includeva con Malta e Gozo (le quali, specificò, rimanevano comunque proprietà del re di Sicilia) la rocca di Tripoli, in Africa, che però era circondata da nemici, esortandoli ad accettare quanto lui stava proponendoli.

«In quanto poi al concedere la città e il porto di Siracusa, non pareva a S. M. [Sua Maestà] conveniente, posciacché essendo Tripoli assai forte, intendeva che quivi e in Malta quanto prima i cavalieri si ritirassero.»

Il Gran maestro Philippe de Villiers de L'Isle-Adam non fu soddisfatto delle risposte ricevute a corte, e per lungo tempo meditò di provare a riprendere l'isola di Rodi, nella quale egli e i suoi cavalieri sarebbero stati sovrani assoluti e non vassalli di Carlo V. Il papa Clemente VII, però, li convinse a non rifiutare subito quanto offerto da Carlo, aspettando l'evolversi degli eventi (ancora nel 1528 il Gran Maestro spediva messi all'imperatore chiedendogli d'aiutarlo a riprendere in armi la dimora di Rodi[67]).

 
La città di Siracusa vista dall'interno della baia del suo porto Grande; sullo sfondo il monte Etna

Fu così che, mentre erano in pieno corso le trattative finali sul futuro dell'Ordine gerosolimitano, tutti i cavalieri, il 12 luglio del 1529, lasciarono solennemente la Francia,[68] loro ultimo ricovero in linea temporale, e (vi è chi dice su consiglio[69] o volere di Carlo V e chi dice che fu una loro iniziativa[70]) si diressero verso Siracusa.[N 12]

La loro prima sosta su questa rotta fu Augusta, nella quale approdarono il 13 settembre 1529[71] (o secondo altri documenti il 27 settembre[72]). Il Gran Maestro voleva però prendere dimora, insieme a tutta la Religione, nel capoluogo aretuseo[73] quindi, saputo ciò, i siracusani si riunirono nel loro Senato il 23 settembre per discutere della delicata faccenda e decidere come comportarsi; data la particolarità e importanza degli ospiti che volevano entrare in città.[73] Infine si diede loro risposta ampiamente positiva e l'Ordine crociato di Gerusalemme si trasferì a Siracusa il 7 ottobre del 1529, di giovedì.[74]

 
Ritratto del Gran Maestro Philippe de Villiers de L'Isle-Adam; egli fu l'ultimo dei cavalieri a lasciare Siracusa

L'armata che approdò era composta da 12 galee (nelle quali viaggiavano anche le reliquie che avevano custodito a Rodi, un tempo appartenute ai Templari[75]), ornate di nero in segno di lutto, a causa della sconfitta subita. Sulla nave ammiraglia, capitanata dal Gran Maestro, sventolava la bandiera con l'immagine della Pietà (Maria Addolorata porta sulle ginocchia il figlio morto), attorniata dal motto (in riferimento a Maria)[76]:

(latino)
«Afflictis Tu Spes Unica Rebus»
(italiano)
«Nella mia sventura, Tu sei la mia unica speranza»

Sul molo si radunò la popolazione, ammutolita,[77] e i suoi rappresentanti politici e religiosi: Almerigo Centelles con tutto il Senato e Ludovico Platamone[N 13] con il clero. I cavalieri, in atteggiamento e vesti da penitenti, vennero accolti benevolmente.[78] Ai siracusani erano note le gesta dei cavalieri di Rodi; essi, tra l'altro, erano presenti in città, con chiese e immobili di loro appartanenza, fin dal XIII secolo.[79]

Un siracusano fu inoltre legato proprio alla nascita di questo antico Ordine: Simeone da Siracusa (primo santo a essere canonizzato[N 14]), quando tutto il territorio aretuseo era sotto la dominazione musulmana, nell'XI secolo, lasciò la patria e divenne monaco a Betlemme, e per sette anni guidò e scortò i pellegrini che volevano visitare la Terra Santa. Divenuto primo duce o capo-ospitaliere, a Gerusalemme egli fu il rifondatore della benedettina Sacra Domus Hospitalis; lo stesso ospedale che, durante la sua reggenza, prese il nome di San Giovanni Battista e divenne l'emblema dell'appena nata confraternita ospitaliera, guidata da Gerardo Sasso e formata da un gruppo di frati ospitalieri e da alcuni laici amalfitani, che da quel luogo presero il nome (cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme; in seguito meglio noti come cavalieri di Rodi, dal nome dell'isola dove si trasferirono). Gerardo, dopo la morte di Simeone, sostituì il siracusano nella reggenza dell'ospedale gerosolimitano[80] (l'ordine, militarizzato, ereditò nel 1312 tutti i beni dei soppressi cavalieri Templari, su volontà di papa Clemente V[81]). A Simeone si attribuisce anche l'inizio dell'opera di predicazione per la liberazione della Sicilia dal potere arabo e quindi il principio delle Crociate.[N 15][82]

 
Cavalieri Ospitalieri gerosolimitani del 1500 (dal museo della Sacra Infermeria de La Valletta, Malta)

La sacra milizia rimase un anno nella città d'Aretusa: dall'ottobre del 1529 all'ottobre del 1530. Come prima cosa si diede loro ospitalità: il Gran Maestro prese alloggio presso il palazzo del governatore Almerigo Centelles, ovvero palazzo Beneventano del Bosco, mentre il resto dei cavalieri rodesi vennero sistemati nel convento francescano (appartenente all'Ordine dei frati minori conventuali, denominazione nata nel 1517).[83] S'instituì il loro Ospedale (Sacra Infermeria), e la loro sede principale, nel palazzo di Centelles, di proprietà all'epoca degli Arezzo (e passato in seguito al ramo siracusano dei Borgia, fondatori nel medesimo palazzo della Commenda aretusea dell'Ordine[N 16]).[84]

All'epoca a Siracusa la gente, spesso, abbandonava i figli per la troppa povertà (i cosiddetti trovatelli o esposti) e i cavalieri, durante la loro permanenza, formarono presso piazza del Duomo un punto di raccolta sanitario dove le madri siracusane potevano affidare a loro i bambini (detto l'ospedale delle donne): essi si facevano carico delle spese necessarie alla crescita del neonato, allevandoli nello stile di vita cavalleresco dell'Ordine (i cavalieri giovanniti erano infatti noti per raccogliere i bambini in Europa, da famiglie in difficoltà economiche, e insegnare loro l'esercizio delle armi e della religione cristiana, senza tuttavia negare alle madri di continuare a vederli[85]); circa 60 bambini siracusani li vennero affidati in meno di un anno (il loro ospedale rimarrà operativo in città fino al XIX secolo[N 17]).[86] Oltre ciò, i cavalieri edificarono, sempre nel 1529 e a loro spese, un Oratorio dedicato a santa Eulalia di Barcellona[87] (secondo altri invece fu dedicato alla Madonna della Misericordia[88]), che divenne il luogo delle loro riunioni.

Il Gran Maestro concesse anche un prestito finanziario alla città di Siracusa, la quale si trovava a corto di denaro e rischiava di non poter garantire ai propri cittadini il necessario rifornimento di cereali.[89]

 
Carlo V al principio delle guerre turco-asburgiche (anni '30 del '500)

Quando i cavalieri presero dimora a Siracusa, Carlo V era in viaggio verso l'Italia per adempiere alla sua seconda incoronazione imperiale (la prima, ufficiale, avvenne nel 1519 e il papa che allora gli mise la corona imperiale sul capo fu Leone X), voluta per sancire la pace appena fatta con il papa Clemente VII (pace di Barcellona), gli stati italiani del Nord, che in precedenza non lo avevano voluto riconoscere, e il re di Francia Francesco I (pace di Cambrai), in modo tale che la Cristianità d'Occidente potesse unire le forze e combattere in maniera più efficace la Sublime Porta. Dopo la solenne cerimonia, svoltasi il 24 febbraio 1530 nella città di Bologna, Carlo un mese dopo si trovava ancora nei confini emiliani, e fu quindi nel centro urbano bolognese di Castelfranco Emilia che, il 24 di marzo, consegnò agli ambasciatori dell'Ordine giovannita, diretti a Siracusa, il documento che attestava il loro perpetuo infeudamento nelle isole di Malta e di Gozo.[90]

Giunto in terra aretusea il foglio imperiale, i cavalieri lo lessero e riunendosi in capitolo il 15 aprile 1530, decisero di accettare ufficialmente la concessione così come voleva Carlo. Il 25 maggio di quello stesso anno, anche il papa ufficializzò la nuova sede dei cavalieri di Gerusalemme. Gli ambasciatori dei cavalieri, a nome della Religione, andarono a giurare in giugno (o secondo altri il 29 maggio[91]), prima nelle mani del vicerè di Sicilia, Ettore Pignatelli, a Messina, e in seguito a Malta.

Nel contempo, i Maltesi, gli abitanti originari dell'antica isola, spedirono a Siracusa, per l'Ordine, le loro volontà: essi al principio avevano visto la cessione della loro isola ai cavalieri come un atto di prepotenza e usurpazione da parte di Carlo V (si trattava pur sempre di un Ordine a regime militaresco, che oltre alla protezione avrebbe anche attratto molti nemici nella loro sede), ma quando videro che l'imperatore s'impegnava a tutelare gli interessi della popolazione, decisero di accettare pacificamente i nuovi venuti, rendendo loro omaggi con la carta di Siracusa.[92]

Inoltre, il 15 luglio 1530, essi mandarono ambasciatori in città (Paolo de Nasia, Giovanni Cavalar, Francesco Platamone e Pietro Magnare) per compiere l'atto di obbedienza ai cavalieri a nome del Senato e del popolo maltese.[93] Il Gran Maestro, il giorno dopo, 16 luglio 1530, rilasciò loro la bolla che confermava l'inviolabilità dei privilegi dei Maltesi da parte dei cavalieri:

«Comandiamo nello stesso tempo a tutti e singoli fratelli del nostro Convento, qualunque autorità, dignità, ed officio si godessero, presenti e futuri, che non presumano fare giammai cosa in contrario alle presenti nostre confermazioni e ratifiche, anzi ne procurino inviolabile osservanza. In attestazione delle quali cose, è a l'atto presente appesa la nostra bolla di piombo. Dato a Siracusa, nel nostro Convento, il dì 16 luglio, 1530.»

Poco alla volta, la Religione iniziò a lasciare il capoluogo aretuseo per prendere possesso di Malta. Rimaneva ancora il Gran Maestro a Siracusa, poiché egli stava aspettando che Carlo V risolvesse alcune questioni fiscali pendenti con il vicerè Ettore, che rischiavano di far saltare l'accordo. Egli era disposto a rimanere a oltranza in città, fino a quando non fosse stato ascoltato. Quando finalmente gli ultimi problemi si risolsero, il Gran Maestro ordinò che venisse spedito a Palermo il falcone annuale richiesto da Carlo come simbolo (e unico pegno) del loro vassallaggio nei suoi confronti, poi fece caricare nelle galee le reliquie, gelosamente custodite, e lasciò Siracusa il 26 ottobre 1530, approdando nella vicina Malta,[95] dando così origine all'Ordine dei cavalieri di Malta.

 
Ortigia, la porta della Marina (detta dell'Aquila). Durante il regno di Carlo V vennero nuovamente alzate le mura di Siracusa e in essa si entrava e si usciva solo attraverso tali porte

La guerra contro l'impero ottomano

Le spedizioni in Africa e la venuta di Carlo V in Sicilia

Il re di Sicilia temeva che Solimano il Magnifico stesse tramando di attaccare i suoi domini nell'isola maggiore del Mediterraneo, e che l'acccanita lotta che stava conducendo il sultano per entrare nel Nord Europa (vi erano già stati degli scontri in Germania, quindi Carlo disponeva difese per l'Austria e l'Ungheria) potesse improvvisamente spostarsi in terra siciliana. Per tale motivo egli, il 17 maggio del 1531, ordinò al vicerè Ettore di aprire una seduta speciale del parlamento isolano, durante la quale, oltre all'ordinario donativo regio di 300.000 fiorini annui, ne chiedeva altri 100.000 da adoperarsi specificatamente solo per Siracusa, Trapani e Milazzo, giocando queste tre realtà geografiche un forte ruolo per la difesa del Regno.[96]

Il parlamento diede esito positivo alla richiesta di Carlo, e i 100.000 fiorini sarebbero stati pagati con rate annue da 20.000 fiorini ciascusa. Le città della Camera reginale però (che, come in passato, ne volevano sapere molto poco delle faccende economiche del capoluogo) protestarono, anche se la parte di donativo che si esigeva da esse poteva dirsi modesta, rispetto a quella concessa da diverse altre città siciliane.

 
I confini dell'impero ottomano nel secolare periodo del suo apogeo

La situazione bellica peggiorò e da Costantinopoli arrivarono notizie allarmanti su una grossa flotta che il sultano aveva intenzione di spedire contro la Sicilia. Quindi Carlo, il 7 marzo del 1532, chiamò un altro parlamento straordinario, stavolta per richiedere un aumento di soldati, ancora a spese dei siciliani, che dovessero essere nativi dell'isola (i soldati spagnoli formavano un altro tipo di conteggio), che raggiungessero le 10.000 unità.

Solimano il Magnifico divenne un'ossessione per Carlo, e lo fu anche per Siracusa, poiché più l'imperatore temeva che i suoi domini potessero essere attaccati, e più i siracusani venivano rinchiusi nella loro città: ben presto il libero commercio navale dell'area aretusea si bloccò e si aprì piuttosto alla servitù militare, anche se Carlo pare s'impegnasse affinché i siracusani subissero il meno possibile gli inevitabili abusi che comportava l'avere in seno una numerosa guarnigione di soldati.[97]

l'11 dicembre 1532 morì Almerigo Centelles e i siracusani elessero il loro ultimo governatore della Camera: Lluís Gilabert, il quale però fu inviso ai cittadini e venne in un periodo teso, dove tutte le attenzioni erano rivolte alla causa bellica, per cui il suo ruolo veniva spesso scavalcato dagli altri senatori della Camera, che preferivano rivolgersi direttamente all'imperatore.

Nel novembre del 1533 il vicerè Ettore scrisse a Sua Mestà rendendolo partecipe del fatto che stava spedendo a Siracusa l'ingegnere militare bergamasco Antonio Ferramolino, per fargli studiare e sviluppare le fortificazioni aretusee (il Ferramolino era diretto da Carlo ma si trattenne in città per via delle costruzioni).[98] Il 1533 fu l'anno in cui il sovrano di Spagna diede l'avvio al restauro delle antiche mura siracusane, per far circondare con esse, e con i bastioni, tutta l'isola di Ortigia, in modo tale da non dare nessun punto scoperto al nemico.[99]

Carlo V fece inoltre interrare il porto Piccolo (il porto Marmoreo dei Greci, il Lakkios), perché troppo difficile da difendere con le forze a disposizione, cosicché le navi avversarie non vi si potessero annidare[100] (non risulta invece veritiera la notizia secondo la quale Carlo V diede l'ordine di guastare il porto Grande di Siracusa, a causa della sua preoccupante vastità,[101] dato che figura invece nell'elenco dei soli 5 porti siciliani che l'imperatore voleva si mantenessero a pieno ritmo militare[N 18]).

Le vestigia di Megara Hyblaea viste dall'alto; città rasa al suolo dagli antichi Siracusani nel V secolo a.C.; luogo dell'accampamento spagnolo del 1534
L'area della Targia, dove i militari Spagnoli, unitisi con quelli di Megara, volevano ingaggiare lo scontro armato con i siracusani che giungevano da Ortigia

Nella primavera del 1534, dopo che l'Armada spagnola (la stessa che l'anno successivo sarà impegnata a Tunisi) subì una sconfitta ad opera degli Ottomani nella greca Corone (1534), le navi, con a bordo alcuni marinai affetti dalla peste e per questo tenuti separati dal resto delle ciurme, vennero in Sicilia, a Messina, per pretendere dal vicerè Ettore il loro stipendio da soldato al fedele servizio dell'imperatore. Ma avendo il vicerè timore di un contagio, divise l'Armada e (dopo aver tentato invano di convincere gli Spagnoli a ritirarsi presso l'isola di Favignana) assegnò quei capitani con i relativi soldati e marinai a diverse città, quasi tutte della costa orientale, dove sarebbero dovuti stare quaranta giorni in isolamento (quarantena) prima di poter circolare tra le popolazioni siciliane. Ettore quindi ordinò che la nave del capitano Francisco Sarmiento approdasse ad Augusta e quella di Luis Picaño e di Alonso Carrillo a Siracusa. Il resto dell'Armada riuscì ad entrare e a prendere l'alloggio assegnato senza difficoltà (tra Cefalù, Taormina e Catania); anche ad Augusta si riuscì a trovare una soluzione dopo un momento di iniziale tensione, facendo sbarcare l'equipaggio spagnolo al sito di Megara Iblea (posta sempre in area augustana), ma dove la situazione apparve critica, per i soldati dell'Armada, fin dal principio, fu Siracusa: questa città (la quale era già stata visitata dall'intera Aramada un paio di giorni prima, per rifornirsi di viveri) non ne volle sapere di accogliere la nave militare, possibilmente infetta, e se anche i due capitani mostrarono al governatore della Camera il foglio di accesso rilasciato dal vicerè, ciò non servì a permettere loro la discesa a terra.

Quando i capitani, spazientiti, accusarono i siracusani di essere indisponenti nei confronti dell'imperatore, per tutta risposta si videro puntate velocemente le armi addosso, decisero quindi di ritornare momentaneamente a bordo della nave, visto il dieciso rifiuto. La situazione peggiorò e intervenne anche il capitano della guarnigione spagnola della città, Hernando de Vargas, con il compito di mediatore tra le due parti.




Nel medesimo periodo Carlo V cercò di placare gli animi dei siracusani - agitati per questioni sociali interne - scrivendo al vicerè Ettore e affidandogli il compito di «provvedere ai bisogni particolari di Siracusa»,[102] in quanto la città sentiva che i propri privilegi non venivano rispettati.


La Sublime Porta nell'agosto del 1534 riuscì a conquistare una pericolosissima (data la vicinanza con la Sicilia) base navale presso Tunisi, grazie all'operato del suo nuovo ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa (la cui ultima azione da pirata libero fu proprio contro le navi di Siracusa, nel luglio del 1533, prima che Solimano il Magnifico lo ingaggiasse tra le sue schiere, quello stesso mese[103]).



Calamità naturale: il terremoto e il maremoto del 1542


Carlo V separa Siracusa dalla terraferma (1552)


La spia ottomana all'interno di Siracusa (1562)


La città durante l'assedio turco di Malta (1565)

«Lo scorcio del secolo vide Siracusa, che aveva già ospitato i Cavalieri dell'Ordine Gerosolimitano sconfitti a Rodi, coinvolta nelle vicende dell'assedio di Solimano II a Malta, con Carlo V che ne fece il baluardo per il controllo del canale di Sicilia insidiato da turchi e barbareschi.»


Battaglia di Lepanto e sbarco della flotta ottomana nella spiaggia aretusea (1574)


La guerra franco-spagnola

La rivolta di Messina e i tentativi di conquista da parte dei francesi

I francesi provano a conquistare Siracusa, volendola sottrarre alla Spagna (anno 1674):

«Restava intanto non poco disgustato il Duca di Vivona per vedersi dalla contrarietà dei venti guastati i suoi disegni, che erano di giungere all'improvviso sopra Siracusa, prima, che li Spagnoli lo penetrassero e potessero mandarci rinforzo di gente, come poi seguì, avendo marciato a quella volta la maggior parte dell'Esercito Spagnolo, parendo, che il cielo, non secondasse la resoluzione de Francesi»

I francesi avevano la propria base nella piazzaforte di Augusta.


Seconda calamità naturale: il terremoto e il maremoto del 1693


La guerra di successione spagnola (1700)

Il trattato di Utrecht



La Spagna contro la Quadruplice Alleanza (1718)

Savoia: il vicerè Maffei e il ruolo di piazzaforte piemontese


Le acque controllate dagli inglesi e l'arrivo delle truppe d'Austria

Il 16 agosto 1718 il capitano di vascello G. Walton, dalla sua nave posta a largo di Siracusa, scrive all'ammiraglio Byng un importante e corto messaggio che diviene celebre nella storia marinara dell'Inghilterra:

(inglese)
«Sir - We have taken and destroyed all the Spanish vessel which were upon the coast; the number as per margin. "I am, &c., G. Walton. Canterbury off Syracuse, August 16th 1718.»
(italiano)
«Signore [Byng] - Abbiamo preso e distrutto tutte le navi Spagnole che erano sulla costa; il numero come da margine. Io sono, &c., G. Walton. Canterbury [la nave] al largo di Siracusa, 16 Agosto 1718.»

G. Walton ha appena dato a Byng la notizia dell'annientamento delle ultime navi spagnole sopravvissute alla battaglia dell'11 agosto, svolatasi tra Siracusa e Capo Passero. La Spagna non sarà più in grado, dopo di ciò, di mandare altre navi da guerra in soccorso alle sue truppe da terra, poichè gli inglesi, da quel momento in avanti, controlleranno meticolosamente tutte le acque siciliane.

(segue la risposta di Byng (dalla sua Barfleur, off Syracuse) che gira il messaggio di Walton al segretario Creggs; al Lord Stair ha già scritto il 15 agosto, quando si trovava vicino Reggio)

(il 23 agosto è il re Giorgio d'Inghilterra a scrivere a Byng e a felicitarsi con lui per la battaglia navale in questione; suo portavoce è Creggs. Sempre il 23 agosto Byng lascia momentaneamente Siracusa e si dirige a Reggio, dove arriverà il 26 agosto per prendere accordi con il generale austriaco Wetzell).


Il compromesso tra Spagna e Inghilterra

La nascita del Regno borbonico napoletano (1735)


Conseguenze

(ricordarsi di analizare il contesto che durante l'età borbonica napoletana, e italiana dopo, portò al declino del porto siracusano (così importante invece durante l'epoca spagnola), ricordarsi inoltre di inserire testuali parole di Nino Bixio sulla sua visita a Siracusa dopo la conquista garibaldina: egli trovò il porto siracusano in stato di abbandono e a chi pretendeva di dare inmportanza all'approdo marittimo catanese (a discapito di quello siracusano), così egli rispose: "Catania non sarà mai un porto senza spendere perseveranetemente molto, ma molto denaro" (ed evidentemente lo spenderanno).

Aggiungere inoltre quanto Bixio lasciò scritto sul porto aretuseo e sulla sua declassificazione post-spagnola:

"''Siracusa è un sorprendente porto, stupendamente trascurato - Se un bel giorno Iddiio (Dio) s'immischia nelle cose nostre, il meno che possa fare è di cacciarci lungi dalle coste marittime e dai nostri più bei porti collo staffile (con una sferza): - via dal mare chi non l'usa!" (Nino Bixio, 1870)


Contatti precedenti tra le due culture

Avvenimenti storici

Ha scritto il noto storico britannico Norman Davies sul ruolo chiave che ebbe lo spagnolo Merico nel far capitolare la polis aretusea:

«Ci sono alcuni avvenimenti che accadono e le cui conseguenze ci accompagnano ancora oggi. Non si può pretendere altrimenti. Se Merico non avesse aperto la porta, se Siracusa avesse resistito ai romani come un tempo resistette agli ateniesi, se Annibale avesse distrutto Roma come Roma avrebbe distrutto Cartagine, allora la storia sarebbe stata piuttosto diversa. Ma il punto è: Merico aprì la porta.»


La reazione della monarchia di Spagna


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Il nome spagnolo di Siracusa: Çaragoça de Sicilia in una delle pagine del libro edito nel 1553 e scritto da Florián de Ocampo, cronista dell'imperatore Carlo V d'Asburgo.[N 19]

Appunti:


nota: ricordarsi di approfondire la vicenda sui "siculos españoles" (o Españoles Siculos) dell'epoca greca (vicenda che probabilmente ha a che vedere con il mito cinquecentesco del Siculo originario di Spagna)


Appunto importante:

Gli Spagnoli a Siracusa per riconquistare i territori perduti nel 1713 (per fare ciò disubbidiscono al trattato di Utrecht). Tempo dell'azione: agosto 1718. Tempo della cronaca: 1725 (molto vicino alla data della battaglia):

(spagnolo)
«Para repararse los Ingleses de los danos padecidos, se entretuvieron quatro dias cinquenta millas á la Mar; despues entraron furiosos con los Navios rendidos en Siracusa, los dias 16 y 17 de Agosto. Esta es la derrota de la Armada Española, voluntariamente padecida en el Golfo de Araich, Canal de Malta, donde sufrió un combate sin linea, ni disposicion Militar, atacando los Ingleses a las Naves Españolas á su arbitrio, porque estaban divididas. No fue Batalla, sino un desarreglado combate, que redunda en mayor desdoro de la conducta de los Españoles, anque mostraron imponderabre valor, mas que los Ingleses, que nunca quiesieron abordar; por mas que lo procuaron los Españoles.»
(italiano)
«Gli Inglesi, per riprendersi dai danni subiti, stettero quattro giorni in mare, distanti cinquanta miglia[dalla costa]; dopo, furiosi, entrarono a Siracusa con a seguito le navi (spagnole), ormai arrese, nei giorni 16 e 17 di agosto. Questa è la sconfitta dell'Armada Española, volontariamente flagellata nel Golfo di Araich,[N 20] [nel] Canale di Malta, dove soffrì un combattimento senza linea, né assetto militare. Gl Inglesi poterono attaccare le navi spagnole a loro piacimento, poiché esse erano divise. Non fu una battaglia, bensì un combattimento disordinato, che fa risaltare in maggior maniera la criticabile condotta degli Spagnoli, anche se questi dimostrarono un indubbio valore, più degli Inglesi, i quali mai vollero abbordare; nonostante le occasioni offerte dagli Spagnoli.»

(aggiungere in seguito i nomi delle navi spagnole che rimasero al porto siracusano sotto il controllo inglese)

Altra testimonianza sull'arrivo di Bing e Antonio de Gastaneta (rispettivamente ammiraglio della flotta inglese e comandante dell'armata spagnola) al porto aretuseo:

(spagnolo)
«[...] y el vencedor tan pronto como pudo reparar su averías, fué á obstentar en el puerto de Siracusa las preses, vergonzoso fruto de su perfidia.»
(italiano)
«[...] e il vincitore, appena riuscì a riparare i propri danni [alle navi], andò ad ostentare nel porto di Siracusa le [navi spagnole] prese, frutto vergognoso della sua perfidia.»

Nota: generale, ufficiali e marinai dell'Aramata Spagnola vengono fatti prigionieri dagli Inglesi e trasferiti ad Augusta.

Conseguenza (capitolo finale):

A seguito di questa battaglia, si forma la Quadruplice alleanza: Inghilterra, Francia, Austria e Paesi Bassi dichiarano guerra alla Spagna. Questa, per rimprendersi la Sicilia, deve rimanere in armi dall'Europa all'America, fino alle Indie Orientali: cede nel 1720, con la firma del trattato dell'Aia, nel quale dichiara di rinunicare definitivamente all'isola:

«Quanto alla Spagna, il mondo (scrive il buon Muratori[104]) vide nuovo spattacolo: le principali Potenze collegate contro di lei, ed ella sola far fronte a tutte. Il Trattato erasi notificato al re Cattolico di Madrid colla dichiarazione che, se non fosse per accettarlo, le Potenze segnatarie ve lo avrebbero astretto: ciò che, in fondo, si chiedeva alla Spagna era la rinuncia alla Sardegna e alla Sicilia, l'una non più posseduta al momento della pace di Utrecht, l'altra dovuta già abbandonare.»

Nota: nel mese di luglio 1718 (prima della sconfitta spagnola), a Siracusa viene fucilato, previo processo militare, il capitano piemontese Carlo Marelli (arrivò in città su una nave degli Inglesi), colpevole di essersi arreso, con la sua guarnigione, il 12 luglio nella Sicilia occidentale, consegnandosi agli Spagnoli.

Nota2: 1720: Quando dalle navi inglesi, ormeggiate nel porto aretuseo, arriva la notizia che la Spagna ha rinunciato alla Sicilia, che passa così di fatto agli Alemanni (Tedeschi-Austriaci), si sparge il malumore a Siracusa (piazzaforte piemontese e austriaca, ma che continua a rimanere filo-spagnola).

Ultima azione degli Spagnoli a Siracusa:

1734-1735:

Dopo decenni di apparente calma (dopo il 1720 il re spagnolo non ha tentato altri approcci in Sicilia), la Spagna ritorna a far parlare di sé attaccando nuovamente gli Austriaci nelle città siciliane. Siracusa è teatro di battaglia tra Spagnoli e Alemmani per ben due volte: il 15 ottobre 1734 (con vittoria spagnola) e poi assedio del maggio 1735: gli Austriaci evacuano la popolazione della città con le navi (abitanti esiliati presso la penisola della Maddalena e nei paesi vicini). Le cannonate con gli Spagnoli danneggiano l'assetto urbano. Gli Austriaci si arrendono il 1 giugno 1735. Gli Spagnoli scortano i Siracusani all'interno della loro città, che passa ai Borbone.

(ma dopo tale azione l'influenza spagnola diminuisce, fino quasi a sparire del tutto, lasciando spazio al potere territoriale degli Italiani continentali: inizio del governo napoletano sulla Sicilia).


Altri appunti:

A fine voce ricordarsi di approfondire il seguente tema: relazioni dirette tra le due culture prima dell'egemonia spagnola:


Fine appunti

Note

Note esplicative
  1. ^ Egli nel 1513 era il canonico di Valencia, e da allora venne appellato dai Catalani come «bisbe de Çaragoça de Sicilia», ovvero vescovo di Siracusa. Vd. José Mª Castillo del Carpio, La Generalitat valenciana durante el siglo XVI: Su estructura burocrática , 2013, p. 172.
  2. ^ Dopo la morte del vescovo Dalamu (Dalmazio), avvenuta nel 1511, Almerigo Centelles prese possesso anche del vescovado siracusano, cosicché fece dare il posto vacante a suo fratello Ramón, religioso di Spagna. Ma questi non poté incominciare mai l'incarico datogli dla fratello, poiché giunto a Palermo, nel 1516 - dove si era inizialmente recato per volere della corte iberica -, morì durante il viaggio che lo avrebbe dovuto condurre a Siracusa. Il posto da vescovo della città rimarrà vacante fino al 1518, poiché anche il successore di Ramón non riuscirà a giungere nella chiesa siracusana.
  3. ^ Moncada, chiamato a giustificarsi di ciò di fronte al re Carlo, dirà di essersi impadronito della città della Camera per evitare che i nobili siciliani prendessero il controllo su troppe città siciliane, per poi chiedere a sua altezza (all'epoca dei fatti ancora principe, in quanto non riconosciuto re in Spagna, nonostante il testamento del re Cattolico), condizioni di riscatto troppo dure. Ma Carlo, non gradendo questo gesto intraprendetende di lealismo nei suoi confronti, chiederà, spinto anche dal volere di Germana, al futuro vicerè Ettore di intervenire nell'area siracusana e riportare l'ordine che vi era precedentemente (ovvero il dominio reginale). Vd. Carmelo Trasselli, Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V: l'esperienza siciliana, 1475-1525, vol. 2, p. 1982, p. 656.
  4. ^ Esistente fin dai tempi dei re Normanni, la R.G.C. si divideva nei due supremi tribunali dell'isola: Civile e Criminale, emettendo regolarmente sentenze come la tortura e la pena di morte. Cfr. Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo naturale, politico, e morale, 1762, p. 112.
  5. ^ Il privilegio usato nel 1522 le era stato accordato dal re Alfonso V d'Aragona: «qualsivoglia loci di lu regnu del frumento e victuvaglie» (cit. in Gazzè, I Siracusani, III, 1998, n. 15).
  6. ^ Non è chiaro se egli venisse allontanato per il pericolo della peste o per disordini socio-politici nati dopo il 1518. Sta di fatto che egli, richiamato in Spagna dalla regina Germana, rimase lontano da Siracusa per quattro anni: dal 1524 al 1528. Vd. Russo, 2004, p. 12;
  7. ^ Congiunzione e segno zodiacale che ebbero sempre forti implicazioni bibliche: Pesci, dodicesimo e ultimo segno dello zodiaco, è infatti considerato il segno simbolo di Gesù Cristo; esso veniva preso in considerazione non solo per la fine del mondo, ma anche per la nascità di Gesù bambino. Vd. es. Douglas Baker, Pesci, 2017; La Civiltà cattolica, Firenze 1883.
  8. ^ Carlo V aveva diverse chiavi difensive in Sicilia - Messina era considerata la chiave del Regno di Napoli (per la sua vicinanza con l'Italia), Catania era invece considerata la chiave di Lentini e di Siracusa (data la poca distanza che la separava dal territorio siracusano) - tuttavia, due erano le chiavi difensive più importanti di Carlo: a ovest Trapani (detta anche chiave del lato di Barbaria), vista la sua vicinanza alla Tunisi dei pirati, e poi a est Siracusa, che difendeva il Regno dalla parte di Levante, e, data la vastità delle terre che fronteggiava, era definita la più esposta al pericolo. Cfr. Eugenio Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, 1858, p. 484; Carpinteri, 1983, p. 15.
  9. ^ Vi sono diversi paragoni su Carlo V e Dionisio I (alcuni sorti già in epoca spagnola); ad esempio alcuni ne mettono a confronto le conquiste, definite di eguale tirannicità; altri il pensiero politico e altri ancora i loro numerosi affanni che si ripercorsero infine sulla loro salute fisica:
    «Cominciarono a non parer più Nazarei li Spagnuoli, tosto che in una malatia, occorsagli in Barcellona, caddero a Carlo Quinto i capelli. Da che mancò la vista al Tiranno Dionisio, tutti in Sicilia faceano il cieco, affermando di non arrivare nemmeno a distinguere su la tavola i piatti
    .
  10. ^ Enrico Arezzo, barone della Targia, ve la fece incidere con il seguente significato:
    «Nisi fidelitas per significare che il tempo aveva potuto cancellare tutto in Siracusa, la grandezza, i templi, le mura, ma giammai la fedeltà.»
  11. ^ Dopo che il sultano Solimano li sconfisse a Rodi, i cavalieri si rifugiarono dapprima a Candia e poi a Messina, in seguito lasciarono la città dello Stretto e cercarono rifugio a Napoli; lasciata anche la città partenopea approdarono a Civitavecchia, da qui si diressero - sempre in cerca di un luogo definitivo dove stare - a Viterbo; ancora non appagati nella loro ricerca, navigarono verso Corneto e, successivamente, verso Nizza. Infine, giunti all'anno 1529, ritornarono in Sicilia e si acquartierarono in un primo momento nel porto di Augusta e infine approdarono nella città di Siracusa.[64]
  12. ^ Poco prima di partire, il Gran Maestro aveva mandato i suoi ambasciatori dal papa, che era in viaggio verso il Nord Italia per andare a incontrare Carlo V, in modo da avvisarlo che la Religione accettava quanto proposto da Carlo V (ancora non ufficializzato) e che si stavano dirigendo verso Matla. Vd. cronista dell'Ordine Bosio in Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta [...], vol. 3, p. 90.
  13. ^ Così sostengono numerose fonti; si tenga però conto che Ludovico risulta esiliato da Ettore almeno fino al 1531 (anche se continuò comunque a governare la chiesa siracusana) e ciò non esclude un suo momentaneo ritorno per accogliere i cavalieri. Al riguardo vd: Russo, 2004, p. 15; Società siciliana per la storia patria, Archivio storico siciliano, 1969, p. 95; Nunzio Agnello, Il monachismo in Siracusa: cenni storici degli ordini religiosi soppressi dalla legge 7 luglio 1866, 1891, p. 22.
  14. ^ In quanto il suo fu il primo processo apostolico di canonizzazione svolto e poi attuato; verificatosi tra la sede ecclesiastica tedesca di Treviri e la Santa Sede (pontefice Benedetto IX). Vd. Società siciliana per la storia patria, Archivio storico siciliano, 1969, pp. 67-68; Studi meridionali, vol. 13-14, 1980, p. 211.
  15. ^ Roma e l'Oriente, rivista criptoferratense per l'unione delle chiese, vol. VII, 1914, p. 141:
    «ebbe il suo apogeo con le Crociate, promosse da Simeone, gloria dell'Ordine Basiliano e figlio d'Italia, nato a Siracusa verso la metà del sec. X, che a Costantinopoli, al Sinai, nella Normandia, dovunque, precorreva di oltre mezzo secolo con la parola accesa di religione e di amor patrio l'opera di Pier l'Eremita»
  16. ^ Dove attualmente risiede la delegazione siracusana-ragusana (delegazione Granpriorale) di quel che è diventato in epoca contemporanea il Gran priorato di Napoli e Sicilia del sovrano militare ordine di Malta. Vd. Storia della Delegazione di Siracusa e Ragusa, su ordinedimaltaitalia.it. URL consultato il 19 febbraio 2019.
  17. ^ Passando all'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio.
  18. ^ Per non dare troppi rifugi ai pirati e agli Ottomani, Carlo V ordinò che si guastassero i porti secondari della Sicilia, salvando solo i principali di Siracusa, Augusta, Palermo, Trapani e Messina. Vd. Società di studi geografici di Firenze, Rivista geografica italiana, vol. 17, 1910, p. 587.
  19. ^ Nella pagina in questione è trattata la vicenda e il ruolo dello spagnolo Merico (colui che aprì le porte di Siracusa ai Romani) e, più in generale, il ruolo degli antichi Iberici (nel libro chiamati già Spagnoli) all'interno della polis di Siracusa (epoca greca).
  20. ^ In diverse cronache spagnole del tempo, non compare il nome di Capo Passero e delle acque siracusane e maltesi, ma compare invece il nome del golfo di Araich, specificando che esso si trovasse nel Canale di Malta.
Riferimenti
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  2. ^ Enzo Boschi, Franco Bordieri, Terremoti d'Italia: il rischio sismico, l'allarme degli scienziati, l'indifferenza del potere, 1998, p. 77; Erasmo D'Angelis, Ripariamo l'Italia: storia di terremoti e terremotati. Vittime e danni. Colpe e colpevoli. Come possiamo difenderci?, 2018, cap. 5, Seicento.
  3. ^ Serafino Privitera, Storia di Siracusa, vol. II, pp. 145, 150.
  4. ^ Salvatore Andrea Galizia, Università degli studi di Catania, Territorio, economia e popolazione nella Sicilia d'età moderna (1571-1577), 2009-2012, p. 179.
  5. ^ Francesca Cantù, I linguaggi del potere nell'età barocca: Politica e religione, 2009, p. 171.
  6. ^ Francisca Hernández-León de Sánchez, Doña María de Castilla, esposa de Alfonso V el Magnánimo, 1959, p. 71.
  7. ^ Prudencio de Sandoval, Historia de la vida y hechos del Emperador Carlos V, p. 50, 1634.
  8. ^ Carmelo Trasselli, Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V: l'esperienza siciliana, 1475-1525, 1982, p. 422.
  9. ^ Prudencio de Sandoval, Historia de la vida y hechos del Emperador Carlos V, Parigi 1634, p. 51.
  10. ^ Cancilleria de Ferdando II, Itinerum Sigilli Segreti, 3678, ff. 158 r.160v. cit. in La Sicilia di Ferdinando il Cattolico: tradizioni politiche e conflitto tra Quattrocento e Cinquecento (1468-1523) (Simona Giurato), 2003, pp. 298-299.
  11. ^ III Simpósio Internacional de Estudos Inquisitoriais – Alcalá de Henares,junho de 2015.
  12. ^ GOLISANO, Pietro Cardona conte di, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana..
  13. ^ Cit. in Gioacchino Barbera, Antonello Paladino: pittori messinesi nel siracusano dal XV al XVIII secolo, 1996, p. 20.
  14. ^ a b Carmelo Trasselli, Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V: l'esperienza siciliana, 1475-1525, vol. 2, 1982, p. 656-657.
  15. ^ Privitera, 1879, p. 142, Cesare Gaetani, Annali di Siracusa, vol. I, f. 298.
  16. ^ Miguel Ángel Ochoa Brun, Historia de la diplomacia española, vol. 5, 1999, p. 102. Vd. anche Alessio Narbone, Epoca cristiana. Primi otto secoli dell'era volgare, vol. 5, 1856, p. 13.
  17. ^ José María Doussinague, Fernando el Católico y el cisma de Pisa, 1946, p. 192.
  18. ^ Sulla vicenda vd. Walter Brandmüller, Remigius Bäumer, Internationale Zeitschrift Für Konziliengeschichtsforschung, vol. 3-7, 1974, pp. 204-205.
  19. ^ Giuseppe Agnello, Santi Luigi Agnello, Il Duomo di Siracusa ed i suoi restauri: discorso letto il 14 gennaio 1927 nel Salone Torres del Palazzo Arcivescovile di Siracusa, 1996;
  20. ^ Escuela Española de Arqueología e Historia, Rome, Cuadernos de trabajos, Volúmenes 1-5, 1924, p. 83.
  21. ^ Miguel Ángel Ochoa Brun, Historia de la diplomacia española, 1999, p. 102.
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  25. ^ Al fondatore di Castellamare del Golfo l'intitolazione di una piazza per i 500 anni della città, su qlnews.it.
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  28. ^ Serafino Privitera, Storia di Siracusa antica e moderna, 1879, p. 138.
  29. ^ Touring Editore, Siracusa e provincia, 1999, p. 15.
  30. ^ Sull'argomento vd. Michael Grant, The Civilizations of Europe, 1965, p. 23; ISCRE, Rivista storica siciliana (16-23), 1981, p. 28; Anna Masecchia, Metropolis: atti della Scuola europea di studi comparati: Pontignano, 8-15 settembre 2008, 2010, pp. 6-7.
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