Basilica di Santa Anastasia
La basilica di Santa Anastasia è un importante luogo di culto cattolico del centro storico di Verona, situato vicino al punto più interno della città dell'epoca romana, in prossimità dell'ansa del fiume Adige, dove sorge il Ponte Pietra.
Basilica di Santa Anastasia | |
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Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Località | ![]() |
Coordinate | 45°26′43″N 10°59′59″E |
Religione | Cristiana cattolica di rito romano |
Titolare | Anastasia di Sirmio |
Diocesi | Verona |
Consacrazione | 1471 |
Stile architettonico | gotico |
Inizio costruzione | 1290 |
Completamento | incompiuta |
Sito web | www.chieseverona.it/it/ |
L'ambiguità del nome
La chiesa di Santa Anastasia prende il nome da una chiesa preesistente, di epoca gotica, dedicata da Teodorico ad Anastasia di Sirmio e di culto ariano. La chiesa peraltro ha inglobato successivamente un altro edificio ecclesiastico dedicato a San Remigio di Reims, quindi di epoca franca. In realtà la chiesa è intitolata al compatrono di Verona san Pietro, martire domenicano assassinato il 4 aprile 1252 non lontano da Monza. I veronesi l'hanno sempre chiamata col nome precedente e così è conosciuta anche esternamente, in ragione della preesistente chiesa.
Storia
Origini
Le origini della chiesa di Santa Anastasia sono antichissime. Si ritiene che già in epoca longobarda ove sorge l'attuale edificio vi fossero due chiese cristiane la cui tradizione vuole che fossero state edificate per volere del re ostrogoto Teodorico, una dedicata a san Remigio di Reims e l'altra a Santa Anastasia, martire delle persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, il cui culto si era diffuso partendo da Costantinopoli e che era giunto a Verona intorno all'VIII secolo.[1] La più antica notizia giunta fino a noi di questa prima edificazione è contenuta in un diploma, datato 2 ottobre 890, emesso dal re d'Italia Berengario I in cui si fa riferimento “ad ecclesiam Santae Anastasiae” in proposito della città di Verona. Dopo alcuni secoli in cui non si è conservata alcuna traccia, troviamo una seconda menzione in un documento del 12 maggio del 1082 relativo ad una offersione in favore di Anastasio, “archipresbyter, custos et rector” della chiesa di Santa Anastasia, di una corte, torchio e terra vitata in Illasi, presso la casa di Santa Giustina "in finibus comitatus Veronensi, in loco et funde Ilasce, prope eclesia sanctae Iustinae".[2] Successivamente, un decreto del 1087 elenca i numerosi possedimenti che la chiesa poteva vantare nel territorio veronese.[3]
Le fonti dimostrano che la collegiata di religiosi che nel XII secolo qui officiavano era assai numerosa e importante, tanto che sono giunti fino a noi diversi documenti che parlano dei sacerdoti alla loro guida.[4] Un contratto giunto fino a noi ci informa che un certo Bonseniore ricopriva la carica di arciprete nel marzo del 1114, mentre pochi decenni più tardi papa Alessandro III emanava un decretale a Teoblado e ai chierici di Santa Anastasia in Verona. Un testamento redatto il 27 giugno 1226 in cui un tale Ricerio, mugnaio, lasciava dieci soldi per le opere “ad porticalia Sancte Anastasie” ci fa scoprire che in quel tempo l'edificio era sottoposto a ristrutturazione. Nulla di relativo all'architettura di questo primo edificio trapela da queste antiche fonti; sappiamo solo che era dotata di coro, che esternamente vi era una canonica e che era stato edificato un portico.[3] Alcuni storici hanno proposto che una porzione di muro della cappella del Crocifisso sia una vestigia dell'antica chiesa, ma tale affermazione rimane tutt'oggi controversa.[5]
Arrivo dei domenicani e inizio della fabbrica
L'arrivo dei frati domenicani a Verona è collocabile tra il 1220 e il 1221 quando li troviamo ad officiare presso la chiesa di Maria Mater Domini,[6] distrutta nel 1517 e che si trovava dove ora sorge la rondella della Baccola, poco fuori porta san Giorgio. La congregazione veronese godeva di un'ottima situazione economica, frutto di donazioni, tanto da edificare un convento così grande da ospitare nel 1244 il capitolo generale dell'ordine.[7] La loro importanza fu tale che nel 1260 il vescovo di Verona Manfredo Roberti decise che essi avrebbero dovuto insediarsi in città dove avrebbero potuto edificare la proprio convento e la propria chiesa[7] da dedicate al proprio confratello san Pietro da Verona, martirizzato nel 1252 e fatto santo da Papa Innocenzo IV.[8] Per lo scopo, un terzo delle millecinquecento lire veronesi ricavate dalla vendita di Maria Mater Domini alle monache di San Cassiano venne impiegato per acquistare i terreni intorno alla antica Santa Anastasia e finanziare i primi lavori di edificazione.[9] Nonostante che un documento del 20 marzo 1280, in cui si legge "in domo ecclesie sancte Anasasie", ci mostri che i domenicani fossero già in relazione con la chiesa di santa Anastasia, asseranno comunque circa trent'anni dall'abbandono di Maria Mater Domini perché il cantiere potesse avere.[10][11] La fine del XIII secolo, più precisamente il 1290, è dunque la data in cui si colloca l'inizio del grande cantiere per la nuova e odierna chiesa, un periodo che coincise con l'abbandono generalizzato della tradizionale architettura romanica a favore di quella architettura gotica; fu proprio questo lo stile con cui venne progettato l'edificio.[10] Con un diploma del vescovo Pietro della Scala, datato 2 aprile 1292, i domenicani ricevevano in dono un terreno affinché fosse possibile allargare la strada di accesso alla chiesa e liberarne la vista.[7]
Nei primi anni i lavori nella fabbrica proseguono alacremente sostenuti dalle numerose donazioni e lasciti testamentari, in particolare di quelli degli appartenenti della famiglia dei Della Scala come Alberto I, che lascia mille lire veronesi, Cangrande II e Cansignorio. A ricordo di queste elargizioni, l'arma degli scaligeri venne dipinta ai due lati di fonte all'arco della cappella che ospita l'altare maggiore.[10]
Un fervido mecenate dell'impresa edificatoria è da molti ritenuto Guglielmo da Castelbarco,[12] amico di Cangrande I, tanto che nel suo testamento dettato a Lizzana il 13 agosto del 1319 ordina che qui dovessero essere deposte le sue spoglie disponendo, inoltre, che venissero spese per la realizzazione mille lire di piccoli veronese.[13][11][8] Alla sinistra dell'attuale chiesa, sopra il portico che un tempo conduceva nel monastero, è ancora presente il suo sarcofago, probabile opera del lapicida Giovanni di Rigino. L'analisi dei materiali dell'edificio ci permette di supporre che alla morte di Casterlbarco, avvenuta nel 1320, fossero stati ultimati gli absidi, l'altare maggiore, il transetto, i muri perimetrali almeno fino alla metà altezza di quella definitiva, la parte inferiore della facciata.[14][11]
Nella seconda metà del XIV secolo, il declino della signoria scaligera si ripercuote negativamente sui lavori di costruzione causando un rallentamento sostanzioso, in parte mitigato dalle continue donazioni di privati che permettono comunque di ultimare le strutture entro la fine del secolo. Diverse ipotesi sono state fatte relative al nome dell'architetto; scartando quella che lo identifica proprio in Guglielmo da Castelbarco, la più accreditata, sostenuta anche da Carlo Cipolla, è quella che attribuisce il progetto a due monaci dell'ordine domenicano, frà Benvenuto da Bologna e frà Nicola da Imola, autori di altri edifici che presentano molti elementi in comune con l'impianto di Santa Anastasia, tuttavia non si riscontrano documenti in merito.[11]
Ritrovata a Verona la serenità politica grazie alla dedizione a Venezia, i lavori poterono proseguire più speditamente. Il 4 marzo il cantiere beneficia di una bolla papale in cui viene concessa l'indulgenza a chiunque fornisse il proprio contributo al proseguo della fabbrica.[8] Il podestà e il capitano del popolo ottennero da Senato veneziano una riduzione sulle tasse relative alla costruzione. Dai documenti risulta che nel 1428 i lavori relativi alla copertura della chiesa si trovavano a buon punto anche se risultava ancora parzialmente scoperta e si iniziava a valutare la costruzione della facciata per cui si pensava di realizzarla in pietra viva.[15] Il 12 agosto dell'anno successivo, una nuova bolla papale impone che a Santa Anastasia venisse sostituita la congregazione dei domenicani Conventuali con quelli Riformati. Nel 1462 Pietro da Porlezza inizia a dirigere la lastricatura del pavimento.[16]
Dalla consacrazione ad oggi
La chiesa venne consacrata solennemente il 22 ottobre 1471 dal cardinale e vescovo di Verona Giovanni Michiel anche se il cantiere continuò ad essere aperto per oltre due secoli, con l'aggiunta delle cappelle laterali, non arrivando mai a completare la facciata.[17] Tra il 1491 e il 1493 il maestro Lorenzo da Santa Cecilia realizzò le sedie del nuovo coro mentre nel 1498 venne posate le vetrate del rosone centrale della facciata e dei finestroni laterali. Tra il 1509 e il 1517 Verona, a seguito degli sconvolgimenti susseguenti alla guerra della lega di Cambrai, passò sotto il controllo del Sacro Romano Impero e proprio in Santa Anastasia si tenne la cerimonia di sottomissione all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Tornata la città sotto il dominio della Serenissima, nel 1522 vennero posate le cornici della formelle che adornano le lesene della porta maggiore, nel 1533 viene lastricata la piazza antistante, in occasione della Pasqua del 1591 viene collocata una cariatide, realizzata da Paolo Orefice, a sostegno dell'acquasantiera.[16]
Una lapide collocata nell'annesso convento ricorda la venuta di Papa Pio VI che, di ritorno da Vienna dove aveva incontrato l'imperatore Giuseppe II, soggiornò a Verona la sera dell'11 maggio 1782 per ripartire poi la mattina del 13. Essendo quel giorno assente il vescovo veronese Giovanni Morosini, il papa venne ospitato nel convento dei domenicani e, prima di ripartire alla volta di Roma, ascoltò la mesa in Sant'Anastasia.[18]
Il 19 marzo 1807, per volere di Napoleone, l'ordine dei domenicani venne soppresso, mettendo così fine alla loro presenza in Santa Anastasia in cui avevano officiato da quasi cinque secoli. Affidata successivamente al clero diocesano divenne parrocchia con il beneficio di Santa Maria in Chiavica. Simile sorte toccò anche all'adiacente monastero che, dopo la sua definitiva chiusura, diverrà la sede del liceo ginnasio statale Scipione Maffei. Tra il 1878 e il 1881 l'edificio venne sottoposto ad un intenso ciclo di lavori di restauro in cui venne, tra l'altro, consolidato il campanile, sostituiti alcuni marmi del portone principale, riparati gli altari delle cappelle. Si procedette anche ad un restauro di alcune tele qui conservate con esiti non sempre felici. Nel 1967 una nuova ristrutturazione, durata per tutti gli anni 1970, portò a risultati ben più soddisfacenti. Nel 1981 il restauro toccò gli affreschi della cappella Lavagnoli.[16]
Esterno
Facciata
La struttura della facciata è divisa in tre sezioni che corrispondono alle navate interne. La facciata è incompiuta ed è prevalentemente in cotto. La chiesa fu costruita dai domenicani ed ha una struttura analoga alla basilica dei Santi Giovanni e Paolo anch'essa appartenente allo stesso ordine e costruita quasi in contemporanea. La facciata, simmetrica, ha la capanna centrale con la parte alta che ha nel suo centro un semplice rosone con un settore circolare esterno e la parte interna divisa in sei sezioni divise da un diametro orizzontale.[19]
Il portale biforo, di datazione riferibile alla prima metà del XV secolo appartiene, stilisticamente, alla prima architettura rinascimentale con ancora delle gotiche. La parte inferiore è occupata dal portone del XV secolo diviso in due sezioni con sovrastanti due archi acuti con intorno il portale gotico con una serie di cinque archi acuti sovrapposti. Gli archi sono sostenuti da cinque colonne ornamentali alte e leggere realizzate con marmi rossi, bianchi e neri, gli stessi colori che troviamo anche nel pavimento interno.[19]
La lunetta principale ha al suo interno la rappresentazione della Santissima Trinità con ai lati le figure di san Giuseppe e della Madonna. Il Padre è assiso su una cattedra di stile gotico con il Crocefisso fra le sue ginocchia e il Cristo a fianco con la colomba su di sé. Completa la figura una coppia di angeli sovrastanti la Trinità Nelle due lunette minori sono presenti il Vescovo alla guida del popolo veronese con lo stendardo della città e nell'altra San Pietro martire alla guida dei frati con lo stendardo bianconero dei domenicani.[19] Tutti e due i gruppi sono incamminati all'adorazione della Trinità. Questi affreschi appaiono oggi in gran parte perduti, nonostante il ritocco (probabilmente dall'esito non troppo felice) apportato in occasione del restauro del 1881.[20] Lo storico dell'arte Adolfo Venturi ha riconosciuto in questi dipinti l'influsso della scuola di Stefano da Zevio attribuendoli dunque a qualche suo allievo.[21]
Gli archi minori poggiano sull'architrave del portale decorato a bassorilievo da sei rappresentazioni in ordine cronologico della vita di Cristo: l'Annunciazione, la Nascita di Gesù, l'Adorazione dei Magi, la via verso il Calvario, la Crocifissione e la Resurrezione.[21] Ai due fianchi dell'architrave sono poste due statue, in quella di sinistra si riconosce Santa Anastasia, in quella di destra Santa Caterina della Ruota. Al centro dell'architrave, invece, sopra l'elegante colonnina che divide le due porte e poggiata su di una mensola, vi è posta una statua, di dimensioni maggiori rispetto alle due laterali, in cui è rappresentata la Vergine con il Bambino, di scuola veneziana. La colonna divisoria ha tre altorilievi sulla fronte e sui due lati. Di fronte San Domenico con la stella sotto i suoi piedi, a sinistra San Pietro Martire con il sole sottostante e a destra San Tommaso che sovrasta la luna, con in mano il libro dei dottori della chiesa, mentre istruisce un giovane monaco.[21][19]
E' stata avanza l'ipotesi che il complesso del portale potrebbe essere stato realizzato, come si suppone per il pavimento, da Pietro da Porlezza a partire dal 1462. A supporto di ciò, Alessandro Da Lisca ha osservato che l'opera marmorea si lega con l'ambiente interno tanto da formare un'unica opera, come il corpo avanzato, in cotto, che alla sua volta è legato indissolubilmente col muro stesso della chiesa. Sicché il muro, il corpo avanzato e il portale marmoreo sarebbero tutti lavori effettuati nel corso del XV secolo.[22]
A discapito di quello che doveva essere il progetto iniziale, solo due formelle in marmo sono collocate sulla facciata e più precisamente sulla lesena alla destra del portale, dove sono rappresentante nella prima la predica di San Pietro Martire e nella seconda il suo Martirio. Dei quattro pilastri solo i primi tre, da sinistra, presentano due scritte per ciascuno.[N 1] La prima la quarta e la sesta si riferiscono ai miracoli operati dal santo, la quinta al martirio. Dunque, le formelle eseguite corrispondono alla quinta e alla sesta. Le cornici delle formelle sono attribuibili anch'esse al secolo XV o all'inizio di quello successivo. Si suppone che le formelle avrebbero dovuto costituire un grande cornice che mantenesse intatto il portale già esistente.[23]
A sinistra, guardando la facciata si nota in alto, posta sopra un arco di passaggio verso un cortile interno (dell'attuale conservatorio musicale) la bellissima arca sepolcrale dove giace Guglielmo da Castelbarco. Si tratta del primo esempio di arca monumentale detta "a baldacchino" che pochi anni dopo avrebbe ispirato e avuto seguito nelle splendide "Arche scaligere" dove hanno sepoltura i Della Scala, i signori della Verona trecentesca. Ai lati della capanna centrale due sezioni con delle lunghe bifore vetrate che percorrono la parte alta delle parti, all'esterno delle sezioni due camini che superano i profili laterali.
Campanile e campane
In prossimità del braccio sinistro del transetto, si eleva l'imponente torre campanaria, di cui abbiamo ben poche notizie sulla sua storia. Alta 72 metri e divisa in sei parti da marcapiani in pietra bianca, la torre in stile gotico presenta una canna lesenata in laterizio, con ripetizione di decorazioni ad archetti, che si innalza sulla punta della prima cappella absidale di sinistra.[24] La canna della torre termina, dunque, con una cella campanaria dotata per ogni lato da una trifora stromata con arco a tutto sesto e formate da colonne con fusto, piedistallo e capitello di ordine tuscanico.[25] Sopra di essa corre una balaustra costituita da diverse piccole colonnette in pietra bianca di elegante fattura. Da qui si innalza, a sua volta, una guglia conica, realizzata in cotto, solcata da vertebre lapidee in pietra bianca. Lo stile della struttura permette di collocarla intorno al XV secolo, ma è possibile che sia stata iniziata anche prima, in contemporanea all'abside. Si è a conoscenza dell'esistenza di un documento, oggi andato perduto, rogato il 15 gennaio 1433 dal notaio Antonio de Cavagion (l'odierno Cavaion Veronese) con il quale i padri domenicani vendettero per 50 ducati una casa impiegandone il ricavato per "nella fabbrica del campanile". Su tre piccole pietre incastonate ai lati del campanile vi è scolpita, con caratteri del secolo XV, la seguente iscrizione: "CHRISTUS REX | VENIT IN | PACE DEUS | ET HOMO | FATUS EST." Secondo lo storico Ignazio Pellegrini, sembra che un nel 1555 un fulmine avesse colpito la torre campanaria per cui si dovette procedere ad un restauro. Un simile evento accadde anche il secolo successivo costringendo i domenicani ad accettare, nel 1661, duecento ducati, provenienti da una affrancazione, per riparare il danno.[26]
Le prime cinque campane, poste in opera dal 1460, erano in accordo di Mi♭ minore e vennero rifuse più volte nel corso dei secoli. Gli attuali nove bronzi, forniti dalla famiglia Cavadini nel 1839, sono in scala di Do maggiore. Decantati in numerosi sonetti ed inni sia per il pregio acustico che decorativo, il più grande pesa 1787 kg per un diametro di 145 cm. La scuola campanaria di S. Anastasia, fondata nel 1776, è stata la principale esponente dell'arte del suono dei concerti di Campane alla veronese e ad essa sono legati i nomi dei maestri Pietro Sancassani (1881-1972) e Mario Carregari (1911-1997). È tutt'oggi in piena e fiorente attività.
Interno
L'interno della chiesa, ricco di elementi architettonici e opere d'arte, è suddiviso in tre navate congiunte con volte a crociera. Le navate sono separate da due serie di sei colonne cilindriche l'una in marmo bianco e marmo rosso veronese con capitelli gotici. Le due coppie di colonne oltre l'altare maggiore hanno lo stemma dei Castelbarco di Avio con il loro leone rampante. La famiglia trentina fu una delle più generose per la costruzione della chiesa. Guglielmo di Castelbarco, già podestà di Verona volle legarsi alla chiesa costruendo l'arca a lato della piazza della chiesa che divenne la sua tomba. In questo senso precorse le arche scaligere.[19]
La pianta della chiesa è organizzata a croce latina presentando dunque, prima del presbiterio, un transetto di ampie dimensioni. La grande zona absidale a sua volta è articolata in cinque absidi.[27] separati da lesene gotiche intonacate e affrescate, che terminano con capitelli.[28] La chiesa contiene al suo cinque cappelle (conosciute come: cappella Pellegrini, cappella Salerni, cappella Lavagnoli, cappella Cavalli, cappella del Rosario) mentre ai lati delle navate sono disposti sei altari (altare Baldieri, altare Bevilacqua-Lazise, altare Fregoso, altare di san Vincenzo Ferreri, altare Pindemonte, altare di san Raimondo di Peñafort).[29] Le pareti sono in gran parte dipinte con affreschi e arricchite da altari e monumenti funebri di illustri cittadini.[30] Appena entrati, sul muro appena a destra dell'ingresso principale è incastonato un busto di Bartolomeo Lorenzi, poeta veronese, collocato per volere di Ippolito Pindemonte, Marcantonio Miniscalchi, Silvia Curtoni Verza e Beatrice d'Este. L'interno riceve la luce solare da grandi finestroni e da un rosone, posto sopra il portale.[19]
Il pavimento è ancora quello originario, che si suppone sia stato realizzato sotto la direzione di Pietro da Porlezza nel 1462. E' costituito da marmi di tre colori: il bianco ed il nero ricordano la veste dei frati domenicani, mentre il rosso ricorda che la chiesa è dedicata a san Pietro da Verona martire.[19] Le sue parti maggiormente elaborate si trovano nella navata centrale e nel transetto, proprio nel mezzo di quest'ultimo vi è rappresentato un rosone con al centro lo scudo raggiato bianco e nero, simbolo dell'ordine. Nessuna della antiche cappelle ha traccia dell'antico pavimento così pure ne è priva la sacrestia.[31] Sempre al da Porlezza è, tradizionalmente, attribuita l'acquasantiera in marmo rosso veronese posta vicino all'entrata secondaria.[19]
Una caratteristica quasi unica della chiesa sono le due acquasantiere a fianco delle prime colonne, sono sostenute da due gobbi baffuti, il primo con le mani posate sulle ginocchia ed il secondo con una mano posata sulla testa in una posa che esprime preoccupazione. Il gobbo a sinistra, posto nel 1491, è attribuito a Gabriele Caliari padre di Paolo detto il Veronese, il secondo (chiamato anche Pasquino perché entrò in basilica la domenica di Pasqua del 1591) è ritenuto da molti opera di Paolo Orefice ed è una cariatide realizzata in marmo rosso di Verona.[32]
Nella quinta campata della navata laterale di sinistra si trova l'organo a canne, costruito da Domenico Farinati nel 1937 riutilizzando la cassa e la cantoria del XVI secolo; lo strumento è a trasmissione pneumatico-tubolare e dispone di 29 registri su due manuali e pedale.
Presbiterio
Il presbiterio è rialzato di alcuni gradini rispetto al resto della chiesa ed occupa interamente l'area dell'abside maggiore, preceduta da una campata a pianta quadrata coperta con una volta a crociera; sulla parete di destra, vi è il Giudizio Universale, attribuito a Turone di Maxio (seconda metà del XIV secolo), mentre su quella di sinistra si trova il monumento a Cortesia Serego.
L'abside è poligonale ed è illuminata da cinque alte monofore ad arco. Esse sono chiuse da moderne vetrate policrome, risalenti al 1935. Esse raffigurano, da sinistra, San Tommaso, Santa Caterina da Siena, San Pietro martire, Santa Rosa da Lima e San Domenico.
L'altare maggiore è in marmo ed è stato realizzato e consacrato nel 1952. Dalle forme semplici, al centro della mensa si trova il tabernacolo, sormontato da un grande crocifisso ligneo dipinto.
Monumento a Cortesia Serego
Sul lato sinistro del presbiterio si trova uno dei monumenti più interessanti per quanto riguarda la commistione fra scultura e pittura d'inizio '400: il monumento a Cortesia Serego.
Il cenotafio figurato si trova a sinistra dell'abside. Il monumento è costituito da un nucleo centrale in cui spicca la figura di Cortesia a cavallo con l'armatura e che tiene in mano il bastone del comando. Il cavallo è posto sopra un sarcofago, che è sempre rimasto vuoto, e porta sette nicchie: cinque nella parte frontale e due laterali; in queste nicchie dovevano essere presenti delle statue bronzee rappresentanti le virtù della famiglia, attestate da un documento presente nella biblioteca civica. La parte scolpita rappresenta due soldati che scostano una pesante tenda lapidea e in segno di rispetto si tolgono il cappello. Sopra la tenda si legge l'arma della casata Serego e in alto un altro soldato; questi non ha nessun elemento che lo riconduca a un santo, come in monumenti analoghi, perché si presenta con un'armatura all'antica, una spada e una corona d'alloro e si può pensare sia una figura allegorica delle virtù della famiglia (la spada è lo stemma della famiglia Serego). Tutt'attorno un grande fregio di foglie d'acanto con movimenti mistilinei incornicia la scena, è costituito da grandi fiori carnosi, che erano dipinti di bianco con venature dorate e contornati da pigne laccate di rosso, l'importanza del tralcio è legata alla divisione tra parte pittorica e scultorea e di unione allo stesso tempo, ovviamente il tralcio risaltava fortemente sullo sfondo azzurro con soli dorati. La parte più in alto, il Paradiso, presenta forti echi pisanelliani nella cura del dettaglio, nell'applicazione di tavole e nella citazione del pulviscolo dorato, unite a ad applicazioni a pastiglia e a applicazioni metalliche. La parte affrescata ci mostra un'Annunciazione, nella fascia in alto, con una grande mandorla, in pastiglia, contenente il Padre eterno avvolto da una nube di angeli. In basso due santi domenicani (Pietro martire e Domenico). Nello zoccolo sotto il monumento si trova un bellissimo velario affrescato che sembra un arazzo millefiori.
Il figlio di Cortesia Serego, Cortesia il giovane (portava lo stesso nome del padre) nel 1424 stilò un testamento nel quale chiedeva di essere sepolto e ricordato con un monumento in Sant'Anastasia. Pochi anni dopo, nel 1429, in un nuovo documento scrisse che il monumento eretto in Sant'Anastasia serviva come ricordo del suo onesto padre. Probabilmente il monumento fu scolpito da un toscano che da anni si era spostato in Veneto: Pietro di Nicolò Lamberti. La parte affrescata, invece, potrebbe essere di Michele Giambono artista veneziano. È possibile che Lamberti abbia lavorato tra il 1425 e il 1426, mentre Giambono terminò il suo lavoro solo nel 1432.
Cappelle laterali
Cappella Pellegrini
La cappella Pellegrini è soprattutto celebre perché contiene quello che è considerato il capolavoro di Pisanello, il San Giorgio e la principessa, affrescato tra il 1433 ed il 1438 sulla parete esterna sopra l'arco di accesso. Pittore di gusto tardo-gotico, operante nella società delle corti, ha evocato in questa sua opera un mondo favoloso e cavalleresco, utilizzando un tratto nitido ed elegante. Notevoli sono anche le terrecotte di Michele da Firenze, tra cui le scene della Vita di Cristo, le figure di santi e del committente Andrea Pellegrini.
Alle pareti si trovano due tombe: a destra Giovanni Pellegrini (1382), con un'architettura di Antonio da Mestre e una parte decorata di Martino da Verona; a sinistra di un personaggio della famiglia Pellegrini e famiglia Bevilacqua, sempre realizzata dagli stessi artisti.
Cappella Salerni
Inizialmente la cappella fu di proprietà della famiglia Salerni, quindi passò all'arte dei Molinari e dei Mugnai per poi ricadere in proprietà del convento domenicano. Alla sinistra rispetto a chi entra vi è posto un monumento sepolcrale realizzato in stile riferibile alla fine del XIV secolo in cui riposano le spoglie di Giovanni Salerni, morto il 20 aprile 1380 come si apprende dall'epigramma sepolcrale. Sul vertice dell'arco a sesto acuto vi è scolpita l'arma gentilizia dei Salerni sormontata dall'elmo.[33]
La cappella conserva in sé un piccolo museo di affreschi eseguiti fra il cadere del secolo XIV e la prima metà del successivo. A sinistra si possono osservare i dipinti votivi realizzati da Stefano da Zevio, mentre a destra ve ne sono altri attribuiti a Bonaventura Boninsegna. In fondo sulla destra altro affresco votivo di Giovanni Badile: San Giacomo presenta alla Vergine un membro della famiglia Maffei.[34]
La cappella è stata oggetto di importanti restauri nel corso dell'intervento del 1881, in cui vennero ripristinate le antiche finestre e restaurate le pitture parietali, pulendole e liberandole dall'intonaco che le celava e le deturpava.[35]
Cappella Lavagnoli
La cappella è dedicata a sant'Anna, anche se fino al secolo XV il titolare era san Giovanni Evangelista.[36] All'interno, appoggiato sulla parete di destra rispetto a chi entra, vi è un elegante sarcofago e due graziosi angioletti che sostengono le insegne gentilizie della famiglia Lavagnoli. Su di esso vi è scolpita, in purissimi caratteri romani, un'iscrizione che dice: "ANGELO, LAVANEOLO, AVO, MARSILIOQ. / PATRI. EX. VTRIVSQ. TESTAMENTO / ANGELVS, ET IOANNES FRES. LAVA. / F. C. M. D. LXXX".[37]
Il vasto intervento di restauro del complesso effettuato tra il 1879 e il 1881 riguardò anche questa cappella, in tale occasione venne tolto l'altare barocco che ingombrava il centro della cappella, vennero rifatti e riaperti gli antichi finestroni, così che la luce potesse nuovamente illuminare e dare vita agli spazi interni. il restauro permise, inoltre, di riscoprire alcuni affreschi che adornano le pareti laterali. Tuttavia, quelli di destra, andarono quasi interamente distrutti per permettere la realizzazione del monumento sepolcrale di Angelo Lavagnoli; quelli di sinistra si sono conservati abbastanza bene.[37] Partendo dalla parete di sinistra, si possono osservare, dunque, due opere Gesù chiama i primi apostoli e Crocifissione, mentre sulla destra sopra il sarcofago rimane un Gesù entra a Cafarnao.[37] L'autore di questi dipinti è ignoto, anche se è chiara l'origine mantegnesca delle pitture che ha permesso di attribuirli o a Francesco Benaglio o a Michele da Verona.[38]
Cappella Cavalli
Ora dedicata a San Girolamo ma anticamente intitolata a San Geminiano.[39] La sua prima menzione risale ad un documento relativo ad una donazione fatta da Giacomo, Nicolo e Pietro, nobili appartenenti alla famiglia Cavalli, nel 1375.[40] Subito a destra si può ammirare l'Adorazione, unica opera certa di Altichiero da Zevio in Verona.[N 2] Nel dipinto, come un antico omaggio feudale, i nobili cavalieri s'inginocchiano davanti al trono della Vergine posto in un tempio gotico. Le arcate dipinte presentano sulla chiave di volta lo stemma nobiliare della famiglia Cavalli. Fu eseguito forse dopo il ritorno di Altichiero da Padova, poco prima del 1390, anche se alcuni studiosi lo datano al 1369, in base ad un documento ritrovato negli archivi veronesi.[40]
Sotto l'affresco è posta la tomba di Federico Cavalli, realizzata in marmo rosso veronese, arricchito da una lunetta in cui è contenuta un'opera di Stefano da Zevio risalente alla prima metà del XV secolo.[41] Sul listello della cassa marmorea corre un'iscrizione che si ripartisce sulle tra facce esposte, qui di seguito riportata: “S. NOBILIS 7 EGREGII VIRI FEDERICI . 9 EGRE | GII VIRI DNI NICOLAI DE CAVALIS SVORVMQ . HEREDVM QVI SPIRITVM REDIDIT ASTRIS - ANO DNI M . CCC. LXXXX | VII MENSIS SEENBRIS”.[42]
Le pareti sono decorata da altri affreschi, Vergine con Gesù bambino, San Cristoforo, e il più pregevole, Miracolo di San Eligio di Noyon, tutti e tre attribuiti a Martino da Verona, pittore scomparso nel 1412.[43] A sinistra compare l'affresco con il Battesimo di Gesù, attribuito a Jacopino di Francesco, pittore bolognese della prima metà del XIV secolo, considerato uno dei padre della pittura padana.
L'altare è abbellito da una pala, dipinta dal Liberale da Verona, inserita in una cornice ricca di intagli e dorature.[42]
Cappella del Rosario
La Cappella del Rosario venne ricostruita tra il 1585 e il 1596 per celebrare la vittoria di Lepanto del 1571 a cui la città di Verona aveva partecipato con tre compagnie di soldati. Il progetto si deve all'architetto Domenico Curtoni, nipote e allievo dell'architetto veronese Michele Sanmicheli, nel tipico stile del XVI secolo con alcune aggiunte barocche.[38][19]
Sopra l'altare è collocata Madonna dell'Umilità con i santi Pietro martire e Domenico e gli offerenti, tradizionalmente identificati con Cangrande II della Scala e sua moglie Elisabetta di Baviera, tavola attribuita a Lorenzo Veneziano, pittore attivo a Verona nella seconda metà del XIV secolo.[38]
Sulla parete sinistra della cappella un'olio su tela della prima metà del XVII secolo raffigurante un Cristo orante nell'orto di Pietro Bernardi. Sulla parete di destra La Flagellazione di Cristo, realizzata nel 1619 da Claudio Ridolfi. L'altare maggiore è costituito da due gruppi a loro volte formate da quattro colonne composite e su di esso è posto un tabernacolo. Ai suoi lati sono collocate due statue in marmo di Gabriele Brunelli, la Fede e la Preghiera (rispettivamente a sinistra e a destra). Sulla balaustra interna, realizzata tra il 1627 e il 1634, sono poste 4 statue raffiguranti angioletti, scolpite da Pietro da Carniola.[38][19]
Altari laterali
- Altare Baldieri
Attorno frammenti di affresco, di Antonio Badile II (1424-1507). Pala dell'altare : Manufatto quattrocentesco dedicato a S.Pietro martire in pietra tenera colorata. Madonna col Bambino, San Sebastiano, San Pietro Martire e San Rocco.
- Altare Bevilacqua-Lazise
L'altare è dedicato all'Immacolata Concezione. Il gruppo marmoreo è opera di Orazio Marinali e la fascia marmorea attorno all'altare è opera di Pietro da Porlezza. Sono presenti affreschi di Liberale da Verona.
- Altare Fregoso
L'altare, dedicato al Redentore, in memoria del capitano della milizia veneta, il genovese Giano Fregoso morto nel 1525, fu commissionato dal figlio Ercole allo scultore carrarese Danese Cattaneo, un discepolo del Sansovino. Il disegno e le sagome del manufatto furono forse forniti da Andrea Palladio, amico di Cattaneo.[44] Quest'opera fu anche celebrata da Giorgio Vasari nelle sue celeberrime Vite.
- Altare di san Vincenzo Ferreri
L'altare è dedicato ad uno dei maggiori santi domenicani. La pala d'altare è opera di Pietro Rotari, mentre la fascia attorno all'altare è una realizzazione di Pietro da Porlezza, cugino dell'architetto Michele Sanmicheli.
- Altare Pindemonte
Realizzato nel 1541, ha una pala d'altare di Giovan Francesco Caroto dedicata a san Martino. Il pittore fu allievo di Liberale da Verona, dal quale derivò le tendenze formali e cromatiche. Subì anche l'influsso del Mantegna e, in misura minore, del Francia e del Bonsignori.
- Altare di san Raimondo di Peñafort
L'altare è dedicato al grande santo domenicano ed è presente la pala iniziata da Felice Brusasorzi e terminata da Alessandro Turchi. Il lato destro dell'altare v'è il sepolcro del matematico Pietro Cossali.
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Altare Boldieri
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Altare Boldieri Pale d'Altare
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Altare Bevilacqua-Lazise
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Altare Fregoso
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Altare di san Vincenzo Ferreri
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Altare Pindemonte
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Altare di san Raimondo di Peñafort
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Monumento di Pietro Cossali
Note
Esplicative
- ^ Iniziando dall'alto del pilastro ultimo a sinistra di chi guarda, troviamo le seguenti iscrizioni:
- E TECTO . CADENS . CRVRA . FREGIT . SEX || ANNOS . IACET . DATO . VOTO . MOX . AMBVLAT.
- QUIBVS . PERIMOR . VLCERIBUS . ORANS || AD SEPVLCRVM . ATATIM . LIBEROR.
- VIVENS . SECTVM . GLVTINO . PEDEM || IACENS . NAVFRAGIA . VETO.
- PLVTO . IN . MARIAM . FORMATVS || VIAICO . VISO . STATIM . ABIT
- EX . COMO . MEDIOLANVM . REDIENS || ITINERE . OCCIDOR.
- SYRIO . ARDENTE . DVM . PREDICO || AER . IN . NVBES . ME ORANTE . COIT
- ^ Altichiero a Verona aveva anche realizzato un ciclo di affreschi nel Palazzo Scaligero, ora perduti.
Bibliografiche
- ^ Viviani, 2004, p. 70.
- ^ Cipolla, p. 2.
- ^ a b Marchini, 1982, Le origini.
- ^ Cipolla, pp. 2-3.
- ^ Viviani, 2004, pp. 70-72.
- ^ Cipolla, p. 4.
- ^ a b c Marchini, 1982, L'arrivo dei Domenicani a Verona.
- ^ a b c Viviani, 2004, p. 72.
- ^ Cipolla, p. 5.
- ^ a b c Cipolla, p. 6.
- ^ a b c d Marchini, 1982, L'età scaligera.
- ^ Cipolla, p. 7.
- ^ Cipolla, p. 8.
- ^ Cipolla, p. 9.
- ^ Cipolla, p. 10.
- ^ a b c Marchini, 1982, L'età Veneziana.
- ^ Viviani, 2004, pp. 70, 74.
- ^ Cipolla, p. 33.
- ^ a b c d e f g h i j Marchini, 1982, La chiesa di Santa Anastasia oggi.
- ^ Cipolla, p. 24.
- ^ a b c Cipolla, p. 25.
- ^ Cipolla, p. 26.
- ^ Cipolla, p. 26.
- ^ Viviani, 2004, pp. 77-78.
- ^ Viviani, 2004, p. 78.
- ^ Cipolla, p. 32.
- ^ Viviani, 2004, pp. 76-77.
- ^ Viviani, 2004, pp. 78-79.
- ^ Viviani, 2004, p. 79.
- ^ Viviani, 2004, p. 78.
- ^ Cipolla, p. 24.
- ^ Cipolla, p. 32.
- ^ Cipolla, p. 58.
- ^ Cipolla, p. 61.
- ^ Cipolla, pp. 58-59.
- ^ Cipolla, p. 56.
- ^ a b c Cipolla, p. 57.
- ^ a b c d Benini, 1988, p. 76.
- ^ Simeoni, 1929, p. 58.
- ^ a b Cipolla, p. 51.
- ^ Cipolla, p. 51.
- ^ a b Cipolla, p. 52.
- ^ Cipolla, p. 53.
- ^ Copia archiviata, su mediateca.cisapalladio.org. URL consultato l'11 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2013).
Bibliografia
- Carlo Cipolla, Ricerche storiche intorno alla chiesa di Santa Anastasia in Verona, ISBN non esistente.
- Arturo Scapini, La chiesa di santa Anastasia, Verona, Edizioni di Vita Veronse, 1954.
- Giorgio Borelli (a cura di), Chiese e monasteri di Verona, Verona, Banca popolare di Verona, 1980, ISBN non esistente, BNI 828559.
- Giovanni Cappelletti, La Basilica di S. Anastasia, Verona, Edizioni di Vita Veronese, 1981, ISBN non esistente, BNI 828558.
- Gian Paolo Marchini, Santa Anastasia, Verona, Banca Popolare di Verona, 1982, ISBN non esistente.
- Caterina Giardini, Santa Anastasia - storia e guida della Chiesa di Sant'Anastasia in Verona, Verona, Associazione Chiese Vive, 2011, ISBN non esistente.
- Giuseppe Franco Viviani, Chiese nel veronese, Verona, Società cattolica di assicurazione, 2004, ISBN non esistente.
- Luigi Simeoni, Verona, Roma, edizioni Tiber, 1929, ISBN non esistente.
- Gianfranco Benini, Le chiese di Verona: guida storico-artistica, Arte e natura libri, 1988, ISBN non esistente.
Voci correlate
Altri progetti
- Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Anastasia a Verona
Collegamenti esterni
- Verona.com, Chiesa di Santa Anastasia, su verona.com. URL consultato il 14 dicembre 2008.
- Verona.net, Chiesa di Santa Anastasia, su verona.net. URL consultato il 10 giugno 2013.
- Medioevo.org, Sant'Anastasia a Verona, su medioevo.org. URL consultato il 10 giugno 2013.
- Italy360.it, Santa Anastasia - Verona - Italia - Visita virtuale, su italy360.it. URL consultato il 10 giugno 2013.