Curzio Malaparte
Curzio Malaparte, nome d'arte di Kurt Erich Suckert (Prato, 9 giugno 1898 – Roma, 19 luglio 1957), è stato uno scrittore, giornalista, ufficiale, poeta e saggista italiano. È particolarmente noto, soprattutto all'estero[1], per i suoi romanzi Kaputt e La pelle, opere neorealiste a sfondo autobiografico basate sulla sua esperienza di giornalista e ufficiale durante la seconda guerra mondiale, e Maledetti toscani.


Scrittore dallo stile realistico e «immaginifico»[2], definito come «cinico e compassionevole» al tempo stesso[3] e talvolta avvicinato alle tematiche e allo stile crudo ed "espressionista" di Louis-Ferdinand Céline[4], come intellettuale fu dapprima un sostenitore del fascismo, poi una voce critica e un oppositore dello stesso. Caratteristica della sua letteratura è la mescolanza di fatti reali - lo scrittore è stato infatti avvicinato alla corrente del neorealismo -, spesso autobiografici, ad altri immaginari, talvolta esagerati in maniera voluta e consapevole, fino al grottesco, specialmente quando deve denunciare le atrocità della seconda guerra mondiale.[5][6]
Interventista e volontario nella Grande Guerra, ammiratore di Mussolini e "fascista della prima ora", partecipò alla marcia su Roma e fu attivo nelle posizioni di fascismo di sinistra intransigente, sostenendo la cosiddetta rivoluzione fascista; allontanatosi gradualmente dal regime (venne anche mandato al confino, da cui uscì grazie all'amicizia con Galeazzo Ciano, genero del Duce), dopo l'8 settembre 1943 si arruolò nell'Esercito Cobelligerante Italiano del Regno d'Italia e collaborò con gli Alleati (cui pure non risparmiò pesanti critiche) nel Counter Intelligence Corps nella lotta contro i nazisti e i fascisti della RSI.
Nel secondo dopoguerra si avvicinò al Partito Comunista Italiano, stringendo amicizia con Palmiro Togliatti, sebbene molti dubitassero della effettiva sua adesione, o avvicinamento, al PCI (e contemporaneamente al Partito Repubblicano Italiano, a cui già aderiva da giovanissimo).[5][7] Morì dopo essersi convertito alla Chiesa cattolica, assistito dai sacerdoti padre Cappello e padre Rotondi.[8][9][10]
Lo pseudonimo, che usò dal 1925, fu da lui ideato come umoristica paronomasia basata sul cognome "Bonaparte".
Biografia
Kurt Erich Suckert | |
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Soprannome | Curzio Malaparte |
Nascita | Prato, 9 giugno 1898 |
Morte | Roma, 19 luglio 1957 (59 anni) |
Cause della morte | cancro ai polmoni |
Luogo di sepoltura | Mausoleo di Curzio Malaparte a Spazzavento (Prato) |
Dati militari | |
Paese servito | Italia (1915-1945) Francia (1914-1915) Stati Uniti (1943-1945) |
Forza armata | Legione Straniera Francese (1914-15) Regio Esercito (1915-1918; 1940-1943) Esercito Cobelligerante Italiano (1943-45) |
Corpo | Legione Garibaldi (1914-15) Fanteria (Brigata Alpi)Alpini (1915-1918; 1940-1943) Corpo Italiano di Liberazione (1943-45) Counter Intelligence Corps (1943-45) |
Unità | 51º Fanteria Alpi 5º Reggimento alpini |
Anni di servizio | 1914 - 1945 |
Grado | Capitano |
Ferite | intossicazione da iprite |
Comandanti | Luigi Cadorna, Armando Diaz, Benito Mussolini, Dwight Eisenhower, Pietro Badoglio, Henry H. Cumming |
Guerre | Prima guerra mondiale, Seconda guerra mondiale |
Campagne | Fronte greco-albanese, campagna di Russia, campagna d'Italia (1943-1945) |
Battaglie | battaglia di Caporetto, battaglie dell'Isonzo, battaglia del Bois de Courton |
Decorazioni | Croce di guerra al valor militare, Medaglia di bronzo e altre onorificenze |
Altre cariche | scrittore, giornalista |
Fonti nel testo | |
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Kurt Erich Suckert nacque a Prato da madre italiana (la milanese Edda Perelli) e dal tintore sassone Erwin Suckert.
Dopo la scuola dell'obbligo frequentò il liceo classico Cicognini di Prato[5], lo stesso frequentato da Gabriele D'Annunzio, con la cui opera letteraria e politica avrà un rapporto di odio-amore.[11] La sua prima militanza politica fu come simpatizzante anarchico e poi del Partito Repubblicano Italiano.[7] Fece anche parte della massoneria, essendo stato regolarizzato al 3º grado (Maestro) il 28 maggio 1924 nella loggia “Nazionale”, appartenente alla Gran Loggia d'Italia, direttamente all’obbedienza del gran maestro Raoul Palermi. Ricevette in seguito i gradi dal 4º al 30º del Rito scozzese antico ed accettato[12].
Volontario nella prima guerra mondiale
Con lo scoppio della prima guerra mondiale (1914), decise, sedicenne, di partire volontario per il fronte. Siccome l'Italia era neutrale, si arruolò nella Legione Garibaldina, inquadrata poi nella Legione straniera francese. Nel 1915 anche l'Italia entrò in guerra e Malaparte poté arruolarsi come fante, successivamente sottotenente, del Regio Esercito; combatté sul Col di Lana e in Francia con la Brigata di fanteria "Alpi", dove venne decorato con una medaglia di bronzo al valore militare.[5] Tornato in Francia dopo la disfatta di Caporetto, nel 1918 il suo plotone subì un attacco chimico da parte dell'esercito imperiale tedesco, e i suoi polmoni furono gravemente lesionati dall'iprite.
Letteratura di guerra
Subito dopo la guerra tentò di pubblicare il suo primo libro, Viva Caporetto!, un saggio-romanzo sulla guerra, che vedeva nella Roma corrotta il principale nemico da combattere. Terminata la stesura dell'opera, nel 1919 cominciò l'attività giornalistica. La sua opera prima, dopo essere stata respinta da molti editori (tra i quali anche l'amico Giuseppe Prezzolini), venne dapprima pubblicata a spese dell'autore a Prato nel 1921 e subito sequestrata per "vilipendio delle forze armate", a causa del provocatorio titolo che inneggiava alla disfatta di Caporetto, e ripubblicata poi con il nuovo titolo La rivolta dei santi maledetti lo stesso anno.[5]
Nella rotta di Caporetto, Malaparte non vede la vigliaccheria dei soldati, ma l'incompetenza degli ufficiali superiori e la ribellione della truppa a una guerra mal condotta, che fino a quel momento era costata la vita di 350.000 italiani. Caporetto è quindi, secondo Malaparte, da considerare come l'inizio di una rivoluzione italiana, simile a quella russa, che però si spense immediatamente a causa della mancanza di capi che la sapessero dirigere. Nel libro, Malaparte sostenne che la vecchia classe dirigente andasse rimpiazzata dalle giovani generazioni della borghesia, «quei buoni ufficiali delle trincee e dei reticolati, i francescani, i "pastori del popolo"», che dopo la guerra aderiranno in gran parte al fascismo, come d'altra parte farà lo stesso Malaparte.[13]
L'adesione al fascismo
Già dal 1920 Malaparte aveva aderito al recente movimento fascista di Benito Mussolini e nell'ottobre 1922 partecipò alla Marcia su Roma. Nel 1923 avvenne il celebre duello contro Ottavio Pastore, l'anno successivo, sotto il nuovo regime, amministrò diverse case editrici tra cui quella de La Voce di Prezzolini.[5]
All'indomani del delitto Matteotti, Malaparte fu il più accanito sostenitore dello "squadrismo intransigente", tanto da intervenire come teste a discarico al processo di Chieti[15]. Fondando a Roma nel 1924, e poi dirigendo, il quindicinale La conquista dello Stato, egli rappresentò questa corrente "rivoluzionaria" del regime, al pari del Selvaggio di Mino Maccari. Malaparte fu tra coloro che sostennero Mussolini quando, col discorso del 3 gennaio 1925, annunciò la sospensione delle libertà democratiche. Sempre nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti e si iscrisse al Partito Nazionale Fascista.[5]
Teorizzando poi con Leo Longanesi e Mino Maccari il movimento "Strapaese" (ma contemporaneamente, con Massimo Bontempelli, anche il suo opposto, cioè il movimento "Stracittà"), Malaparte fu uno degli "ideologi" del fascismo popolare, come Gentile lo era stato a livello filosofico, in particolare del cosiddetto "fascismo di sinistra", con velleità rivoluzionarie e a cui aderirono molti futuri nomi dell'antifascismo, come Elio Vittorini.[5][7]
Egli riassunse in sé gli elementi tradizionali e contadino-agrari - per l'appunto Strapaese, ovvero il fascismo più populista e atteggiamento antistraniero, che si oppose anche alle demolizioni e agli sventramenti degli antichi borghi e quartieri medievali nei centri urbani come deciso ad esempio dal duce a Roma, criticando con le sue vignette satiriche le direttive ufficiali del fascismo insieme alla sua svolta dittatoriale - e quelli legati alla modernità e all'industrializzazione (Stracittà, che voleva sprovincializzare la cultura italiana e sosteneva il rapporto tra fascismo e mondo moderno), opposti elementi che peraltro erano presenti nella stessa contraddittoria personalità mussoliniana.[5]
Piero Gobetti, pur da avversario, ne riconobbe il talento, e gli scrisse la prefazione al saggio che volle pubblicargli, Italia barbara ("Edizioni Gobetti", Torino 1925); Gobetti lo definì "la miglior penna del regime". L'autore firmò il saggio come Curzio Malaparte Suckert: prendendo difatti spunto da un libretto ottocentesco (I Malaparte e i Bonaparte nel primo centenario di un Malaparte-Bonaparte) e italianizzando il suo nome di battesimo tedesco, decise, nel dicembre 1925, di firmarsi solamente Curzio Malaparte, che da allora divenne il suo nome d'arte.[5]
Il distacco dal regime
Dal fascismo cominciò comunque, in modo sornione, a prendere le distanze, anche perché il regime, instaurata la dittatura dopo il 3 gennaio 1925, cominciava a deludere le speranze di rivoluzione sociale che lo avevano originariamente attratto. Dal 1928 al 1933 fu co-direttore della "Fiera Letteraria" e nel 1929 fu nominato direttore del quotidiano "La Stampa" di Torino[5][16], chiamandovi Mino Maccari quale redattore capo.[5] Nel 1931 Malaparte pubblicò a Parigi, in lingua francese, il libro Tecnica del colpo di Stato (Technique du coup d'etat, in Italia tradotto solo nel 1948), riconosciuto come un profondo attacco nei confronti di Hitler (al governo nel 1933) e Mussolini.
Tecnica del colpo di Stato venne generalmente considerato come un invito alla conquista violenta del potere attraverso il rovesciamento dello Stato, nonostante Malaparte sostenesse, al contrario, che il suo intento fosse compiere un'analisi tecnica ai fini della difesa dello Stato stesso. Essendo in epoca fascista, venne letto come un'opera sovversiva, che svelava quello che Mussolini aveva fatto dal 1922 al 1925 e che incitava implicitamente a rovesciare a sua volta lo stesso governo fascista. Mussolini in realtà apprezzò la forma del libro, ma lo proibì per non irritare la Germania.[5]
A causa del libro e del carattere individualista dei suoi scritti nonché sospettato di simpatia per la "fronda" vicina a Giuseppe Bottai e altri fascisti di sinistra (allora riuniti in Critica fascista), venne allontanato definitivamente, a fine gennaio 1931, dal quotidiano La Stampa.[17]
Al confino
Nel 1933 venne espulso dal PNF e confinato all'isola di Lipari, con l'accusa di aver svolto attività antifasciste all'estero, in particolare - questa fu la motivazione principale - per alcuni attacchi rivolti a Italo Balbo.
Dopo qualche mese a Lipari, venne trasferito in Toscana; in questo periodo, continuò a pubblicare una serie di elzeviri sul Corriere della Sera sotto lo pseudonimo di «Candido».[5]
L'amicizia con Ciano
Solo grazie all'intervento di Galeazzo Ciano, suo amico e ministro degli Esteri, Malaparte poté ritornare in libertà, lavorando come inviato del Corriere della Sera.
Nel 1936 fece costruire a Capri, su progetto dell'architetto Adalberto Libera, la suggestiva "Villa Malaparte"; questa residenza, una vera e propria maison d'artiste, arroccata su una scogliera a strapiombo sul mare[18], divenne spesso ritrovo di artisti e intellettuali, uno dei più esclusivi salotti mondani del periodo. Frattanto fondò e diresse la rivista Prospettive (I Serie: 1937-1939; II Serie: 1939-1943).[5]
Dal 1935, per via della relazione amorosa con la vedova di Edoardo Agnelli, Virginia Bourbon del Monte, si scontrò più volte col capostipite della famiglia Agnelli, il senatore Giovanni Agnelli (fondatore della FIAT), che, minacciando la nuora di toglierle per sempre la potestà sui figli, riuscì a impedire un possibile matrimonio con lo scrittore, organizzato per il 1936; Agnelli nutriva avversione nei suoi confronti soprattutto a causa della rottura di Malaparte con alcuni gerarchi del regime, che invece il senatore sosteneva tuttora senza riserve per timore di ricadute sull'azienda di famiglia.[5][19]
In disaccordo con le leggi razziali fasciste del 1938, dopo la fondazione di Prospettive, assume nella redazione anche Alberto Moravia, di origini ebraiche (1939).[20]
La seconda guerra mondiale
Dal 1940 all'8 settembre
Con l'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, Malaparte fu mobilitato col grado di capitano e assegnato al 5º Reggimento alpini. Inviato sul fronte greco nel settembre 1940, nel 1941 iniziò a lavorare come corrispondente per il Corriere della Sera. Alla fine di marzo 1941 si recò in Jugoslavia, dove fu l'unico corrispondente di guerra straniero al seguito delle truppe tedesche. Dopo la vittoria dell'Asse, si trasferì in Croazia, dove assistette «alla creazione e all'organizzazione del nuovo Stato di Croazia». Ai primi di giugno ricevette l'ordine di raggiungere la frontiera romeno-sovietica nell'eventualità di un conflitto con l'URSS. Dall'inizio della campagna seguì l'avanzata in Bessarabia e in Ucraina con una divisione dell'11ª Armata tedesca. Alla fine dell'anno poté tornare in Italia per trascorrere le Festività in famiglia. Per aver descritto realisticamente la campagna in URSS, venne rimandato brevemente al confino a Lipari, ma poi subito rilasciato.[1] Ripartì da Roma il 7 gennaio 1942 per il fronte orientale.[5]
Malaparte, nei suoi precedenti scritti, aveva già assunto un atteggiamento critico verso il regime nazista e aveva lodato l'efficienza dell'esercito sovietico. Per questo le autorità tedesche non lo fecero più avvicinare al teatro delle operazioni. Già in febbraio Malaparte lasciò il fronte orientale. Trascorse oltre un anno in Finlandia. Il 25 luglio 1943 lo raggiunse la notizia della caduta di Mussolini. Tornato in patria, si stabilì nella sua villa a Capri.[5]
L'Italia combatteva ancora a fianco dei tedeschi e Malaparte, per aver auspicato la rivolta contro di essi, venne brevemente arrestato a Roma.[1] Non si sapeva molto della vita di Curzio Malaparte negli anni tra il 1940 e l'8 settembre 1943. Alcuni documenti inediti, provenienti dagli archivi americani, hanno fatto luce sui rapporti tra lo scrittore e le forze americane stanziate in Italia[21].
Le esperienze vissute durante il conflitto fornirono il materiale per il primo romanzo, Kaputt, scritto a Capri e pubblicato nel 1944 presso l'editore-libraio Casella di Napoli, probabilmente la sua opera più nota all'estero. Questo romanzo, pur accusato spesso di autocompiacimento, rappresenta un vivido e surreale resoconto degli ambienti militari e diplomatici italiani e nazisti, nonché un forte atto di accusa verso le atrocità della guerra, tra cui le deportazioni e le stragi degli ebrei rumeni.[5]
Malaparte racconta, in uno stile bilingue italo-tedesco, fatti realmente vissuti dallo scrittore (come la cena con Hans Frank), ma romanzati: il protagonista vaga per varie zone di operazione, formalmente in qualità di capitano dell'esercito italiano, ma concretamente svolge un ruolo di corrispondente di guerra, che lo avvicina alla figura di Ernest Hemingway. Malaparte si sofferma molto anche sulla vita alla "corte" romana dell'allora ministro degli esteri Galeazzo Ciano.[22]
Stando a Dominique Fernandez, tuttavia, secondo un topos della narrativa di realtà mescolata ad abbondante finzione, tipica dello stile malapartiano:
Con gli Alleati
Dopo l'8 settembre 1943, si schierò, accusato di opportunismo, con il governo Badoglio. Nel novembre 1943 Malaparte fu nuovamente arrestato, dal Counter Intelligence Corps (CIC), il controspionaggio alleato, per le sue attività diplomatiche precedenti. Venne rilasciato pochi giorni dopo, perché ritenuto il tramite tra Galeazzo Ciano e il governo greco nelle trattative intercorse prima che l'Italia attaccasse il Paese nel 1940 e considerato perciò a conoscenza di notizie utili. Da allora decise di collaborare col CIC, riferendo settimanalmente al suo responsabile, il colonnello Henry Cumming. La collaborazione durò fino alla liberazione.[5]
Nel 1944 Malaparte rientrò anche nell'esercito italiano, come ufficiale di collegamento con il comando alleato del Corpo Italiano di Liberazione, e con il grado di capitano. L'arrivo delle forze di liberazione americane a Napoli e il profondo stato di prostrazione della città partenopea costituiscono il nucleo narrativo del secondo romanzo, La pelle, pubblicato nel 1949 presso le edizioni «Aria d'Italia». Il titolo originale doveva essere La peste, ma venne cambiato per l'omonimia con il romanzo di Albert Camus, uscito nel 1947. L'opera, animata da grande realismo e crude descrizioni della vita quotidiana, talvolta sconfinanti nel grottesco, nel macabro e nel surreale, venne messa all'Indice dalla Chiesa cattolica, forse per una scena (non si sa se realmente accaduta) che raffigura un gruppo di ebrei crocifissi agli alberi dai nazisti in Ucraina - duro atto d'accusa al cristianesimo d'Europa - e ritenuta dalla Chiesa come blasfema e offensiva per la religione.[5][6]
Prima dell'incipit de La pelle, Malaparte appose la seguente dedica:
Come epigrafe al libro, utilizzò altre due frasi: una di Eschilo («Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno», riferimento critico al comportamento degli Alleati nei confronti della popolazione italiana e dei prigionieri tedeschi); l'altra in francese di Paul Valéry («Quello che mi interessa non è sempre quello che m'importa»).[24]
Da inviato del giornale l'Unità, rievocò poi le vicende dei franchi tiratori fiorentini, che sparavano dalla sponda nord dell'Arno sugli americani per impedire loro di varcare il ponte Vecchio; si trattava di un gruppo di giovani militi della RSI, poi fucilati dai partigiani.[5]
Assieme a Cumming, assiste all'esposizione del corpo di Mussolini a piazzale Loreto a Milano, e al successivo scempio fattone dalla folla. Lo racconterà romanzescamente e crudamente nel postumo Muss. Ritratto di un dittatore, dicendo anche di aver visto il corpo del duce in obitorio.
Era una folla non di vittime innocenti, ma di complici. Non m'importava nulla che quella sudicia folla avesse le case in rovina, le famiglia disperse, e fosse affamata, poiché una simile folla se l'era meritato. Tutti erano stati suoi complici. Fino all'ultimo. Anche quelli che lo avevano combattuto erano stati suoi complici fino al momento della disgrazia. Non m'importava nulla che fosse stata la fame, la paura, l'angoscia, a mutar quella folla d'uomini in iene vili e feroci. Qualunque fosse la ragione che aveva mutato quella folla in una sudicia turba che l'aveva spinta a sporcare di sputi e di feci il suo cadavere, non m'importava nulla. Ero in piedi sulla jeep, stretto tra quella folla bestiale. Cumming mi stringeva il braccio, era pallido come un morto, e mi stringeva il braccio. Io mi misi a vomitare. Era l' unica cosa che potessi fare. Mi misi a vomitare nella jeep, e Cumming mi stringeva il braccio, era pallido come un morto e mi stringeva il braccio. «Povero Muss» dissi a voce bassa, appoggiandomi con le due mani alla fredda tavola di marmo.»
Il dopoguerra
Trasferitosi a Parigi nel 1947, scrisse i drammi Du côté de chez Proust e Das Kapital. Già nel 1944 a Napoli, ma soprattutto nel dopoguerra, il suo sostanziale anarchismo (e camaleontismo) spinse Malaparte ad avvicinarsi al Partito Comunista Italiano - che gli negò per molti anni l'iscrizione; la tessera del PCI gli fu difatti consegnata da Togliatti in punto di morte.[25] In realtà, venne ritrovata dopo la dipartita dell'autore tra le sue carte, e fu spacciata come richiesta di iscrizione da parte di Malaparte al P.C.I., mentre fu offerta da Togliatti e probabilmente spedita per posta - anziché consegnata dal segretario in persona - alla clinica dove lo scrittore era ricoverato morente, a causa della malattia che lo colpirà.[7]
Contemporaneamente gli venne recapitata anche la tessera del Partito Repubblicano Italiano, ritrovata anch'essa nelle sue carte, quasi come un ritorno alle origini.[5][7]
Nel 1950 scrisse e diresse anche il film neorealista Il Cristo proibito che vinse l'anno successivo il premio Città di Berlino al Festival di Berlino. Negli anni seguenti collaborò al settimanale «Tempo» con una rubrica assai viva ("Il Serraglio", poi passata a Giovanni Ansaldo e quindi a Pier Paolo Pasolini), in uno stile toscanissimo.[5] È stato inoltre ininterrottamente collaboratore del quotidiano Il Tempo dal 1946 al 1956, con corrispondenze sia dall'Italia sia dall'estero.[26]
Nel 1957 intraprese un viaggio in URSS e nella Cina comunista, invitato.[27] Non seguì gli itinerari di esplorazione del Tibet (annesso nel 1950 anche se Storia_del_Tibet#Nella_Repubblica_Popolare_Cinese avvenne nel 1959) e della Cina segnati da Giuseppe Tucci su incarico di Mussolini e Gentile, ma si limitò a viaggiare per le città e le campagne, e osservare entusiasticamente i fermenti rivoluzionari: qui intervistò Mao Tse-tung, chiedendo la libertà per un gruppo di sacerdoti e di cristiani arrestati, e la ottenne. Descrisse Mao come "generoso" e giustificò, pur addolorato, l'invasione sovietica dell'Ungheria del 1956[27]:
Tuttavia, si riferisce a presunte influenze cinesi su Budapest, dato che non dimostrò mai apprezzamento per Stalin, ma solo per i cinesi, in quanto popolo cinese da lui considerato "fratello", prima che per il maoismo, di cui non vide gli errori ma solo l'opera di ricostruzione.[28]
I suoi articoli inviati dalla Cina a Maria Antonietta Macciocchi, pur elogiativi del socialismo, non vennero però pubblicati su "Vie Nuove" per l'opposizione di Calvino, Moravia, Ada Gobetti e altri intellettuali, i quali avevano scritto a Togliatti una petizione perché "il fascista Malaparte" non pubblicasse su una rivista comunista.[1]
Dovette tornare in fretta e in anticipo in Italia, a causa della malattia polmonare che lo tormentava, una pleurite ormai cronicizzata al polmone sinistro; inizialmente venne curato con molta sollecitudine in Cina. Il materiale raccolto durante questo viaggio venne utilizzato per la pubblicazione postuma di Io, in Russia e in Cina nel 1958.[5]
Tornato in Patria, il ricovero alla clinica Sanatrix di Roma lo portò «in un letto che non era nemmeno più in grado di pagare, cosa che avrebbe poi fatto per lui il direttore e proprietario de "Il Tempo", Renato Angiolillo, suo vecchio amico, che per Curtino aveva organizzato parte del rientro in patria dalla Cina e relativo ricovero nella clinica romana», ricorda Umberto Cecchi.[29]
In quei mesi di malattia si avvicinò al cattolicesimo, anche se ci sono dubbi su un'effettiva e reale conversione, se non in extremis. Infatti, ricoverato alla in clinica a Roma, dove gli venne diagnostico un carcinoma polmonare inoperabile (pur avendo lui diffuso la voce che soffrisse invece di tubercolosi), teneva sulla finestra immagini di tutte le religioni, da cristiane a buddhiste prese in Cina, e venne visitato da Togliatti (con cui si fece fotografare), Fanfani, sacerdoti cattolici e molti altri. Sergio Zavoli ne raccolse l'ultima intervista. Secondo Arturo Tofanelli, Malaparte affermò ironicamente che forse poteva guarire perché non credeva «che Dio fosse così stupido da far morire Malaparte».[5][30]
Curzio Malaparte morì di cancro nel luglio 1957 a Roma, a 59 anni, dopo essere stato battezzato pochi giorni prima nella fede cattolica romana (abiurando il protestantesimo di nascita), con il nome Curzio, da padre Cappello, e poi comunicato da padre Rotondi, due gesuiti: gli erano stati inviati direttamente da papa Pio XII, dopo che Malaparte e suo fratello avevano allontanato un prete poco diplomatico che gli intimava di "pentirsi ed espiare".[8][9]
La malattia di cui fu vittima è stata da alcuni considerata come una conseguenza dell'intossicazione da iprite subita nel primo conflitto mondiale, degenerata anche a causa del fumo.[5]
Come ammiratore del popolo cinese, l'"Arcitaliano" Malaparte lasciò alla Repubblica Popolare Cinese la proprietà di Villa Malaparte, ma gli eredi (fratelli in vita e nipoti) impugnarono il testamento vincendo la causa>; oggi la villa è privata ma vi è una fondazione e un premio per artisti cinesi.[5]
Curzio Malaparte è sepolto in un mausoleo costruito sulla cima del Monte Le Coste (chiamato dai Pratesi "Spazzavento"), una montagna dominante Prato, secondo le sue volontà. La frase "...e vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per sollevare il capo ogni tanto e sputare nella fredda gora del tramontano" è riportata sulla sua tomba assieme ad un'altra che recita «Io son di Prato, m'accontento d'esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo», entrambe tratte da Maledetti toscani.
I funerali e la sepoltura furono documentati dalle telecamere della Rai e diverse personalità resero omaggio a Malaparte.
Ancora dalla sua penna furono pubblicato postumi Benedetti italiani (1961), raccolto e curato da Enrico Falqui[5], Mamma marcia (1959), Muss. Ritratto di un dittatore e altri scritti.
Il personaggio pubblico e la critica
Malaparte fu un personaggio discusso dal punto di vista letterario e pubblico. I suoi cambiamenti politici, specialmente l'ultimo verso il comunismo, attirarono le critiche di larga parte della cultura italiana per la disinvoltura con cui mutava l'appartenenza ideologica e politica: molti dubitarono che fosse davvero comunista, ma attribuirono tutto al suo noto comportamento istrionico e provocatorio, ai suoi atteggiamenti da dandy teso sempre a stupire[31], nonché al suo celebre egocentrismo e narcisismo egotistico di cui spesso venne accusato e che fece dire a Leo Longanesi:
Tra le sue prese di posizione, netta fu invece quella contro la vivisezione (lo scrittore era infatti un grande amante degli animali), come si nota dalla cruda e commossa narrazione della fine del suo cane Febo, vittima della sperimentazione ne La pelle[33], e nello stesso libro afferma:
Nella raccolta di scritti Mamma Marcia, uscita postuma nel 1959, Malaparte ritrae con toni omofobici e maschilistici la gioventù del secondo dopoguerra, descrivendola come effeminata e tendente all'omosessualità e al comunismo[35], stridendo con i suoi tardivi filocomunismo e filomaoismo (o meglio simpatia per la nuova Cina nata nel 1949); giudizi del medesimo tenore sono rinvenibili anche nei capitoli Le rose di carne e I figli di Adamo de La pelle, dove parla di "pederastia marxista".[36]
Di Malaparte, Eugenio Montale ebbe a dire:
Indro Montanelli, anche lui toscano e suo rivale giornalistico, scrisse - in risposta ad una battuta fatta da Malaparte negli ultimi giorni di vita («L'unica cosa che mi dispiace è morire prima di Montanelli»[31]) - un epitaffio ironico e caustico: «Qui / Curzio Malaparte / ha finalmente / cessato / di piangersi / di compiangersi / e di rimpiangersi. / Imitatelo».[38]
Riguardo al testo Maledetti Toscani (1956), il filosofo e critico letterario francese Jean-François Revel disse di considerarlo un «libro particolarmente ridicolo»[39] mentre, al contrario, nel saggio Une rencontre (Un incontro, edito in Italia da Adelphi), Milan Kundera colloca La pelle, che definisce l'«arciromanzo», tra le opere maggiori del Novecento.[5]
Luigi Martellini, curatore di Malaparte per i Meridiani ha affermato (rispondendo alla domanda dell'intervistatore sul perché Malaparte è stato dimenticato fino a tempi recenti, pur essendo un grande scrittore al pari di altri):
Opere
Saggistica
- Viva Caporetto!, come Curzio Erich Suchert, Prato, Stabilimento Lito-Tipografico Martini, 1921; col titolo La rivolta dei santi maledetti (Aria d'Italia, 1921); col titolo Viva Caporetto. La rivolta dei santi maledetti, introduzione di Mario Isnenghi, Milano: Mondadori, 1980-1981; col titolo Viva Caporetto. La rivolta dei santi maledetti, secondo il testo della prima edizione 1921, a cura di Marino Biondi, con in appendice la prefazione alla seconda edizione romana del 1923, una storia editoriale del testo e una revisione testuale dall'edizione 1921 all'edizione 1923, Firenze, Vallecchi, 1995.
- Le nozze degli eunuchi, Roma, La Rassegna Internazionale, 1922
- L'Europa vivente, Firenze, La Voce, 1923; in L'Europa vivente e altri saggi politici, Firenze, Vallecchi, 1923
- Italia barbara, Torino, Piero Gobetti, 1925; Roma, La Voce, 1927
- Intelligenza di Lenin, Milano, Treves, 1930; Milano, Garzanti, 1942.
- Technique du coup d'état, Paris, Bernard Grasset, 1931-1948; pubblicato dapprima in francese e poi tradotto in italiano come Tecnica del colpo di Stato, Milano, Bompiani, 1948; Adellphi, 2011, ISBN 978-88-459-2632-7.
- I custodi del disordine, Torino, Fratelli Buratti Editori, 1931
- Le bonhomme Lénine, Paris, Bernard Grasset, 1932; tradotto prima come Lenin buonanima, Firenze, Vallecchi, 1962; come Il buonuomo Lenin, Milano, Adelphi, 2018.
- Mussolini segreto (Mussolini in pantofole), Roma: Istituto Editoriale di Cultura, 1944; pubblicato con lo pseudonimo di "Candido"
- Il sole è cieco, Firenze, Vallecchi, 1947
- Deux chapeaux de paille d'Italie, Paris, Denoel, 1948; pubblicato in francese
- Les deux visages d'Italie: Coppi et Bartali, 1949; pubblicato in francese e poi tradotto in italiano come Coppi e Bartali, Milano, Adelphi, 2009
- Due anni di battibecco, 1955
- Maledetti toscani, Aria d'Italia, 1956; Firenze, Vallecchi, 1956-1968; a cura di Luigi Martellini, Oscar Mondadori, 1982; Leonardo, 1994; Adelphi, 2017
- Io, in Russia e in Cina, 1958; Firenze: Vallecchi
- Mamma marcia, 1959; Firenze, Vallecchi; con Lettera alla gioventù d'Europa e Sesso e libertà, postfazione di Luigi Martellini, Milano: Leonardo, 1990, 1992
- L'inglese in paradiso, Firenze: Vallecchi, 1960. [Contiene le operette incompiute Gesù non conosce l'arcivescovo di Canterbury e L'inglese in paradiso, assieme a una raccolta di elzeviri pubblicati tra il 1932 e il 1935 sul Corriere della Sera, alcuni dei quali sotto lo pseudonimo di Candido]
- Benedetti italiani, 1961; Firenze, Vallecchi
- Viaggi fra i terremoti, Firenze, Vallecchi, 1963
- Journal d'un étranger à Paris, in francese, 1966; tradotto in italiano come Diario di uno straniero a Parigi, Firenze, Vallecchi
- Battibecco. 1953-1957, Milano, Aldo Palazzi, 1967
- Il battibecco: inni, satire, epigrammi; premessa di Piero Buscaroli, Torino, Fògola, 1982
- Muss. Ritratto di un dittatore, Prefazione di Francesco Perfetti, nota di Giuseppe Pardini, Bagno a Ripoli (Firenze), Passigli, 2017 [col titolo Muss. Il grande imbecille, Luni, 1999], ISBN 978-88-36-81586-9.
- Viaggio in Etiopia e altri scritti africani, a cura di Enzo R. Laforgia, Bagno a Ripoli, Passigli, 2019 [Vallecchi, 2006], ISBN 978-88-368-1663-7.
Narrativa
- Avventure di un capitano di sventura, Roma: La Voce, 1927, a cura di Leo Longanesi
- Don Camaleo, Genova: rivista La Chiosa diretta da Elsa Goss 1928(poi in Don Camaleo e altri scritti satirici, Firenze: Vallecchi, 1946)
- Sodoma e Gomorra, Milano: Treves, 1931
- Fughe in prigione, Firenze: Vallecchi, 1936
- Sangue, Firenze: Vallecchi, 1937
- Donna come me, Milano: Mondadori, 1940; Firenze: Vallecchi, 2002.
- Il sole è cieco, Milano: Il Tempo, 1941; Firenze: Vallecchi, 1947
- Il Volga nasce in Europa, Milano: Bompiani, 1943; in Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, Firenze: Vallecchi
- Kaputt, Napoli: Casella, 1944; Milano: Daria Guarnati, 1948; Vallecchi, Firenze 1960, 1966; Adelphi, 2009
- La pelle, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949, 1951; Firenze: Vallecchi, 1959; Milano: Garzanti, 1967; Milano: Adelphi, 2010
- Storia di domani, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949
- Racconti italiani, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1957. Passigli, Bagno a Ripoli (Firenze), (in pubblicazione)
- Il Ballo al Kremlino, Firenze: Vallecchi, 1971; Milano: Adelphi, 2012. Romanzo incompiuto. Inizialmente, il materiale che lo compone avrebbe dovuto far parte dell'opera La Pelle, ma infine divenne un romanzo a sé, volto a chiudere la trilogia preceduta da Kaputt (1944) e La Pelle (1949). È un ritratto della "nobiltà marxista" alla fine degli anni Venti.
Teatro
- Du côté de chez Proust. Impromptu en un acte, in francese, Parigi: Théâtre de la Michodière, 1948
- Das Kapital. Pièce en trois actes, in francese, Parigi: Théâtre de Paris, 1949
- Anche le donne hanno perso la guerra, 1954 con la Compagnia Italiana di Prosa, Guido Salvini (regista), Lilla Brignone, Salvo Randone e Gianni Santuccio al Teatro La Fenice per la Biennale di Venezia
- Sexophone, 1955
Poesia
- L'Arcitaliano, Firenze e Roma: La Voce, 1928 a cura di Leo Longanesi (poi in L'Arcitaliano e tutte le altre poesie), Firenze: Vallecchi, 1963
- Il battibecco, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949
Cinema
- Il Cristo proibito, Italia, 1951
- Călătoria lui Gruber, Romania 2009
Malaparte nella cultura di massa
Film
- La pelle (1981) di Liliana Cavani, dal romanzo omonimo semi-autobiografico di Malaparte
Narrativa
- Rita Monaldi, Francesco Sorti, Malaparte: morte come me, Baldini & Castoldi, 2016, romanzo
Onorificenze
— Bois de Courton 16 luglio 1918
— Chembevà (Goggiam) 12 febbraio 1939 XVII
Medaglia di benemerenza per i volontari della guerra italo-austriaca 1915-1918
Medaglia campagna 1915-18 4 anni
Note
- ^ a b c d Malaparte, l'Europa scopre l'Arcitaliano
- ^ Le guerre di Malaparte, su flaneri.com, 7 giugno 2010. URL consultato il 18 febbraio 2015.
- ^ Curzio Malaparte a cinquant'anni dalla sua morte
- ^ Maria Antonietta Macciocchi, Malaparte è l'anti-Celine, Corriere della Sera, 21 marzo 1998, p. 31
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad Biografia di Curzio Malaparte (a cura di Luigi Martellini)
- ^ a b Raffaele La Capria, Malaparte gran bugiardo. Il suo trucco c'è e si vede
- ^ a b c d e f g Non è con l'omertà intellettuale che riscopriremo Curzio Malaparte intervista a Luigi Martellini (curatore del Meridiano Opere scelte) di Luca Meneghel.
- ^ a b Maurizio Serra, Malaparte: vite e leggende, Marsilio, 2012, estratto
- ^ a b Senza disperazione e nella pace di Dio, Il Tempo, 20 luglio 1957.
- ^ Malaparte, Curzio, in Enciclopedia on line Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- ^ Io Curzio, tu Gabriele
- ^ Aldo Alessandro Mola,Storia della Massoneria in Italia dal 1717 al 2018, Bompiani/Giunti, Firenze-Milano, 2018, p.556.
- ^ Umberto Rossi, Il secolo di fuoco: Introduzione alla letteratura di guerra del Novecento, Bulzoni, Roma, 2008, pp. 150-72.
- ^ Brani tratti rispettivamente da Muss. Ritratto di un dittatore, Kaputt e Diario di uno straniero a Parigi
- ^ Per la dettagliata ricostruzione del depistaggio in cui si inscriveva la deposizione di Suckert, v. Canali, Il delitto Matteotti, Università di Camerino, 1996, pp. 445-455.
- ^ Malaparte. Opere scelte, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1997, ISBN 88-04-43436-8. p. XC (Cronologia)
- ^ Malaparte. Opere scelte, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1997, ISBN 88-04-43436-8. p. XCI (Cronologia)
- ^ Casa Malaparte a Capri: architettura e natura, su econote.it, 30 novembre 2011. URL consultato il 28 luglio 2016.
- ^ Marina Ripa di Meana e Gabriella Mecucci, Virginia Agnelli. Madre e farfalla, Argelato (BO), Minerva Edizioni, 2010, ISBN 978-88-7381-307-1, pag. 143
- ^ Curzio Malaparte ritrovato
- ^ Mauro Canali, «L'agente Malaparte», Liberal, 25 aprile 2009.
- ^ a b Fabio Pierangeli: Malaparte cronista di guerra e la Francia
- ^ Consigli per il Cav: rileggere Malaparte
- ^ La frase di Eschilo è tratta da Agamennone; l'altra frase è di Paul Valéry e in originale è "Ce qui m'intéresse n'est pas toujours ce qui m'importe".
- ^ Il narciso Curzio Malaparte, camaleonte dalle mille vite
- ^ Fausto Gianfranceschi, Il senso delle radici, nel cuore di un vigile scrittore europeo, in Il Tempo, 20 luglio 1977, p. 3.
- ^ a b When Malaparte Met Mao
- ^ Italiani - Curzio Malaparte - documentario di Rai Storia
- ^ Umberto Cecchi, Per il volontario sedicenne Kurt Sukert la Grande Guerra iniziò un anno prima, Nuova antologia : 614, 2274, 2, 2015, p. 278.
- ^ Massimo Fini, L'intervista proibita a Hitler
- ^ a b L'ultimo ritratto di Malaparte firmato Orfeo Tamburi
- ^ Citato in: Mario Canton, Umorismo nero. Una antologia, estratto
- ^ Articolo su La pelle, Novecento letterario[collegamento interrotto]
- ^ C. Malaparte, La pelle, capitolo "Il vento nero"
- ^ Silvia Contarini, L'italiano vero e l'omosessuale, in Nazione Indiana.com, 10 agosto 2013.
- ^ Giovanni Dall'Orto, Pelle, La [1949]. Omosessuali = comunisti pedofili femmenelle, su culturagay.it, 11 febbraio 2005.
- ^ Biografia sul sito del Convitto Cicognini Archiviato il 15 luglio 2014 in Internet Archive.
- ^ Gli epitaffi perfidi di Montanelli sui nomi eccellenti
- ^ Jean-François Revel, Per un'altra Italia, C. M. Lerici editore, Milano, 1958 ("Saggi", 3), p. 150.
Bibliografia
- Franco Vegliani, Malaparte, Milano-Venezia: Guarnati, 1957.
- A.J. DeGrand, Curzio Malaparte: The Illusion of the Fascist Revolution, «Journal of Contemporary History», Vol. 7, No. 1/2 (Jan. - Apr., 1972), pp. 73–89
- Luigi Martellini, Invito alla lettura di Malaparte, Milano: Mursia, 1977.
- Giordano Bruno Guerri, L'Arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte, Milano: Bompiani, 1980.
- Giordano Bruno Guerri, Il Malaparte illustrato, Milano: Mondadori, 1998.
- Malaparte scrittore d'Europa. Atti del convegno (Prato 1987) e altri contributi, coordinazione di Gianni Grana, relazione e cura biografica di Vittoria Baroncelli, Milano-Prato: Marzorati-Comune di Prato, 1991.
- Giuseppe Pardini, Curzio Malaparte. Biografia politica, Milano, Luni Editrice, 1998.
- Lucrezia Ercoli, Philosophe malgré soi. Curzio Malaparte e il suo doppio, Roma: Edilet, 2011.
- Maurizio Serra, Malaparte. Vite e leggende, Venezia: Marsilio, 2012.
Voci correlate
Altri progetti
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