Duomo di Como

Cattedrale della diocesi cattolica di Como

La cattedrale di Santa Maria Assunta è il principale edificio di culto della città di Como, chiesa madre della diocesi omonima.

Duomo di Como
La facciata
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Lombardia
LocalitàFile:Como-Stemma.png Como
IndirizzoPiazza del Duomo, 22100 Como CO
Coordinate45°48′42.46″N 9°05′02.14″E
ReligioneCristiana cattolica di rito romano
TitolareMaria
Diocesi Como
Stile architettonicotardogotico, rinascimentale, rococò
Inizio costruzione1396
Completamento1770
Sito webwww.cattedraledicomo.it/

Situata vicino al lago, rappresenta uno dei più ragguardevoli monumenti dell'Italia settentrionale. All'interno sono custoditi arazzi del XVI secolo e XVII secolo, eseguiti a Ferrara, Firenze, Anversa e dipinti cinquecenteschi di Bernardino Luini e di Gaudenzio Ferrari.

Storia

Escludendo episodi leggendari o che comunque non lasciarono alcun effetto concreto, la presenza del cristianesimo nella città di Como è databile dal IV secolo. Un dato certo è che i membri della primitiva chiesa cristiana costruirono i loro primi edifici di culto al di fuori della città vera e propria, quella Novum Comum che secoli prima Giulio Cesare aveva popolato con cinquemila coloni e che era delimitata e difesa dalla sua cerchia muraria. Sicuramente i primi templi, probabilmente anche gli insediamenti abitativi dei cristiani comaschi, sorsero in quella fascia che circondava le mura cittadine, per un raggio di circa "mille passi" (mille passus), che faceva giuridicamente da cuscinetto tra la città e il resto del territorio e che era attraversata dalla via Regina che metteva in comunicazione la convalle di Como con Milano a sud e con la Germania Magna a nord.

Il primo vescovo di questa chiesa, Felice, giunto verso la fine del IV secolo, scelse come prima base del proprio apostolato non la città, ma il pago suburbano di Zezio, una zona, peraltro, già da secoli costellati di luoghi di culto non cristiani. Alle falde del Baradello Felice fece costruire primo luogo di culto cristiano, là dove, almeno secondo la tradizione, sorgeva un tempio a Mercurio e dove egli stesso venne poi sepolto: la prima cattedrale di Como, dunque, fu quella basilica che in seguito venne intitolata a san Carpoforo.

Il vescovo Amanzio, secondo successore di Felice a partire dall'anno 420 circa, fece edificare una nuova chiesa, intitolata agli apostoli Pietro e Paolo, sulla cui area i Benedettini costruirono nell'XI secolo l'attuale basilica di Sant'Abbondio. Qui egli trasferì la sua sede e qui venne sepolto, come pure Abbondio e diversi loro successori. Il trasferimento della cattedrale dalla chiesa situata alle pendici del Baradello alla nuova chiesa dei Santi Pietro e Paolo, pur sempre però entro l'ambito del pago suburbano, va probabilmente attribuito al fatto che quella primitiva sede risultava troppo scomodo alle nuone esigenze del ministero, esigenze che nel giro di oltre sessant'anni erano con ogni probabilità cresciute, nonostante le gravi difficoltà che la nuova religione ebbe a incontrare soprattutto da parte degli ottimati e delle classi superiori della città, la cui conversione è attribuita soprattutto all'opera di Abbondio.

Probabilmente con Abbondio il culto cristiano entrò ufficialmente in città, nel foro della quale venne eretto il primo battistero intramurario, il battistero di San Giovanni in Atrio, considerato sempre il battistero ufficiale del vescovo anche se la cattedrale sarebbe rimasta per diversi secoli la chiesa suburbana dei Santi Pietro e Paolo e la sede del vescovo sarebbe stata mantenuta, sino al secolo XI, nel pago suburbano di Zezio. È ovvio però che accanto al battistero siano sorte in seguito altre chiese, quali la chiesa di Sant'Eufemia, che la tradizione dice costruita nell'area dell'antico tempio di Giove e nella quale venne trasferita la sede della cattedrale durante l'Alto Medioevo. La chiesetta di San Michele, oggi cappella del palazzo vescovile, era probabilmente un battistero ariano, particolarmente attivo dopo l'occupazione della città da parte dei Longobardi (589), che proprio nella zona dell'attuale palazzo vescovile avevano realizzato uno dei primi insediamenti per loro e per i loro cavalli.[1]

Nel 1015 la sede della cattedrale venne nuovamente spostata, da Sant'Eufemia alla chiesa romanica di Santa Maria Maggiore, più vicina al lago e al porto.

Un'iscrizione collocata all'esterno dell'abside maggiore del duomo ricorda che la chiesa di Santa Maria Maggiore venne ricostruita dalle fondamenta a partire dall'anno 1396: è da notare la significativa coincidenza di questa data con i lavori di rinnovamento dei due principali cantieri viscontei dell'epoca: il duomo di Milano e la Certosa di Pavia (non a caso, il duomo di Como è, per dimensioni, il terzo edificio religioso della Lombardia proprio dopo il duomo di Milano e la Certosa pavese). La storia dell'attuale duomo, dunque, è iniziata nel 1396, quando venne decisa la sua edificazione perché la chiesa di Santa Maria Maggiore era diventata troppo piccola e anche poco presentabile a causa delle frequenti esondazioni del lago (sulla sponda opposta del lago di Como, a Lecco, il ponte Azzone Visconti era stato oggetto - pochi anni prima - di lavori strutturali proprio per migliorare il deflusso del fiume Adda e agevolare la città di Como che si lamentava per il fenomeno dell'acqua alta).

Il rinnovamento della cattedrale comasca lungo tutto il XV secolo esprimeva quella tensione di rinnovamento materiale e spirituale che era scaturita anche dal nuovo slancio economico e politico della città, seguito alla morte dell'ultimo Visconti, Filippo Maria, e alla proclamazione della Repubblica Ambrosiana (1447), periodo caratterizzato da un profondo impulso alla riforma ecclesiale e anche da ansie apocalittiche.

I lavori del duomo si protrassero per diversi secoli: durante questo periodo l'edificio cambiò stile, passando dal gotico che caratterizza la facciata con guglie e pinnacoli allo stile rinascimentale dei fianchi esterni e della parte absidale, su progetto di Cristoforo Solari del 1519. L'anno 1734 vide il completamento della cupola, su progetto del siciliano Filippo Juvarra.

Lungo tutto il XX secolo furono condotte diverse campagne di restauro:

  • nel 1913-1918[2] venne smontata, pezzo per pezzo, tutta la parte superiore della facciata che, a causa di un forte strapiombo (incombeva per diversi metri sula piazza), minacciava il crollo.
  • Nel 1935 si intervenne sulla cupola, notevolmente danneggiata da un incendio: venne rimosso il "guscio" con il quale l'architetto Giulio Galliori aveva inglobato la cupola originale dello Juvarra per impedire le infiltrazioni d'acqua (1769-1773). Il restauro della cupola fu completato, quanto alla decorazione interna, nel 1949-1950.
  • A partire dagli anni Sessanta nuovi dissesti statici e il celere degrado provocato dall'inquinamento atmosferico resero necessari ulteriori interventi di restauro.
  • Infine, un altro incidente, un fulmine che colpì il gugliotto centrale della facciata nel 1990, scagliandone i frammenti fin sulla piazza antistante, diede il via ad un'ampia campagna di restauri, durata almeno fino al 1993, che ha interessato la facciata, le absidi, la cupola e l'apparato decorativo interno.

Architettura

 
Foto aerea con l'abside e la cupola di Filippo Juvara
 
Vista da Piazza del Duomo
 
L'interno della cupola del duomo

Lungo 87 metri, largo 36-56 metri, alto 75 metri al culmine della cupola, progettata da Filippo Juvarra, presenta un impianto a croce latina con tre navate e transetto sormontato da un'imponente cupola.

Esterno

Facciata

La facciata del duomo di Como, realizzata tra il 1447 e il 1498, ci appare allineata al Broletto ed alla torre civica, il duomo non nasce su un terreno libero da vincoli e preesistenze, ma sull'area che ospitava l'antica chiesa di Santa Maria Maggiore. La facciata è organizzata con una composizione che "rispecchia" l'organizzazione dello spazio interno a tre navate, e presenta molte analogie con la facciata del duomo di Milano. La facciata, gotica, è suddivisa verticalmente da 4 lesene, decorate da serie di sculture, che suddividono una zona centrale e due laterali; la prima presenta il portale d'ingresso, un rosone ed ai suoi lati due finestre dalla forma allungata, le parti laterali presentano ciascuna una porta d'ingresso ed una bifora posta al di sopra. La maggior parte delle sculture presenti sulla facciata sono realizzate in stile gotico, alcune di queste sculture presentano però caratteri propriamente rinascimentali.

Al di sopra del portale sono presenti due tondi all'interno dei quali due sculture rappresentano (Adamo ed Eva), sopra ci sono cinque sculture di santi, al di sopra di queste sculture è presente un altro tondo in cui la scultura di un giovinetto (lo Spirito Santo; sul rosone è posta una piccola edicola in cui una statua rappresenta Dio, le due ai lati rappresentano l'arcangelo Gabriele e la Vergine, mentre quella superiore, rappresenta la Resurrezione. Da questa descrizione si nota come la parte centrale della facciata sia strutturata in modo molto preciso: alla base Adamo ed Eva rappresentano l'umanità, mentre salendo s'incontrano i santi e ancora più sopra, nel punto più alto Dio. Al di sopra del portale e delle porte d'ingresso laterali sono presenti delle lunette in cui sono rappresentate scene della vita di Maria: al centro, (sopra il portale), è rappresentata l'Adorazione dei magi, mentre le altre scene rappresentano la Visita di Maria ad Elisabetta. Dalla composizione geometrica della facciata è possibile comprendere perché le due finestre ai lati del portale siano più alte di quelle laterali: se a partire dal rosone si immagina di tracciare un cerchio ad esso concentrico, che passi per il tondo in cui è rappresentato lo Spirito Santo, si ottiene il vertice delle finestre centrali, mentre con un altro cerchio, concentrico ai precedenti, che passi per la sommità dell'edicola più alta si trova il vertice delle finestre laterali, infine con un altro cerchio, sempre concentrico ai precedenti, che passi per la sommità del gugliotto, è possibile individuare la posizione delle due porte d'ingresso laterali.

In ultimo, anche la posizione del rosone non risulta casuale all'interno della facciata, è infatti possibile notare come, descrivendo il più grande triangolo contenuto all'interno della facciata, il rosone si trovi nel suo centro. Le due statue sul portone sono Plinio il vecchio e Plinio il giovane.

Campanile e campane

Il duomo di Como non possiede un proprio campanile.

Le quattro campane della cattedrale sono installate sulla torre civica, separata dalla facciata del duomo dall'edificio civile del broletto.

Le campane del duomo formano un concerto in Re♭³, intonato secondo l'accordo della Salve Regina:

  1. Campanone del duomo (Re♭³), fuso da Giulio Cesare Bizzozero nel 1884, pesa kg 1195;
  2. Campana terza (Fa³), fusa da un fonditore alverniate anonimo nel 1458, pesa kg 1024;
  3. Campana del Capitolo (La♭³), fusa da Francesco II Comolli nel 1738, pesa kg 377;
  4. Campana piccola (Si♭³), fusa nella fonderia Peter & Johannes Grassmayr nel 2015, pesa kg 380.

A queste campane si aggiunge la

  • Campana civica (Re³), forgiata a Como da Guillaume de Clermont, maestro fonditore proveniente dall'Alvernia, nel 1448, che pesa ben kg 1914.

La campana civica batte le ore piene e suona a distesa al mezzogiorno feriale. Dopo il "Campanù di Bergamo" è la più grande campana storica della Lombardia tuttora in funzione.

Le campane sono montate "a slancio", un fatto abbastanza insolito in Diocesi di Como (tranne che in alta Valtellina), visto che la tipologia di suono più comune in diocesi è quella del concerto solenne ambrosiano con le campane "a ruota". Probabilmente le campane del duomo sono state mantenute "a slancio", dopo la diffusione (dal XVIII secolo) in tutta la Lombardia e il Piemonte del concerto ambrosiano, anche al di fuori dalla diocesi di Milano, per sottolineare il fatto che la diocesi di Como non abbia mai adottato il rito ambrosiano, avendo celebrato la liturgia prima in rito patriarchino e poi, dopo la soppressione di questo, in rito romano (anche il duomo di Monza, di rito romano, ha campane a slancio).

Il suono del plenum completo di tutte e cinque le campane non fa parte della programmazione ordinaria ed è riservato a casi del tutto eccezionali. Il Requiem pontificale ("gran duetto funebre"), eseguito per le esequie dei vescovi, prevede il suono prolungato delle due campane maggiori (il Campanone del duomo e la Campana civica).

Interno

 
Interno
 
L'interno della cattedrale in una fotografia del maggio 1931

L'interno della cattedrale di Santa Maria Assunta è a croce latina, con tre navate scandite da due file di pilastri che marcano interassi di lunghezza diversa. Le pareti sono decorate da dipinti fra i quali spiccano I santi Sebastiano e Cristoforo (secondo altare della navata destra), l' Adorazione dei pastori di Bernardino Luini, sormontata da Due profeti, e lo Sposalizio della Vergine di Gaudenzio Ferrari (terzo altare della navata destra). Dei due pittori ritroviamo nel transetto, accanto all'altare dedicato a Sant'Abbondio (dall'esuberante apparato decorativo del 1514 di Giovanni Angelo Del Maino che ritroviamo nel 1515 attivo per l'altare del Crocefisso), patrono della città, rispettivamente i dipinti l'Epifania e la Fuga in Egitto. Ancora del Luini, sulla parte destra del transetto, la Pala Raimondi (o Sacra Conversazione o pala di San Gerolamo) commissionatagli dal cardinale Scaramuccia Trivulzio, allora vescovo di Como[3].

L'abside è interamente occupato dal presbiterio, sopraelevato di alcuni gradini rispetto al resto della chiesa e, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, riorganizzato con nuovi arredi marmorei (ambone, altare, cattedra) che riutilizzano rilievi provenienti dall'antica cattedrale di Santa Maria Maggiore. Al centro dell'abside si trova l'altare maggiore barocco, opera del 1728 in marmo, onice e bronzo di stile barocco; intorno ad esso, si trovano i pregevoli stalli lignei scolpiti del coro. Il paliotto del nuovo altare è decorato da sculture del 1317 dei Maestri campionesi.[4]

Nel Duomo sono inoltre sepolti numerosi prelati ed un laico: Benedetto Giovio, fratello maggiore del più noto Paolo Giovio.

Presbiterio

Lo spazio centrale della liturgia è stato allestito nel 1986, secondo le norme della riforma voluta dal Concilio ecumenico Vaticano II, riorganizzando gli spazi del precedente presbiterio.

L'altare del duomo, dal quale il vescovo presiede l'Eucaristia in comunione con tutta la sua diocesi, e gli altri manufatti del presbiterio, sono decorati con sculture romaniche, antecedenti alla stessa costruzione gotica della nuova cattedrale.

Al centro dello spazio si trova dunque l'altare, proveniente dalla preesistente cattedrale di Santa Maria Maggiore. Di questo altare, opera dei Maestri campionesi, si conosceva l'esistenza grazie a scritti di storici comaschi: venne ritrovato nel 1964, letteralmente "sepolto" all'interno dell'altare maggiore settecentesco. L'altare romanico era stato donato al duomo nel 1317 - segno di prestigio più che di devozione - da un rampollo della potente famiglia Rusca, Valeriano, arcidiacono della cattedrale, fratello del signore della città Franchino.[5]. Esso fu dedicato solennemente proprio nel 1317, in occasione della traslazione, nella cattedrale, delle reliquie dei santi eunuchi Proto e Giacinto (a dire il vero, ancora oggi diverse chiese affermano di custodire le ossa di questi fratelli martiri) e delle sante Liberata e Faustina: queste reliquie sono tuttora conservate all'interno dell'altare. Al centro del fronte si trova il crocifisso, tra Maria e Giovanni; le sante Liberata e Faustina con in mano il libro della regola, in quanto fondatrici di un monastero; sui fianchi i santi Proto e Giacinto. L'altare è ora collocato in una posizione di poco arretrata rispetto al centro della cupola: la luce che vi discende dalla cupola diviene così simbolo della discesa dello Spirito santo, invocata nella liturgia.[6]

L'ambone è stato costruito a partire da un altorilievo di Madonna con Bambino del XIV secolo: la formella era inserita al centro della parte posteriore dell'altare del 1317, e successivamente era stata murata nella parete interna della facciata.

La cattedra del vescovo è ornata con una scultura del XIII secolo raffigurante sant'Abbondio: proviene dal monastero adiacente alla basilica intitolata allo stesso santo, ma aveva conosciuto diverse vicissitudini, tra cui quella di essere posta all'aperto, nei pressi del ponte di San Martino sul torrente Cosia.

A chiudere la prospettiva del presbiterio, davanti al coro, si trova l'alzato dell'antico altare maggiore, opera tardobarocca realizzata a Roma nel 1728, in marmo, onice e bronzi dorati.

Vetrate

La luce che dalle finestre gotiche e rinascimentali entra nella cattedrale è filtrata dai colori di numerose vetrate. Esse occupano completamente la controfacciata, due finestre della navata sinistra, due di quella destra e sette delle quindici aperture inferiori delle tre absidi rinascimentali. La luminosità è discontinua e frammentaria e non agevola la comprensione dei ben definiti spazi architettonici del duomo, che in alcune parti e in alcune ore del giorno appare eccessivamente oscuro. Già nella costruzione della parte gotica le finestre della navata centrale furono progettate senza una reale presa di luce dall'esterno: esse, infatti, sono coperte dalle falde dei tetti delle navate laterali; soltanto in epoca recente sono stati realizzati dei lucernari per permettere un passaggio della luce.

Solamente nella aerea cupola settecentesca la luce piove integra e pienamente coerente con le intenzioni impresse nell'architettura, inonando di diffuso chiarore lo spazio centrale antistante il presbiterio.

Anche alcune parti rinascimentali mantengono il rapporto tra luci e volumi proprio della loro epoca: così l'abside meridionale, in cui è inserito l'altare della Madonna, dove le finestre in doppio ordine evidenziano la trasparenza del primo piano, facendo dello spessore del muro un ambito in cui si articola la luminosità.

La presenza più radiosa tra le vetrate resta quella del rosone centrale:

  • rosone con vetri policromi realizzati da un "Maestro Guglielmo" nel 1488, parzialmente riparati nel 1719 da un vetraio anonimo e infine ritoccati, nel 1851, da Giuseppe Bertini.

Il rosone è raffinata opera scultorea in cui la ruota di colonnine, archi e costolonature forma sulla facciata esterna un prezioso ricamo, e riverbera all'interno la composizione di armoniosi colori primari. Pur avendo subito diversi interventi di restauro per le parti vitree, nel corso dei secoli, il rosone mantiene l'alta qualità della tradizione medievale:

«È raffigurazione di Dio, del Dio cristiano che è uno e trino. La sfera di luce (una luce solare che entra nel tempio, ma anche una irradiazione di una presenza misterica che esce da esso) rappresenta, più esplicitamente, l'unità della natura divina. Negli anni di costruzione della nostra facciata, Nicolò di Cusa [...] scriveva che "Dio è circonferenza e centro, Lui che è dappertutto e in nessun luogo".[7]»

Il gusto neogotico nelle finestre di controfacciata, ai lati del rosone, secondo la sensibilità del XIX secolo, sviluppa una consistente decorazione nei contorni bianchi e rossi delle scene figurate: il disegno definisce archi complessi e fioriti, e bordi con nicchie in cui sono inserite statue, quasi fosse una ideale ripresa delle lesene della facciata. Gli ornamenti architettonici di contorno fingono il bianco materiale della pietra ma, nel loro chiarore, permettono un discreto passaggio di luce. Nelle scene del racconto invece prevalgono toni scuri, a volte bui, che contrastano con la funzione illuminante della vetrata. Le vetrate per le finestre più vicine al rosone furono realizzate da Giuseppe Bertini nel 1849-1850 e rappresentano scene della vita di sant'Abbondio:

  • a destra del rosone, dall'alto in basso: Sant'Abbondio in cattedra, Sant'Abbondio risuscita il figlio del magistrato Regolo e Morte di sant'Abbondio;
  • a sinistra del rosone, dall'alto in basso: Sant'Abbondio al concilio di Milano, Sant'Abbondio e sant'Amanzio, Ordinazione episcopale di sant'Abbondio.

Le vetrate per le finestre di controfacciata più esterne furono realizzate dal fratello di Giuseppe Bertini, Pompeo Bertini, nel 1854-1855 e raffiguranti santi e sante della tradizione comasca:

  • all'estrema destra del rosone: in alto Le sante Liberata e Faustina, in basso I santi Giacinto e Proto;
  • all'estrema sinistra del rosone: in alto Santa Lucia e santa Apollonia, in basso San Pietro Martire e sant'Andrea Avellino.
«La scelta dei soggetti per i vetri della facciata sembra da mettere in relazione, per sintonia, con i temi prevalentemente svolti sulla facciata nelle numerose sculture di santi. Nei vetri si ribadisce infatti una sorta di gerarchia delle devozioni più antiche, con qualche aggiornamento ritenuto più opportuno. La logica di questo tipo di intervento è anticipata nella decorazione ad affresco delle volte, i cui medaglioni, dipinti da Carlo Fontana e Francesco Gabetta nel 1839, raffigurano i principali santi venerati da secoli nel duomo, con l'aggiunta di quelli non ancora rappresentati nella cattedrale con dignità adeguata all'importanza assunta nel corso della storia. [...] Le due vetrate abbondiane illustrano gli episodi salienti della vita del santo, ripetendo sostanzialmente quanto gli intagliatori del legno avevano svolto nel grandioso altare dipinto e indorato attribuito a Giovanni Angelo Del Maino (c. 1509-14), quanto scultori rodariani avevano messo in rilievo nella pietra del paliotto dello stesso altare, quando il Morazzone aveva icasticamente dipinto a olio fra i ricami dello stendardo della Compagnia del Ss. Sacramento. [...] I Bertini appartengono alla folta schiera dei pittori romantici che hanno "messo in scena" la storia, e che con particolare compiacimento hanno indugiato sul Medioevo. Un Medioevo romanzato e melodrammatico, per lo più d'invenzione.
Non sfugge a questi limiti la realizzazione delle storie di sant'Abbondio, ambientate astoricamente (a dispetto delle intenzioni) in contesti goticheggianti, da scenografia teatrale, castigata soltanto dalla ristrettezza oggettiva del campo pittorico disponibile.
[...] Stilisticamente sono molto più coerenti le soluzioni trovate per le finestre con i santi, dove l'incalzarsi reciproco dei colori, soprattutto nelle pezzature più minute dei margini, svolge in maniera più consona il compito di illuminare, moltiplicando le qualità cromatiche e allontanandosi in parte dalla logica del "quadro su vetro", che costituisce il vero ostacolo al felice inserimento di questi vetri nel contesto del duomo. [...] Quella del quadro trasparente è del resto l'impostazione dei vetri bertiniani, che risultano per ciò stesso un ibrido figurativo accogliendo e perpetuando i principi della prospettiva rinascimentale, che fanno del quadro, dipinto su tavola o su tela, una "finestra" che sfonda illusivamente la superficie dipinta nella tridimensionalità dell'immagine; se l'immagine crea fughe prospettiche oltre i limiti della finestra stessa, s'incorre nella contraddizione della funzione architettonica della finestra. Ciò che si vuole affermare è in sostanza che la vetrata non soltanto deve trasmettere luminosità, ma deve mantenere, e non negare, il carattere architettonico delle lastre vitree (da intendersi come superfici/diaframmi), garantendo la bidimensionalità dell'immagine.[8]»

Le vetrate delle navate laterali, tranne la recentissima realizzazione di Luigi Veronesi, sono opera dei fratelli Bertini tra il 1849 e il 1894 e rappresentano diversi momenti della moda e del gusto eclettico e neogotico:

  • alla prima finestra della navata destra, in alto Lo sposalizio della Vergine, in basso L'Annunciazione, vetrata realizzata da Giuseppe Bertini nel 1857-1858;
  • alla seconda finestra della navata destra, in alto La Visitazione, in basso La Presentazione di Gesù al Tempio, vetrata realizzata da Giuseppe Bertini nel 1860;
  • alla prima finestra della navata sinistra, Il beato Andrea Ferrari (vescovo di Como dal 1891 al 1894), vetrata realizzata da Luigi Veronesi nel 1995;
  • alla seconda finestra della navata sinistra, in alto La santa Famiglia, in basso Gesù fra i dottori nel Tempio, vetrata realizzata da Pompeo Bertini nel 1894.

In queste tre vetrate dei fratelli Bertini, rispetto alle loro stesse opere in controfacciata, vengono ridotte al minimo le cornici laterali, si accentua il tono scuro delle composizioni, compromettendo la luminosità degli spazi architettonici. Questo intervento neogotico ripropone un carattere storico, reinterpretando dopo quattro secoli le intenzioni che avevano mosso gli architetti quattrocenteschi. Nelle navate, queste vetrate comunicano una suggestione d'insieme: viene infatti rievocata l'atmosfera gotica nella molteplicità di colori e riflessi che si riverberano sulle nervature e costolonature di pietra. Questa suggestione prevale nella percezione d'insieme degli spazi architettonici, mentre nel dettaglio ciascuna vetrata, ad esclusione del rosone, dà un apporto di luci e colori di qualità inferiore a ciò che avrebbero potuto dare opere vetrarie coeve all'architettura del XIV secolo.

Diverso è il caso della vetrata di Luigi Veronesi, che aggiunge alle molte opere d'arte, stratificate nei secoli del duomo, un contributo arte contemporanea. Nella ricerca del maestro razionalista la forma e il colore sono ridotti all'essenziale, quasi al nucleo centrale della meditazione: dalla sfera divina emana l'energia della carità, di fronte alla quale il beato Andrea Ferrari si prostra, nel cardinalizio manto rosso della sua carità operante.

Nell'abside del presbiterio, ben visibili dall'ampia prospettiva della navata centrale, sono cinque vetrate, realizzate ancora una volta dai fratelli Pompeo e Giuseppe Bertini tra il 1861 e il 1866, raffiguranti episodi del Nuovo Testamento:

  • centrale è l'Ultima cena, opera di Giuseppe Bertini del 1864, con chiaro riferimento all'altare della celebrazione eucaristica;
  • immediatamente a sinistra, Cristo predica alle folle, di Pompeo Bertini del 1863,
  • e ulteriormente a sinistra, Il battesimo di Cristo, di Giuseppe Bertini del 1861;
  • immediatamente a destra della finestra centrale, La Natività, di Pompeo Bertini del 1863,
  • e ulteriormente a destra, La Trasfigurazione, di Pompeo Bertini del 1866.

Nell'abside settentrionale, dove si trova l'altare del Crocifisso, sono state poste alcune vetrate i cui temi sono evidentemente connessi alla devozione della passione di Gesù:

La scelta dei temi per le vetrate delle due absidi (le finestre dell'abside meridionale non hanno vetrate) non corrispondente ad un preciso programma catechistico, ma sembra interpretare genericamente il desiderio di dare colore ad un'architettura rinascimentale che era stata concepita come monocroma. L'intervento di queste vetrate appartiene ad un'epoca storica in cui prevale la confusione eclettica ed una scarsa concentrazione sui valori culturali e dottrinali della cattedrale, privilegiando un malinteso senso estetico. Anche dal punto di vista tecnico queste vetrate non sono che una pallida imitazione di ciò che quest'arte preziosa aveva prodotto nei secoli passati.

«Qui non si tratta dei mirabili, pazienti quanto raffinati mosaici di vetri colorati in pasta e modellati col bruno tratteggio della grisaille, ma, piuttosto, di pitture su vetro, ottenute stendendo su vaste lastre opalizzate o smerigliate i più variati smalti colorati richiesti dal disegno, cuocendo in appositi forni quelle lastre fino a fissarvi bene i colori, e riunendo poi questi pezzi policromi con rari piombi, non suggeriti che dall'interesse di averne il minor bisogno possibile.[9]»

Sacrestia dei Canonici

Nella costruzione del duomo, protrattasi per molti secoli, tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI venne affrontata la questione del transetto, del tiburio e del presbiterio. Diversi progetti presero in considerazione il completamento, in termini rinascimentali delle navate gotiche: una soluzione fu proposta da Tommaso Rodari nel 1487, quindi dall'Amadeo nel 1510; infine, nel [[1519, Cristoforo Solari realizzò le tre absidi con le due sacrestie che da quel momento avrebbero caratterizzato l'aspetto della cattedrale di Como. Nel progetto dell'Amadeo erano già presenti i due volumi delle sacrestie, a chiusura delle navati laterali; Cristoforo Solari accentuò la funzione plastica dei volumi delle sacrestie ponendoli in angolo tra abside ed abside.

Le due sacrestie presentano anche nello spazio interno una forte e solida struttura rinascimentale. Su questa iniziale struttura rinascimentale la sacrestia settentrionale, detta "del Capitolo" o "dei Canonici", venne completata con la decorazione e l'affresco del soffitto nel 1570 e con la costruzione, nella prima metà del XVIII secolo delle scenografiche armadiature, dei confessionali in angolo e del pavimento marmoreo a disegni in pietra bianca di Musso, marmo nero di Varenna e marmo rosso di Arzo.

Nell'anta dell'armadio di fronte all'ingresso è incorniciata una Santa Famiglia con san Giovannino e santa Elisabetta che presenta riferimenti alla scuola leonardesca.

Sui lati brevi della sacrestia, incorniciati all'interno delle ante centrali degli armadi, si trovano due dipinti di Cesare Ligari (1716-1770), mossi e accuratamente rifiniti: una Agonia nel Getsemani e un Ecce homo. Cesare, figlio di Pietro Ligari, pittore assai attivo in Valtellina e nel resto della diocesi di Como, il 1° settembre 1750 scrisse, all'abbadessa del monastero di San Lorenzo a Sondrio, di una «anconetta picciola dell'angelo custode per la cattedrale di Como»: forse il quadro dell'Agonia nel Getsemani con l'angelo che consola Cristo potrebbe essere l'interpretazione simbolica del tema dell'angelo custode.

Nella volta della sacrestia «una grandiosa cornice di stucco toccato d'oro a sguscione di certo garbo e nel quale sono illustrati vari momenti della vita della Vergine, racchiude il gran campo rettangolo centrale nel quale è portata al cielo, accompagnata da un nimbo d'angioletti e dalle dolci note di alcuni cherubini musicanti».[10]. Un cartiglio posto tra il riquadro della Presentazione della Vergine al tempio e quello dello Sposalizio della Vergine e san Giuseppe contiene la scritta: Antonio Sachiense ditto el Moreo de Pordono MDLXX. Si tratta di Antonio Licinio il giovane, detto il Sacchiense, da Pordenone, nipote del celebre Pordenone, dal quale riprendeva i ricercati colori e l'uso delle grandi figure in primo piano nella composizione. «Al manierismo pordenoniano si sovrappongono anche sensibili influenze più "attuali" di parte veneta, latamente tintorettesche, ma anche veneto-lombarde, bergamasche soprattutto».[11] Il ciclo pittorico, come è stato messo in evidenza nel restauro degli anni 1994-1995, risulta poco coerente nella composizione generale, discontinuo nei singoli episodi e figure: la qualità migliore si manifesta nella vivacità di alcuni dettagli, nell'efficacia espressiva di alcuni volti, quasi come se l'autore fosse diviso tra le regole di una scuola di maniera e la capacità di dare espressione alla memoria dell'osservazione diretta di personaggi e cose.

Sopra la sacrestia si trova un altro locale, cui si accede da una scaletta compresa nello spessore della muratura, che servì per lungo temo come archivio del Capitolo del duomo: questo ambiente venne affrescato da Cesare Carpano nel 1567 con decorazioni e grottesche.

Sacrestia dei Mansionari

La sacrestia meridionale, detta "dei Mansionari" fu edificata nella sua struttura architettonica rinascimentale progettata nel 1519 da Cristoforo Solari a completamento delle navate gotiche della cattedrale. Si trattava di far confluire gli spazi gotici verso una planimetria il più possibile centrale, e la soluzione trilobata del Rodari generava uno spazio continuo, diverso dalle precedenti esperienze del transetto con absidi. Nella percezione degli spazi esterni della cattedrale, i grandi parallelepipedi, posti nelle intersezioni d'angolo tra le due absidi laterali e quella centrale, risolvono l'architettura del duomo che, nell'alternanza tra superfici curve e angoli retti, offre nella prospettiva da est una delle immagini più efficaci e suggestive del Rinascimento comasco.

Negli interni, le porte di accesso delle due sacrestie e le soprastanti finestre marcano il fondo prospettico delle navate laterali. Esse furono costruite negli ultimi decenni del XVI secolo insieme con il presbiterio e gli arconi d'imposta della futura cupola. Nel 1570 veniva affrescata da Antonio Licinio il giovane, detto il Sacchiense da Pordenone, la sacrestia settentrionale, detta "dei Canonici"; nel 1611-1612 sono documentati i pagamenti per gli affreschi della volta della sacrestia dei Mansionari a Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. Degli stessi anni sono i pagamenti al moltrasino Giuseppe Bianchi, architetto della fabbrica del duomo già dal 1609, per gli stucchi.

Nelle volte di entrambe le sacrestie del duomo sono affrescati temi in lode della Vergine Maria. Tra il 1641 e il 1686 fu realizzato l'"altare della Madonna" nell'abside meridionale, ma già nei due decenni precedenti, con la decorazione delle due sacrestie, l'intendimento esplicito era quello della devozione mariana, chiara espressione della catechesi controriformista, che si opponeva con violenza alla cultura religiosa del Protestantesimo, e nello stesso tempo proseguiva la riflessione tematica dell'intitolazione della cattedrale alla Vergine Assunta.

La sacrestia meridionale è detta "dei Mansionari" dal titolo che era attribuito ad un gruppo di preti, di rango inferiore ai canonici, istituito nel 1618 da Marco I Gallio, signore d'Isola e abate commendatario di Sant'Abbondio. Dagli armadi ed arredi (alcuni della fine del XVI secolo), meno integrati all'architettura rispetto a quelli dell'altra sacrestia, risulta che questo ambiente era considerato gerarchicamente inferiore rispetto all'altro.

La sacrestia si presenta come un severo spazio cinquecentesco: il pavimento, in marmi bianchi e neri in continuità con quelli delle navate, presenta un disegno semplice; le armadiature di legno di noce, pur non presentando un rivestimento continuo delle pareti, sono di elegante fattura; sulle quattro alte pareti dominano le slanciate finestre, di cui due affacciate rispettivamente sul presbiterio e sulla navata laterale. Sopra il cornicione d'imposta la volta fiorisce di luci e colori negli stucchi e dipinti seicenteschi.

Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, dipinse dunque la volta della sacrestia meridionale tra il 1611 e il 1612. Probabilmente anche il disegno complessivo della decorazione è del Morazzone: perfetta, infatti, è l'integrazione tra le decorazioni plastiche e gli elementi pittorici.

Il tema centrale dell'affresco è la Vergine incoronata dalla Trinità nella gloria del Paradiso. I cieli si spalancano nella costruzione scenografica dei primi piani di nuvole scure ed angeli musicanti e delle sequenze successive di profili sempre più chiari sino all'abbagliante luce irradiata dalla colomba dello Spirito santo.

L'effetto prospettico è reso esclusivamente con l'uso sapiente dei toni, calibrati per suggerire la vicinanza e la lontananza. La costruzione irreale di nuvole è realizzata con l'accostamento dei colori: quelli più scuri rendono i piani più vicini, quelli più chiari sprofondano nella lontananza. Nubi e figure sono orlate di guizzi luminosi che, enfatizzando il controluce, marcano le lontananze. Unico dipinto illusionistico di tutta la cattedrale, esso corrisponde ad uno dei momenti più ispirati dell'attività del Morazzone.[12] Il trionfo della Vergine è narrato da un concerto di strumenti propri delle composizioni sinfoniche che si affermavano nel rinnovamento musicale di quegli stessi anni: oltre all'organo, gli angeli suonano chitarroni, viole, violini e arpe, trombe e flauti, tamburi e tamburelli.

L'esuberanza decorativa e la prorompente vitalità di questa composizione pittorica ricordano alcuni modi felici di Gaudenzio Ferrari, ma la poetica del Morazzone elabora questi temi nel prevalente colore perlaceo, negli azzurri di lapislazzuli, nei rosa ciclamino, nei gialli topazio che fanno da contrappunto in effetti luministici: una visione pur sempre lombarda e concretamente legata all'esperienza, in cui splendore e ombre si incontrano.

Alle pareti della sacrestia è appesa la collezione Gallio: una consistente raccolta di quadri del XVII secolo, per lo più nelle cornici originali, conferisce nobiltà e severità agli spazi. I dipinti posti sulle pareti della sacrestia formano un insieme esemplificativo di una raccolta seicentesca di pitture: i soggetti, gli artisti e le scuole sono di varie provenienze, ma nell'insieme queste tele documentano il gusto culturale e la presenza di artisti nel Seicento comasco. Pervenuti alla cattedrale per un lascito testamentario di Giacomo II Gallio, marchese d'Isola, del 1686, essi sono parte della ben più ampia raccolta della nobile ed antica famiglia Gallio, che di essa faceva lustro nella sua villa di Borgovico, edificata da Marco I Gallio nel 1615 (la villa Gallia ora sede di rappresentanza della Provincia di Como) e della villa del Balbiano, voluta sempre dall'abate Marco nel 1636, sulla riva del lago a Campo di Ossuccio. A Marco Gallio si deve l'inizio della raccolta di dipinti, proseguita dal nipote Carlo I e dal figlio di lui Giacomo II, con il quale si estinse il "ramo d'Isola" della famiglia. Dagli inventari del patrimonio artistico della famiglia si sa che i quadri erano disposti sulle pareti delle gallerie della "villa a lago" e della "villa a monte", alternando temi profani, soggetti sacri e nature morte. Di quel grande patrimonio, alla cattedrale furono destinati alcuni dei quadri a tema sacro:

  • Sulla parete sinistra:
    • Santo vescovo
    • Ovale con stemma vescovile
    • La Pentecoste
    • Santo francescano davanti alla Croce
  • Sulla parete di fronte all'entrata:
  • Sulla parete destra:
    • Ovale con stemma vescovile
    • Madonna con Bambino da un soggetto raffaellesco
    • Ritratto dell'abate Marco Gallio
    • Cristo spogliato dalle vesti
    • Sacra allegoria
  • Sulla parete d'ingresso:

A destra dell'ingresso un lavamani composito, e l'adiacente basamento di un pozzo, sono realizzati con raffinati rilievi decorativi cinquecenteschi.

Da questa sacrestia salgono due scale, comprese nello spessore delle solide murature di pietra, che portano l'una al percorso dell'abside a quota delle grandi finestre, l'altra al soprastante percorso delle trifore.

Organo a canne

Nella cattedrale, si trova l'organo a canne Balbiani-Vegezzi-Bossi opus 1519.

Lo strumento venne costruito nel 1932 con tre tastiere e pedaliera; un primo ampliamento vi fu due anni dopo con l'aggiunta del corpo Corale dietro l'altare maggiore e, nel 1981, l'organo è stato ulteriormente ampliato con lo spostamento nel transetto di sinistra del corpo Corale e l'installazione di una nuova consolle a quattro tastiere e pedaliera. L'organo è stato restaurato ed ampliato dalla ditta Mascioni nel 1998 e nel 2000, con l’aggiunta di altre 122 canne e due registri.

Lo strumento è a trasmissione elettrica e conta 69 registri, per un totale di 6515 canne, su quattro manuali e pedale. I corpi fonici sono distribuiti all'interno della chiesa nel seguente modo:

  • l'Organo corale (prima tastiera) si trova nel transetto di sinistra, dietro l'ancona dell'altare;
  • il Grand'Organo (seconda tastiera) si trova sotto l'ultima arcata di sinistra della navata centrale, nella cassa di uno dei due organi barocchi;
  • il Positivo espressivo (terza tastiera) e l'Espressivo (quarta tastiera) si trovano sotto l'ultima arcata di destra della navata centrale, nella cassa di uno dei due organi barocchi;
  • l'Organo Eco (quarta tastiera) si trova nel matroneo sopra l'ingresso della sacrestia dei Canonici;
  • il Pedale è distribuito nei vari corpi.

Il Capitolo della cattedrale

Presso la cattedrale di Santa Maria Assunta si ha notizia dell'esistenza di un capitolo almeno dal 1187, quando il vescovo Anselmo dei Raimondi o della Torre ottenne da papa Gregorio VIII il permesso di fissare a venti il numero dei canonici, numero mantenuto anche successivamente, quando furono create le "dignità" di arcidiacono, arciprete e prevosto, e le restanti prebende furono suddivise tra "sacerdotali", diaconali" e "suddiaconali.

Dalla fine del XIII secolo, grazie alle Rationes decimarum tuttora conservate, è possibile anche dare conto dei benefici e delle decime da cui il capitolo traeva le proprie rendite e su cui esercitava diritti di ogni natura, anche di tipo feudale: a Cernobbio, Moltrasio, Blevio, Civiglio, Ponzate, Brunate, Tavernerio, Capiago, Grandate, Chiasso, etc.[13]

Sia per il fatto che proprio tra i canonici della cattedrale veniva spesso scelto il nuovo vescovo della diocesi di Como, sia per la ricchezza delle prebende assegnate ai canonici stessi, il capitolo andò ben presto assumendo un carattere nobiliare nella sua composizione, accogliendo membri delle più illustri famiglie nobili e/o decurionali cittadine (Albrizzi, Carcano, Ciceri, Cocquio, Gaggio, Gattoni, Giovio, Lambertenghi, Lucini, Magnocavallo, Muggiasca, Odescalchi, Parravicini, Pellegrini, Raimondi, Rezzonico, Rusconi, (della) Torre, Turconi, Volpi, etc.), al punto che il formarsi di prebende canonicali ereditarie trasmesse da zio a nipote fu considerata la norma.[14]

Degna di nota è la creazione, nella prima metà del Seicento, di un "Collegio dei Mansionari", che andò ad affiancare il più antico Collegio dei Canonici nella liturgia, in particolare nel canto: forse legato alle attività dell'Accademia musicale dei Larii (attiva fra il XVI e il XVII secolo) che annoverò fra i suoi membri più noti il cardinale Tolomeo Gallio, il Collegio dei Mansionari sorse grazie a due successive fondazioni, la prima ad opera dell'abate commendatario di Sant'Abbondio Marco Gallio, nel 1618, la seconda per volontà del nobile comasco Gabriele Corti; nacquero così i Mansionari Gallii in numero di dieci e i Mansionari Corti in numero di sei, tutti dotati di cospicue prebende.[15] Benché subordinati per rango ai canonici, in virtù del fatto che per statuto il collegio era parte del capitolo, i mansionari di S. Maria Assunta godettero, a differenza dei collegi di mansionari presenti in altre cattedrali, di molti privilegi comuni ai canonici, tanto che a partire dalla fine del XVIII secolo divenne d'uso la denominazione di canonici mansionari.[16]

A ciò contribuì senz'altro la composizione sociale del collegio, che finì per accogliere spesso rappresentanti delle medesime famiglie nobili titolari dei canonicati (in particolare gli Odescalchi, Gattoni, Parravicini, Albrizzi, Corti, che, essendo in grado di dimostrare genealogicamente il loro grado di parentela col fondatore Gabriele Corti, poterono accedere alle Mansionarie Corti), ma nel quale si diede anche spazio ad altre famiglie nobili di minore fortuna, decurionali e non, alcune trasferitesi di recente a Como (Bagliacca, Carcano, Perlasca, Riva, Sessa, Somazzi, Torriani di Mendrisio, etc.). Il costume già diffuso tra i canonici di trasmettere di zio in nipote le prebende caratterizzò presto anche il Collegio dei Mansionari; emblematico il caso dei Sessa, famiglia nobile stabilitasi a Como tra il XVI e il XVII secolo, che ebbe il suo primo mansionario (tra i Gallii) in Camillo nel 1643, seguito da Stefano, che arrivò a divenire nel 1699 decano di quel collegio; a lui successe Alessandro nel 1711, cui seguì il nipote di sua sorella Carlo Caldara, il quale ebbe compiti di archivista nel collegio stesso.[17]

Soltanto l'occupazione francese nel 1797 e le tumultuose vicende ad essa legate riuscirono a porre fine al secolare predominio della nobiltà sul capitolo cattedrale.

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ Gianoncelli, Como e la sua convalle, 35-37
  2. ^ È un dettaglio interessante e per certi aspetti notevole il fatto che questo cantiere di restauro si svolse soprattutto durante la prima guerra mondiale, come ricorda un'iscrizione a malapena leggibile murata sopra la porta minore destra (Saverio Xeres, La cattedrale della città, tra storia e simbolo, in Aa.vv., La cattedrale sul lago, 33).
  3. ^ Diocesi di Como#Cronotassi dei vescovi
  4. ^ Como Cernobbio e Brunate, 22.
  5. ^ Saverio Xeres, La cattedrale della città, tra storia e simbolo, in Aa.vv., La cattedrale sul lago, 19
  6. ^ Darko Pandakovic, Luogo e segno per la diocesi, in Aa.vv., La cattedrale sul lago, 54
  7. ^ Felice Rainoldi, Templum Mariae Virginis, in Aa.vv., La cattedrale sul lago, 107-108.
  8. ^ Alberto Rovi, I vetri dipinti nella facciata del Duomo di Como: motivi iconografici e stilistici, in Aa.vv., Duomo di Como. I vetri dipinti nella facciata, 6-19.
  9. ^ Federico Frigerio, Il Duomo di Como e il broletto, p. 200.
  10. ^ Federico Frigerio, Il Duomo di Como e il broletto.
  11. ^ Giorgio Mascherpa in Aa.vv., Il Duomo di Como.
  12. ^ Nella cattedrale, un'altra opera del Morazzone è lo stendardo di sant'Abbondio, commissionato nel 1608 dalla congregazione del Santissimo Sacramento. L'artista aveva inoltre lavorato, prima che nella sacrestia del duomo, per la chiesa di San Giovanni in Pedemonte (l'edificio di culto dei Domenicani in seguito demolito per lasciare posto alla stazione ferroviaria), raffigurando, in una grande lunetta, La caduta degli angeli ribelli, ora nella Pinacoteca di palazzo Volpi. Del 1612 sono le quattro tele della cappella della "Sacra Cintola" della chiesa di Sant'Agostino, raffiguranti La nascita della Vergine, La presentazione al tempio, Le nozze di Cana e La Pentecoste. La prima tela fu tanto ammirata che Giovan Battista Recchi ne trasse, nel 1633, il cartone per un arazzo, che fa parte della collezione degli arazzi della cattedrale.
  13. ^ SIUSA - Parrocchia di S. Maria Assunta in Como, su siusa.archivi.beniculturali.it. URL consultato il 24 ottobre 2017.
  14. ^ Archivio Storico della Diocesi di Como, Capitolo della cattedrale, Sezione IV Registri, Registro dei Canonici
  15. ^ http://www.centrorusca.it/pdf/36_collegioMansionari.pdf
  16. ^ Rivista Araldica, Collegio Araldico, Anno 1935, Vol. 34, Pag. 45.
  17. ^ Le fonti per la ricostruzione di queste vicende sono conservate nellArchivio Storico della Diocesi di Como, nella sezione dedicata allArchivio della cattedrale di Como, fondo "Collegio dei Mansionari", cartella "Memorie storiche del Collegio".

Bibliografia

  • Santo Monti, La cattedrale di Como, Como, F. Ostinelli di C.A., 1897.
  • Alberto Artioli, Il duomo di Como. Guida alla storia. Restauri recenti, NodoLibri (collana Storie d'arte, 1990).
  • Stefano Della Torre, Maria Letizia Casati (a cura di), Il progetto della cupola del Duomo di Como, NodoLibri, 1996, 28-30.
  • Maria Teresa Binaghi Olivari, I vescovi Trivulzio e il Duomo di Como, in Le arti nella diocesi di Como durante i vescovi trivulzio, Atti del convegno, Como 26-27 settembre 1996, Como 1998, 11-19.
  • AA.VV., Como Cernobbio e Brunate, Editrice Lariologo, Como, ISBN 88-87284-21-0
  • Raffaele Casciaro, Maestri e botteghe del secondo Quattrocento, in Giovanni Romano e Claudio Salsi (a cura di), Maestri della Scultura in Legno nel ducato degli Sforza, Silvana Editoriale, 2005.
  • Marco Albetario, Giovanni Angelo del Maino e Gaudenzio Ferrari, alle soglie della maniera moderna, in «Sacri Monti. Rivista di arte, conservazione, paesaggio e spiritualità dei Sacri Monti piemontesi e lombardi», I, 2007, 339-364.
  • Maria Teresa Binaghi Olivari, Bernardino Luini, 5 continents Editions, Milano 2007.
  • Marco Albertario, Spunti per la lettura dell'ancona, in «Tota enitet auro». L'ancona dell'Assunta nel santuario di Morbegno, Morbegno 2007, 65-85.
  • Marco Albertario, Una scheda su Giovanni Angelo Del Maino. (Tra il 1500 e il 1515), in «Rassegna di Studi e di Notizie», XXXI, 2007-2008, 13-36.
  • Federico Frigerio, Il duomo di Como e il broletto, Como, Cesare Nani, 1950.
  • Il Duomo di Como; testi di Pietro Gini, Ottavio Bernasconi, Luisa Cogliati Arano e Giorgio Mascherpa; fotografie di Mario Carrieri, Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1972, pp. 246.
  • La cattedrale sul lago: forme, spazi e simboli di fede nel Duomo di Como, I libri di Bell'Italia, Milano, Giorgio Mondadori, 1995, pp. 187, ISBN 88-374-1445-5.
  • Clemente Tajana, Alberto Rovi e Alessandro Grassi, Duomo di Como. I vetri dipinti nella facciata, in Rivista Como, Collezione di ricerche e studi, n. 1, Como, 1995, pp. 1-23.
  • Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle. Indagine storica sull'origine ed evoluzione urbanistica dei Borghi e Corpi Santi di Como, Como, New Press, 1975, pp. 126.

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