Ratha

termine indoiranico
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Ratha (sanscrito: rátha, avestico: raθa) è il termine indoiranico per indicare il cocchio o carro da guerra con le ruote a raggi dell'antichità.

Le divinità indù Krishna ed Arjuna presso Kurukshetra, dipinto del XVIII-XIX secolo.

Esso deriva dalla radice collettiva *ret-h- di una parola protoindoeuropea *rot-o- per "ruota" che produsse anche il latino rota, presente anche nelle lingue germaniche, celtiche e baltiche. I termini sanscriti utilizzati per indicare il timone, i finimenti, il giogo e la ruota del carro hanno affini in altri rami dell'indoeuropeo (v. Appendice: Lista dei sostantivi protoindoeuropei sul Wikizionario inglese).

Prove testuali

I carri sono considerati un simbolo importante nell'Induismo, dove la maggior parte degli dei del pantheon vengono ritratti mentre viaggiano su di essi.

Questi mezzi figurano in modo rilevante nei Rigveda, evidenziando la loro presenza in India nel II millennio a.C. Tra le divinità vediche, Ushas (che rappresenta l'alba) viaggia su un carro; anche Agni, nella sua funzione di messaggero tra gli dei e gli uomini, viene spesso raffigurato a bordo di questo mezzo.

Il materiale utilizzato per la loro costruzione è il legno, che viene descritto essere ricavato dagli alberi di Salmali (RV 10.85.20), Khadira e Simsapa (RV 3.53.19).

Nei RV 6.61.13, il fiume Sarasvati è paragonato in termini di grandezza ad un carro. Le misure del carro da guerra vedico si trovano negli Shulba Sutra; il numero delle ruote invece può variare da un carro all'altro. Nei Rigveda viene fatta distinzione tra il carro Ratha e l'anas, quest'ultimo spesso tradotto come "carretto".[1]

Storia

Protoindoiranici

 
L'area dei ritrovamenti del carro con le ruote a raggi all'interno della cultura Sintashta-Petrovka è indicata in porpora.

Lo sviluppo del carro da guerra con le ruote a raggi è associato ai popoli Protoindoiranici. I primi carri da guerra pienamente sviluppati a noi conosciuti provengono dalle tombe dei carri risalenti intorno al 2000 a.C. dei siti di Andronovo (tombe di legno) della cultura Sintashta-Petrovka, nelle moderne Russia e Kazakistan. Questa cultura risente parzialmente dell'influenza dalla precedente cultura di Jamna. La cultura di Andronovo costruì insediamenti industriali fortemente fortificati adibiti alla lavorazione del bronzo su una scala senza precedenti. Praticavano complessi rituali di sepoltura, reminiscenza dei rituali ariani conosciuti dai Rigveda.[2] La cultura di Andronovo nell'arco dei secoli successivi si diffonde attraverso le steppe dagli Urali al Tien Shan, probabilmente corrispondente alle prime culture indoiraniche, che alla fine si diffondono in Iran e in India nel corso del II millennio a.C.

Il carro non deve necessariamente essere considerato come un indicatore di presenza indoeuropea ed indoiranica.[3] Secondo Raulwing, è un fatto innegabile che la linguistica comparativa indoeuropea sia in grado di fornire le basi metodologiche dell'ipotesi di un "carro PIE", in altre parole: "Ausserhalb der Sprachwissenschaft winkt keine Rettung![4][5][6]

Le prime prove che testimoniano la presenza dei carri in Asia Centrale meridionale (sull'Oxus) risalgono al periodo achemenide (a parte i carri aggiogati a buoi, come quelli rappresentati sui petroglifi).[7] Nessuna tomba dei carri andronoviana è stata trovata a sud dell'Oxus.[8]

Resti

 
Il Rath Jatra nel Gran Viale del Tempio di Jagannath, Puri, 2007.

Ci sono poche raffigurazioni di carri tra i petroglifi nell'arenaria dei Monti Vindhya. Due raffigurazioni si trovano a Morhana Pahar (distretto di Mirzapur): una mostra un tiro di due cavalli, con la testa di un solo guidatore visibile; l'altro, raffigurato con ruote a sei raggi, è tirato da quattro cavalli e mostra un guidatore in piedi in un grande alloggiamento sul carro. In questa raffigurazione il carro sta subendo un attaccato, con una figura che brandisce uno scudo e una mazza mentre si trova sul suo percorso, e un'altra figura armata di arco e freccia che minaccia il suo fianco destro. È stato suggerito (Sparreboom, 1985, p. 87) che i disegni registrano una storia, molto probabilmente risalente ai primi secolo a.C., da un qualche centro nell'area della pianura del GangeYamuna nel territorio di tribù di caccia ancora neolitiche. I disegni sarebbero allora una rappresentazione di tecnologia straniera, paragonabili alle pitture rupestri aborigene della Terra di Arnhem che dipingono gli Occidentali. Gli stessi carri realistici scolpiti negli stupa Sanchi sono datati grosso modo al I secolo.

I primi resti di carri che sono stati trovati in India (presso Atranjikhera) sono stati datati tra il 350 e il 50 a.C.[9] Ci sono prove di veicoli con le ruote (specialmente i modelli in miniatura) nella civiltà della Valle dell'Indo, ma non di carri.[9]

I siti della valle dell'Indo hanno offerto parecchi casi di prove di ruote a raggi. L'archeologo B. B. Lal[10] sostiene che i ritrovamenti di file dipinte (o di file di bassorilievi) di ruote di terracotta e di sigilli simili indicano l'esistenza e l'uso di carri con le ruote a raggi nella civiltà harappana, come dimostrato nelle campagne di scavo condotte a Bhirrana (uno dei centri della civiltà harappana) nel 2005-06[11][12] Bhagwan Singh[13] aveva fatto un'asserzione simile e S. R. Rao aveva presentato prove dell'esistenza di carri in bronzo mediante modelli in bronzo provenienti da Daimabad (Tardo Harappano). Gli archeologi a Daimabad non sono unanimi sulla data dei bronzi scoperti là. Sulla base delle prove circostanziali, M. N. Deshpande, S. R. Rao e S. A. Sali sono dell'opinione che questi oggetti appartengano al periodo tardo harappano. Guardando l'analisi della composizione degli elementi di questi manufatti, D. P. Agarwal ha concluso che questi oggetti potrebbero appartenere al periodo storico. La sua conclusione è basata sul fatto che questi oggetti contengono più dell'1% di arsenico, mentre nessuna lega arsenicale è stata trovata in altri manufatti calcolitici.[14]

Nelle festività dei templi induisti

Ratha o rath significa un carro o un veicolo fatto di legno con le ruote. Il Ratha può essere guidato manualmente mediante corde, tirato da cavalli o elefanti. I ratha sono usati principalmente dai templi indù dell'India meridionale per il Rathoutsava (Festa dei carri). Durante la festa, le divinità del tempio sono guidati attraverso le strade, accompagnati dai canti di mantra, inni, schloka o bhajan.

Il Ratha Yatra è un'enorme festa induista associata a Lord Jagannath che si tiene a Puri nello stato dell'Orissa (India) durante i mesi di giugno e luglio.

Edifici dei ratha

In alcuni templi indù, ci sono santuari o edifici chiamati ratha perché ha la forma di un enorme carro. O perché contengono una divinità come il carro di un tempio.

I più noti sono i Pancha Rathas (=5 rathas) a Mahabalipuram, anche se non a forma di carro.

Un altro esempio è il Jaga mohan del Tempio del Sole di Konarak, costruito su una piattaforma con dodici sculture di ruote, come simbolo del carro del Sole.

Ratha in architettura

 
Piante dei principali tipi di edifici con ratha

Nell'architettura dei templi induisti, un ratha è una sporgenza con sfaccettature o riseghe verticali su una torre (generalmente un sikhara).

Note

  1. ^ Una discussione della differenza tra ratha ed anas si trova ad es. in Kazanas (2001).
  2. ^ David W. Anthony, The Horse, The Wheel and Language: How Bronze-Age Riders From The Eurasian Steppes Shaped the Modern World, Princeton e Oxford, Princeton University Press, 2007.
  3. ^ Cf. Raulwing (2000).
  4. ^ Cioè, "Fuori della linguistica non c'è salvezza!".
  5. ^ Raulwing (2000), p. 83.
  6. ^ Cf. Henri Paul Francfort in Fussman, G.; Kellens, J.; Francfort, H.-P.; Tremblay, X. (2005), pp. 272-276.
  7. ^ Non erano usati per la guerra. H. P. Francfort Fouilles de Shortugai, Recherches sur L'Asie Centrale Protohistorique Paris: Diffusion de Boccard, 1989, p. 452. Cf. Henri Paul Francfort in Fussman, G.; Kellens, J.; Francfort, H.-P.; Tremblay, X. (2005), p. 272
  8. ^ H. P. Francfort in Fussman, G.; Kellens, J.; Francfort, H.-P.; Tremblay, X. (2005), pp. 220, 272; H.-P. Francfort, Fouilles de Shortugai.
  9. ^ a b Bryant (2001).
  10. ^ The Sarasvati Flows on, 2002, pp.74-75, Figg. da 328 a 331.
  11. ^ L. S. Rao, Nandini B. Sahu, U.A. Shastry, Prabash Sahu e Samir Diwan, Bhirrana Excavation - 2005-2006, in Piratattva, n. 36, 2005-2006, p. 45.
  12. ^ L. S. Rao, Harappan Spoked Wheels Rattled Down the Streets of Bhirrana, Dist. Fatehabad, Haryana, in Piratattva, n. 36, 2005-2006, p. 59.
  13. ^ Harappan Civilization and the Vedic Literature, in Hindi (1987).
  14. ^ M. K. Dhavalikar, Daimabad Bronzes (PDF), in in Gregory L. Posseh (a cura di), Harappan Civilization: A Contemporary Perspective, Warminster, Aris and Phillips, 1982, 61-66, ISBN 0-85668-211-X.

Bibliografia

  • Bryant, Edwin (2001). The Quest for the Origins of Vedic Culture. Oxford University Press. ISBN 0-19-513777-9.
  • Fussman, Gérard; Kellens, J.; Francfort, Henri-Paul.; Tremblay, X. (2005). Aryas, Aryens et Iraniens en Asie Centrale. Institut Civilisation Indienne. Collège de France. ISBN 2-86803-072-6
  • Kazanas, Nicholas (2001). The AIT and Scholarship. Omilos Meleton, Athens.
  • Raulwing, Peter (2000). Horses, Chariots and Indo-Europeans, Foundations and Methods of Chariotry Research from the Viewpoint of Comparative Indo-European Linguistics. Archaeolingua, Series Minor 13, Budapest.

Voci correlate

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