Centa
Il Centa è un fiume della Liguria lungo 3 km.
Centa | |
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Stato | ![]() |
Regioni | ![]() |
Lunghezza | 3,2 km[1] |
Portata media | 7,135 m³/s |
Bacino idrografico | 432 km²[1] |
Altitudine sorgente | 5[2] m s.l.m. |
Nasce | Fraz. Leca presso Albenga 44°03′12.82″N 8°11′15.32″E |
Affluenti | Arroscia, Neva |
Sfocia | Mar Ligure presso Capo Lena ad Albenga 44°02′31.7″N 8°13′17.19″E |
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Storia
Idronimo
Il fiume Centa si trova descritto in latino da Plinio come Merula (trad. merlo), sebbene probabilmente fosse in errore con il Merula che scorre nella vicina Andora, anche se un tempo veniva chiamato Meira. La nascita del nome Centa ha diverse tradizioni, tra queste perché nasce da cento rivoli, oppure dalle centine che un tempo venivano messe a bagno nelle sue acque per la marcitura della canapa un tempo coltivata nella piana. Altra tradizione vuole che il Centa sia cresciuto a seguito dell'apertura di un canale aperto per far scorrere le acque vicino alla Città per portare via i liquami. In realtà non si conosce esattamente l'origine di tale nome.
Il Centa è usato anche per indicare il suo comprensorio (le Valli del Centa) e durante l'epoca napoleonica è stato utilizzato per indicare il territorio con a capo Albenga Giurisdizione del Centa.[3]
Portate medie mensili
Evoluzione
Il fiume Centa è stato il creatore della Piana di Albenga, che consiste in una vasta insenatura pliocenica colmata da depositi alluvionali successivi. Nel pliocene il mare arrivava fino alle attuali Ortovero e Cisano sul Neva dove l'Arroscia e il Neva sfociavano direttamente a mare; di tali periodo ci sono depositi di conglomerati e sabbia argillosa che affiorano nelle due valli. Successivi sollevamenti hanno inclinato verso il mare gli strati dell'insenatura pliocenica, che ha prodotto l'unione dei torrenti Lerrone con l'Arroscia e del Neva col Pennavaire. Depositi alluvionali che risalgono al quaternario hanno formato sopra questi strati un sedimento detritico, che a sua volta si è innalzato provocando quella fascia di colline a rilievo molto dolce che corrono ai bordi della Piana ingauna. La parte più bassa della Piana si è creata a seguito di depositi alluvionali sul fondo della ripa quaternaria. La differenziazione tra il bordo dell'antico golfo ed i sedimenti pliocenici è evidente dall'analisi della vegetazione e del colore: dal grigio cupo degli argilloscisti e delle arenarie nonché dal grigio più chiaro dei calcari giurassici, brulli questi ultimi, si arriva a tonalità giallastre e azzurrine rispettivamente di sabbie ed argille, come al rossastro dei depositi marini e fluviali (spesso terrazzati) ossidati per contatto con atmosferili[4]. La piana di Albenga è di tipo detritico ma questo da origine alla fertilità della piana stessa e della sua abbondante ricchezza idrica, solcata dal più grande corso d'acqua della Regione. Quando si uniscono l'Arroscia con il Neva, nei pressi di Bastia, nasce il Centa.
Il corso del fiume seguiva un tempo la stessa linea dell'Arroscia, sfociando nel mare verso Ceriale, fino alla deviazione del corso forse per volontà della Repubblica di Genova (XII secolo), che lo portò a scorrere vicino alla cinta muraria della città (causando la crescita del capo Lena e l'interramento del porto di Vadino), da cui il nome "Centa", dato all'ex tratto finale del torrente una volta divenuto fiume. L'antico letto del fiume divenne quasi completamente asciutto dal XVI secolo.[5]
Dopo la tremenda alluvione del 1564, i Magistrati della città cercarono più volte di fabbricare degli argini per contenere la piena, ma non riuscendovi direttamente per il grande lavoro da fare, chiesero più volte aiuto al Senato di Genova, poi alla Repubblica Ligure e anche all'Impero Francese di Napoleone, ma senza successo, anche se sporadicamente qualche intervento venne fatto. Si ricordano i disegni e progetti realizzati dal Molasana nel 1587, dall'architetto Francesco Da Nove, da Gio Battista Pallavicini che fu un commissario delegato dal Senato genovese nel 1647; come il colonnello della Repubblica di Genova Matteo Vinzoni nel 1751, dal tenente del Genio Ligure Barabino nel 1802, dal colonello francese Auzilion, e dallo stesso prefetto del Dipartimento di Montenotte Chabrol nel 1812 (alcuni di questi disegni e progetti sono conservati all'interno del Municipio della Città di Albenga).
Alluvioni storiche
Di seguito si redige uno storico delle alluvioni riconducibili a ondata di piena conosciute:
- XIII secolo alluvione che fece crollare il pons supranus;
- 29 settembre 1564 - descrizione descritta come: le acque avevano una larghezza di due miglia e coprì tutti i terreni di 6 palmi (1,5) [6], dalla devastazione che c'è stata (crollo di case e muri), si pensa che questa sia la piena con tempo di ritorno maggiore di 500 anni;
- 9 dicembre 1570 - l'acqua si poteva pescare dai pozzi senza fune[7];
- 1587 - l'acqua dal monastero delle Monache arrivava fino a Ceriale[8];
...
- 1802 - esce dalla sua sede rendendo instabile il Ponte del Branca e facendo crollare alcune muraglie di contenimento delle acque[9];
- 10 novembre 1886 - Dalle cronache si registra che l’acqua inondava le botteghe e le case fino al primo piano mentre cavalli e buoi venivano trascinati fino al secondo piano delle case per salvarle dalla spaventosa corrente del Centa, che aveva già inghiottito un disgraziato che non fu abbastanza sollecito a porsi in salvo; nella stessa occasione si verificò l'incidente ferroviario di Vadino;
- 5 novembre 1994;
- 6 novembre 2000;
Collegamento Albenga-Torino
Nell'epoca napoleonica sono stati molti i progetti pensati per facilitare la comunicazione attraverso le vie d'acqua. Pochi anni dopo, nel 1825, l'ingegnere idraulico Ignazio Michelotti proponeva di congiungere Albenga con Torino, con uno sviluppo percorribile dalle imbarcazioni di circa 180 km. Partendo da Albenga sul Centa si arrivava al Neva fino all'appenino, da qui si progettava un attraversamento arrivando sul Tanaro fino a Bassignana, quindi si scendeva fino a Garessio, poi sull'Ellero da Bastia a Mondovì, quindi da qua un canale navigabile fino a Fossano, da qui sulla Stura fino ad arrivare a Bra, quindi passando per i colli del Monferrato fino a Chieri dove si arriva a Moncalieri e di qui lungo il Po a Torino. Il progetto piacque a Gaetano Cappuccio, che pochi anni dopo, intorno al sesto decennio del 1800, propose di realizzare un canale navigabile sotto il Colle San Bernardo così da poter mettere in comunicazione la valle del Centa e quella del Tanaro.[10] Per l'ingegnere Piemontese, riferendosi a Torino:"questa città diverrebbe pel nuovo canale ciò che tra poco sarà Ismailia per quello di Suez, stazione cioè intermedia e principale per le navi, che correranno dall’uno all’altro mare, emporio del commercio e dell’industria della valle del Po...[11]"
Geografia
Lungo appena 3 km (è il fiume più corto d'Italia a sfociare in mare[12], dopo il Timavo, di 2 km), nasce a monte della città di Albenga dalla confluenza dei torrenti Arroscia e Neva che poco prima ricevono, rispettivamente, il Lerrone e il Pennavaira. I quattro torrenti che creano il Centa nascono da distante, l'Arroscia nasce dal Monte Frontè distante 40 km dalla Piana, il Neva nasce sul Monte Galero distante 25 km dalla Piana, il Lerrone nasce sopra Casanova Lerrone a 20 km dalla Piana, mentre il Pennavaire nasce sul Colle di Caprauna ed è lungo circa 20 km. Il bacino complessivo del fiume Centa è di circa 440 km2.
Con letto assai ampio attraversa il centro urbano di Albenga sfociando poi direttamente nel mare a Capo Lena, quasi di fronte all'isola Gallinara.
Portata
Nonostante il suo regime estremamente torrentizio, è il principale corso d'acqua della provincia di Savona come portata media annua (7,135 m³/s) sfociante direttamente nel mare. È soggetto in caso di forti precipitazioni a piene imponenti (anche di 2.500 m³/s) che in più di un'occasione hanno causato pesanti danni alla città di Albenga come nel novembre 1994, nel novembre 2000 o nel settembre 2006.
La portata massima del Centa è quantificata in base alle normative del 2018, in special modo si segnala un'area drenata di 432 km2, si hanno le seguenti portate al colmo di piena[13]:
- T = 30 anni => 1520 m3/s
- T = 50 anni => 1820 m3/s
- T = 100 anni => 2230 m3/s
- T = 200 anni => 2630 m3/s
- T = 500 anni => 3160 m3/s
Bacino idrografico
Il bacino idrografico del Centa misura 420 chilometri quadrati (di cui 305 dell'Arroscia e 115 del Neva). Il perimetro di tale bacino può essere paragonato ad un triangolo rettangolo che ha l'ipotenusa coincidente con la congiungente fra la sorgente dell'Arroscia e la foce mentre il vertice dell'angolo retto coincide con il Colle Scravaion.
La sua ampia piana alluvionale detta Piana di Albenga (l'unica della Liguria di notevoli dimensioni) è intensamente utilizzata a scopi agricoli.
Ponti
Il fiume Centa è attraversato da tre ponti, tutti nella zona urbana di Albenga:
- Ponte dell'Aurelia, con sette pile in alveo, verificato per un tempo di ritorno di piena maggiore di 500 anni;
- Ponte Emidio Viveri, struttura ad arco di colore rosso, verificato per un tempo di ritorno di piena inferiore ai 200 anni;
- Ponte della ferrovia con 3 pile in alveo, verificato per un tempo di ritorno di piena inferiore ai 500 anni;
Ponti non più esistenti
Sono molti i ponti realizzati nel corso dei secoli sul fiume Centa, alcuni dei quali si conosco perfettamente e per altri resta solo tracce.
Ponte della ferrovia
Venne realizzato nel XIX secolo con il passaggio della ferrovia nella città, è molto simile a quello attuale con 3 campate, con le pile in muratura e cemento mentre le travi sono in acciaio reticolare. Una prima forma poco resistente venne sostituita negli anni '30 del XX secolo, anche se una parte di questo ponte è crollato nel 1944 a seguito del secondo conflitto bellico a seguito di bombardamenti e subito ricostruito e rinforzato diventando quello che è oggi.
Ponte di ferro
Realizzato su due pile nel primo decennio del XX secolo, era realizzato in ferro ad arco ribassato diviso in 3 campate. Nel 1907 venne inaugurato e realizzato una decina di metri più a valle del precedente. Dopo quasi un secolo di servizio, venne demolito a seguito dell'alluvione del 1994, dove non se ne garantiva più la stabilità dell'opera, oltre al fatto che le due pile presenti in alveo creavano un grosso ostacolo al deflusso delle acque.
Ponte di legno
Si ha notizia della modifica della viabilità con la realizzazione di una nuova strada che passasse fuori le mura direttamente vicino alla Porta della Marina agli inizi del XIX secolo. Ci sono foto di un ponte di legno sul Centa nei pressi dell'attuale ponte Rosso; probabilmente di questo ponte sono state realizzate varie versioni nel corso del XIX secolo fino ad arrivare al suo smantellamento dopo la realizzazione del ponte di ferro. Era formato da 7 campate.
Ponte del Branca
Chiamato anche Ponte del Mulino, era un ponte attiguo alle mura della Città nell'angolo a sud-ovest, nei pressi di un baluardo, realizzato sopra il fiume da Gio Maria Canavisio di Oneglia per centonovanta scudi d'oro d'Italia nel 1566; fu prima ad un arco solo, poi ne venne costruito un secondo nel 1587[14] Alla fine del ponte venne eretto un mulino, da cui il ponte prende anche il nome. Questo ponte tuttavia creava probabilmente problemi, tant'è che il 30 settembre del 1643 fu proposta la demolizione dei due archi per riportarlo a uno solo ma più esteso; il progetto venne affidato a Gio Agostino Spinola, un nobile genovese, che si offrì di mantenere anche il ponte a sue spese, mediante un solo pagamento da parte del Comune di quattrocento pezzi da otto reali; ma nulla venne fatto. Si arrivò al 11 marzo 1803 quando sembrava che il Governo Ligure volesse finalmente mettere freno alle inondazioni del Centa, proponendo dal tenente del Genio Barabino la proposta di demolire il ponte e il bastione, eliminando quell'angolo di 120 gradi che forma il fabbricato dell'olio e che era di ostacolo al fiume stesso. Tuttavia il ponte trovò la sua fine nel corso del 1800 a seguito di una piena e non venne più ricostruito. Nell'alveo del Centa sono visibili le fondazioni del mulino e del ponte.
Pons supranus
Era un ponte duecentesco realizzato in muratura che venne distrutto nel quattrocento. Superava il fiume in corrispondenza di porta Arroscia.
Ponte dell'acquedotto romano
Era presente l'acquedotto romano che dal monte Bignone arrivava in prossimità di porta Arroscia, realizzato in epoca imperiale, e quando il Centa è in secca si possono ancora vedere i resti nell'alveo del Centa di 9 dei piloni sopra i quali nascevano gli archi.
Aree archeologiche
Nell'alveo del fiume Centa sono presenti diverse rovine antiche, difatti la zona vicino all'attuale centro storico di Albenga era il suburbio della antica Albingaunum e la zona fuori le mura della città mediavale. La valenza archeologica dell'area era già nota, difatti in alcuni scavi realizzati per proteggere la città dalle piene sono emersi resti, come quello di una statua virile, o semplicemente grazie alla presenza dei pilone dell'antico acquedotto, del mulino e ponte del Branca, in mezzo all'alveo ci sono murature di varia interpretazione, probabilmente anche gli antichi argini del Centa già abbattuti all'inizio del XX secolo per un allargamento della sponda destra. Nel corso degli scavi per l'allargamento dell'alveo nel 2001 è emerso il complesso paleocristiano con la chiesa medievale di San Clemente, sorto sulle antiche rovine delle terme romane, all'interno delle quali sono stati rinvenuti cinque sarcofagi tardoantichi in pietra del Finale del tipo con coperchi ad acroterii, uno dei quali è stato trasferito all'interno del battistero. C'erano altresì delle canalette di deflusso e dei laterizi appartenenti a un suspensurae che però non denunciavano la scoperta delle terme. Invece durante i lavori di nuova arginatura venne alla luce un'estesa area termale di circa 2000 mq, di cui una parte sotto moderni edifici, lungo un asse est-ovest di circa 60 m, parallelo al fiume, su cui si allineano una piscina all'aperto (natatio) e i vani destinati alle abluzioni, secondo la tipica sequenza che prevedeva il passaggio dagli ambienti freddi a quelli gradualmente riscaldati.
Complesso termale romano
Nelle Città romane principali esistevano le terme. Ad Albenga se ne sapeva la conoscenza da in epigrafe ma non si conosceva la posizione. Nell’antichità era luogo dove si dedicava all'igiene del corpo, ma anche al riposo e allo svago, chiamato in latino balneum sorgeva vicino al porto, difatti durante gli scavi sono emerse importanti strutture in calcestruzzo assimilabili a strutture portuali, nell’attuale quartiere di Vadino che deriva da ‘’vadum’’ cioè guado. L'edificio termale è stato realizzato in più fasi, dalla datazione delle tecniche costruttive e dai materiali utilizzati si può classificare la fase edificatoria tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del III secolo. Si è a conoscenza di un'epigrafe dispersa nel XVI secolo utilizzata nelle murature della vicina San Calocero, tale epigrafe narrava che un balneum pubblico iniziato alla fine del II secolo d.C. dal proconsole della provincia d'Africa, M. Valerio Bradua Maurico, fu portato a termine da Q. Virio Egnazio durante il regno di Caracalla agli inizi del III secolo quando ricopriva importanti cariche pubbliche a Roma.
Un'altra epigrafe del II secolo d.C. parla di opere di derivazione delle acque del Centa, probabilmente la conferma che era utilizzata la sua acqua per approvvigionare le terme.
Dalla Città si accedeva al lato settentrionale delle terme attraversando una scalinata larga 30 m con 4 scalini chiusa probabilmente da un porticato, che immetteva in un grande spazio in battuto di malta a cielo libero, usato come palestra per gli esercizi fisici prima di fare il bagno, com'era uso dei romani, qui è presente un edificio con tre vani di cui non si ha certezza dell'uso, probabilmente usato come spogliatoio, mentre l'altro vano è collegato al frigidarium; l'esiguità delle murature rinvenute non permette di dare la certezza se il presunto apodyterium ed il vano d'accesso al frigidarium comunicassero. I tre vani comunicavano comunque con gli ambienti retrostanti, di servizio, ubicati in un'area ancora in gran parte inesplorata adiacente il calidarium. Uno di questi ambiente, dalla pianta stretta e allungata con il pavimento in battuto di malta, era accessibile dall'atrio dell'apodyterium. Questi vani avevano una pavimentazione in tegole smarginate, come quelle usate negli ipocatusti, che non erano utilizzate per gli ambienti riscaldati. Ad est della scalinata è presente muro scandito da lesene che è all'interno dell'alveo ma non più distinguibile, questo delimitava un cortile rettangolare, un giardino o una palestra, dove, in origine, su un basamento in pietra sarebbe stata collocata una statua virile rinvenuta nel 1910 che oggi è esposta nella Sala dei Consoli del Palazzo Vecchio del Comune.
La natatio larga 12 metri, era impermeabilizzata grazie a un intonaco in coccioposto, con pianta rettangolare aveva un'abside sull'unico lato breve posto in luce e gradini regolari a quarto di cechio. Un canale di deflusso aperto sul lato est ne consentiva lo svuotamento. Il frigidarium, destinato ai bagni freddi è riconoscibile per la contiguità con la natatio e per l'assenza di ipocausti, di forma rettangolare era di 14 per 10 metri di dimensioni, con un'abside sul lato corto a ovest, in cui all'interno era presente una vasca munita internamente da quattro scalini. Una vasca più piccola e meno profonda era su ciascuno dei lati lunghi, movimentati da absidi. Le pareti e il pavimento erano rinvestite originariamente con lastre rettangolari di marmo bianco e verde, spogliate dopo l'abbandono dell'edificio; tale scoperta è stata possibile per i pochi frammenti rinvenuti durante gli scavi e per le impronte lasciate sul cocciopesto del pavimento, dove ci sono ancora tasselli in marmo di scarto, usato per posizionare correttamente le lastre. Sulle pareti della grande vasca absidale si conservano delle grappe in bronzo utilizzate per bloccare le incrostazioni marmoree. Al di sotto del pavimento era presente una canalizzazione voltata con convogliava all'esterno l'acqua di scarico delle vasche e della vicina natatio. Dal frigidarium, per mezzo di un ingresso aperto sul vano rettangolare interpretato come tepidarium per la presenza di ipocausti e per la posizione intermedia tra il ffrigidarium e gli altri vani riscaldati. Dal tepidarium un tempo pavimentato con lastre in marmo bianco, si passava ad ambienti più piccoli. Uno di questi, per la sua pianta circolare e per l'ubicazione tra il tepidarium e il calidarium, sarebbe un sudatorium, insieme con un altro vano rettangolare contiguo riscaldato direttamente da un praefurnium posto sul lato esterno dell'edificio. Un altro ambiente di modeste dimensioni (3,9 x 2,3 m) con pavimento in mosaico ha un motivo geometrico formato da quadrati bianchi fiancheggiati da rettangoli neri con quadrati bianchi più piccoli agli angoli.
Tra il frigidarium e la natatio sono emerse le fondazioni in calcestruzzo gettato in casseforme lignee di un largo muro semicircolare parallelo all'abside del frigidarium. Altre strutture molto simili mantengono la stessa direzione dei vani termali, dove si riconoscono una presunta palestra con la pavimentazione in battuto realizzato in tra strati sovrapposti corrispondenti alle fasi costruttive. Tali strutture in calcestruzzo erano per un edificio più importante che indica che probabilmente è stato iniziato ma mai finito, con una progettazione più articolata del complesso termale. Il frigidarium sarebbe quindi la semplificazione di un progetto precedente e più grandioso che prevedeva un'aula più allungata con una piscina anulare. Un vano rettangolare sotto la pavimentazione della palestra era forse la piscina a pianta rettangolare di 9 per 6,42 m, della quale ne sono stati esplorati gli angoli sud-ovest e nord-est, chiusi da gradini semicircolari simili a quelli dalla natatio.
Attraversando un vestibolo quadrato si arrivava in un grande vano rettangolare (18x10 m), il calidarium disposto trasversalmente rispetto all'asse natatio-frigidarium-tepidarium, ubicato sotto il piano della pavimentazione della chiesa di San Clemente edificata nel medioevo. Nella parte soggetta agli scavi si sono rinvenuti degli ipocausti con suspensurae formate da delle spesse lastre in arenaria appoggiate su uno spesso strato di calcestruzzo, poggiate su muretti invece che sui consueti piastrini di laterizio, così da creare veri e propri corridoi dove circolava l'aria calda. Su queste strutture probabilmente sorgeva una vasca riscaldata di grandi dimensioni, alveus. Gli ipocausti funzionavano come corridoi dove passava l'aria calda che riscaldava le pareti della vasca riscaldando quindi l'acqua. A nord il calidarium si affacciava sul cortile retrostante con una parete movimentata esternamente da lesene in laterizio, da qui partivano due canali rivolti verso il fiume che erano visibili all'inizio del XX secolo e oggi non più che servivano per il deflusso delle acque.
L'edificio termale è costituito interamente in opera listata, con murature formate da file orizzontali di blocchetti squadrati in pietra alternate da corsi in mattoni in laterizio. In alcune zone sono presenti grossi blocchi squadrati in pietra inseriti nei paramenti murari. I laterizi sono utilizzati anche per rinforzare degli angoli, ma anche per realizzare diversi particolari costruttivi in cui è richiesta robustezza, come per le lesene che scandiscono il fianco esterno del calidarium. I laterizi sono gli stessi utilizzati nella porta Palatina realizzata a Torino in età augustea.
Flora e fauna
L'area del Centa è un'area fluviale protetta poiché di grande importanza per numerose specie di uccelli migratori di interesse comunitario, oltre che per della fauna minore. Il Centa in tutto il suo percorso è caratterizzato da lembi di vegetazione palustre e forestale riparia[15]. Per questo motivo è compreso nel SIC IT1324909 “Torrente Arroscia e Centa” e nell’area protetta provinciale Fiume Centa (06-OA-Ce).
Note
- ^ a b PIANO DI BACINO STRALCIO SUL RISCHIO IDROGEOLOGICO, Provincia di Savona; in .pdf su www.provincia.savona.it[collegamento interrotto]
- ^ Carta tecnica regionale su Limiti Amministrativi (Comunali, Provinciali, Regionali) sc. 1:25000, su geoportale.regione.liguria.it, Regione Liguria, 2011.
- ^ Istituto Internazionale di Studi Liguri Tipografia Bacchetta, San Domenico di Albenga.
- ^ B. Limoncelli M. Marini, Ricerca geomorfologica, in Indagine sulle risorse paesaggistiche e sulle aree verdi della fascia costiera ligure, Genova, Università degli Studi di Genova, 1967.
- ^ Comune di Albenga: il Centa e il Pontelungo
- ^ Storia della città e diocesi di Albenga, su books.google.it. URL consultato il 22/04/2020.
- ^ Storia della città e diocesi di Albenga, su books.google.it. URL consultato il 22/04/2020.
- ^ Storia della città e diocesi di Albenga, su books.google.it. URL consultato il 22/04/2020.
- ^ Albenga da Napoleone all’Unità di Italia, su libridiliguria.it. URL consultato il 28 aprile 2020.
- ^ Orient Express Ligure-Piemontese, su trucioli.it. URL consultato il 28/04/2020.
- ^ Museo di Torino page0128 (PDF), su museotorino.it. URL consultato il 28/04/2020.
- ^ escludendo quindi l'Aril, che sfocia in un lago
- ^ Piano di bacino del Centa (PDF), su pianidibacino.ambienteinliguria.it. URL consultato il 22/04/2020.
- ^ Dai libri del consiglio comunale di quell'anno
- ^ Area protetta Provinciale Fiume Centa, su provincia.savona.it. URL consultato il 22/04/2020.
Bibliografia
- Josepha Costa Restagno, Albenga, 3ª edizione, Genova, Sagep editrice, 1993, ISBN 88-7058-479-8.
Voci correlate
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