Stato di conservazione secondo l'IUCN[1]
Areale della specie secondo l'IUCN (2018)[2]

Il lupo è presente in Italia sin da almeno il Pleistocene medio.[3] Vi sono tre sottospecie, tra cui una estinta, Canis lupus cristaldii della Sicilia, e due esistenti nella Penisola italiana: Canis lupus italicus e Canis lupus lupus.

Fu oggetto di una persecuzione secolare che lo ridusse a solo pochi centinaia di esemplari nei primi anni settanta del XX secolo. Da allora, dopo essere stato incluso nella lista delle specie protette, la specie si è espansa, occupando dapprima tutte le zone montuose degli Appennini e le Alpi. Nei primi anni 2020, la popolazione di lupi in Italia fu stimata a oltre 3 000 esemplari, formando la più grande popolazione lupina in tutta l'Unione Europea.[4]

La Lista rossa IUCN italiana classifica il lupo come Specie prossima alla minaccia in Italia.[1]

Il lupo è considerato da alcuni come l'animale nazionale dell'Italia, sebbene la definizione non sia ufficiale.[5][6] Vi sono numerosi cognomi[7] e più di mille toponimi in Italia derivati dal lupo.[8]

Panoramica

Sottospecie presenti in Italia

Habitat e comportamento sociale

Il lupo è stato segnalato in diversi habitat di varie altitudini, dai litorali marini[23] ai 2 500 metri s.l.m. nelle Alpi sud-occidentali. Tende a favorire le zone montane intatte densamente forestate e lontane dall'interferenza umana. La maggior parte delle popolazioni dimostrano comportamenti crepuscolari e notturni, probabilmente in risposta alle attività antropiche. Un'eccezione si trova nel parco nazionale del Pollino, zona scarsamente visitata dall'uomo, dove i lupi sono attivi anche di giorno.[24]

I branchi in Italia tendono a essere più ridotti di quelli che si segnalano nel Nord America, con gruppi familiari composti di 2-7 esemplari nella Toscana centro-meridionale e l'Appennino abruzzese, e 2-5 nell'Appennino settentrionale: la dimensione del branco dipende infatti dalla dimensione delle prede abituali e quindi i branchi sono più grandi nelle zone ricche di cervi, più piccole in zone ove il capriolo è la preda più grande.[24] Il singolo ciclo estrale avviene a seconda della latitudine, concentrandosi in febbraio nel Sud e in metà marzo sulle Alpi.[25] La mortalità dovuta ai conflitti con altri lupi colpisce soprattutto gli esemplari adulti, ma la proporzione è bassa quando paragonata a cause antropiche,[26][27][28] e si segnala molto più di rado che in Nordamerica, dove la densità di lupi è più alta e la concorrenza per territorio e risorse è più intensa.[28]

In Italia, ciascun branco controlla un territorio di circa 50-200 km².[29] Sulle Alpi, il territorio controllato da un branco ha dimensioni medie di 250 km².[30] Sono noti casi in Italia dove lupi individuali hanno percorso circa 90 km in poco più di una settimana, con almeno un individuo, noto come "Ligabue", avendo percorso 217 km spostandosi dall'Appennino parmense alle Alpi Occidentali.[31][32]

Dieta

 
Lupo con resti di cerbiatto, PNALM

I lupi in Italia si nutrono prevalentemente di ungulati di taglia grossa, come caprioli e cinghiali in Appennino, con l'aggiunta di cervi e camosci nelle Alpi. Casi di predazione sugli stambecchi sono rari, mentre i mufloni furono selezionati soprattutto solo durante i primi anni di recupero delle popolazioni di lupo, siccome all'epoca i primi non disponevano di comportamenti antipredatori efficaci.[33] Quando cacciano i cinghiali, esibiscono una preferenza per esemplari di peso intermedio (10–35 kg), mentre non dimostrano tanta selettività nell'inseguire i caprioli.[34] Gli ungulati domestici costituiscono solo una componente modesta nella dieta della specie, con il maggior numero di casi risalenti in luoghi dove la difesa del bestiame è scarsa.[33]

Concorrenti

Il lupo è segnalato ad essere ostile verso lo sciacallo dorato: in zone dove i due coabitano, i lupi escludono gli sciacalli dalle zone forestali, e quest'ultimi smettono di rispondere agli ululati di sciacallo registrati in zone dove i lupi sono presenti, un comportamento antipredatorio segnalato in altre regioni dell'Europa.[35] Sono noti almeno cinque casi in Italia in cui i lupi hanno ucciso gli sciacalli.[36]

In contrasto, le relazioni tra i lupi e le volpi rosse sono più pacifiche, con studi svolti nei parchi nazionali d'Abruzzo e della Maremma indicando che le volpi non temono i lupi abbastanza da modificare i loro tempi di attività, e in zone dove coabitano le volpi beneficiano delle carcasse dei grossi mammiferi abbattuti dai lupi.[37][38]

Malattie e parassiti

Numerosi archivi storici segnalano casi di lupi affetti da rabbia silvestre in Italia, che ha contribuito con i suoi focolai nefasti al diffondersi della pregiudizievole paura verso questo predatore.[39][40] Attualmente, l'Italia risulta indenne dal 2013, poiché contrastata con successo tramite le vaccinazioni delle volpi.[41]

Il lupo è spesso ospite di vari parassiti. In Italia, sono stati segnalati casi di infestazione di elminti intestinali come le tenie, gli echinococchi, i mesocestoidi, le tenie canine, le uncinarie, i tossocari, gli anchilostomi, i tricuri e i tossascari. Le infestazioni dei tossocari e gli echinococchi sembrano essere correlate con l'età del lupo, mentre la specie Echinococcus granulosus appare infestare i lupi che si cibano prevalentemente di pecore.[24]

Ci sono pochi dati sui patogeni del lupo italiano, ma sono stati segnalati casi di parvovirosi canina nella popolazione appenninica nei primi anni novanta. Nelle zone in cui i lupi vivono presso le discariche, come nel caso della popolazione presso l'Appennino centro-meridionale, sono stati segnalati casi di scabbia (rogne demodettica e sarcoptica), che può essere mortale anche per i cuccioli. Nelle zone meridionali dell'areale, il lupo grigio appenninico è a rischio della leishmaniosi animale, sparsa dai cani randagi.[24] Uno studio sulle cause di morte effettuato su 143 carcasse di lupo rinvenute nel Parco Nazionale d'Abruzzo dal 2000 al 2014, ha rilevato anche queste patologie: Trichinella spp., Strongylus spp. (patologie endoparassitarie), Malattia di Aujeszky, cimurro [42].

Storia

Preistoria

 
Ricostruzione artistica di PF-PG1

I resti fossili più antichi in Italia attribuibili al lupo consistono in un neurocranio (esemplare PF-PG1) rinvenuto in Ponte Galeria e risalente al Pleistocene medio circa 407 000 anni fa. Sebbene solo parziale, il campione fu identificato come appartenente a un lupo invece di un altro canide grazie alla sua grandezza e lo spessore dei suoi seni frontali.[3]

Altri resti scheletrici indicano che il lupo era ampiamente diffuso nell'Italia continentale nel corso del Pleistocene superiore e nel Paleolitico superiore.[24] Le indagini tafonomiche indicano che in questo periodo i lupi si cibavano delle stesse prede degli umani paleolitici e delle iene delle caverne, ma evitavano la concorrenza diretta cacciando in zone di collina piuttosto che le pianure. L'areale del lupo sulla penisola cominciò a espandersi circa 12 500 anni fa, in correlazione con l'incremento delle zone di bosco misto a discapito delle pianure favorite dalle iene.[43] Dei resti scheletrici di lupo rinvenuti nella Ciota Ciara in Piemonte risalenti al Paleolitico medio mostrano segni di macellazione o scuoiamento da parte dei neandertal con attrezzi di quarzo.[44]

Dall'antichità all'Ottocento

  Lo stesso argomento in dettaglio: Luparo.
 
Lupo rappresentato su un anello d'oro di Siracusa, risalente all'800-700 a. C..

Durante l'epoca romana, ci fu poco conflitto tra i lupi e i pastori, siccome i greggi erano piccoli e l'agricoltura nelle zone montuose consisteva in piccoli terrazzamenti, lasciando così enormi aree boschose dove i lupi potevano cacciare prede naturali.[45] Le relazioni tra umani e lupi nella penisola divennero più ostili dal VII secolo, quando la pastorizia crebbe in importanza economica. Sebbene le taglie sui lupi erano regolarmente pagate durante i XII e XIII secoli, tutto sommato i tentativi di sterminare i lupi nell'Italia medievale non disponevano della stessa dedizione e organizzazione vista nell'Europa centrale e settentrionale, in gran parte perché mancavano governi centralizzati efficaci, e i lupi si concentravano nelle zone montuose dell'Italia centrale, dove le popolazioni umane erano più basse.[45]

In Sicilia, lo sterminio degli ungulati selavatici innescò il declino dei lupi a partire dal periodo normanno.[22] Nell'Ottocento, i lupi in Sicilia furono oggetto di caccia, con ricompense monetarie di 5 ducati per i maschi, 6 per le femmine, 8 per le femmine incinte e 3 per i cuccioli secondo l'articolo 26 del regio regolamento di caccia del 1826, una taglia che fu sospesa alla fine di quel secolo.[46] Ciònondimeno, il lupo fu considerato "tutt'altro che raro" in Catania e "comunissimo" in Messina e Siracusa durante gli anni 1890.[47] Il lupo era probabilmente ancora presente nelle zone confinanti con il Canton Ticino nel 1860, ma si riteneva raro in tutta l'Italia settentrionale nel 1880.[48] Secondo Michele Lessona, il lupo era ormai raro in Italia e si diceva che fosse estinto in Piemonte, sebbene dall'anno 1864-1880 furono portati sei lupi provenienti da Valdieri al giardino zoologico reale di Torino.[49]

XX secolo

 
Lupi avvelenati con la stricnina dal primo direttore del Parco nazionale d'Abruzzo Carlo Paolucci nel novembre del 1924

All'inizio del XX secolo, il lupo era apparentemente ancora abbondante nelle provincie centrali e meridionali, soprattutto dell'Aquila, Campobasso, Caserta, Benevento, Avellino, Salerno, Potenza, Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Nei primi anni 1920, ci fu un periodo di recupero nella popolazione di lupo, in cui la specie ricolonizzò la Romagna sino al Falterona e ai monti faentini, un fatto secondo Giuseppe Altobello rintracciabile alla nuova legge sulla protezione della selvaggina che ne permetteva la caccia solo dal 15 agosto al 31 dicembre.[40][50][51] Viene generalmente accettato che l'ultimo esemplare in Sicilia sia stato abbattuto nel 1924 presso Bellolampo, sebbene ci siano ulteriori segnalazioni fra il 1935 e il 1938, tutte nelle vicinanze di Palermo.[22] In Norditalia l'ultimo lupo fu ucciso nel 1927 sui monti dell'attuale provincia del Verbano-Cusio-Ossola[52].

Nel 1939, il lupo fu incluso fra gli animali classificati come nocivi nell'articolo 4 delle nuove norme per l'esercizio della caccia, e la sua eliminazione, come specificato in articolo 25, si poteva svolgere con lacci, tagliole, trappole e bocconi avvelenati "anche nei luoghi facilmente sorvegliabili". Fu inoltre permessa la caccia notturna e l'eliminazione dei cuccioli.[53] La contrazione dell'areale del lupo accelerò nel dopoguerra, grazie principalmente all'utilizzo liberale di bocconi avvelenati anche in aree protette.[48]

Nel 1971, dopo appelli da parte del ramo italiano del WWF,[54] il Ministero dell'agricoltura e delle foreste proibì la caccia al lupo in tutto il territorio italiano fino al 31 dicembre 1973.[55] Per estendere il divieto, fu necessario un sondaggio accurato sul numero di lupi rimasti sulla penisola. Perciò, i biologi Luigi Boitani e Erik Zimen avviarono due censimenti negli Appennini durante la prima metà del 1973. La metodologia del censimento indiretto consisteva nel perlustrare un territorio che si estendeva da Firenze meridionale alla Calabria meridionale, intervistare informalmente gli abitanti dei luoghi pertinenti e controllare tutte le segnalazioni recenti di avvistamenti e abbattimenti di lupi e dei danni inflitti sul bestiame, mentre quella diretta consisteva nel perlustrare la Maiella, dove viveva ancora un numero elevato di lupi. Alla conclusione dei censimenti, i due biologhi conclusero che ci fossero 80-100 lupi negli Appennini che sopravvivevano in piccole zone isolate dove scarseggiavano prede naturali. Oltre il bracconaggio e la carenza di prede, un'ulteriore minaccia a queste popolazioni fu identificata nell'incremento di attività turistiche nelle zone ancora abitate dai lupi.[54] A seguito del censimento, fu proibito a tempo indeterminato la caccia al lupo e l'utilizzo di bocconi avvelenati in tutto il territorio nazionale nel 22 novembre 1976.[56] Un altro studio di Luigi Cagnolaro svolto attraverso dei questionari rivolti al Corpo Forestale stimò 300-400 lupi distribuiti lungo tutta la dorsale appenninica.[57] Nel 1983, una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione.[58][59]

L'11 febbraio 1992 la legge sulla caccia n. 157 lo classificò come "specie particolarmente protetta".[60] Nel 1998, si stimava che in Italia ci fossero circa 400-500 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come Valle Stura e Val di Susa in Piemonte, dalle quali erano scomparsi da quasi un secolo.[61]

XXI secolo

Nel 2000, il lupo aveva colonizzato l'intera catena appenninica, con almeno 50 esemplari segnalati nelle Alpi occidentali sulla frontiera franco-italiana.[62] Fu successivamente fondata la Wolf Alpine Group (WAG), un gruppo composto di ricercatori italiani, francesi e svizzeri, per meglio monitorare la nuova popolazione alpina.[63] Nel 2005, il lupo era presente dall'Aspromonte fino alle Alpi Occidentali, nelle zone collinari tirreniche tra Lazio settentrionale e Toscana centro-meridionale.[64]

Nel 2010, l'espansione verso est della popolazione alpina coincise con l'arrivo nelle Alpi centro-orientali sia di lupi provenienti dalla popolazione dinarica-balcanica. Due anni dopo, una lupa appenninica e un lupo originario della Slovenia si incontrarono nel Parco della Lessinia, formando una coppia riproduttiva.[20] Un esame sistematico della letteratura disponibile sulla popolazione lupina in Italia nel periodo tra 2009-2013 rivelò la presenza di circa 321 branchi, corrispondente a un totale di 1 269-1 800 individui.[65]

Nel 2020-2021, sotto il coordinamento di ISPRA, fu avviata la prima indagine su scala nazionale sulla popolazione di lupi in tutto il territorio italiano con metodologie standardizzate di stima diretta, rivelando la presenza di circa 3 307 lupi in Italia.[66]

Popolazioni e gestione

Attualmente, la Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE) divide la popolazione presente sul territorio italiano in due gruppi: quella penisolare e quella alpina, per ragioni di condizioni ecologiche e pratiche di gestione diverse[67]: mentre la popolazione penisolare si trova esclusivamente in Italia, quella alpina è condivisa tra l'Italia, la Francia, la Svizzera, l'Austria e la Slovenia. Le regioni e province abitate dalla popolazione alpina includono Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Trento, Bolzano, Veneto e Friuli-Venezia-Giulia, mentre Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria ospitano la popolazione peninsulare.[66]

Nel 2002 il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio pubblica il primo " Piano d'azione nazionale per la protezione del lupo", con la premessa che nonostante l'approccio più corretto per la salvaguardia della biodiversità sia la tutela degli ambienti naturali a prevenzione dell'estinzione delle diverse specie, nei casi riguardanti specifici <<taxa fortemente minacciati di estinzione>> è necessario seguire un approccio parziale specie-specifico come nel caso del lupo. Inoltre raccomanda: <<Una corretta strategia di conservazione relativa ad una determinata specie, deve contemplare la pianificazione degli obiettivi nel breve, medio e lungo periodo e deve essere flessibile e modificabile nel tempo.>> Riporta come densità di presenza normale 1/3 individui per 100 kmq (pag.19)[68].

In Italia, dei dati raccolti da vari enti e gruppi di interesse sotto il coordinamento dell'ISPRA nel periodo del 2020-2021 rivelarono la presenza di circa 2 945-3 608 lupi in Italia, 822-1 099 dei quali nelle regioni alpine e 2 020-2 645 nelle regioni peninsulari. Lo stesso sondaggio indicò che il lupo occupa stabilmente un areale di oltre 150 000 km², dal Parco Nazionale del Gran Paradiso a nord fino all'Aspromonte a sud, compreso il Gargano: sulla base dei dati analizzati dall'ISPRA, l'areale minimo di presenza del lupo nelle regioni alpine nel 2020-2021, è stato stimato in 41 600 km², cui si aggiunge l'estensione della distribuzione nelle regioni peninsulari, risultata pari a 108 534 km². Il lupo occupa quindi la metà del Paese continentale e nelle regioni peninsulari ha colonizzato la quasi totalità degli ambienti idonei.[66][69][70] Nel 2023, si stimava che l'Italia ospitasse il maggior numero di lupi in tutta l'UE.[4]

Il lupo è rigorosamente protetto sotto Allegato II della legge 5 agosto 1981, n. 503, della Convenzione di Berna,[71] l'articolo 2, comma 1 della Legge 11 febbraio 1992, n. 157[60] e nell'Allegato D del D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 di recepimento della Direttiva Habitat 92/43/CEE.[72] Sotto il D.P.R., in conformità con la Direttiva Habitat, il lupo può essere cacciato solo in date circostanze, come in risposta a attacchi contro bestiame[71]. Fatte salvo le situazioni di legittima difesa[73][74].

La Legge 150/1992 include la specie Canis lupus nell'elenco delle "specie pericolose per la salute e l'incolumità pubblica" delle quali quindi è vietato il possesso da parte di privati[75]; divieto ribadito con il Decreto Ministeriale 19 aprile 1996 "Elenco delle specie animali che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione"[76].

Il 12 agosto 2025 in Val Venosta, a causa delle ripetute predazioni sul bestiame, viene abbattuto legalmente dai forestali il primo lupo dopo 50 anni.[77][78]

Sovvenzioni economiche a sostegno della specie

Contestualmente all'espansione della specie, sono state impegnate delle risorse economiche per favorire il successo della ricolonizzazione. Le più importanti riguardano l'attivazione di progetti Life europei, dei quali segue l'elenco, ai quali hanno concorso anche enti ed associazioni con donazioni proprie.

  • Progetto Life Wolfalps: il progetto ha l'obbiettivo di supportare la coesistenza tra persone e lupi sulle Alpi attraverso azioni coordinate in Italia, Francia, Austria e Slovenia per mitigare l’impatto della specie sull’allevamento, stabilire un equilibrio tra il mondo della caccia e la presenza dei predatori, contrastare il bracconaggio e diffondere un’informazione corretta e basata su dati scientifici.[79]
  • Progetto Life Wild Wolf: azioni concrete per mantenere i lupi selvatici nei paesaggi antropogenici dell’Europa[80]. Progetto che mira a contribuire alla conservazione a lungo termine del lupo in Europa e a ridurre i conflitti legati all’uomo.[81]
  • Progetto Life M.I.R.C.O. lupo: si propone di migliorare le condizioni di conservazione del lupo agendo, in particolare, sui cani vaganti e randagi che alimentano gravi minacce.[82]

Principali Minacce

Ibridazione canina

"Biondo", un lupo ibrido maschio segnalato nel 2020
"Benny", un lupo ibrido figlio di "Biondo" con radio-collare
  Lo stesso argomento in dettaglio: Lupo ibrido.

La datazione dei reperti fossili indicano che cani e lupi coabitano sulla penisola italiana da almeno il Paleolitico superiore, circa 14 000 anni fa.[84] Si desume perciò che, prima dell'intensificazione delle attività antropiche negli ultimi decenni del XX secolo, il fenomeno di ibridazione fra i due sia stato raro grazie alle barriere ecologiche che li separavano. Attualmente, tale evento sembra avvenire in zone dove i lupi si trovano superati di numero da cani di taglia grossa vaganti, randagi o inselvatichiti, e nei luoghi dove il bracconaggio o il prelievo legale porta allo sfaldamento della coesione sociale dei lupi. Le aree dove si trovano fonti di cibo concentrate, come le carcasse di bestiame o le discariche, possono anch'esse portare i lupi ad associarsi con i cani. Queste fonti di cibo possono inoltre aumentare le possibilità di sopravvivenza delle cucciolate ibride.[85] Il fenomeno, considerando le alte percentuali di individui ibridati, è motivo di grande preoccupazione per la conservazione del lupo, dato che l'introgressione genetica del cane compromette l'integrità genomica della specie, potenzialmente introducendo varianti geniche non adatte alla vita selvatica. Inoltre, gli ibridi possono dimostrare comportamenti più audaci dei lupi puri nelle zone antropizzate, aumentando così il rischio di conflitto, e presentano difficoltà di identificazione in natura a causa di caratteri morfologici come i colori del mantello più variegati. L'introgressione può anche aumentare la frequenza dell'estro da singola a doppia annuale.[85]

L'Italia risulta avere la più alta concentrazione di ibridazione in tutta l'UE,[86] ed è considerata la minaccia più grave per la specie in Italia dalla Lista rossa IUCN italiana.[1] I primi casi di ibridazione furono segnalati negli anni ottanta con la scoperta di un numero crescente di lupi con fenotipi anomali. Data però la morfologia variabile del lupo, non ci furono azioni gestionali immediati. Negli anni novanta, attraverso uno studio sul mtDNA dei lupi su scala globale, non vi furono segni di introgressioni, portando alla conclusione che ci fossero barriere riproduttive comportamentali tra i lupi e i cani che impedivano l'accoppiamento. Questa metodologia però era limitata dal fatto che era capace di segnalare introgressioni solo per via materna.[85] Nei primi anni 2000, si fece ricorso ai marcatori nucleari biparentali per misurare il livello di introgressione canina nel lupo appenninico. Sebbene l'indagine fu condotta con più efficienza del tentativo precedente, furono esaminati solo un massimo di 18 loci microsatelliti per esemplare, un numero ora ritenuto insufficiente per individuare gli ibridi, e talvolta i risultati mostrarano nessun segno di ibridazione anche in lupi con chiari segni fenotipici rintracciabili ai cani, come speroni sulle zampe posteriori. Dagli ultimi anni 2000 in poi, l'ISPRA fa affidamento agli SNP per identificare i geni rintracciabili ai cani nella popolazione lupina, come ad esempio l'allele Kb, responsabile per il melanismo. Ciononostante, il numero di ibridi allo stato brado in Italia potrebbe essere sottovalutato, dato i limiti dei metodi di campionamento e la mancanza di un piano nazionale per gestire attivamente il fenomeno.[85]

Uno studio svolto nel 2004 rivelò che il 20-25% dei 192 lupi esaminati in provincia di Arezzo dal 1984-2004 mostravano mantelli neri.[87] Studi effettuati negli anni 2010 hanno rilevato ibridazioni nel 50%-70% dei lupi presenti nella Toscana e nell'appennino tosco-emiliano,[88] e nel 30.6% di quelli presenti nella provincia di Grosseto.[86] Delle analisi genetiche di 1.500 esemplari raccolti dall'ISPRA nel periodo del 2020-2021 su scala nazionale rivelarono segni di ibridazione antica nel 15.6% dei campioni e di ibridazione recente nell'11.7%.[69]

Bracconaggio

L'uccisione deliberata da parte dell'uomo, attraverso i bocconi avvelenati, lacci e armi da fuoco, sembra essere la principale fonte di mortalità, soprattutto nelle zone dove il lupo è causa di conflitto con attività di carattere economico[61] come l'allevamento e la caccia di selvaggina ungulata.[89] Di 60 lupi morti rinvenuti nel periodo 1984-1990 in Italia, fu determinato che il 78% furono casi di bracconaggio,[61] mentre 21 lupi furono trovati morti per bracconaggio in solo Piemonte nel 2010-2012. Stime degli animali morti per qualsiasi causa, però, possono sempre essere sottostimate, data la difficoltà oggettiva nel ritrovare il corpo dell'animale selvatico.[90] L'utilizzo di esche avvelenate è particolarmente devastante perché può uccidere interi branchi, e la sua mancanza di selettività può portare alla morte di altri animali, inclusi gli uccelli rapaci e animali domestici, soprattutto i cani.[91][92] Tra i veleni segnalati ci sono pesticidi (organoclorurati, organofosforici, carbammati, erbicidi) e rodenticidi (crimidina, fosfuro di zinco), alcuni facilmente reperibili, altri, come il cianuro e la stricnina, portati in Italia clandestinamente data la loro illegalità.[91]

Investimenti

 
Lupo investito in Lombardia

Insieme al bracconaggio, le morti per impatto con un veicolo sono una principale causa di mortalità nella popolazione italiana. In Piemonte, in dieci anni furono segnalati 18 morti per investimento nelle valli torinesi, particolarmente in Val di Susa, dove un territorio frequentato da due branchi è frammentata da infrastrutture e vie di comunicazione.[93] Di 154 carcasse di lupo raccolte nell'Italia centro-orientale nel periodo tra 1991 e 2001, l'investimento fu determinato a essere la principale causa di morte sia per lupi maschi che femmine, ma con una preponderanza di esemplari giovani al di sotto dei quattro anni.[26] Un'ulteriore indagine su 212 carcasse di lupo raccolte in Emilia-Romagna e Toscana nel periodo tra 2005 e 2021 determinò che il 49% dei campioni erano vittime di investimento. La maggior parte degli investimenti avvenivano in settembre-ottobre, coincidendo con il periodo in cui i lupi giovani cominciano a muoversi indipendentemente dal branco.[27][94]

Randagismo canino

I cani vaganti, randagi e rinselvatichiti sono concorrenti del lupo per il cibo e lo spazio vitale. Nel 2012, si stimava che ci fossero dai sei ai settemila cani randagi in Italia, contro un numero di circa 900 lupi.[95] Tra i vantaggi competitivi dei cani sui lupi ci sono la superiore capacità riproduttiva (con due cicli estrali all'anno piuttosto che uno come si riscontra nel lupo) e la maggior tolleranza umana verso di loro. Presso le discariche, dove i cani e i lupi hanno maggior possibilità di incontrarsi, esiste pure il rischio dello spargimento di malattie come l'echinococcosi nei lupi. I branchi di cani inselvatichiti stabilitisi in una data zona possono inoltre ostacolare i lupi vaganti in cerca dei propri territori.[96] La predazione sul bestiame da parte dei cani può portare all'incolpamento dei lupi da parte degli allevatori, siccome le ferite inflitte dai cani sono pressoché indistinguibili da quelle inflitte dai lupi.[61]

Nella cultura

Nomi regionali

Cognomi e toponimi

 
Distribuzioni di toponimi lupini in Italia

Cognomi italiani derivati dal latino lupus includono: Lupi, -o, -is, Lóvo, Lupétti, Lupatti, Lupatèlli, Lupini, -o, Lupicini, Lupoli, Luppoli, Lupori, Luporini, Luparini, Luperini, Lupóne, Lupièri, Lovèlli, Lovini, Luvini, Lovòtti, Luvotti, -o, Lovatti, Lovattini, Lovari, -ini, Lovati, -o, Lovàt e Lovatèlli. Dal germanico wolf si ha anche Adinòlfi.[7]

Secondo il Portale Cartografico Nazionale (PCN), vi sono almeno 1555 toponimi accertati risalenti ai lupi sparsi in gran parte dell'Italia, incluso la Sardegna, dove la specie non è mai stata presente. Una delle categorie di luogo che porta il nome del lupo più comune include insediamenti umani come castelli, ponti, villaggi e case isolate.[8]

Vi sono 45 località che portono il nome di "Fosso del lupo" e 124 con "Cantalupo". L'11% dei nomi contengono implicazioni aggressive, con 87 posti contenenti la parola "Lupara", 13 con "Caccialupo", e 12 con "Mazzalupo". Presso Roma, appare la località "Cecalupo", mentre "Scannalupi" appare solamente in Sicilia. La località di "Bacialupo" è notevole nell'essere l'unico toponimo con implicazioni positive.[8]

Superstizioni

Licantropi

Giuseppe Pitrè notò che in Sicilia la credenza nei licantropi era "comunissima" in tutte le città e paeselli dell'isola.[103]

Secondo Giuseppe Altobello, la credenza nei licantropi, o lupe-menare, era ancora diffuso in Abruzzo nei primi anni 1920, ed era tradizione tra le popolazioni rurali coprirsi il volto quando riposavano di notte durante una luna piena all'aperto, perché si riteneva che esporre la faccia alla luna avrebbe trasformato il dormiente in un lupo.[9]

Medicina popolare

Il lupo svolgeva anche un ruolo nella medicina popolare. Ai neonati irrequieti veniva messo attorno al collo un fascio d'intestino di lupo, mentre si riteneva possibile evitare gli aborti spontanei legando un intestino di lupo attorno all'addome della madre. Inoltre, si pensava che il grasso di lupo potesse curare i reumatismi e la tonsillite, mentre un dente o un ciuffo di pelo lupino veniva indossato come talismano contro il malocchio[9].

[104]

[98]

Note

  1. ^ a b c A. Battistoni e C. Teofili, Lista Rossa IUCN dei vertebrati italiani 2022 (PDF), in Comitato Italiano IUCN e Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Roma, 2022, pp. 31, 38.
    «[...] il Lupo è considerevolmente aumentato nel numero, ora è fermamente insediato sulle Alpi occidentali e si è diffuso anche nelle Alpi centrali; questa specie migliora anche rispetto alla precedente valutazione e, cautelativamente, è stata valutata come Quasi Minacciata (NT, nella precedente analisi del 2013 era inserita nella categoria VU), il fattore di minaccia principale è rappresentato dal rischio dell’ibridazione introgressiva con il cane che appare maggiore rispetto al passato.»
  2. ^ (EN) Mariomassone/Sandbox, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  3. ^ a b (EN) D. A. Iurino et al., A Middle Pleistocene wolf from central Italy provides insights on the frst occurrence of Canis lupus in Europe, in Scientific Reports, vol. 12, 2022, p. 2882, DOI:10.1038/s41598-022-06812-5.
  4. ^ a b Blanco e Sundseth, 2023, p. 26.
    «The countries with the most wolves in the EU are Italy (3,307), Romania (2,500-3,000), Spain (>2,100), Poland (1,886), Germany (1,400) and Greece (1,020).»
    .
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Bibliografia