Battaglia di Eraclea
La battaglia di Heraclea si svolse nell'anno 280 a.C. tra le truppe della Repubblica romana guidate dal console Publio Valerio Levino e le truppe della coalizione greca d'Epiro, di Taranto, di Thurii, di Metaponto e di Heraclea, sotto il comando del re Pirro.
| Battaglia di Heraclea | |
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Teatro dello scontro fu il territorio dominato dalla città di Heraclea, (l'odierna Policoro)[1]. Plutarco descrive Pirro come accampato nella pianura tra Pandosia ed Heraclea, con il fiume Siris, attuale Sinni, di fronte a lui[2]. Le celebri tavole di Heraclea fanno riferimento all'esistenza di una città di nome Pandosia nelle immediate vicinanze di Heraclea[3]. Da tali comunicazioni si deduce che Pirro fosse situato a una distanza molto breve dalla città di Heraclea, ma apparentemente fuori da tale territorio; il suo sito è stato fissato con una certa probabilità nell'attuale Anglona (frazione di Tursi), nei pressi delle mura dell'antica città di Pandosia[4][5], a circa 11 km dal mar Jonio e 6 km da Heraclea.
In quegli anni Roma stava espandendo la sua influenza su tutta la penisola e mirava a conquistare le autonome poleis della Magna Grecia. Questa battaglia fu il primo scontro tra il mondo greco e quello romano e fu anche il primo in cui vennero utilizzati gli elefanti da guerra, che i romani chiamarono "buoi Lucani"[6] poichè visti per la prima volta in terra lucana. La battaglia fu vinta dalla coalizione epirota proprio grazie all'uso degli elefanti, arma potente e micidiale.
Contesto storico
Alla fine del III secolo a.C. la Repubblica romana cercava di estendere i propri territori verso il sud Italia. A quel tempo, Taranto era una tra le principali colonie greche della Magna Grecia. I rappresentanti della città, i democratici Philocharis e Ainesias[7], per salvaguardare l'indipendenza di Taranto, si opponevano a Roma che premeva per l'annessione di quei territori. Questa lieve inquietudine si accentuò dopo i successi romani:
- L'alleanza con i lucani nel 298 a.C.[8];
- La sottomissione dei sanniti nel 291 a.C. e dei sabini nel 290 a.C.[9];
- Le vittorie sulle città etrusche e sui mercenari galli.
Lo storico Pierre Grimal[10] ricorda le buone relazioni tra Roma e le città greche createsi grazie alle guerre sannite e allo sviluppo delle relazioni commerciali verso l’Oriente[11]. Quando, nel 282 a.C., i romani passarono via nave da Taranto, i tarantini consideravano ancora vigente un vecchio trattato[12], che per i romani, con lo sviluppo degli eventi[10][11], era ormai decaduto. Tale trattato impediva ai romani la navigazione con navi da guerra a nord del Capo Lacinio[13]. Era inoltre inibito l'intervento romano nelle città greche della costa ionica. Alcuni storici collocano, erroneamente, questo patto nell'anno 303 a.C.[14]. Le guerre che mobilitarono Roma in Italia centrale, però, portarono in secondo piano il blocco marittimo.
Secondo lo storico Marcel Le Glay[15], una parte politica romana e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, premevano per l’espansione di Roma verso il sud Italia.
Il blocco alla navigazione poteva essere un motivo del conflitto tra i romani e i tarantini: infatti Roma estese il suo controllo verso sud, fondando numerose colonie in Puglia e in Lucania, dove tra le più importanti ci fu Venosa (antica Venusia)[16]. Verso il 285 a.C. le truppe romane intervennero nelle colonie greche d’Italia: Crotone (antica Kroton), Locri (antica Locres) e Reggio Calabria (antica Rhegium) per proteggerle dagli attacchi dei ribelli lucani e dei bruzi, venendo dinuovo meno all'antico trattato[13].
I democratici di Taranto intuirono il piano di guerra romano che mirava alla conquista della Magna Grecia. Inoltre i tarantini erano inquieti per l'ascesa al potere degli aristocratici romani a Thurii, i quali decisero nel 282 a.C. di far stanziare una guarnigione romana dentro la città, per proteggerla dai lucani[17]. Un’altra guarnigione di soldati romani si stanziò a Reggio Calabria, mettendo lo stretto di Messina sotto la protezione romana. Tutto questo metteva in pericolo l’indipendenza delle colonie della Magna Grecia.
Casus belli
Nell’autunno del 282 a.C., durante le celebrazioni in onore di Dioniso svolte nel teatro in riva al mare, i tarantini videro dieci navi d’osservazione romane, comandate da Publio Cornelio Dolabella, entrare nel golfo di Taranto[18]. Irritati dalla violazione dei romani, i tarantini inviarono la loro flotta contro le navi romane. Durante lo scontro, quattro navi romane furono affondate ed una fu catturata[19].
Lo storico romano Cassio Dione Cocceiano ha proposto tutt’altra versione dell’incidente: Lucio Valerio Flacco, partito da Roma verso Taranto, attraccò nella città. I tarantini, irritati per l’ingresso dell’imbarcazione e credendo intenzioni aggressive, lo attaccarono e lo affondarono[20]. L’esercito e la flotta tarantina partirono all’attacco della città di Thurii cacciando gli aristocratici, successivamente ristabilirono i democratici al potere e cacciarono via la guarnigione romana[19].
I romani, allora, organizzarono una missione diplomatica guidata dall'ambasciatore Postumio. Secondo Cassio Dione Cocceiano, i diplomatici romani furono derisi e oltraggiati dalla popolazione tarantina che urinò sulla toga di Postumio[20][21], il quale subito dopo esclamò “ridete, ridete, il vostro sangue laverà i miei abiti”[22].
Dopo questo affronto i romani chiesero la liberazione dei prigionieri, il ritorno dei cittadini espulsi da Thurii, il risarcimento dei danni che avevano causato e l’arresto degli autori dei crimini. Le rivendicazioni romane non furono comprese perché gli ambasciatori di Roma non parlavano bene il greco[19], furono reputate eccessive e quindi respinte. Fallita la missione diplomatica, Roma si sentì in diritto di dichiarare guerra a Taranto. Malgrado le loro iniziali vittorie i tarantini erano consapevoli della forza di Roma e per questo chiesero aiuto a Pirro re dell’Epiro.
Primo intervento armato
Pirro non poteva rifiutare una richiesta di aiuto fatta da Taranto poiché quest'ultima aveva dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C.. Inoltre si dice che i tarantini e gli altri alleati avessero affermato di poter disporre di 350.000 uomini e 20.000 cavalieri[23] reclutati tra sanniti, lucani e bruzi. Nel 281 a.C., sotto il comando di Lucio Emilio Barbula, le legioni romane entrarono in Taranto e la conquistarono, malgrado i rinforzi dei sanniti e dei messapi. All’indomani della battaglia i greci chiesero una breve tregua e la possibilità di intavolare delle trattative con i romani.
I negoziati vennero bruscamente interrotti con l'arrivo a Taranto dell'ambasciatore Cinea che precedeva o accompagnava 3.000 soldati, avanguardia di Pirro, sotto il comando del generale Milone di Taranto[24][25]. Il console romano Barbula, che si era spinto nel metapontino, venne a contatto con le macchine da guerra delle navi nemiche che erano disposte lungo la costa a pattuglia del golfo[25]. Nella battaglia che ne scaturì, Barbula, grazie alla sua astuzia, riuscì a subire perdite minori del previsto poiché dispose sul lato destro della colonna, esposti ai colpi, i prigionieri di guerra[26]. Il progetto di Pirro era quello di aiutare Taranto per poi giungere in Sicilia e quindi attaccare Cartagine. Sperava nel successo contro questi ultimi per conquistare l'egemonia sul Mediterraneo.
I preparativi
Dopo aver lasciato l’Epiro, Pirro fece numerose richieste: ad Antioco I (re della Siria), ad Antigono II Gonata (figlio di Demetrio I Poliorcete) e al re di Macedonia, Tolomeo Cerauno a cui chiese un aiuto finanziario e marittimo. Il re dell’Egitto Tolomeo II promise l'invio di 4.000 soldati, 5.000 cavalieri e 50 elefanti da guerra[27][28]. Questa forza doveva servire a difendere l’Epiro durante la campagna d’Italia.
Pirro reclutò altri mercenari, come i cavalieri di Tessaglia e i frombolieri di Rodi, per affrontare la campagna d'Italia[29]. Nel 280 a.C. Pirro si imbarcò verso le coste italiane. Sorpreso da una tempesta durante la traversata, che arrecò danni alle navi, preferì sbarcare le truppe probabilmente nei pressi di Brindisi[30], per poi raggiungere Taranto via terra favorito dall'aiuto dei messapi[31][24][26].
Dopo aver atteso le restanti navi, lasciò a Taranto un presidio di 3.000 uomini con il suo fidato ambasciatore Cinea[25] e si accampò nei pressi di Heraclea con un'armata di circa 25.500 uomini, composta da 20.000 opliti, 3.000 cavalieri, 20 elefanti da guerra, 2.000 arcieri e 500 frombolieri[24]. I romani, che avevano previsto l’arrivo imminente di Pirro, decisero di mobilitare 8 legioni. Queste legioni comprendevano circa 80.000 soldati[32] divisi in quattro armate:
- La prima armata, comandata da Barbula, si stanziò a Venosa con il compito di bloccare i sanniti e i lucani per non farli congiungere con le truppe di Pirro.
- La seconda armata aveva come compito la protezione di Roma nel caso in cui Pirro tentasse di attaccarla.
- La terza armata, comandata dal console Tiberio Coruncanio, aveva il compito di attaccare gli etruschi, al fine di evitare un’alleanza con Pirro[33].
- La quarta armata, comandata da Publio Valerio Levino, aveva il compito di attaccare la città di Taranto ed invadere la Lucania.
Valerio Levino decise, quindi, di recarsi ad Heraclea, città alleata dei tarantini, con l’intenzione di bloccare la rotta di Pirro verso le colonie greche della Calabria. Questa manovra servì ad evitare che le colonie greche di Calabria si sollevassero contro Roma.
Forze in campo
I numeri dell'esercito romano sono approssimativi, poiché le fonti presentano lacune in quel periodo storico[34]. I numeri dell'esercito greco, invece, risultano essere molto più precisi[35].
Repubblica romana
La disposizione teorica delle truppe della Repubblica romana[36][37]:
Comandante: Publio Valerio Levino
- ~16.800 legionari romani suddivisi in quattro legioni
- ~20.000 truppe alleate suddivisi in quattro legioni
- ~1.200 cavalieri romani
- molte migliaia di cavalieri alleati che avevano il compito di difendere il campo e non presero parte alle ostilità.
Epiro e Taranto
La disposizione delle truppe d'Epiro e di Taranto[24][37]:
Comandante: Pirro
- 20.000 opliti disposti a falange
- 3.000 cavalieri, incluse le truppe di Tessaglia
- 3.000 hypaspistai sotto il comando di Milone di Taranto
- 2.000 arcieri greci
- 500 frombolieri rodensi
- opliti e cavalieri di Taranto
- 20 elefanti da guerra
Fasi del conflitto
Pirro decise di non marciare immediatamente verso Roma, probabilmente per attendere i rinforzi alleati, ma nel frattempo il console Levino invase la Lucania e bloccò le armate dei lucani e dei bruzi che cercavano di unirsi agli uomini di Pirro[2].
Non potendo più contare sui rinforzi, Pirro decise di accamparsi e attendere i romani nella piana situata tra le città di Heraclea e di Pandosia[2], non lontano dalla riva sinistra del Sinni. Avendo meno uomini del console Levino, sperava in una ritirata dei romani per le eventuali difficoltà nella traversata[38].
Prima fase
Poco prima l'inizio della battaglia, Pirro inviò dei diplomatici al cospetto del console romano Levino per proporgli la sua mediazione nel conflitto tra Roma e le colonie greche della Magna Grecia[2]. I romani rigettarono la proposta e si accamparono nella piana sulla riva destra del fiume Sinni. Non potendo più ritardare l'azione, per la scarsità di rifornimenti, Levino decise di attraversare il fiume[39].
Da Dionigi di Alicarnasso[40] e da Plutarco[41] apprendiamo:
All’alba del 1 luglio 280 a.C. i romani attraversarono il fiume Sinni. Pirro non giunse in tempo con la cavalleria sulle sponde per sorprendere le truppe romane durante il guado[39], così i cavalieri romani attaccarono indisturbati il fianco della fanteria greca lasciata in copertura. Le truppe greche accerchiate dalla cavalleria romana furono costrette alla ritirata.
Seconda fase
Dopo l'attacco romano, Pirro ordinò alla cavalleria macedone e tessaglia di attaccare la cavalleria romana. Il resto della sua fanteria, composta da mercenari, arcieri e una fanteria leggera, si mise in marcia. La cavalleria greca attaccò quella romana facendola ripiegare.
Durante il confronto, Oblaco Volsinio[42] capo di un distaccamento ausiliario della cavalleria romana, fermò Pirro e con un attacco a sorpresa lo ferì facendolo cadere da cavallo. Nel vano tentativo di assalire il re epirota fu però bloccato e ucciso dai soldati greci. Pirro decise allora di ritirarsi dalla battaglia e di affidare il comando delle truppe a Megacle, uno dei suoi fidati ufficiali[43].
Gli opliti in formazione a falange, giunti nei pressi dello scontro, debuttarono nella battaglia effettuando ben sette cariche nel tentativo di sopraffare i legionari romani[39]. Riuscirono a penetrare le prime linee nemiche ma non poterono continuare a meno di non rompere la loro formazione[44].
I romani intuirono le indecisioni di Megacle e non vedendo più Pirro al comando delle unità esultarono pensandolo morto. Galvanizzati dalla presunta notizia, cominciarono una contro-offensiva[45]. Per riprendere in mano le sorti della battaglia Megacle mandò in campo gli elefanti da guerra che crearono subito panico tra le fila romane[46].
La cavalleria epirota concluse il lavoro sbaragliando la fanteria romana ormai in ritirata e permettendo ai greci di impadronirsi del campo di battaglia e dell'accampamento romano. Nelle battaglie dell’antichità, la presa dell'accampamento nemico rappresentava una grande disfatta per l'avversario. Si suppone che i romani abbandonarono, nell'accampamento, materiali da guerra e armi. I legionari superstiti, forse seguendo la via Nerulo-Potentia-Grumento[47] si ritirarono a Venosa probabilmente senza il loro equipaggiamento[46].
Le perdite
Plutarco riporta le perdite della battaglia citando due fonti molto divergenti[45]:
- Secondo lo storico greco Geronimo di Cardia, l’esercito romano perse circa 7.000 soldati mentre Pirro ne perse 4.000.
- Secondo Dionigi di Alicarnasso, le perdite furono molto elevate, 15.000 morti romani e 13.000 per Pirro.
Inoltre secondo Eutropio 1.800 romani furono fatti prigionieri. Lo storico Paolo Orosio fornisce un bilancio delle perdite romane sorprendente: 14.880 morti e 1.310 prigionieri per la fanteria, 246 cavalieri uccisi e 502 prigionieri, oltre a 22 insegne perse[48]. I numeri di Paolo Orosio riprendono quelle di Dionigi ed Eutropio che le riportano in più racconti.
Pirro cercò di reclutare i prigionieri romani, come aveva fatto in Oriente con i contingenti mercenari, ma questi ultimi rifiutarono, rimanendo fedeli a Roma[49].
Conseguenze
Reazioni immediate
Dopo la battaglia, rinforzi provenienti dalla Lucania e dal Sannio si unirono all’esercito di Pirro. Le città greche d'Italia si allearono con Pirro e a Locri fu cacciata la guarnigione romana[46]. A Reggio Calabria, ultima posizione della costa del sud Italia controllata da Roma, il pretore campano Decio Vibullio, che comandava la guarnigione, massacrò una parte degli abitanti, cacciò i restanti e si proclamò amministratore di Reggio Calabria, ribellandosi all’autorità di Roma[50][51].
Pirro, sapeva che il console Levino era a Venosa dove curava i feriti, riorganizzava l'esercito e attendeva i rinforzi[52][53] e che il console Coruncario era impegnato in Etruria, progettò una manovra su Roma con l'intento di spingere gli alleati romani alla ribellione e di sorreggere gli etruschi contro Coruncario[54]. Durante un tentativo di prendere Napoli, si accorse ben presto che l'organizzazione romana era più salda di quanto credesse. Questo tentativo gli fece perdere tempo e quando giunse a Capua la trovò già presidiata da Levino. Proseguì verso Roma devastando la zona del Liri e di Fregelle giungendo così ad Anagni e forse a Preneste. Qui intuì di una manovra a tenaglia progettata dai romani: infatti Coruncario stava scendendo dal nord dell'Etruria contro di lui[55]. Pirro si rese conto di non disporre di abbastanza soldati per battersi con Levino e Barbula e di fronte a tali circostanze decise di ritirarsi.
In seguito, Gaio Fabricio Luscino venne inviato come ambasciatore presso Pirro per trattare lo scambio dei prigionieri fatti durante la battaglia di Heraclea. Quando incontrò Pirro[56], questo fu attratto dalle sue virtù, affidandogli i prigionieri per portarli con sè a Roma, a condizione che il Senato romano stabilisse un pagamento per il riscatto. Il Senato respinse le richieste di Pirro e Fabricio Luscino rimandò i prigionieri rispettando la sua promessa.
Impatto sulla storia
Questa battaglia incarna, insieme alla battaglia di Ascoli Satriano, le prime resistenze della Magna Grecia contro la neonata Repubblica romana che intendeva estendere l’egemonia all’intera penisola italica. Malgrado le vittorie di Heraclea e più tardi di Ascoli Satriano, Pirro fu battuto a Malevento (poi ribattezzata Benevento)[57]. Quest'ultima battaglia segnò l’inizio del declino militare del mondo greco a vantaggio del mondo romano[58].
Proverbi, leggende e superstizioni
Dopo la vittoria di Ascoli Satriano, vinta di misura, con estrema sofferenza e con perdite altissime, proprio come la precedente ad Heraclea, si dice che Pirro esclamò: "Un'altra vittoria come questa e torno a casa senza esercito!"[59].
Analogamente, queste due vittorie, valsero a Pirro il classico detto: vittoria di Pirro che, a tutt'oggi, è usato in molte lingue[60]:
Note
- ^ L. Quilici, pag. 201
- ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 16
- ^ A.S. Mazzocchi, pag. 104
- ^ A.S. Mazzocchi, lc, pp. 104-105
- ^ Romanelli, vol. I, pag. 265
- ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 357
- ^ Christopher L.H. Barnes, pag. 15
- ^ E. Pais, pag. 68
- ^ A. Momigliano, A. Schiavone, G. Clemente, F. Coarelli, pag. 25
- ^ a b P. Grimal, pp. 33-34
- ^ a b Nel 306 a.C., Roma strinse un accordo con Rodi, importante potenza commerciale marittima.
- ^ Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannitiche, 7.
- ^ a b L. Pareti, A. Russi, pag. 314
- ^ Il patto è considerato molto più antico di tale data come si apprende in L. Pareti, A. Russi, pag. 314
- ^ M. Le Glay, pp. 68-69
- ^ M. Conventi, pag. 168
- ^ Periochae dal libro XI della Ab Urbe condita libri di Tito Livio.
- ^ Secondo lo storico polacco Krzysztof Kęciek, l'aristocrazia ordinò ai comandanti romani Publio Cornelio Scipione e Lucio Valerio Flacco di arrestare i democratici tarantini e i loro sostenitori.
- ^ a b c Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannite, 15 e 16.
- ^ a b Cassio Dione Cocceiano, Fragmenta CV, del libro IX
- ^ Il Periochae della Ab Urbe condita libri di Tito Livio conferma che gli ambasciatori furono maltrattati. ((EN) Livy: the Periochae, su livius.org. URL consultato il 05-03-2009.)
- ^ E. Talbotpag. 67.
- ^ Il numero di cavalieri è troppo sproporzionato (soprattutto per una regione in cui esistevano allevamenti equini) rispetto a quello dei fanti, che andrebbe quindi ridotto a 250.000 ammettendo un errore di trasmissione scritta (KE' e ΛE'). (L. Pareti, A. Russi, pag. 340)
- ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 15.
- ^ a b c L. Pareti, A. Russi, pag. 340
- ^ a b Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 2.
- ^ Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro 17,2.
- ^ Pirro aveva trascorso alcuni anni ad Alessandria d'Egitto con il cognato Tolomeo II, che gli promise aiuti militari.
- ^ I democratici di molte città greche non erano favorevoli ad andare in guerra assieme all'Epiro e per questo decisero di non aiutarlo.
- ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 341
- ^ Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannitiche, 8.
- ^ Sulla una base teorica, una legione completa, conteneva al massimo 4.200 fanti più 300 cavalieri. Quindi circa 33.600 legionari e 2.400 cavalieri, a cui si dovevano aggiungere gli uomini forniti dalla città alleate, generalmente un numero equivalente o superiore.
- ^ A. Carandini, pag. 95
- ^ Dai libri di Tito Livio c'è un vuoto storico che va dal 293 a.C., al 219 a.C. Gli altri riassunti trovati riguardanti questo periodo non sono dettagliati, e quindi incerti.
- ^ Gli scritti di Plutarco, sono meno lacunosi e apprendiamo, con una certa precisione, i numeri dell'esercito greco.
- ^ Sulla base teorica di 4.200 legionari e 300 cavalieri romani par legione.
- ^ a b (EN) Jeff Jonas, The Initial Clash: Republican Rome vs. Pyrrhus of Epirus, su ancientbattles.com. URL consultato il 17-02-2009.
- ^ Strabone scrive che il Sinni era navigabile (Strabone, Geografia, libro VI, 1, 14), vedi anche:
- C.D. Fonseca, Le vie dell'acqua in Calabria e Basilicata, Catanzaro, 1995, pp. 239-277.
- ^ a b c L. Pareti, A. Russi, pag. 343
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XIX,12
- ^ Plutarco, Vita di Pirro, 16 e 17
- ^ Oblaco è nominato da Plutarco nel suo Oplax.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XVIII,2.
- ^ Polibio scrive dopo la Battaglia di Cinocefale del 197 a.C. di come sia essenziale, al fine della vittoria, mantenere la formazione a falange ben serrata e con i lati coperti. La falange è pressoché imbattibile se sfidata frontalmente, ma estremamente debole agli assalti dai fianchi e dalle spalle. (Polibio, Storie, libro XVIII, 26).
- ^ a b Plutarco, Vita di Pirro, 17.
- ^ a b c Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro XVIII,1.
- ^ Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 3, p. 372 C.
- ^ (LA) Paolo Orosio, Historiae adversum paganos, libro 4,1.
- ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II,11.
- ^ Polibio, Storie, libro I,1.
- ^ Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro XXII, 2.
- ^ Agostino d'Ippona, La città di Dio, III, 17.
- ^ Quinto Ennio, Annales, VI, fr. 183, V.
- ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II, 12, 1.
- ^ L. Pareti, A. Russi, pp. 344-345
- ^ Cinea, ambasciatore di Pirro, offrì a Gaio Fabricio Luscino una grossa somma di monete d'argento, ma quest'ultimo la rifiutò dicendo di amare più coloro a cui questo argento appartiene, che l'argento stesso. (Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi, libro IV, III).
- ^ G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, pag. 26
- ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 366
- ^ E. Talbotpag. 69.
- ^ La storia di Pyrrhus, su roth37.it. URL consultato il 06-02-2009.
Bibliografia
Fonti primarie
- Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannite.
- Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XVIII e XIX.
- Cassio Dione Cocceiano, Fragmenta, libro IX, CV e successivi.
- Quinto Ennio, Annales, libro VI, fr.183, V.
- Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II.11.
- Floro, Compendio di Tito Livio, libro I.18.
- Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi, libro IV.3.
- Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro XVII e XVIII.
- Agostino d'Ippona, La città di Dio, libro III.17.
- Paolo Orosio, Historiae adversum paganos, libro IV.1.
- Periochae della Ab Urbe condita libri di Tito Livio, libro XI.
- Plutarco, Vita di Pirro.
- Polibio, Storie, libro I.1.
- Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro XXII.2.
- Giovanni Zonara, Epitome, libro VIII.
Fonti secondarie
- (EN) Christopher L. H. Barnes, Images and insults: ancient historiography and the outbreak of the Tarentine War, Franz Steiner Verlag, 2005, ISBN 3515086897.
- Andrea Carandini, La Romanizzazione dell'Etruria, Regione Toscana, 1985.
- (FR) Jérôme Carcopino, Pyrrhus, conquérant ou aventurier?, Paris, Flammarion, 1961 ristampato nel 1992, ISBN 2080500899.
- Guglielmo Cavallo, Paolo Fedeli, Andrea Giardina, Lo spazio letterario di Roma antica, Salerno, 1991, ISBN 8884020751.
- (EN) Peter Connolly, Greece and Rome at War, Greenhill Books, ISBN 185367303X.
- Marta Conventi, Città romane di fondazione, L'Erma di Bretschneider, 2005, ISBN 8882652858.
- (EN) Petros E. Garoufalias, Pyrrhus, King of Epirus, ISBN 090574313X.
- Pierre Grimal, La civiltà dell'antica Roma, tradotto da T.M. Blasi, Newton Compton, 2007, ISBN 9788854108509.
- (PL) Krzysztof Kęciek, Benewent 275 p.n.e, Bellona Warsaw, 2001.
- (FR) Marcel Le Glay, Rome, Grandeur et Déclin de la République, Ed Perrin, 1990 ristampato nel 2005, ISBN 2262018979.
- Alessio Simmaco Mazzocchi, Commentario sulle Tavole Eracleensi, Napoli, 1754.
- Arnaldo Momigliano, Aldo Schiavone, Guido Clemente, Filippo Coarelli, Storia di Roma, Einaudi, 1990, ISBN 9788806117412.
- Theodor Mommsen, capitolo VII, Le guerre tra Roma e il re Pirro, nel libro II, in Storia di Roma, 1856.
- (EN) John Drogo Montagu, Battles of the Greek and Roman worlds, Londres, Greenhill Books, 2000, ISBN 1-85367-389-7.
- Antonio Nigro, Memoria tipografica ed istorica sulla città di Tursi e sull'antica Pandosia di Eraclea oggi Anglona, Napoli, Tip. Miranda, 1851.
- Ettore Pais, Storia di Roma dalle origini all' inizio delle guerre puniche, Optiman, 1926.
- Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 9788887114232.
- Lorenzo Quilici, Forma Italie, vol. I, Siris-Heraclea, Roma, Istituto di topografia antica dell'università di Roma, 1967.
- Maria Teresa Schettino, Tradizione annalistica e tradizione ellenistica su Pirro in Dionigi (A.R. XIX-XX), Latomus, 1991.
- (FR) Eugène Talbot, Histoire romaine, 1875.
Voci correlate
Collegamenti esterni
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- (LA) Marcus Junianus Justinus, Abrégé des Histoires Philippiques de Trogue Pompée - Libro XVIII (TXT), su sflt.ucl.ac.be. URL consultato il 04-03-2009.
- (FR) Polibio, Histoire générale, libro I, I, su remacle.org. URL consultato il 04-03-2009.
- (FR) La Guerre de Pyrrhus en Italie, su perso.orange.fr. URL consultato il 04-03-2009.
- (ES) La Bataille d'Héraclée, su satrapa1.com. URL consultato il 04-03-2009.
- Piero Pastoretto, Campagna di Pirro in Italia (280 a.C.-274 a.C.) (PDF), su arsmilitaris.org. URL consultato il 04-03-2009.
- La vittoria di Pirro ad Heraclea, su basilicatanet.it. URL consultato il 04-03-2009.