La battaglia di Heraclea si svolse nell'anno 280 a.C. tra le truppe della Repubblica romana guidate dal console Publio Valerio Levino e quelle della coalizione greca che univa Epiro, Taranto, Thurii, Metaponto e Heraclea, sotto il comando del re Pirro d'Epiro.

Battaglia di Heraclea
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Teatro dello scontro fu il territorio dominato dalla città di Heraclea, (l'odierna Policoro)[1]. Come narra Plutarco, Pirro si accampò nella pianura tra Pandosia[2] ed Heraclea, di fronte al fiume Siris, attuale Sinni[3]. Da queste informazioni si apprende che Pirro fosse accampato vicino alla città di Heraclea, ma all'esterno dei suoi confini territoriali. Si ritiene pertanto, con un certo grado di probabilità, che la sua posizione fosse a circa 11 chilometri dal mar Ionio e a 6,5 da Heraclea, nell'attuale territorio di Tursi e più precisamente nei pressi della frazione Anglona, vicino a dove un tempo sorgevano le antiche mura della città di Pandosia[4][5].

In quegli anni Roma stava espandendo la sua influenza sulla penisola italiana e mirava a conquistare le autonome poleis della Magna Grecia. Questa battaglia fu il primo scontro tra il mondo greco e quello romano e fu anche il primo in cui vennero utilizzati gli elefanti da guerra. I Romani non avevano mai visto questi animali e per questo li chiamarono "buoi lucani"[6], poiché furono scambiati per i grandi buoi tipici del posto[7]. La battaglia fu vinta dalla coalizione greco-epirota proprio grazie all'impiego di questi animali come strumenti bellici potenti e devastanti.

Contesto storico

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica romana, Guerre sannitiche, Magna Grecia e Storia di Taranto.
 
La Magna Grecia nel 280 a.C.

Alla fine del III secolo a.C. la Repubblica romana premeva per espandere i propri territori. A quel tempo, Taranto era una tra le principali colonie greche della Magna Grecia. I rappresentanti della città, i democratici Philocharis e Ainesias[8], intendevano salvaguardare l'indipendenza di Taranto e pertanto si opponevano alle mire espansionistiche di Roma su quei territori. Questa tensione si accentuò dopo una serie di successi romani:

Tra Roma e le città greche intercorrevano buone relazioni, come ricorda lo storico Pierre Grimal[11], scaturite in seguito alle guerre sannitiche e allo sviluppo dei traffici commerciali verso l'Oriente[12]. Quando, nel 282 a.C., le navi romane transitarono in prossimità di Taranto, esisteva un vecchio trattato che i Tarantini consideravano ancora vigente[13] e che all'opposto i Romani, in seguito allo sviluppo degli eventi[11][12], reputavano ormai decaduto. Tale trattato inibiva alle navi da guerra romane la navigazione a nord del Capo Lacinio[14] ed escludeva qualsiasi intervento romano nelle città greche della costa ionica. Questo accordo viene attribuito all'anno 303 a.C., ma esso è verosimilmente ancora più antico[14].

Lo storico Marcel Le Glay[15] pone l'accento sulle pressioni di una parte dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, per l’espansione territoriale di Roma verso il sud Italia.

È possibile che i limiti pattizi alla navigazione rappresentassero un motivo di conflitto tra i Romani e i Tarantini: difatti Roma estese il suo controllo verso sud, fondando numerose colonie in Puglia e in Lucania; una tra le più importanti fu Venosa (l'antica Venusia)[16]. Inoltre intorno al 285 a.C. l'esercito romano intervenne nelle colonie greche d'Italia, e in particolare a Crotone (antica Croton), a Locri (antica Locres) e a Reggio Calabria (antica Rhegium), allo scopo di proteggerle dagli attacchi dei ribelli Lucani e Bruzi, in ulteriore violazione degli antichi accordi[14].

I democratici di Taranto compresero che i piani di guerra Romani puntavano alla conquista della Magna Grecia e guardavano con preoccupazione l'ascesa al potere degli aristocratici romani a Thurii, che nel 282 a.C. avevano deciso di far stanziare una guarnigione romana dentro la città per proteggerla dai Lucani[17]. Un’altra guarnigione si stanziò a Reggio Calabria, mettendo lo Stretto di Messina sotto la protezione romana. Tutti questi eventi rappresentavano una minaccia all’indipendenza delle colonie della Magna Grecia.

Casus belli

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre pirriche e Pirro § La campagna militare in Italia.

Nell’autunno del 282 a.C., durante le celebrazioni in onore di Dioniso che si tenevano nel teatro sulla riva del mare, i Tarantini videro entrare nel Golfo di Taranto dieci navi da osservazione romane, al comando di Publio Cornelio Dolabella[18]. Infuriati per la violazione del trattato, i Tarantini mossero la propria flotta contro le navi romane. Nel corso dello scontro quattro navi romane furono affondate ed una fu catturata[19].

Lo storico romano Cassio Dione Cocceiano ha proposto tutt’altra versione dell’incidente: Lucio Valerio Flacco, salpato da Roma verso Taranto, attraccò la propria nave davanti alla città. I Tarantini, irritati dall'arrivo dell’imbarcazione e ritenendo che avesse intenzioni aggressive, la attaccarono e la affondarono[20]. A quel punto l’esercito e la flotta tarantina attaccarono la città di Thurii, cacciarono gli aristocratici, ristabilirono i democratici al potere e allontanarono la guarnigione romana che la presidiava[19].

 
John Leech, Pirro arriva in Italia con le sue truppe.

I Romani, allora, organizzarono una missione diplomatica guidata dall'ambasciatore Postumio. Sempre secondo Cassio Dione, i diplomatici romani furono derisi e oltraggiati dalla popolazione tarantina che urinò sulla toga di Postumio[20][21], il quale ebbe ad esclamare: “ridete, ridete, il vostro sangue laverà i miei abiti”[22].

Dopo questo affronto i Romani chiesero la liberazione dei prigionieri, il ritorno dei cittadini espulsi da Thurii, il risarcimento dei danni subiti e l’arresto degli autori dei crimini. Le richieste romane non furono comprese perché gli ambasciatori di Roma non parlavano bene il greco[19], furono reputate eccessive e quindi respinte. Fallita la missione diplomatica, Roma si sentì in diritto di dichiarare guerra a Taranto. I Tarantini, consapevoli della forza di Roma, non si lasciarono illudere dalle vittorie conseguite fino a quel momento e chiesero aiuto a Pirro re dell’Epiro.

Primo intervento armato

Pirro non poteva respingere la richiesta di aiuto fatta da Taranto poiché quest'ultima aveva dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C. Si dice che i Tarantini e i loro alleati si vantavano di poter disporre di 350.000 uomini e 20.000 cavalieri[23][24] reclutati tra Sanniti, Lucani e Bruzi. Nel 281 a.C. le legioni romane, al comando di Lucio Emilio Barbula, entrarono in Taranto e la conquistarono, malgrado i rinforzi dei Sanniti e dei Messapi. All’indomani della battaglia i Greci chiesero una breve tregua e la possibilità di intavolare delle trattative con i Romani.

I negoziati vennero bruscamente interrotti con l'arrivo a Taranto dell'ambasciatore Cinea che precedeva (o accompagnava) 3.000 soldati, forza d'avanguardia di Pirro posta sotto il comando del generale Milone di Taranto[25][23]. Il console romano Barbula, che si era spinto nel Metapontino, si ritrovò sotto il tiro delle macchine da guerra delle navi nemiche che erano disposte lungo la costa a presidiare il golfo[23]. Nella battaglia che ne scaturì, Barbula riuscì a subire perdite minori del previsto poiché aveva astutamente disposto sul lato destro della colonna, esposto ai colpi, i prigionieri di guerra[26].

Il piano di Pirro era quello di aiutare Taranto per poi giungere in Sicilia e quindi attaccare Cartagine, come del resto fece nel 278 a.C. aiutando i Siracusani in guerra contro Cartagine[27]. Dopo la conquista di parte della Sicilia, fu costretto ad abbandonare il suo progetto, sia per la resistenza dei Cartaginesi a Lilibeo e sia per il malcontento che scatenò sulla popolazione del luogo per la sua avida gestione delle risorse[27].

I preparativi

Dopo aver lasciato l’Epiro, Pirro avanzò richieste di aiuti militari ad Antioco I (re della Siria) e ad Antigono II Gonata (figlio di Demetrio I Poliorcete), nonchè al re di Macedonia, Tolomeo Cerauno, al quale chiese sostegno finanziario e marittimo. Il re dell’Egitto Tolomeo II promise l'invio di una forza di 4.000 soldati, 5.000 cavalieri e 50 elefanti da guerra[28][29] destinata a difendere l’Epiro durante la campagna d’Italia. Analogamente, Pirro, reclutò anche altre forze mercenarie, tra cui i cavalieri di Tessaglia e i frombolieri di Rodi[30].

 
La Lucania secondo The Historical Atlas: la battaglia si svolse a ridosso del fiume Sinni (antico Siris), nei pressi di Pandosia.

Nel 280 a.C. Pirro salpò verso le coste italiane ma, durante la traversata, fu sorpreso da una tempesta che arrecò danni alle navi e lo indusse a sbarcare le truppe, probabilmente nei pressi di Brindisi[31]. Di lì proseguì via terra verso Taranto, aiutato dai Messapi[32][25][26].

Dopo aver atteso l'arrivo delle restanti navi, Pirro lasciò a Taranto un presidio di 3.000 uomini con il suo fidato ambasciatore Cinea[23] e si spostò verso sud, accampandosi nei pressi di Heraclea con un esercito forte di circa 25.500 uomini, suddivisi in 20.000 opliti, 3.000 cavalieri, 20 elefanti da guerra, 2.000 arcieri e 500 frombolieri[25]. I Romani avevano previsto l'imminente arrivo di Pirro e mobilitarono otto legioni. Queste comprendevano circa 80.000 soldati[33] divisi in quattro armate[34]:

  • la prima armata, comandata da Barbula, si stanziò a Venosa per impedire ai Sanniti e ai Lucani di congiungersi con le truppe di Pirro;
  • la seconda armata fu schierata a protezione di Roma nell'eventualità che Pirro tentasse di attaccarla;
  • la terza armata, comandata dal console Tiberio Coruncanio, aveva il compito di attaccare gli Etruschi per scongiurare che si alleassero con Pirro[35];
  • la quarta armata, comandata da Publio Valerio Levino, avrebbe dovuto attaccare Taranto ed invadere la Lucania.

Difatti, Levino invase la Lucania ed intercettò Pirro nei pressi di Heraclea, città alleata dei Tarantini, con l’intento di bloccare la sua avanzata verso sud, scongiurando in questo modo una sua alleanza con le colonie greche di Calabria.

Forze in campo

Le fonti dell'epoca sono piuttosto lacunose sull'esatta consistenza e distribuzione delle forze dell'esercito romano[36]. I dati numerici sullo schieramento greco, invece, risultano molto più dettagliati[37].

Repubblica romana

 
Busto marmoreo raffigurante re Pirro (Firenze, Palazzo Pitti)

La disposizione ipotizzata delle truppe della Repubblica romana[38][39]:

Comandante: Publio Valerio Levino

  • ~16.800 legionari romani suddivisi in quattro legioni;
  • ~20.000 truppe alleate suddivisi in quattro legioni;
  • ~1.200 cavalieri romani;
  • molte migliaia di cavalieri alleati disposti a difesa del campo e che pertanto non presero parte ai combattimenti.

Epiro e Taranto

La disposizione delle truppe d'Epiro e di Taranto[25][39]:

Comandante: Pirro

Fasi del conflitto

Pirro preferì non muovere immediatamente verso Roma, verosimilmente per attendere i rinforzi inviati dai suoi alleati, ma nel frattempo il console Levino invase la Lucania impedendo alle armate dei Lucani e dei Bruzi di unirsi all'esercito di Pirro[3].

Non potendo più contare su questi rinforzi, Pirro decise di accamparsi e di attendere i Romani nella piana situata tra le città di Heraclea e di Pandosia[3], nei pressi della riva sinistra del Sinni. Il suo esercito era numericamente inferiore a quello del console Levino, per cui intendeva sfruttare il fiume a proprio vantaggio contando sulle difficoltà che i Romani avrebbero dovuto affrontare per traversarlo[40].

Prima fase

 
Prima fase della battaglia

Poco prima dell'inizio della battaglia, Pirro inviò alcuni diplomatici al cospetto del console romano Levino per proporgli una mediazione nel conflitto tra Roma e le colonie della Magna Grecia[3]. I Romani rigettarono la proposta e si accamparono anch'essi nella piana, sulla riva destra del fiume Sinni. Levino non disponeva, però, di rifornimenti sufficienti per mantenere a lungo quella posizione, per cui prese la decisione di non ritardare ulteriormente l'azione e di attraversare il fiume[41] per dare battaglia.

Dionigi di Alicarnasso[42] e Plutarco[43] riferiscono che all’alba del 1 luglio 280 a.C. i Romani attraversarono il fiume Sinni. La cavalleria di Pirro si mosse tardivamente e non riuscì a sorprendere le truppe romane durante il guado[41], pertanto la cavalleria romana giunse indisturbata contro il fianco della fanteria greca lasciata in copertura. Le truppe greche furono costrette a ritirarsi per sfuggire all'accerchiamento da parte della cavalleria romana.

Seconda fase

In seguito all'attacco romano, Pirro ordinò alla cavalleria macedone e tessaglia di contrattaccare la cavalleria romana. Il resto della sua fanteria, composta da mercenari, arcieri e fanteria leggera, si mise in marcia. L'azione della cavalleria greca constrinse quella romana a ripiegare.

Durante il confronto, Oblaco Volsinio[44], capo di un distaccamento ausiliario della cavalleria romana, riuscì ad assalire di sorpresa Pirro e a ferirlo facendolo cadere da cavallo. Fu però bloccato e ucciso dai soldati greci. In conseguenza di ciò, Pirro decise di allontanarsi dal campo di battaglia e di affidare il comando delle truppe a Megacle, uno dei suoi fidati ufficiali[45].

Gli opliti, disposti in formazione a falange, giunti in prossimità del nemico effettuarono ben sette cariche nel tentativo di sopraffare i legionari romani[41]. Riuscirono a sfondare le prime linee nemiche ma non poterono avanzare ulteriormente a meno di non rompere la propria formazione[46]. Una simile eventualità avrebbe esposto gli opliti ai colpi dei Romani, per cui furono costretti a restare sulla loro posizione.[47]

 
Seconda fase della battaglia

I Romani intuirono le difficoltà di Megacle e non vedendo più Pirro al comando delle unità nemiche esultarono credendolo morto. Galvanizzati da questa erronea notizia, sferrarono un deciso contrattacco[48]. Per riprendere in mano le sorti della battaglia Megacle mandò in campo gli elefanti da guerra che, con la loro grossa stazza, crearono subito scompiglio tra le fila romane[49]. Inoltre, questi animali portavano in groppa una torretta con dei soldati, i quali potevano a loro volta colpire dall'alto i propri nemici[7].

La cavalleria epirota approfittò della situazione per sbaragliare definitivamente la fanteria romana ormai in ritirata. Ciò permise ai greci di conquistare il controllo del campo di battaglia e di prendere l'accampamento romano. Nelle battaglie dell’antichità, la presa dell'accampamento nemico rappresentava una grande disfatta per l'avversario. Si suppone che i Romani abbiano abbandonato nell'accampamento materiali da guerra e armi. I legionari superstiti, forse seguendo la via Nerulo-Potentia-Grumentum[50] si ritirarono a Venosa probabilmente dopo essersi liberati del proprio equipaggiamento[49].

Le perdite

Nel riportare le perdite subite dai due schieramenti, Plutarco cita due fonti molto divergenti tra loro[48]:

  • Lo storico greco Geronimo di Cardia riporta 7.000 vittime tra le fila romane e 4.000 tra quelle greche.
  • Secondo Dionigi di Alicarnasso, invece, le perdite furono molto più elevate: 15.000 morti tra i Romani e 13.000 tra le truppe di Pirro.

Inoltre Eutropio riferisce che 1.800 soldati romani furono fatti prigionieri[51]. Lo storico Paolo Orosio fornisce questo preciso bilancio delle perdite romane: 14.880 morti e 1.310 prigionieri per la fanteria, 246 cavalieri uccisi e 502 prigionieri, oltre a 22 insegne perse[52]. I dati di Paolo Orosio sono allineati a quelli di Dionigi e di Eutropio che li riportano in più scritti.

Da questi dati si intuisce che le perdite romane furono tutto sommato modeste e facilmente colmabili, quelle greche, invece, erano sicuramente più gravi[53]. Se si fa riferimento a quanto riportato da Dionigi, le perdite ammontavano alla metà dell'esercito greco, mentre se si considerano i numeri di Geronimo le vittime ne rappresentavano comunque un quinto. In entrambi i casi queste perdite erano difficilmente colmabili dal momento che l'Epiro non era in grado di fornire rimpiazzi[53]. Le vittime greche furono così elevate poiché il legionario Gaio Minucio, primo astato della IV legione, riuscì a ferire un elefante, il quale imbizzarrito coinvolse altri pachidermi e caricò le truppe epirote causando caos e distruzione[54]. Dopo questo avvenimento, infatti, si dice che Pirro, anziché festeggiare per la vittoria ottenuta, venne preso dallo sconforto[7]; di conseguenza, tentò di reclutare i prigionieri romani nel proprio esercito, come aveva già fatto in Oriente con i contingenti mercenari, ma essi rifiutarono e preferirono restare fedeli a Roma[55].

Conseguenze

  Lo stesso argomento in dettaglio: Provincia romana.

Reazioni immediate

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Ascoli Satriano e Battaglia di Benevento.

Dopo la battaglia, rinforzi provenienti dalla Lucania e dal Sannio si unirono all’esercito di Pirro. Le città greche d'Italia si allearono con Pirro e a Locri fu cacciata la guarnigione romana[49]. A Reggio Calabria, ultima posizione della costa jonica ancora controllata da Roma, il pretore campano Decio Vibullio, che comandava la guarnigione cittadina, massacrò una parte degli abitanti[56], cacciò i restanti e si proclamò amministratore della città, ribellandosi all’autorità di Roma[57][58].

 
L'avanzata di Pirro verso Roma (280 a.C. - 275 a.C.)

Pirro aveva appreso che il console Levino sostava a Venosa, impegnato ad assicurare le cure ai feriti e a riorganizzare l'esercito in attesa di rinforzi[59][60], mentre il console Coruncanio era impegnato in Etruria. Pertanto avanzò verso Roma con l'intento di spingere i suoi alleati alla ribellione e di sorreggere gli Etruschi contro Coruncanio[61]. Durante l'avanzata deviò su Napoli con l'intento di prenderla o di indurla a ribellarsi a Roma[62]. Il tentativo fallì e comportò una perdita di tempo che giocò a vantaggio dei Romani: quando giunse a Capua la trovò già presidiata da Levino[63]. Proseguì allora verso Roma devastando la zona del Liri e di Fregellae giungendo così ad Anagni e forse anche a Preneste. Qui ebbe sentore di una manovra a tenaglia progettata dai Romani: difatti anche le forze di Coruncanio stavano muovendo dal nord dell'Etruria contro di lui[63]. Consapevole di non disporre di forze sufficienti per affrontare le armate di Coruncanio, di Levino e di Barbula, decise di ritirarsi.

In seguito, Gaio Fabricio Luscino venne inviato come ambasciatore presso Pirro per trattare lo scambio dei prigionieri. Pirro fu favorevolmente attratto dalle qualità dell'ambasciatore[64], al punto da affidargli i prigionieri per portarli a Roma, chiedendo in cambio che il Senato romano stabilisse un pagamento per il riscatto. Il Senato respinse la richiesta e Luscino restituì i prigionieri, rispettando in questo modo gli impegni che aveva assunto.

Impatto sulla storia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre pirriche e Guerre greco-puniche.

Questa battaglia segnò, insieme alla battaglia di Ascoli Satriano, le prime resistenze della Magna Grecia contro la Repubblica romana e i suoi piani di espansione sull’intera penisola italica. Dopo le vittorie di Heraclea e più tardi di Ascoli Satriano, Pirro fu sconfitto a Malevento (poi ribattezzata Benevento)[65] e da quel momento iniziò il declino militare della Magna Grecia a vantaggio della Repubblica romana[66].

Proverbi, leggende e superstizioni

  Lo stesso argomento in dettaglio: Vittoria di Pirro.

Le vittorie di Heraclea e di Ascoli Satriano costarono a Pirro perdite estremamente alte. Si narra che proprio dopo la vittoria di Ascoli Satriano, Pirro abbia esclamato: "Un'altra vittoria come questa e torno a casa senza esercito!"[67].

Entrambe le battaglie fecero sostenere, al vincitore, perdite così alte da essere in ultima analisi incolmabili, condannando di fatto il proprio esercito a perdere le guerre pirriche, rendendo fallimentare la campagna militare in Italia. Da questa circostanza nasce l'espressione "vittoria di Pirro", usata in molte lingue[68].

Note

  1. ^ L. Quilici, pag. 201.
  2. ^ Le celebri tavole di Heraclea fanno riferimento all'esistenza di una città di nome Pandosia nelle immediate vicinanze di Heraclea. A.S. Mazzocchi, pag. 104.
  3. ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 16.
  4. ^ A.S. Mazzocchi, lc, pp. 104-105.
  5. ^ Romanelli, vol. I, pag. 265.
  6. ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 357.
  7. ^ a b c Giulia Grassi, La vittoria di Pirro, su scudit.net. URL consultato il 28-03-2009.
  8. ^ Christopher L.H. Barnes, pag. 15.
  9. ^ E. Pais, pag. 68.
  10. ^ A. Momigliano, A. Schiavone, G. Clemente, F. Coarelli, pag. 25.
  11. ^ a b P. Grimal, pp. 33-34.
  12. ^ a b Nel 306 a.C. Roma strinse un accordo commerciale con Rodi, importante potenza commerciale marittima.
  13. ^ Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannitiche, 7.
  14. ^ a b c L. Pareti, A. Russi, pag. 314.
  15. ^ M. Le Glay, pp. 68-69.
  16. ^ M. Conventi, pag. 168.
  17. ^ Periochae dal libro XII, 2 degli Ab Urbe condita libri di Tito Livio.
  18. ^ Secondo lo storico polacco Krzysztof Kęciek, l'aristocrazia romana ordinò ai comandanti Publio Cornelio Scipione e Lucio Valerio Flacco di arrestare i democratici tarantini e i loro sostenitori.
  19. ^ a b c Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannite, 15 e 16.
  20. ^ a b Cassio Dione Cocceiano, Fragmenta Ursiniana CV, del libro IX.
  21. ^ Il Periochae degli Ab Urbe condita libri di Tito Livio conferma che gli ambasciatori furono maltrattati. ((EN) Livy: the Periochae, su livius.org. URL consultato il 05-03-2009.)
  22. ^ E. Talbotpag. 67.
  23. ^ a b c d L. Pareti, A. Russi, pag. 340.
  24. ^ Il numero dei cavalieri non è proporzionato (soprattutto per una regione in cui esistevano allevamenti equini) rispetto a quello dei fanti, che andrebbe ridotto a 250.000 ammettendo un errore di trasmissione scritta (KE' e ΛE'). A riguardo si veda: (L. Pareti, pag. 11 n. 1).
  25. ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 15.
  26. ^ a b Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 2.
  27. ^ a b C. Melani, F. Fontanella, G.A. Cecconi, pag. 42.
  28. ^ Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro 17,2.
  29. ^ Pirro aveva trascorso alcuni anni ad Alessandria d'Egitto con il cognato Tolomeo II, che gli promise aiuti militari.
  30. ^ I democratici di molte città greche non erano favorevoli a dichiarare guerra a Roma e per questo decisero di non aiutarlo.
  31. ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 341.
  32. ^ Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannitiche, 8.
  33. ^ In teoria una legione completa conteneva al massimo 4.200 fanti e 300 cavalieri, per cui otto legioni corrispondevano a un totale di 33.600 legionari e 2.400 cavalieri, ai quali si dovevano aggiungere gli uomini forniti dalle città alleate, generalmente in numero equivalente o superiore.
  34. ^ Tito Livio, Periochae degli Ab Urbe condita libri , libro IX, 30.
  35. ^ A. Carandini, pag. 95.
  36. ^ Nei libri di Tito Livio c'è un vuoto che abbraccia il periodo storico che va dal 293 a.C., al 219 a.C. mentre altri resoconti non sono sufficientemente dettagliati.
  37. ^ Gli scritti di Plutarco riportano con buona precisione i dati sull'esercito greco.
  38. ^ I dati si basano sulla consistenza teorica di 4.200 legionari e 300 cavalieri romani per legione.
  39. ^ a b (EN) Jeff Jonas, The Initial Clash: Republican Rome vs. Pyrrhus of Epirus, su ancientbattles.com. URL consultato il 17-02-2009.
  40. ^ Strabone scrive che il Sinni era navigabile (Strabone, Geografia, libro VI, 1, 14), vedi anche:
    • C.D. Fonseca, Le vie dell'acqua in Calabria e Basilicata, Catanzaro, 1995, pp. 239-277.
  41. ^ a b c L. Pareti, A. Russi, pag. 343.
  42. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XIX,12.
  43. ^ Plutarco, Vita di Pirro, 16 e 17.
  44. ^ Oblaco è citato da Plutarco nel suo Oplax.
  45. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XVIII,2.
  46. ^ Polibio scrive dopo la Battaglia di Cinocefale del 197 a.C. di come fosse essenziale, al fine della vittoria, mantenere la formazione a falange ben serrata e con i lati coperti. La falange era pressoché imbattibile se attaccata frontalmente, ma era molto vulnerabile agli assalti sui fianchi e dalle spalle. (Polibio, Storie, libro XVIII, 26).
  47. ^ Polibio, Storie, libro XVIII, 26
  48. ^ a b Plutarco, Vita di Pirro, 17.
  49. ^ a b c Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro XVIII,1.
  50. ^ Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 3, p. 372 C.
  51. ^ Eutropio, Compendio della Storia Romana, libro II, 11.
  52. ^ (LA) Paolo Orosio, Historiae adversum paganos, libro 4,1.
  53. ^ a b Piero Pastoretto, Campagna di Pirro in Italia (280 a.C.-274 a.C.), pag. 3 (PDF), su arsmilitaris.org. URL consultato il 27-03-2009.
  54. ^ Istituto di studi romani, pag. 118.
  55. ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II,11.
  56. ^ Periochae dal libro XII, 7 degli Ab Urbe condita libri di Tito Livio.
  57. ^ Polibio, Storie, libro I,1.
  58. ^ Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro XXII, 2.
  59. ^ Agostino d'Ippona, La città di Dio, III, 17.
  60. ^ Quinto Ennio, Annales, VI, fr. 183, V.
  61. ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II, 12, 1.
  62. ^ A. Lagella, La Storia di Napoli, Parte Seconda, pag. 5.
  63. ^ a b L. Pareti, A. Russi, pp. 344-345.
  64. ^ Cinea, ambasciatore di Pirro, offrì a Gaio Fabricio Luscino una grossa somma di monete d'argento, ma quest'ultimo la rifiutò dicendo di amare "più coloro a cui questo argento appartiene, che l'argento stesso". (Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi, libro IV, III).
  65. ^ G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, pag. 26.
  66. ^ L. Pareti, A. Russi, pag. 366.
  67. ^ E. Talbotpag. 69.
  68. ^ La storia di Pyrrhus, su roth37.it. URL consultato il 06-02-2009.

Bibliografia

Fonti primarie

Fonti secondarie

Voci correlate

Collegamenti esterni

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