Romolo

personaggio della mitologia romana, fondatore e primo re di Roma
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Romolo (latino: Romulus; Alba Longa, 771 a.C.[1]Roma, 716 a.C.[2]) gemello di Remo, è stato il fondatore eponimo e primo re di Roma[1].

Romolo
[[File:|frameless|center|260x300px]]Romolo e Remo allattati dalla lupa
Re di Roma
In carica753 a.C.[1] - 716 a.C.[2]
Predecessoreinizio regno
SuccessoreNuma Pompilio
NascitaAlba Longa, 24 marzo del 771 a.C.[1]
Morte716 a.C.[2]
Dinastiadi Alba Longa
PadreMarte[3][1]
MadreRea Silvia[1]
ConsorteErsilia[4]
FigliPrima e Aollio

Leggenda

  Lo stesso argomento in dettaglio: Romolo e Remo.

Origini familiari

  Lo stesso argomento in dettaglio: Enea, Alba Longa, Rea Silvia e Marte (divinità).

Secondo la leggenda Romolo e Remo erano figli di Marte e di Rea Silvia, sacerdotessa vestale figlia del re di Alba Longa, Numitore, diretto discendente di Enea. Romolo era quindi per parte materna di stirpe reale albana. Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone (l'autore del De lingua latina), aveva calcolato il giorno esatto in cui i due gemelli furono concepiti (24 giugno del 772 a.C.) e nacquero (24 marzo del 771 a.C.).[5][1]

Dopo la fuga da Troia, Enea giunge nel Lazio e viene accolto dal re Latino, che gli fa conoscere sua figlia Lavinia. Enea se ne innamora, ma la fanciulla era già promessa a Turno, re dei Rutuli. Il padre di Lavinia ascolta le intenzioni di Enea ma temendo una vendetta da parte di Turno si oppone ai suoi desideri. La disputa per la mano della fanciulla diventa una guerra, a cui partecipano le varie popolazioni italiche, compresi Etruschi e Volsci; Enea si allea con le popolazioni di origine greca stanziate nella città di Pallante sul Palatino, regno dell'arcade Evandro e di suo figlio Pallante.[6] La guerra è molto sanguinosa (subito muore Pallante ucciso da Turno), e per evitare ulteriori vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno dovrà risolversi in un combattimento tra i due "comandanti" e pretendenti. Enea ha il sopravvento, sposa Lavinia e fonda la città di Lavinio (l'odierna Pratica di Mare).

Infanzia ed adolescenza

 
Romolo e Remo allattati dalla Lupa dipinto di Rubens, ca.1616, Roma, Musei capitolini
 
La lupa, Romolo e Remo, nella monetazione romana del II secolo a.C..
  Lo stesso argomento in dettaglio: Lupercale.

Dopo trent'anni, Ascanio fonda una nuova città, Alba Longa, sulla quale regnano i suoi discendenti. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che costringe la figlia Rea Silvia a diventare vestale e a fare quindi voto di castità.[7] Tuttavia il dio Marte s'invaghisce della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo.[8] Il re Amulio ordina l'uccisione dei gemelli, ma il servo incaricato di eseguire l'assassinio non ne trova il coraggio e li abbandona alla corrente del fiume Tevere.[3] La cesta nella quale i gemelli sono stati adagiati si arena sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus,[9] dove si trovava il fico ruminale.[3] Qui i due vengono trovati e allevati da una lupa (probabilmente una prostituta, all'epoca chiamata anche lupa, di cui si ritrova oggi traccia nella parola lupanare), e da un picchio (animale sacro ad per i Latini) che li protegge, entrambi animali sacri ad Ares.[10] Li trova poi il pastore Faustolo (porcaro di Amulio) che insieme alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi figli.[11] Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio, e rimettono sul trono il nonno Numitore.[12]

Fondazione di Roma

  Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma.

Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba senza potervi regnare almeno fino a quando era in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erao cresciuti. Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remora e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:

 
Roma nell'anno della sua fondazione, nel 753 a.C..
«Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium , il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.»

Regno

Plutarco narra che una volta seppellito il fratello Remo, morto nello scontro che precedette la fondazione della città, Romolo fece venire dall'Etruria esperti di leggi e testi sacri che gli spiegassero ogni aspetto del rituale da attuare. Fu scavata una fossa circolare attorno al Comizio e deposte offerte votive per ottenere il favore degli Dei. Ogni abitante portò una piccola zolla di terreno e la gettò, mischiata alle altre, nella fossa chiamata mundus, che costituiva proprio il centro della città. Fu poi tracciato il solco primigenius tutto intorno alla città, i cui confini ne rappresentavano il pomerium, racchiuso all'interno delle mura "sacre".[13]

Dal ratto delle Sabine alle guerre di conquista nel Latium vetus

  Lo stesso argomento in dettaglio: Roma quadrata e Latium vetus.

Romolo, divenuto unico re di Roma, decise per prima cosa di fortificare la nuova città, offrendo sacrifici agli dèi secondo il rito albano e dei Greci in onore di Ercole, così com'erano stati istituiti da Evandro.[14] Con il tempo Roma andò ingrandendosi, tanto da apparire secondo Livio "così potente da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Erano le donne che scarseggiavano. Questa grandezza era destinata a durare una sola generazione se i Romani non avessero trovato sufficienti mogli con cui procreare nuovi figli per la città.[15]

«...Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di nuovi matrimoni. [...] All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere
 
Il ratto delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du Louvre.

La gioventù romana non la prese di buon grado, tanto che la soluzione che andò prospettandosi fu quella di usare la forza. Romolo, infatti, decise però di dissimulare il proprio risentimento e di allestire dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre e li chiama Consualia. Quindi ordinò ai suoi di invitare allo spettacolo i popoli vicini: dai Ceninensi, agli Antemnati, Crustumini e Sabini, questi ultimi stanziati sul vicino colle Quirinale. L'obiettivo era quello di compiere un gigantesco rapimento delle loro donne proprio nel mezzo dello spettacolo. Arrivò moltissima gente, con figli e consorti, anche per il desiderio di vedere la città nuova.

«Quando arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati sui giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti...

Terminato lo spettacolo i genitori delle fanciulle scapparono, accusando i Romani di aver violato il patto di ospitalità.[16][2] Romolo riuscì a placare gli animi delle fanciulle e, con l'andare del tempo, sembra che l'ira delle ragazze andò affievolendosi grazie alle attenzioni ed alla passione con cui i Romani le trattarono nei giorni successivi. Anche Romolo trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome era Ersilia. Da lei il fondatore della città, ebbe una figlia, di nome Prima ed un figlio, di nome Aollio, in seguito chiamato Avilio (Avilius).[17]

Dei popoli che avevano subito l'affronto furono i soli Ceninensi ad invadere i territori romani, ma furono battuti dalle schiere ordinate dei Romani. Il comandante nemico, un certo Acrone fu ucciso in duello dallo stesso Romolo, che ne spogliò il cadavere e offrì le sue spolia opima a Giove Feretrio, fondando sul Campidoglio il primo tempio romano. Eliminato il comandante nemico, Romolo si diresse contro la loro città che cadde al primo assalto,[18][2] trasferendone, poi, la cittadinanza a Roma e conferendole pari diritti a quelli dei Romani.[19] Gli stessi Fasti trionfali celebrano per l'anno 752/751 a.C.:

«Romolo, figlio di Marte, re, trionfò sul popolo dei Ceninensi (Caeniensi), calende di marzo (1 marzo).»

Tale evento era, invece, avvenuto secondo Plutarco, basandosi su quanto raccontato a sua volta da Fabio Pittore, solo tre mesi dopo la fondazione di Roma (nel luglio del 753 a.C.).[20]

Dopo la vittoria sui Ceninensi fu la volta degli Antemnati.[2][21] La loro città fu presa d'assalto ed occupata, portando Romolo a celebrare una seconda ovatio.[4] Ancora i Fasti trionfali ricordano sempre per l'anno 752/751 a.C.:

«Romolo, figlio di Marte, re, trionfò per la seconda volta sugli abitanti di Antemnae (Antemnates).»

Rimaneva solo la città dei Crustumini, la cui resistenza durò ancora meno dei loro alleati.[2] Portate a termine le operazioni militari, il nuovo re di Roma dispose che venissero inviati nei nuovi territori conquistati alcuni coloni, i quali andarono a popolare soprattutto la città di Crustumerium, che, rispetto alle altre, possedeva terreni più fertili. Contemporaneamente molte persone dei popoli sottomessi, in particolar modo i genitori ed i parenti delle donne rapite, vennero a stabilirsi a Roma.[4][21]

 
Il Latium vetus con le città elencate in questo capitolo di Caenina, Antemnae, Crustumerium, Medullia, Fidene e Veio.

L'ultimo attacco portato a Roma fu quello dei Sabini,[2][22] nel corso del quale si racconta della vergine vestale, Tarpeia, figlia del comandante della rocca Spurio Tarpeio, la quale fu corrotta con dell'oro (i bracciali che vedeva rilucere alle braccia dei Sabini[23]) da Tito Tazio e fece entrare nella cittadella fortificata sul Campidoglio un drappello di armati con l'inganno.[4][24] L'occupazione dei Sabini della rocca, portò i due eserciti a schierarsi ai piedi dei due colli (Palatino e Campidoglio), dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano,[25] mentre i capi di entrambi gli schieramenti incitavano i propri soldati alla lotta: Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo cadde nel corso della battaglia che poco dopo si scatenò,[26] costringendo le schiere romane a ripiegare presso la vecchia porta del Palatino. Romolo, invocando Giove e promettendo allo stesso in caso di vittoria un tempio a lui dedicato (nel foro romano), si lanciò nel mezzo della battaglia riuscendo a contrattaccare e ad avere la meglio sulle schiere nemiche.[27][28] Fu in questo momento che le donne sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono sotto una pioggia di proiettili tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera.[29][30]

«Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall'altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri.»
«Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo

Con questo gesto entrambi gli schieramenti si fermarono e decisero di collaborare, stipulando un trattato di pace, varando l'unione tra i due popoli, associando i due regni (quello di Romolo e Tito Tazio), lasciando che la città dove ora era trasferito tutto il potere decisionale continuasse a chiamarsi Roma, anche se tutti i Romani furono chiamati Curiti (in ricordo della patria natia di Tito Tazio, che era Cures) per venire incontro ai Sabini.[31][29] Contemporaneamente il vicino lago nei pressi dell'attuale foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius,[29] mentre il luogo in cui si conclusero gli accordi tra le due popolazioni, fu chiamato Comitium, che deriva da comite per esprimere l'azione di incontrarsi.[32]

Sappiamo, inoltre, che Romolo riuscì a conquistare anche Medullia, Fidene,[2][33] battendo la stessa Veio[2] e sottraendole i territori dei Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) e delle Saline,[34] in cambio di una tregua della durata di cento anni.[35] Insieme a Tito Tazio fu invece protagonista della conquista di Cameria.[34]

Istituzioni

 
Romolo, uccisore di Acrone, porta le sue spoglie al tempio di Giove dipinto di Jean Auguste Dominique Ingres, 1812

Al regno di Romolo si attribuiscono i primi ordinamenti romani. Sembra, infatti, che per prima cosa organizzò l'esercito, sulla base della popolazione adatta alle armi.[36] Successivamente istituì un'assemblea, formata da 100 Patres, mentre i loro discendenti furono chiamati patrizi, a cui diede il nome nella sua globalità di Senato (Senatus da senex per la loro anzianità).[37][38][2]

Tito Livio racconta che in seguito alla pace stipulata con i Sabini di Tito Tazio (con il quale regnò in assoluta armonia, fino a quando quest'ultimo non fu assassinato a Lavinio[33]), essendo raddoppiata la popolazione, non solo furono eletti altri 100 Patres tra i Sabini, oltre a raddoppiare l'esercito (ora composto da 6.000 fanti e 600 cavalieri),[39] ma divise anche l'intero popolo in tre tribù: i Ramnes, i Tities ed i Luceres, a loro volta suddivisi in dieci curie ciascuna, attribuendo ad esse i nomi di trenta donne.[29] E sempre a Romolo si attribuisce anche l'introduzione a Roma dei dodici littori che precedevano e proteggevano il sovrano;[40] in effetti si tratta di un'istituzione già presente nelle città etrusche, dalla quali fu probabilmente ripresa ed introdotta in Roma in epoca storica.

Sempre a Romolo, comunque all'epoca in cui avrebbe regnato, si attribuisce l'istituzione del diritto di asilo, a quanti erano stati banditi o fuggivano dalle città vicine; la circostanza si può ricollegare all'esigenza di popolare la città.

Gli si attribuisce anche il fenomeno del patronato dei patrizi nei confronti dei plebei che gli facevano da garanti e protettori in cambio di favori conosciuto anche con il termine clientela.

Calendario Romuleo

La tradizione racconta che istitui il primo Calendario romano costituito da 10 mesi 6 di 30 giorni e 4 mesi di 31 giorni per un totale di 304 giorni mentre non esistevano ancora i primi due mesi dell'anno istituiti da Numa Pompilio (ovvero i gennaio febbraio romani), in realtà questo è un argomento dibattutto dagli storici del tempo come Tito Livio o Dionigi d'Alicarnasso o Plutarco in quanto alcuni affermano invece che era un calendario piùttosto disordinato e i mesi variavano da 20 giorni a 35 giorni.

Morte, sepoltura e deificazione

Dopo trentasette anni di regno, secondo la tradizione, Romolo venne assunto in cielo durante una tempesta,[2] avvolto da una nube, mentre passava in rassegna all'esercito e parlava alle truppe vicino alla palude Capra (nel campo Marzio). I Romani per questo motivo, lo proclamarono allora dio (con il nome di Quirino),[35] figlio di un dio (Marte), re e padre di Roma.[41]

Sembra anche che, per dare maggiore credibilità all'accaduto, la tradizione racconta che riapparve al suo vecchio compagno albano Proculo Giulio, il più antico personaggio noto appartenente alla gens Giulia.

«Stamattina o Quiriti, verso l'alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. [...] Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell'arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane.»

L'evidente somiglianza delle tradizioni, ha indotto alcuni storici a ritenere che questo racconto abbia ispirato quello relativo alla risurrezione di Gesù[42]. Nella probabile realtà storica, invece, il primo re di Roma sarebbe morto assassinato dai patres durante una seduta del consiglio regio al Volcanal. Il suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente smembrato e le sue parti sepolte nelle varie aree componenti il territorio della città.

Dietro la leggenda: la realtà storico-archeologica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Populi albenses e Gentes originarie.

La reale esistenza di Romolo è stata lungamente discussa, ma secondo lo storico Theodor Mommsen sarebbe comprovata dalla presenza tra le gentes originarie di Roma (di cui parla Tito Livio) della gens Romilia, nota da iscrizioni, che è stata identificata con il clan familiare dei discendenti di Romolo, e che diede anche il proprio nome ad una delle più antiche Tribù territoriali. Se ne ha conferma da una glossa di Festo (la 331 nell'epitome di Paolo Diacono, edita da Lindsay), che riporta appunto l'esistenza di una tribù Romulia[43]. Altri autori ritengono sia una creazione artificiale, fantasiosa quella di Romolo, pur riconoscendo nella stessa figura "leggendaria" la sintesi di elementi topografici, politici e religiosi realmente accaduti, a partire dalla tribù dei Romili oltre alla figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria nei pressi della Roma quadrata (sull'Aventino).[44][45]

Secondo il linguista Carlo de Simone[46], i nomi di Roma e Romolo sarebbero collegati ed entrambi deriverebbero da un termine ricostruito in ruma, al quale la tradizione romana assegnava il significato di "mammella". Il termine sarebbe di origine etrusca, perché non ne è stato trovato l'etimo indoeuropeo (e l'unica lingua non-indoeuropea della zona era appunto l'etrusco). Il termine sarebbe entrato come prestito nel latino arcaico e avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e ad un prenome Rume (in latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco Rumel(e)na[47], divenuto in latino Romilius.

Secondo altre ipotesi (sempre più smentite dalle campagne archeologiche), i più antichi dei re di Roma sarebbero figure principalmente simboliche (in particolare sembrano complementari i primi due, Romolo e Numa Pompilio, che avrebbero introdotto le massime istituzioni politico-militari e religiose dello stato).

La reale esistenza della figura di Romolo visto come effettivo fondatore, primo legislatore e re-sacerdote, è stata rivalutata con grande entusiasmo dall'archeologo Andrea Carandini, sulla base dei risultati dei recentissimi scavi condotti alle pendici del Palatino, che avrebbero portato al rinvenimento dell'area corrispondente alla vera Regia di Romolo, ove sono stati rinvenuti reperti fittili databili con certezza al secolo VIII a.C., circostanza che darebbe conferma anche dell'esattezza cronologica delle fonti storiografiche latine sull'epoca della fondazione di Roma. Le scoperte archeologiche di Carandini - ben illustrate nelle sue minuziose pubblicazioni, di cui "Sindrome Occidentale" è quella che meglio le riassume, per chi non volesse affrontare tomi decisamente impegnativi ma comunque straordinari come "La nascita di Roma" e "Romolo e Remo" - sono forse le più sensazionali occorse nella Capitale nell'ultimo secolo.

Note

  1. ^ a b c d e f g Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 1.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 2.
  3. ^ a b c Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4.
  4. ^ a b c d Livio, Ab Urbe condita libri, I, 11.
  5. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 12, 3-5.
  6. ^ Sia Livio (Ab Urbe condita libri, I, 7), sia Ovidio (I Fasti, I, 470 e sgg.) narrano di una migrazione dalla città greca di Argo, guidata da Evandro
  7. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 3.
  8. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 4.
  9. ^ Varrone, De lingua latina, V, 54.
  10. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 4, 2-4.
  11. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 5-6.
  12. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 7-8.
  13. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 11, 1-4.
  14. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 7-8.
  15. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.
  16. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 14, 2-6.
  17. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 14, 7-8.
  18. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 10.
  19. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 16, 2-6.
  20. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 14, 1.
  21. ^ a b Plutarco, Vita di Romolo, 17, 1.
  22. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 16, 1.
  23. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 17, 2.
  24. ^ Dionigi di Alicarnasso, VII, 35, 4; VIII, 78, 5.
  25. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 18, 4.
  26. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 18, 6.
  27. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 12.
  28. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 18, 7-9.
  29. ^ a b c d Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.
  30. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 19.
  31. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 19, 8-9.
  32. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 19, 10.
  33. ^ a b Livio, Ab Urbe condita libri, I, 14.
  34. ^ a b Andrea Carandini, Roma. Il primo giorno, Roma-Bari 2007, p. 99.
  35. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 15.
  36. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 13, 1.
  37. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 13, 2-3.
  38. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 8.
  39. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 20, 1.
  40. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 8.
  41. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16.
  42. ^ Giordano Bruno Guerri, Antistoria degli italiani, Mondadori, Milano, 1997
  43. ^ Paul. Fest. 331 L.: Romulia tribus dicta, quod ex eo agro censebantur, quem Romulus ceperat ex Veientibus.
  44. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 9, 4; 11, 1.
  45. ^ A.Piganiol, Le conquiste dei Romani, p.77.
  46. ^ Carlo de Simone. "Considerazioni sul nome di Romolo". In Andrea Carandini, Paolo Carafa (a cura di), "Palatium e Sacra via" I. Bollettino di Archeologia, pp. 31-33, 1995 (2000).
  47. ^ Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione sull'architrave della tomba 35 della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a Orvieto. Iscrizione databile al VI secolo a. C.: Mi Velthurus Rumelnas.

Bibliografia

Fonti primarie

Fonti secondarie

  • (IT) A.A. V.V., Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Roma in Italia, vol.13, Milano, Einaudi, 2008.
  • (IT) Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna, Pàtron, 1997.
  • (IT) Andrea Carandini, Roma il primo giorno, Roma-Bari, Laterza, 2007.
  • (EN) Peter Connolly, Greece and Rome at War, Londra, Greenhill books, 1998, ISBN 1-85367-303-X.
  • (IT) Augusto Fraschetti, Romolo, il fondatore, Roma-Bari, Laterza, 2002.
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  • (EN) Philip Matyszak, Chronicle of the roman republic: the rulers of ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra & New York, Thames and Hudson, 2003, ISBN 0-500-05121-6.
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  • (IT) André Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, Il Saggiatore, 1989, ISBN 88-04-32321-3.
  • (IT) Howard H. Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, 1992, ISBN 88-17-11903-2.

Voci correlate