Storia dell'Alto Adige
La Storia dell' Alto Adige è molto ricca di avvenimenti e fatti storici documentati. Numerose sono anche le testimonianze della preistoria, con reperti di grande valore per la conoscenza di quelle epoche, come i resti mummificati di "Ötzi", un uomo del neolitico morto vicino al passo del Similaun.

Preistoria
I rinvenimenti archeologi dimostrano la presenza dell'uomo nelle valli dell'Alto Adige dopo la fine dell'ultima glaciazione, intorno al 12000 a.Cr. Reperti provenienti dall'Alpe di Siusi sono databili al paleolitico inferiore. Accampamenti di cacciatori mesolitici risalenti all' 8. millennio a.Cr. sono stati scoperti nei fondi valle presso Bolzano, Bressanone e Salorno. Accampamenti analoghi furono rinvenuti nel vicino Trentino, a Passo Rolle, nel 1971.
La celebre mummia del Similaun, nota anche come Ötzi, avrebbe un'età di circa 5 mila anni. Questo la pone nell'età del rame, momento di transizione tra il neolitico e l'età del bronzo. Sepolcri in pietra del 2000 a.C. sono stati localizzati ad Appiano. Il clima era ancora più mite di oggi, come dimostrano i reperti localizzati in grotte della Val Pusteria.
Per l'età del bronzo (1800 - 1300 a.C.) sono attestati insediamenti sia nelle valli principali che in quelle secondarie, localizzati su terrazzi alluvionali e su siti d'altura. Intorno al 1500 a.C., l'uomo si spinse più in alto, lasciando le vallate di mezzamontagna, per estrarre il rame in Valle Aurina e d'Isarco. Durante l'età del bronzo e del ferro nella regione sono attestate culture locali autoctone che occupavano all'incirca l'area del Tirolo storico.
La cultura di Luco-Meluno (tarda etá del bronzo) prende il nome da due importanti siti archeologici presso Bressanone. Essa ha la sue origine nel 14. secolo a.C. nella valle dell'Adige tra Trento e Bolzano, da dove si diffuse fino ad occupare all'incirca l'area del Trentino a nord di Rovereto, dell'Alto Adige, del Tirolo Orientale e della Bassa Engadina.[3] La cultura di Luco-Meluno è caratterizzata dal un particolare stile di ceramica riccamente decorata, mentre la produzione metallurgica è influenzata dalle culture circostanti. Gli appartenenti a questa cultura cremavano i loro morti, e raccoglievano i resti in Urne che poi venivano sepolte in sepolcreti, in modo simile alla cultura dei campi di urne, attestatasi in questo periodo nelle valli del Tirolo Settentrionale. I santuari nei quali venivano adorate le divinità si trovavano su colline sovrastanti le vallate e vicino a corsi d'acqua e laghi, spesso anche in aree remote. I ricchi corredi funebri rinvenuti dagli archeologi dimostrano che dal 13. al 11. secolo a.C. (Phase A) la cultura di Luco-Meluno era fiorente, grazie all'estrazione del rame, materiale necessario per la produzione del bronzo.
Intorno al 500 a.C. la cultura di Fritzens-Sanzeno, conosciuta anche come la cultura dei Reti, sostituisce sia la cultura di Luco-Meluno a sud dello spartiacque alpino, sia la cultura dei campi d'urne a nord dello stesso.[4] Il nome "Reti" venne dato a queste popolazioni dagli antichi Romani, e veniva da essi ricondotto alla principale divinitá di questi popoli, la dea Rhaetia.[5] Come nella cultura precedente di Luco-Meluno, è la ceramica riccamente decorata che contraddistingue l'area culturale, mentre gli oggetti in metallo sono influenzati dalle culture circostanti, specialmente dagli Etruschi e dai Celti. Nonostante ciò, gli appartenenti alla cultura di Fritzens-Sanzono posseggono caratteristiche culturali comuni che li distinguono dalle popolazioni vicine, come i tipici luoghi di culto già frequentati dalla cultura di Luco-Meluno, certi tipi di fibula, particolari armature in bronzo e un alfabeto di derivazione etrusca.
Antichità
Nel 16 a.C. e 15 a.C., i Romani sotto Druso e Tiberio occuparono il territorio alpino, spingendosi fino alle rive del Danubio. La parte settentrionale dell'Alto Adige venne divisa fra le due province Rezia (Raetia) e Norico (Noricum), mentre quella meridionale che includeva la Val d'Adige fino all'altezza di Merano venne inclusa nella Regio X Venetia et Histria. L'insediamento di maggiori dimensioni finora noto è Sebatum/San Lorenzo di Sebato, un importante snodo stradale.
Il periodo romano si protrasse per cinque secoli e lasciò profonde tracce nella vita e soprattutto nella lingua delle popolazioni. Sarchi, Breoni, Venosti ed altre popolazioni adottarono una lingua comune, il cosiddetto retoromanzo, parlato a tutt'oggi in Svizzera e sopravvissuto nell'Alto Adige (e non solo) nell'idioma ladino.
Secondo la molto controversa teoria etnolinguistica della continuità invece le popolazioni alpine parlavano un idioma romanzo già prima della conquista romana. Secondo questa teoria, il ladino sarebbe una lingua italide usata da cercatori di rame provenienti dall'area balcanica durante l'età del bronzo[6] .
Dopo l'anno 400 d.C., nella tarda romanità, si diffondeva il Cristianesimo, influenzando in misura crescente la vita pubblica e privata. La sede vescovile di Sabiona, presso l'odierna Chiusa, ebbe un ruolo importante nella cristianizzazione del territorio.
Alto medioevo
Dopo la caduta dell'impero romano d'occidente nel 476 d.C. il territorio alpino fu invaso o colonizzato da popolazioni germaniche: primi fra tutti gli Ostrogoti di Teodorico. Nel 558-559 fu la volta dei Longobardi che si stabilirono nella Bassa Atesina. Bolzano e parte dell'Alto Adige (da Maia-Merano a Sabiona) entrarono a far parte del ducato di Trento, assieme al Trentino. I Baiuvari e i Franchi tentarono a più riprese di penetrare in Val Venosta e Val Pusteria, questi ultimi favoriti dagli alleati Longobardi, che continuarono a controllare l'intero territorio del ducato di Trento.
All'inizio dell'VIII secolo anche la conca meranese era stata occupata dai baiuvari. La germanizzazione dell'Alto Adige fu tuttavia un processo molto lento, e vide il progressivo arretramento delle popolazioni di cultura reto-romanza (gli antenati degli attuali ladini), fenomeno che durò molti secoli.
Nel 774 d.C. Carlo Magno sconfisse i Longobardi a Pavia e conquistò il regno longobardo d'Italia. Pochi anni più tardi, nel 788, ebbe ragione anche dei Baiuvari.
Nel 952 d.C. l'imperatore del Sacro Romano Impero di nazione germanica, Ottone I di Sassonia, espanse i propri domini in Italia: anche l'Alto Adige passò dunque sotto l'Impero. L'imperatore Corrado II (1024-1033) aggregò la contea di Bolzano e della Venosta al vescovato di Trento, mentre le contee delle Valli dell'Inn e dell'Isarco e più tardi anche quelle della Val Pusteria passarono al vescovato di Bressanone.
Le immunità concesse alle signorie ecclesiastiche dagli imperatori di volta in volta aprirono la strada – con il volgere dei secoli – all'assunzione di veri e propri poteri pubblici da parte dei vescovi. In tal modo l'imperatore Corrado II (1024-1033), con un diploma del 1027, investì il vescovo di Trento, Udalrico II, anche della signoria su Bolzano e sulla valle dell'Adige compresa la Venosta, conferendogli i corrispondenti poteri comitali. Analoga investitura di poteri nello stesso anno avvenne a favore del vescovo di Sabiona-Bressanone, Hartwig, per i territori di sua competenza (Valli dell'Inn e dell'Isarco e più tardi anche quelle della Val Pusteria.
I principi-vescovi mantennero il potere, almeno formalmente, fino alla secolarizzazione napoleonica del 1803.
La germanizzazione dell'Alto Adige
Il territorio dell'odierno Alto Adige, dopo la caduta dell'Impero Romano era totalmente incluso nella regione di parlata retoromanza, che si estendeva ininterrotta dagli attuali Grigioni al Friuli.
La penetrazione della lingua tedesca cominciò nell'Alto Medioevo. Dal VII secolo l'uso delle lingue germaniche si espanse lentamente a partire dalla val Pusteria verso le altre vallate. La lentezza di tale penetrazione è testimoniata dal fatto che ancora nel XVI secolo ampie zone dell'Alto Adige risultano non germanizzate. L'idioma romanzo sopravvisse a lungo in val Venosta ed è tuttora vitale nelle valli ladine. La prevalenza della lingua tedesca non escluse continui contatti e presenze di persone e piccoli gruppi di lingua neolatina e italiana.
L'intensa germanizzazione fece dell'Alto Adige una terra prevalentemente di lingua tedesca: i poeti Walther von der Vogelweide e Oswald von Wolkenstein, considerati i padri del tedesco letterario, vennero al mondo proprio nelle valli altoatesine (ma l'origine del primo non è stata accertata).
Della più antica presenza romana sopravvive oggi la minoranza linguistica ladina in Val Gardena, nei territori intorno a Marebbe e in Val Badia, oltre alla Fassa in Trentino e l'Ampezzano in Veneto.
Nel corso dei secoli l'Alto Adige subì ripetute fasi di italianizzazione, che riguardarono sopratutto la valle dell'Adige fra Salorno e Bolzano (compresa). Ne risultò che il confine linguistico, lungo la valle dell'Adige, fu alquanto altalenante.
Fino al Settecento il cambiamento della parlata degli strati popolari (la stragrande maggioranze della popolazione) fu un processo di assimilazione culturale spontaneo, slegato da ancora inesistenti implicazioni di carattere nazionalistico.
Fu a partire dal Settecento, con Maria Teresa d'Austria, che cominciò un'opera di germanizzazione con intenti politici[8], come conseguenza la percentuale degli italiani si abbassò progressivamente.
L'Ottocento vide l'emergere delle coscienze nazionali e dei nazionalismi. Specie dopo il 1866, con la perdita del Veneto da parte dell'Austria, si intensificò l'opera di germanizzazione, col lavoro concorde del governo centrale di Vienna, del governo provinciale di Innsbruck e delle associazioni pangermaniste. Simili fenomeni di assimilazione forzata avvennero comunque in molte altre parti dell'Impero ed in generale in tutta Europa. La presenza di minoranze etniche era infatti generalmente combattuta, in quanto era vista (non a torto) come un pericolo per l'integrità territoriale dei singoli stati.
L'Alto Adige e il Tirolo
La collocazione dei territori dei due vescovadi, sulla linea di collegamento tra Germania e Italia, rivestiva un ruolo importante perché – a partire dalla seconda metà del X secolo – la corona imperiale era ritornata ai re di Germania, che dovevano essere incoronati a Roma, passando per la val d'Isarco e la val d'Adige e per Bolzano: era quindi fondamentale che i valichi alpini fossero sotto il controllo di vassalli fedeli e privi di interessi dinastici, caratteristiche che si ritrovavano nei vescovi di Trento e Sabiona-Bressanone: così il legame tra vescovi e re di Germania venne rafforzato ancor più.
Presto passò anche il periodo d'oro per il potere comitale dei vescovi a vantaggio di una nuova aristocrazia: dall'inizio del 1200 i vescovi furono bene o male spinti a cedere sempre più i loro poteri ad alcune famiglie nobiliari.
Progressivamente fra gli advocati dei vescovi si ritagliò un grande potere militare un consortile venostano, che diventò presto egemone nella regione, usurpando il legittimo potere politico-militare del principe-vescovo di Trento. Alla fine del XIII secolo assunsero (illegittimamente ma in seguito con il riconoscimento degli Asburgo) il titolo di "Conti del Tirolo", dal nome di un loro castello sopra Merano.
Tra questi ebbero un ruolo preminente nella prima metà del ‘200 Alberto III e poi nella seconda Mainardo II: con una serie di abili manovre partendo dalla posizione di avvocati e in tale veste rappresentanti militari vescovili, i Tirolo svuotarono i principi vescovi di Trento e Bressanone delle loro prerogative di governo territoriale, ottenendo sostanzialmente la signoria di fatto su buona parte degli attuali Alto Adige e Trentino.
Nell'ambito dell'inevitabile conflitto innescatosi quindi anche con il vescovo di Trento, Mainardo II nel 1276 conquistò Bolzano, distruggendone castello e palazzo vescovile e ordinando anche l'abbattimento delle mura, con i cui resti venne colmato il fossato che circondava la città.
Alla morte dell'ultimo discendente maschio dei Tirolo, il potere passò nel 1335 alla nipote del conte Mainardo II, Margherita di Tirolo-Gorizia, nota come Margarethe Maultasch.
Nel 1342 fu concesso uno statuto che prevedeva forme di partecipazione rappresentativa al potere, ampliava le libertà individuali, riconosceva il diritto di proprietà, anche ai contadini, e creava un'amministrazione autonoma di tipo pubblico.
Nel 1363 Margarethe Maultasch fu costretta in seguito a pressioni politiche a cedere la contea del Tirolo al duca d'Austria Rodolfo IV d'Asburgo: Merano rimase formalmente capitale tirolese fino al 1848, ma di fatto sin dal 1420 il duca Federico IV "dalle tasche vuote", trasferì la propria corte a Innsbruck.
Il Tirolo rimase poi possedimento degli Asburgo quasi ininterrottamente fino al 1918. Intorno al 1500 vennero annessi al Tirolo i tribunali di Rattenberg, di Kitzbühel e di Kufstein, la Val Pusteria, la conca di Lienz, Ampezzo, Primiero. Nel 1665 il Tirolo (e quindi il territorio dell'attuale Alto Adige), fino ad allora ampiamente autonomo, passò sotto l'amministrazione diretta di Vienna.
La Riforma protestante e le rivolte contadine sconvolsero il Tirolo. Michael Gaismair (1490-1532) propose nei suoi famosi "articoli meranesi" la costituzione di una repubblica contadina. Il progetto ebbe un esito fallimentare, vi furono violente sommosse e la popolazione insorse contro i nobili ed il clero, incendiando chiese e castelli. Il XVIII secolo fu segnato da numerosi conflitti: nella guerra di successione spagnola del 1703 gli Schützen si opposero vittoriosamente all'esercito bavarese. La regione fu anche teatro di scontri nel corso della prima guerra di coalizione contro la Francia (1792-1797).
La secolarizzazione promossa da Napoleone pose fine ai Principati vescovili di Trento e Bressanone. Nel 1805, dopo la disfatta dell'Austria per opera di Napoleone, il Trattato di Presburgo assegnò la Contea del Tirolo alla Baviera.
In seguito alla dichiarazione di guerra dell'Austria alla Francia, i Tirolesi (tra loro anche i trentini, "tirolesi" di lingua italiana) si sollevarono contro il dominio dei bavaresi, alleati dei francesi. Andreas Hofer, un oste di San Leonardo in Passiria, organizzò assieme a Peter Mayr e al bellicoso religioso padre Joachim Haspinger un'azione di opposizione popolare che sfociò in rivolta. Nonostante alcuni successi militari ed una strenua resistenza, la sollevazione, infine non appoggiata dall'Austria, non ebbe esito positivo. Il capo della resistenza tirolese fu catturato e fucilato a Mantova dai francesi: l'inno del Tirolo (Das Andreas-Hofer-Lied) ricorda le vicende di Hofer martire a Mantova.
Nel 1809 i confini cambiarono nuovamente. Con la pace di Schönbrunn alla Baviera toccò il Tirolo settentrionale fino a Merano e quello centrale fino a Chiusa; la Val Pusteria, da San Candido alle Province Illiriche, passò all'Austria; la Bassa Atesina con Bolzano e la maggior parte del territorio dolomitico furono incorporate nel Regno d'Italia di Napoleone: il termine "Alto Adige" fu coniato in questo periodo, per designare il nuovo dipartimento. Ettore Tolomei lo avrebbe ripreso per creare il toponimo italiano della regione. L'Alto Adige tornò all'Austria nel 1813 ed entrò a far parte della monarchia austro-ungarica.
L'Alto Adige passa all'Italia
Al termine della Prima guerra mondiale, da cui l'Italia uscì vincitrice, il Tirolo venne nuovamente diviso. Il confine del Regno d'Italia veniva quindi a coincidere con lo spartiacque delle Alpi (anzi a superarlo nella conca di San Candido) come previsto dall' Accordo di Londra, suggellato dal Trattato di Saint-Germain. Il territorio venne formalmente annesso il 10 ottobre del 1920. L'Alto Adige venne incluso nel governatorato della Venezia Tridentina e costituito in provincia (1926). I comuni ladini di Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia e Cortina d'Ampezzo furono smembrati dall'Alto Adige ed accorpati alla provincia veneta di Belluno.
Prima della guerra solo il 3% della popolazione dell'Alto Adige si dichiarava di madrelingua italiana: è però difficile disporre di dati credibili perché in occasione dei censimenti molti italofoni si dichiaravano di lingua tedesca nel tentativo di uscire da una condizione subalterna rispetto ai germanofoni. Non pochi d'altronde avevano subito nel corso dell'Ottocento un forte processo di assimilazione, come dimostrano i molti cognomi italiani di famiglie germanofone. Inoltre, i censimenti austriaci conteggiavano i ladini come italiani.
Re Vittorio Emanuele III, nel discorso alla corona del 1 dicembre 1919, aveva dichiarato il pieno rispetto delle autonomie e delle tradizioni locali, con il supporto delle istituzioni politiche e militari. Le scuole tedesche, le istituzioni e le associazioni furono mantenute e furono inoltre avviate trattative per creare strutture amministrative autonome, in grado di garantire l'integrazione delle istituzioni locali nel nuovo sistema statale.
Alle prime elezioni parlamentari a cui parteciparono anche gli abitanti dell'Alto Adige (15 maggio 1921), si presentarono la Tiroler Volkspartei, la Deutschfreiheitliche Partei e la Sozialdemokratische Partei. I primi due partiti si presentarono assieme come Deutscher Verband ottenendo circa il 90% dei voti e conquistando quattro seggi (Eduard Reut-Nicolussi, Karl Tinzl, Friedrich Graf Toggenburg e Wilhelm von Walther). I socialdemocratici ebbero il restante 10% dei consensi e non riuscirono a inviare alcun deputato a Roma. I quattro rappresentanti continuarono le trattative sull'autonomia in parlamento, che terminarono con la presa di potere del fascismo (28 ottobre 1922).
Le trattative per un'ampia autonomia furono da subito contrastate da gruppi nazionalistici, a capo dei quali si pose Ettore Tolomei. I nazionalisti più fanatici vollero la cancellazione di qualsiasi traccia e testimonianza di cultura tirolese dai nuovi territori, anche con la violenza. Il 24 aprile 1921 uno squadrone fascista agli ordini di Achille Starace assaltò con armi da fuoco e bombe a mano una sfilata in costumi tradizionali di cittadini di lingua tedesca. Quarantacinque persone furono ferite, in parte gravemente. Franz Innerhofer, maestro di Marlengo, venne assassinato a colpi di pistola, mentre tentava ripararsi sotto un portone con uno scolaro, che voleva salvare dal linciaggio fascista. Quel giorno viene ancora oggi ricordato come la "Domenica di sangue".
Dopo la presa di potere dei fascisti l'Alto Adige germanofono fu sottoposto a un intenso tentativo di italianizzazione: fu vietato l'insegnamento della lingua tedesca nelle scuole, fu censurata tutta la stampa germanofona, persino i nomi e addirittura i cognomi furono forzatamente italianizzati. Fu incentivata l'immigrazione dalle regioni più povere d'Italia, promuovendo l'industrializzazione dell'Alto Adige, con l'intento di aumentare la consistenza dell'etnia italofona. Tutto ciò suscitò notevoli rancori, ancora oggi non sopiti, fra la popolazione di lingua tedesca, che si oppose strenuamente ai tentativi di assimilazione: anche l'insegnamento del tedesco continuava nella clandestinità delle "Scuole nelle Catacombe" (Katakombenschule), il cui fondatore fu Michael Gamper. Nell'autunno del 1928 furono create scuole parrocchiali tedesche ove s'insegnava la religione nella madrelingua.
I toponimi italiani, a volte riconducibili ad antiche e per lo più disusate radici latine o retiche, ma in parte inventati o storpiati da Ettore Tolomei in dieci anni di intenso lavoro dal 1906 al 1916, e raccolti nel Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige, furono ufficializzati con regio decreto nel 1923.
Per proteggere il nuovo confine italiano, negli anni trenta furono erette in Alto Adige le fortificazioni del Vallo Alpino Littorio , che doveva estendersi da Ventimiglia a Fiume, insomma a tutto l'arco alpino.
L'avvicinamento fra Hitler e Mussolini e l'annessione dell'Austria al Terzo Reich facevano sperare agli altoatesini di lingua tedesca che presto avrebbero seguito il destino austriaco. Speranze presto deluse: il 23 giugno 1939 un accordo fra il regime nazista e quello fascista (per il quale era presente a Berlino il Prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei), interessati per motivi diversi ad allontanare il maggior numero possibile di tedeschi dalla zona, portò alle cosiddette "Opzioni" (l'accordo venne formalizzato il 21 ottobre 1939), in cui ai Sudtirolesi veniva imposto di scegliere se rimanere entro i confini italiani accettando l'italianizzazione o trasferirsi in lontani territori del Reich mantenendo però la propria lingua e cultura. Buona parte di essi, a fronte sia delle incertezze fasciste (le autorità italiane si dibattevano fra il desiderio di un trionfo dei Dableiber, che a loro parere avrebbe dimostrato il successo dell'italianizzazione, e quello di un allontanamento in massa dei germanofoni, che avrebbe consentito una colonizzazione italiana anche nelle valli) sia della propaganda del Völkischer Kampfring Südtirols (Vks), scelsero di emigrare verso il Terzo Reich: intere famiglie furono lacerate fra Dableiber (coloro che decisero di non tradire la loro terra, rimanendo) e Optanten (che decisero di non tradire la loro identità culturale tedesca emigrando nei territori del Reich). Decine di migliaia di Optanten emigrarono fino al 1943, soprattutto semplici lavoratori e contadini, che vendettero le loro case all'Ente per le tre Venezie o ai Dableiber. Più di un terzo degli optanti ritornò in Italia dopo la guerra.
Dopo l'8 settembre 1943 l'Alto Adige fu occupato dai nazisti nell'ambito dell'operazione Alarico (nel giro di due soli giorni, il 9 e il 10 settembre). Insieme alle province di Trento e Belluno fu incorporato nella Operationszone Alpenvorland - Zona di operazioni delle Prealpi, appendice del Terzo Reich, sotto il comando del Gauleiter Franz Hofer. Durante il periodo dei "600 giorni" il gruppo linguistico italiano subì gravi contraccolpi: gran parte delle autorità amministrative italiane furono sostituite da elementi tedeschi fedeli al Reich; il giornale italiano "La Provincia di Bolzano" venne soppresso e sostituito con il "Bozner Tagesblatt"; l'unica emittente italiana venne sostituita con un'emittente tedesca; anche la scuola italiana venne chiusa.
I militari altoatesini di lingua tedesca confluirono nella Wehrmacht, nelle SS e nella Gestapo. I giovani abili vennero reclutati con la forza, anche se non mancarono volontari che collaborarono alle persecuzioni contro gli ebrei (fu decimata la comunità di Merano) e alla caccia ai soldati italiani sbandati dopo l'8 settembre. A Bolzano sorse un campo "di transito" ("Durchgangslager") attraverso il quale passarono migliaia di vittime destinate ai campi di sterminio oltrebrennero. Durante la storia del campo, 23 italiani che furono catturati e lì internati, furono successivamente trucidati nell'eccidio della caserma Mignone, il 12 settembre 1944.
In base al "programma di eutanasia -T4", voluto da Hitler, molti infermi psichici e disabili vennero deportati presso la clinica psichiatrica di Innsbruck e di qui a Hall e al Castello di Hartheim a Linz. Dei 569 malati che furono deportati, 239 morirono di fame e privazioni o furono eliminati.
Una nota: i militari tedeschi vittime dell'attacco di via Rasella a Roma, che scatenò la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine, appartenevano all'11a compagnia del 3° battaglione del reggimento "SS Polizei Bozen".
La resistenza era rappresentata dal CNL (guidato fino alla sua esecuzione da Manlio Longon) e dall'Andreas-Hofer-Bund, formato da Dableiber che i nazisti perseguitavano come traditori. Ricordiamo i nomi di Friedl Volgger, internato nel campo di concentramento di Dachau. Riuscì a sopravvivere e nel dopoguerra divenne senatore della Südtiroler Volkspartei. Josef Mayr-Nusser, capo della gioventù cattolica diocesana, che non volle prestare giuramento alle SS per incompatibilità con la propria fede religiosa, morto durante il viaggio verso il Campo di concentramento di Dachau. Erich Ammon, che l'8 maggio 1945 fondò la Südtiroler Volkspartei (SVP).
Il 25 maggio del 1945 l'Alto Adige venne occupato dagli Alleati. La seconda guerra mondiale finiva con 8.000 altoatesini dispersi o morti in guerra.
L'Alto Adige dal 1945 al 1972
Nell'immediato dopoguerra (1945-1946) numerosi altoatesini speravano in un ritorno all'Austria; ma l'Italia aveva già perso l'Istria e altri territori e l'Austria era un paese privo di sovranità, sotto occupazione quadripartita, che aveva dato i natali all'istigatore del conflitto mondiale Hitler e partecipato allo sterminio degli ebrei. Un buon numero di altoatesini di lingua tedesca aveva poi simpatizzato per il nazismo, il che rendeva la richiesta di ritorno all'Austria per lo meno intempestiva e difficile da sostenere: in più l'Unione Sovietica si oppose violentemente a qualunque processo potesse favorire una ricompattazione di territori tedeschi, temendo possibili rigurgiti pangermanisti. La terra a sud del Brennero doveva quindi rimanere italiana, a condizione che venisse rispettata la forte minoranza tedesca. Alcide De Gasperi e Karl Gruber, ministro degli esteri austriaco, raggiunsero l'Accordo di Parigi, stipulato il 5 settembre 1946 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 dicembre del 1947. Fu prevista la possibilità del rientro degli optanti non compromessi in maniera particolarmente evidente e grave con il regime nazista.
Questa serie di provvedimenti, anche se ispirata dalle grandi potenze, poté realizzarsi grazie alla notevole (secondo alcuni eccessiva) disponibilità da parte del governo italiano, se si considera anche il fatto che in Alto Adige le simpatie verso il nazismo nell'immediato dopoguerra non erano affatto scomparse, come dimostra un recente, documentatissimo studio dello storico austriaco Gerald Steinacher [2]("Nazis auf der Flucht", Studien Verlag, Innsbruck 2008) che illustra come nel 1946 centinaia di criminali di guerra, fra cui Eichmann, Mengele, Priebke, abbiano potuto trovare aiuto e rifugio in Alto Adige, spesso con la collaborazione di ecclesiastici di vario grado e livello, nel corso della loro fuga verso lidi sicuri.
L'Accordo De Gasperi-Gruber prevedeva una forte autonomia per il solo Alto Adige (l'art.1 recitava: "Gli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca"), ma per l'inopportunità politica di creare una regione a maggioranza tedescofona essa venne estesa anche al Trentino. Ebbe un certo rilievo anche l'origine trentina di De Gasperi. Il primo statuto speciale del 1948 concedeva ampi poteri legislativi, amministrativi e finanziari alla Regione Trentino-Alto Adige/Tiroler Etschland, dove gli italofoni erano in maggioranza, fu sancito il bilinguismo italiano/tedesco, furono istituite scuole in lingua tedesca, venne introdotta la toponomastica bilingue.
L'autonomia fu ritenuta insoddisfacente dagli altoatesini di lingua tedesca: mal digerirono l'arrivo di italofoni immigrati dalle zone più depresse del paese, attirati dalle sovvenzioni e dall'industrializzazione; la presenza maggioritaria di italiani nelle pubbliche amministrazioni; il centralismo regionale (in Regione gli italofoni erano sempre in maggioranza). Nel 1957 una folla di 35.000 persone si radunò a Castel Firmiano per protestare contro la costruzione di 5.000 alloggi per gl'italiani immigrati nella provincia. La dimostrazione era stata organizzata dalla SVP all'insegna del motto ""Los von Trient"" (via da Trento), che sostituiva il precedente ""Los von Rom"" (via da Roma): la parte più moderata dei popolari altoatesini intorno a Silvius Magnago rinunciava (almeno temporaneamente) alla secessione dall'Italia a favore di una maggiore autonomia.
Ma gli sviluppi non furono soltanto pacifici: negli anni cinquanta nacque un movimento "terrorista" clandestino, mirante alla riunificazione del Tirolo, il Comitato per la liberazione del Sudtirolo (BAS). Negli anni sessanta si verificarono numerosi attentati dinamitardi, inizialmente contro cose (tralicci, caserme ecc.); ma i terroristi non esitarono a usare la violenza contro le forze dell'ordine, ricorrendo addirittura a mine antiuomo (tragico l'episodio di Cima Vallona). Le forze dell'ordine ed in particolare i Carabinieri risposero duramente. Ci furono denunce per tortura che avrebbero anche portato alla morte di tre persone. Il relativo processo si concluse con otto proscioglimenti e due amnistie. Gli attentati continuarono fino ai primi anni settanta, con strascichi fino agli anni ottanta. Bilancio: trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988. 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra, mine. 21 morti, di cui 15 membri delle forze dell'ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che stavano predisponendo. 57 feriti: 24 fra le forze dell'ordine, 33 privati cittadini. "Vedi anche Terrorismo in Alto Adige"
A parte episodi a carattere sostanzialmente goliardico da parte dell'API (Associazione protezione italiani), la popolazione di lingua italiana non rispose mai alla violenza con la violenza.
Nel contempo si cercava una soluzione politica: il trattato del 1946 fu la base della risoluzione 1497 delle Nazioni Unite del 1960, sollecitata dal cancelliere austriaco Bruno Kreisky, che invitava "urgentemente" i due paesi a riprendere "i negoziati con l'obiettivo di trovare una soluzione di tutte le controversie concernenti l'attuazione dell'accordo di Parigi del 5 settembre 1946".
L'Alto Adige dal 1972 a oggi
Dopo dodici anni di discussione nel 1972 l'Alto Adige ottenne dallo Stato italiano un'amplissima e ricchissima autonomia (secondo la quale dispone del 90% delle imposte pagate in provincia). La provincia autonoma dispone di 9 mila euro di risorse all'anno per ognuno dei suoi oltre 480 mila abitanti (contro i 2 mila della Lombardia, superati però dai 12 mila della Valle d'Aosta). Complessivamente il bilancio dell'Alto Adige si aggira sui 5 miliardi di euro all'anno. Con l'entrata in vigore del secondo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che in tedesco viene da allora chiamato Trentino-Südtirol, le maggiori competenze e risorse sono state trasferite alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
L'Alto Adige è oggi al secondo posto in Italia per PIL pro capite, superato di poco dalla Lombardia, attestandosi sui 31.158€. Nel contesto europeo il potere d'acquisto pro capite supera di oltre 40 punti percentuali la media dell'Unione Europea a 25.[9] Anche la condizione occupazionale in provincia è eccellente, e con un tasso di disoccupazione che si attesta al 2,7% si parla tecnicamente di piena occupazione.[10] Il notevole benessere è anche riconducibile alla oculata gestione delle notevoli risorse da parte dell'amministrazione provinciale: nel maggio del 2006 il Presidente Durnwalder ha ricevuto lo "European Taxpayers' Award" per l'efficienza della cosa pubblica in Alto Adige.[11]
Lo Statuto sancisce la parità delle due lingue italiano e tedesco, l'obbligo del bilinguismo per tutti i dipendenti pubblici e la cosiddetta proporzionale etnica: le assunzioni pubbliche sono distribuite in proporzione alla consistenza dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. La normativa deroga all'articolo 3 della Costituzione, che proclama l'uguaglianza "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua", ma si giustifica in base all'art. 6: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche" nonché in base alle leggi costituzionali in materia.
A parte rare eccezioni (Libera Università, la scuola ladina e alcune scuole private) tutte le scuole, in base allo statuto d'autonomia, sono separate per gruppi linguistici.
Negli ultimi anni del XX secolo e nei primi del XXI si è sostenuto che esista un progressivo disagio nella popolazione di lingua italiana, che è in progressivo calo (è scesa dal 35% al 25% circa: il timore di una Todesmarsch o Marcia della morte - la scomparsa progressiva dell'etnia tedesca - diffuso negli anni sessanta, si starebbe ora diffondendo fra gli italiani a proposito della propria etnia).
A causa del crollo del Patto di Varsavia, dell'ingresso dell'Austria nell'Unione Europea e della sua adesione al trattato di Schengen si è verificato il trasferimento di un consistente numero di militari dell'esercito (che avevano la residenza in Alto Adige) dalla frontiera altoatesina verso altre regioni d'Italia, il che ha contribuito a questo fenomeno che appare ormai inarrestabile. Da tempo si osserva lo stato di subalternità in cui è costretto il gruppo italiano, quasi sempre lontano dalle posizioni di maggior rilievo politico, sociale ed economico (Bolzano a parte). Ciò si deve anche al fatto che il potere politico è saldamente nelle mani della SVP, che si considera rappresentante degli interessi tedeschi e ladini, ma non italiani, tant'è che gli altoatesini di lingua italiana non vi si possono iscrivere. Si aggiungano le difficoltà di comunicazione: mentre gli italofoni apprendono il tedesco standard, la popolazione germanofona si esprime in un colorito dialetto, molto diverso rispetto all' "Hochdeutsch". L'immigrazione di italiani verso questa prospera regione viene ostacolato da una normativa rigidissima, che consente di votare per le elezioni provinciali e di godere dei sussidi pubblici, indispensabili in un territorio dove il costo della vita è altissimo, soltanto dopo 4 anni di residenza. Ma anche fra gli italofoni già residenti è forte il disagio, legato alla percezione di maggiori privilegi e di un trattamento di favore riservato alla comunità tedesca.[12] Come conseguenza, in occasione del censimento, molti italiani, se coniugati o conviventi con un/a cittadino/a di madrelingua tedesca, trovano più vantaggioso dichiarare i propri figli come di etnia tedesca.
Se da un lato l'ingresso dell'Austria nell'Unione Europea e la sua adesione al trattato di Schengen hanno provocato una riunificazione di fatto delle popolazioni tirolesi (c'è ormai la stessa moneta, si passa liberamente il confine senza più barriera doganale, si stanno creando attività comuni di sviluppo), contribuendo a stemperare le spinte autonomistiche o separatiste, d'altro canto proprio l' apertura della frontiera rafforza la compattezza del gruppo tedesco e fa del gruppo italiano una minoranza ancora più ristretta se vista nell'ambito di un contesto tirolese che oggi tende ad allargarsi al versante austriaco.
La comunità linguistica italiana è sempre più comunemente definita "minoranza italiana dell'Alto Adige".
Attualmente l'etnia italiana prevale solamente nei comuni di Bolzano (73 per cento), Laives (70 per cento), Salorno (64 per cento), Bronzolo (60 per cento) e Vadena (57 per cento). Una consistente minoranza italiana si registra nei comuni di Merano (48 per cento), Fortezza (41 per cento), Egna (38 per cento), Cortina sulla strada del vino (31 per cento), Ora (30 per cento).
Per quanto concerne la toponomastica, al fine di trovare una soluzione condivisa è stato creato un comitato paritetico con il compito di elaborare una norma di attuazione in materia. La toponomastica elaborata da Ettore Tolomei è l'unica ufficialmente vigente, dovendo i toponimi tedeschi essere accertati e poi approvati da una legge provinciale, ai sensi dello Statuto del Trentino-Alto Adige. Il bilinguismo dei toponimi vale anche per quei comuni della montagna dove l'appartenenza al gruppo tedesco supera il 98%. Comunque in buona parte del territorio (con l'eccezione di Bolzano e pochi altri comuni) il toponimo tedesco precede quello italiano. In alcuni casi, come nel comune di Marlengo, dove oltre il 10% della popolazione è di madrelingua italiana, il toponimo italiano è stato completamente rimosso dall'indicazione della stazione ferroviaria, contrariamente all'obbligo del bilinguismo.
Nel 1992, approvate le norme di attuazione dello Statuto, confluite nel Pacchetto di Autonomia, l'Austria rilasciò all'Italia la c.d. quietanza liberatoria: la questione dell'Alto Adige sembrava essere definitivamente risolta.
Dagli anni novanta si è aperto un dibattito pubblico sul passato nazista e fascista, soprattutto nel gruppo etnico tedesco, sull'esempio della Germania. Il gruppo italiano si è mostrato meno sensibile alla tematica, come dimostra l'esito del recente referendum su "Piazza della Pace" a Bolzano svoltosi il 6 ottobre 2002, in cui prevalse (62% contro 38%) la decisione di ripristinare il nome "Piazza della Vittoria". La piazza è fra l'altro corredata di un imponente monumento di costruzione fascista, ornato di fasci littori, che ricorda la vittoria nella Grande guerra. La comunità italiana ha così reagito a quello che era apparso come un tentativo di annacquare l'identità italiana della città.
Si può tuttavia rilevare che anche tra i germanofoni vi è la tendenza a nascondere o a minimizzare le evidenti simpatie naziste di molti altoatesini di lingua tedesca negli anni trenta e quaranta, come dimostrano i legami di Andreas Pöder, consigliere provinciale dell'Union für Südtirol, partito con simpatie separatiste, con i neonazisti del "Südtiroler Kameradschaftsring" (con conseguenti indagini della magistratura).[13] Per quanto riguarda poi la valutazione dei trascorsi terroristici, non manca chi esprime pubblicamente apprezzamento. In questo senso gli Schützen (comparabili con gli Alpini) hanno lanciato nel 2004 la seguente campagna: "Südtirol sagt Danke für deutsche Schule, starke Wirtschaft, Wohlstand und vieles mehr!". Sullo sfondo un traliccio divelto dalla dinamite, ben in mostra Sepp Kerschbaumer, fondatore del BAS, in sovrimpressione le parole: "Il Sudtirolo ringrazia per la scuola tedesca, la forte economia, il benessere e molto altro!"[14]
L'Alto Adige è tornato sotto i riflettori nel gennaio 2006. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi cancellò la visita ufficiale a Vienna a seguito di iniziative volte a inserire in una prospettata riforma della Costituzione austriaca norme che dichiarino esplicitamente "la funzione di tutela dell' Alto Adige da parte dello Stato austriaco e il diritto all'autodeterminazione". 113 sindaci altoatesini su 116 firmarono una petizione in favore delle proposte di modifica della costituzione austriaca. Un fatto alquanto grave, se si tiene in considerazione che i sindaci, ufficiali dello Stato italiano, rappresentano anche gli altoatesini di lingua italiana e ladina. L'azione dei sindaci altoatesini fu molto criticata sia dall'allora Governo Berlusconi, sia dall'Unione di centrosinistra, che anzi pensò di rompere l'alleanza con la SVP.
Nello stesso anno si sono verificati alcuni atti vandalici nei confronti del monumento all'Alpino di Brunico ("Alla gloria imperitura degli Alpini") che ha destato molto sdegno da parte della popolazione residente ma soprattutto è risulatto l'ennesimo atto da parte di "ignoti" nei confronti delle Forze Armate presenti in Alto Adige, in questo caso agli Alpini.[15]
Che la questione altoatesina non possa dirsi ancora conclusa e che tra i gruppi linguistici serpeggi ancora un certo malessere nonostante la grande prosperità economica, lo dimostrano i fatti: nello statuto della SVP, il partito da quasi 60 anni al potere nella provincia, si legge che "come conseguenza della prima guerra mondiale l'Alto Adige, per secoli parte dell'Austria, fu separato dalle madrepatria e tale ingiustizia storica viene tuttora sentita come tale dalla popolazione";[16] il presidente della Provincia autonoma, Luis Durnwalder, si è detto convinto che se oggi gli altoatesini fossero chiamati al referendum, si pronuncerebbero in maggioranza per il ritorno all'Austria.[17] Dall'altro lato il parlamento austriaco ha nel settembre 2006 votato un ordine del giorno per inserire definitivamente nella nuova Costituzione la funzione di tutela della popolazione altoatesina di lingua tedesca. Il partito "Süd-Tiroler Freiheit" ha fatto della secessione dall'Italia e della "libertà del Sud-Tirolo" la sua bandiera, lanciando una campagna politica per rimarcare che "il Sud-Tirolo non è Italia".
Tanti fantasmi si aggirano ancora a guastare i rapporti tra i gruppi linguistici in Alto Adige anche da parte italiana, come dimostrano le polemiche che taluni media italiani hanno scatenato nei confronti di Gerhard Plankensteiner, vincitore della medaglia di bronzo per l'Italia ai XX Giochi olimpici invernali: alla domanda del perché non avesse cantato l'inno di Mameli, l'atleta di madrelingua tedesca aveva risposto: "Non conosco questa canzone". È evidente che Plankensteiner cercava di "tradurre" il tedesco "Lied", che vale per ogni tipo di canto, dagli inni alle canzonette, così come è comprensibile che il brano sicuramente gli era noto sotto il nome di Inno nazionale dell'Italia, ma non sotto il nome dell'autore Goffredo Mameli.
A parte episodi del genere, che in ogni caso non devono essere sottostimati o trascurati, si può affermare che l'Alto Adige sia sotto numerosi aspetti un modello d'integrazione etnica.
Note
- ^ Trentino-Alto Adige e Tolomei (Documento Google
- ^ Brunialti, Attilio. Trento e Trieste. Dal Brennero alle rive dell'Adriatico. p.47
- ^ Gleirscher 1992.
- ^ Gleirscher 1991.
- ^ Gleirscher 1991.
- ^ Alinei 2000, p. 747-750
- ^ Brunialti, Attilio. Trento e Trieste. Dal Brennero alle rive dell'Adriatico p.93
- ^ Il Trentino-Alto Adige e Tolomei (Documento Google)
- ^ Eurostat News Release 23/2007: Regional GDP per inhabitant in the EU 25[1]
- ^ Astat: occupazione nel primo trimestre 2007
- ^ dal sito della Provincia, in tedesco
- ^ dal Giornale
- ^ STOL - Südtirol Online in tedesco
- ^ Südtirol sagt Danke
- ^ dal Corriere della Sera
- ^ Programma della SVP in tedesco
- ^ Citazione da STOL - Südtirol Online
Bibliografia
- Alinei, Mario (2000), Origini delle lingue d'Europa vol. 2, Bologna:Il Mulino.
- Brunialti, Attilio. Trento e Trieste. Dal Brennero alle rive dell'Adriatico. Utet. Torino, 1916
- Gleirscher, Paul (1991), Die Räter, Chur:Rätisches Museum.
- Gleirscher, Paul (1992), Die Laugen-Melaun-Gruppe. In: Metzger, Ingrid R., Die Räter – I Reti, Bozen:Athesia, ISBN 88-7014-646-4, pp. 117–134.
- Gottfried Solderer (a cura di), Das 20. Jahrhundert in Südtirol, 6 voll., Bolzano: Raetia 1999-2004
- 1 Abschied vom Vaterland (1900-1919). - 1999. - 328 p. ISBN 88-7283-130-X
- 2 Faschistenbeil und Hakenkreuz (1920-1939). - 2000. - 320 p. ISBN 978-88-7283-148-9
- 3 Totaler Krieg und schwerer Neubeginn (1940-1959). - 2001. - 331 p. ISBN 88-7283-152-0
- 4 Autonomie und Aufbruch (1960-1979). - 2002. - 336 p. ISBN 88-7283-183-0
- 5 Zwischen Europa und Provinz (1980-2000). - 2003. - 336 p. ISBN 88-7283-204-7
- (6) Alto Adige/Südtirol: XX secolo. Cent'anni e più in parole e immagini / a cura di Carlo Romeo. - 2004. - 400 p. ISBN 978-88-7283-197-7