Impresa di Fiume

episodio storico (1919-1920)
Versione del 4 giu 2010 alle 22:16 di 82.54.187.252 (discussione) (e un bel chissenefrega in lingua che parliamo qui)

L'impresa di Fiume è stato un avvenimento storico di cui fu protagonista Gabriele D'Annunzio. Infatti il 12 settembre 1919 guidò un gruppo di circa 2.600 ribelli del Regio Esercito - i Granatieri di Sardegna - da Ronchi (intitolata poi in età fascista Ronchi dei Legionari, nome rimasto), presso Monfalcone, a Fiume. D'Annunzio proclamò l'annessione al Regno d'Italia della città quarnerina.

Francobollo fiumano.

Osteggiato dal governo italiano tentò di resistere alle pressioni che gli giungevano dall'Italia. Nel frattempo, l'approvazione del Trattato di Rapallo il 12 novembre 1920, trasformò Fiume in uno stato indipendente. D'Annunzio proclamò la Reggenza Italiana del Carnaro. Il 24 dicembre 1920 l'esercito italiano procedette con la forza allo sgombero dei legionari fiumani dalla città.

Filippo Tommaso Marinetti, durante il periodo della sua presenza a Fiume nel settembre 1919, definì gli autori dell'impresa disertori in avanti.

Gli antefatti

Antefatti

 

Secondo il censimento ungherese del 1910 (dove venne richiesta la lingua d'uso), la popolazione di Fiume era pari a 49.806 abitanti, e così suddivisa: 24.212 dichiaravano di avere come lingua d'uso l'italiano, 12.926 il serbocroato ed altre lingue, soprattutto ungherese, sloveno e tedesco. Nel censimento non si consideravano i dati della località di Sussak, il quartiere operaio a maggioranza croata sorto in epoca recente ad est della Fiumara. Quest'ultimo era il corso d'acqua che suddivideva la municipalità di Fiume (formalmente dipendente dalla Corona Ungherese in qualità di Corpus Separatum) dal Regno di Croazia. La città di Fiume aveva sempre lottato contro la propria annessione al Regno di Croazia, reclamata invece dai croati. Il quartiere di Sussak era politicamente orientato a sinistra e da solo contava 15.000 abitanti.

Si può quindi dire che fosse una cittadina portuale di tutto rispetto a maggioranza relativa italiana e con forte presenza croata. Se si conta anche Sussak, la maggioranza era presumibilmente croata, situazione questa che evidentemente contribuì non poco ai tragici fatti del secondo dopoguerra dopo il fenomeno della fascistizzazione di Fiume tra le due guerre.

La marcia su Fiume

Alla conclusione del primo conflitto mondiale, dalle trattative di pace, l'Italia ottenne le terre irredente di Trento e Trieste ma l'opposizione del presidente americano Woodrow Wilson condusse ad una situazione di stallo per quanto riguardava la Dalmazia e Fiume, non promessa all'Italia col patto di Londra e reclamata dagli italiani in quanto abitata prevalentemente da connazionali. Inoltre già nell'ottobre 1918 a Fiume si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l'annessione all'Italia.[1] di cui fu nominato presidente Antonio Grossich. I rappresentanti italiani a Parigi Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, dopo aver polemicamente abbandonato il tavolo delle trattative il 24 aprile, non avendo colto risultati sperati vi fecero ritorno il 5 maggio.

A Fiume, già ad aprile Giovanni Host-Venturi e Giovanni Giuriati avevano iniziato a creare una Legione fiumana costituita da volontari per difendere la città in particolare dal contingente francese, filo-iugoslavo.[2]

Nel frattempo Gabriele D'Annunzio si era recato a Roma per tenere una serie di comizi in favore dell'italianità di Fiume. I discorsi infuocati di D'Annunzio suscitarono l'emozione soprattutto dei moltissimi giovani reduci che ritornati dalla guerra erano rimasti disoccupati.[3] In particolare si insistette sull'onta della vittoria mutilata che induceva un revanscismo delle aspettative di carattere nazionalista. Intanto a Fiume la situazione diveniva sempre più incandescente e si susseguivano costantemente manifestazioni della popolazione a favore dell'italianità della città e incidenti tra i vari reparti delle quattro nazioni che al termine del conflitto avevano occupato la città (italiani, francesi, inglesi, americani). A Parigi si decisero così alcune sanzioni e l'allontanamento dei Granatieri di Sardegna, reparto che si era dimostrato particolarmente irrequieto. I Granatieri, sotto il comando del generale Mario Grazioli, lasciarono Fiume il 25 agosto 1919, acquartierandosi a Ronchi. Da qui sette ufficiali inviarono a D'Annunzio una lettera in cui lo invitavano a porsi a capo di una spedizione che a Fiume ne rivendicasse l'italianità:

«Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l'unità d'Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L'Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo.»

La Santa Entrata

 
Léon Bakst: costume di scena realizzato per la danzatrice Ida Rubinstein, per la sua interpretazione dell'opera teatrale "Il martirio di San Sebastiano" di Gabriele D'Annunzio

Dopo alcuni giorni D'Annunzio ruppe gli indugi e garantì il proprio arrivo a Ronchi per il 7 settembre, ma a causa di una intempestiva febbre poté onorare il proprio impegno solo l'11 dello stesso mese. Intanto a Ronchi erano già arrivati numerosi volontari.

Mussolini fu informato solo il giorno prima della partenza[4] per Fiume quando, sciolta ogni riserva, gli inviò una lettera chiedendogli sostegno.

«Mio caro compagno, il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile... Sostenete la Causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.»

Qui giunsero anche i volontari al seguito del tenente Guido Keller dotati di autocarri su cui presero posto buona parte dei convenuti. Messisi in viaggio verso Fiume alla colonna via via si unirono altri volontari tra cui alcuni gruppi di bersaglieri che in realtà avrebbero dovuto bloccarlo, oltrepassato il confine presidiato dal generale Vittorio Emanuele Pittaluga il 12 settembre, dopo essersi congiunto con la Legione Fiumana di Host-Venturi, D'Annunzio prese possesso della città acclamato dalla popolazione italiana e dai volontari lì presenti. Nel pomeriggio D'Annunzio proclamò l'annessione all'Italia di Fiume.

«Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume.»

Questa giornata sarà in seguito celebrata dallo stesso poeta come il giorno della "Santa Entrata", ricalcando il nome col quale per secoli venne ricordato l'ingresso dei rappresentanti veneziani a Zara nel 1409.

Il giorno seguente i francesi e gli inglesi preferirono evitare che l'azione finisse in un bagno di sangue, anche se alcuni morti in realtà vi furono.

Le reazioni del governo Nitti

D'Annunzio costituì un "Gabinetto di Comando" al cui vertice pose Giovanni Giuriati.

Il governo italiano guidato da Francesco Saverio Nitti disconobbe l'azione del vate, e intenzionato ad ottenere la resa e l'abbandono della città da parte dei legionari nominò Commissario straordinario per la Venezia-Giulia Pietro Badoglio, con il compito di risolvere la situazione. Il nuovo commissario straordinario fissò la propria sede a Trieste e come primo atto fece gettare dei volantini su Fiume in cui si minacciavano i legionari di essere considerati disertori e quindi di poter essere puniti dai Tribunali militari.

L'ultimatum di Badoglio non fu accolto e non sortì alcun effetto. Nitti allora decise di porre la città sotto assedio impedendo l'afflusso di viveri. A ciò D'Annunzio rispose in maniera sprezzante chiamando in causa Nitti:

«Impotente a domarci. Sua indecenza la Degenerazione adiposa si propone di affamare i bambini e le donne che con le bocche santificate gridano "Viva l'Italia"... Raccogliete pel popolo di Fiume viveri e denaro!»

Il 16 settembre inviò anche una polemica lettera a Mussolini contestandogli lo scarso impegno finanziario nell'impresa

«Mio caro Mussolini, mi stupisco di voi e del popolo italiano. Io ho rischiato tutto, ho fatto tutto, ho avuto tutto. Sono padrone di Fiume, del territorio, d'una parte della linea d'armistizio, delle navi; e dei soldati che non vogliono obbedire se non a me. Nessuno può togliermi di qui. Ho Fiume; tengo Fiume finché vivo, inoppugnabilmente. E voi tremate di paura! Voi che lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abbietto truffatore che abbia mai illustrato la storia del canagliume universale. Qualunque altro paese - anche la Lapponia - avrebbe rovesciato quell'uomo, quegli uomini. E voi stete lì a cianciare, mentre noi lottiamo d'attimo in attimo, con un'energia che fa di quest'impresa la più bella dopo la dipartita dei Mille. Dove sono i combattenti, gli arditi, i volontari, i futuristi? Io ho tutti soldati qui, tutti soldati in uniforme, di tutte le armi. È un'impresa di regolari. E non ci aiutate neppure con sottoscrizioni e collette. Dobbiamo fare tutto da noi, con la nostra povertà. Svegliatevi! E vergognatevi anche. Se almeno mezza Italia somigliasse ai Fiumani, avremmo il dominio del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell'eroismo, dove sarà dolce morire ricevendo un ultimo sorso della sua acqua. Non c'è proprio nulla da sperare? E le vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi opprime, e sgonfiatela. Altrimenti verrò io quando avrò consolidato qui il mio potere. Ma non vi guarderò in faccia. Su! Scuotetevi, pigri nell'eterna siesta! Io non dormo da sei notti; e la febbre mi divora. Ma sto in piedi. E domandate come, a chi m'ha visto. Alalà»

Questa lettera apparve sul Popolo d'Italia il 20 settembre emendate dalle parti più polemiche (quelle che appaiono in corsivo). A riguardo è da rimarcare che mai in seguito D'Annunzio contestò la censura alla sua lettera. Mussolini avviò rapidamente una sottoscrizione pubblica per finanziare Fiume che raccolse quasi tre milioni di lire. Una prima tranche di denaro, ammontante a 857.842 lire, fu consegnata a D'Annunzio ai primi di ottobre, altro denaro in seguito. Parte del denaro, con un'autorizzazione pubblica del poeta, fu utilizzata per finanziare lo squadrismo milanese.[6]

«Mio caro Benito Mussolini, chi conduce un'impresa di fede e di ardimento, tra uomini incerti o impuri, deve sempre attendersi d'essere rinnegato e tradito "prima che il gallo canti per la seconda volta"". E non deve addontarsene né accorarsene. Perché uno spirito sia veramente eroico, bisogna che superi la rinnegazione e il tradimento. Senza dubbio voi siete per superare l'una e l'altro. Da parte mia, dichiaro anche una volta che - avendo spedito a Milano una compagnia di miei legionari bene scelti per rinforzo alla vostra e nostra lotta civica - io vi pregai di prelevare dalla somma delle generosissime offerte il soldo fiumano per quei combattenti. Contro ai denigratori e ai traditori fate vostro il motto dei miei "autoblindo" di Ronchi, che sanno la via diritta e la meta prefissa.

Fiume d'Italia, 15 febbraio 1920 Gabriele D'Annunzio.»

Lettera originale inviata da D'Annunzio A Mussolini

Intanto il 25 settembre tre battaglioni di bersaglieri destinati all'assedio della città, lasciate le proprie posizioni completi di armi e salmerie disertarono e raggiunsero i legionari. L'avvenimento spinse Badoglio a rassegnare le proprie dimissioni che vennero però respinte.[7] Il 7 ottobre Mussolini si recò a Fiume dove incontrò D'Annunzio mentre il 10 dello stesso mese gli Uscocchi presero possesso di un'imbarcazione carica di armi e munizioni.

Al fine di risolvere la situazione che si rendeva sempre più esplosiva Nitti acconsentì a tentare una soluzione più diplomatica. In effetti a partire dal 20 ottobre 1919 cominciarono degli incontri tra Badoglio e D'Annunzio che, durati circa due mesi, non approdarono ad alcun accordo.

Il 26 ottobre si tennero a Fiume le elezioni che videro scontrarsi le due principali compagini politiche, da una parte i fautori dell'annessione all'Italia guidati Riccardo Gigante e dall'altra parte gli autonomisti guidati da Riccardo Zanella. Vinse la lista annessionistica con circa il 77% dei consensi e Gigante divenne sindaco della città venendo ufficialmente proclamato il 26 novembre.

La spedizione a Zara

 
D'Annunzio e l'ammiraglio Enrico Millo a bordo dell'Indomito

Mentre ancora duravano gli incontri con Badoglio, D'Annunzio il 14 novembre prese l'iniziativa di recarsi a Zara. Infatti il 14 novembre si imbarcò sulla nave Nullo insieme a Guido Keller, Giovanni Giuriati, Giovanni Host-Venturi e Luigi Rizzo. A Zara venne benevolmente accolto dall'ammiraglio Enrico Millo, divenuto governatore di quei territori occupati, che davanti al "vate" prese solennemente l'impegno di non abbandonare la Dalmazia finché questa non fosse stata ufficialmente annessa all'Italia.

Alle Elezioni politiche italiane del 1919 tenutesi il 16 novembre Francesco Saverio Nitti fu riconfermato al governo (Governo Nitti II).

La questione del plebiscito

Il nuovo governo italiano preparò un nuovo testo (definito Modus vivendi) che consegnò a D'Annunzio il 23 novembre. Con questo testo il governo italiano si impegnava innanzitutto ad impedire che la città potesse essere annessa al nuovo stato jugoslavo ed a ottenere per essa l'annessione all'Italia o almeno di renderla città libera con relative garanzie e statuto speciale. D'Annunzio rifiutò il testo reclamando l'annessione immediata, ma nella notte il testo fu affisso sui muri della città per portarlo alla conoscenza dei cittadini fiumani. Su di esso si poteva leggere :

«L'annessione formale, oggi è assolutamente impossibile. Però il governo d'Italia assume solenne l'impegno e vi dà formale garanzia che l'annessione possa avvenire in un periodo prossimo...

Cittadini! Se voi rifiutate queste proposte, voi comprometterete in modo fors'anche irreparabile la città, i vostri ideali, i vostri più vitali interessi. Decidete! Decidete voi, che siete figli e i padroni di voi e di Fiume, e non permettete, non tollerate che altri abusino del vostro nome, del vostro diritto, e degli interessi supremi d'Italia e di Fiume.»

Il 15 dicembre il Consiglio nazionale della città di Fiume approvò le proposte del governo italiano con 48 voti favorevoli e 6 contrari. Gli elementi più accesi della popolazione e dei legionari contestarono le decisioni prese dal Consiglio arrivando anche ad intimidire gli elementi più moderati pertanto si preferì indire un un plebiscito per decidere il da farsi. Molti legionari favorevoli a continuare l'occupazione della città si lasciarono anche andare ad intimidazioni nei confronti degli elementi più moderati ottenendo la benevola tolleranza del "vate".[8] La rivista nazionalista "La Vedetta d'Italia" fu chiusa per qualche giorno.[9]

Il testo del quesito fu il seguente:

«È da accogliersi la proposta del governo italiano dichiarata accettabile dal Consiglio nazionale nella seduta del 15 dicembre 1919, sciogliendo Gabriele d'Annunzio e i suoi legionari dal giuramento di tenere Fiume fino a che l'annessione non sia decretata e attuata?.»

Lo scrutinio iniziò la sera stessa mostrando un andamento nettamente favorevole all'accoglimento delle proposte italiane, ma allo stesso tempo legionari contrari alla piattaforma proposta dal governo italiano bloccarono lo scrutinio sequestrando anche le urne.[10] D'Annunzio decise allora di sospendere lo stesso e di invalidarlo.

«Mi sono state riferite e provate le irregolarità commesse da una parte e dall'altra durante la votazione plebiscitaria: le giudico di tale natura da togliere alla votazione ogni efficacia di decisione...»

Badoglio dal canto suo interruppe ogni possibile ulteriore trattativa e lasciò l'incarico. Al suo posto subentrò il generale Enrico Caviglia. A Fiume invece il capo gabinetto Giovanni Giuriati adirato per l'annullamento del plebiscito si dimise scrivendo a D'Annunzio:

«Io sono venuto a Fiume per difendere le secolari libertà di questa terra, non per violentarle o reprimerle»

Gli subentrò Alceste De Ambris, ex sindacalista rivoluzionario ed interventista che era giunto a Fiume nel gennaio del 1920.

Il gabinetto De Ambris

In quei giorni, anche a causa di un cambio di rotta in senso rivoluzionario e popolare impresso dallo stesso De Ambris, si iniziarono a temere in Italia ipotesi di svolte in senso repubblicano e addirittura il timore di un tentativo di colpo di stato.

Filippo Turati in quei giorni scrisse:

«Il povero Nitti è furibondo per le indegne cose di Fiume […]. Non solo proclamano la repubblica di Fiume, ma preparano lo sbarco in Ancona, due raid aviatori armati sopra l'Italia e altre delizie del genere. Fiume è diventato un postribolo, ricetto di malavita e di prostitute più o meno high-life. Nitti mi parlò di una marchesa Incisa, che vi sta vestita da ardita con tanto di pugnale. Purtroppo non può dire alla Camera tutte queste cose, per l'onore d'Italia.»

Nella stessa Fiume gli ufficiali del Regio esercito vivevano con disagio la nuova situazione tanto che lo stesso generale Caviglia pensò di poter fruttare un eventuale dissidio interno alla città tra monarchici e repubblicani. Inoltre alcune decisioni dello stesso D'Annunzio alimentavano i dubbi e le polemiche interne. Nel marzo 1920 un furto compiuto da alcuni legionari ai danni di alcuni commercianti scatenò le ire del capitano dei Carabinieri Rocco Vadalà che richiese al "vate" lo scioglimento dal giuramento per poter abbandonare la città. Dopo alcune resistenze iniziali i Reali Carabinieri abbandonarono la città seguiti da alcuni ufficiali di altre armi.

Al contempo il problema degli approvvigionamenti diventò sempre più pressante tanto che circa quattromila bambini dovettero sfollare da Fiume con il supporto dei Fasci italiani di combattimento e delle organizzazioni femminili.[11]

Il 20 aprile gli autonomisti di Riccardo Zanella, ostili ai legionari dannunziani, con l'appoggio dei socialisti[12], proclamarono lo sciopero generale.

L'11 maggio cadde il governo presieduto da Francesco Saverio Nitti. Al suo posto subentrò un nuovo governo presieduto da Giovanni Giolitti, che si insediò il 15 maggio.

La Reggenza Italiana del Carnaro

  Lo stesso argomento in dettaglio: Reggenza Italiana del Carnaro e Carta del Carnaro.
 
Proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro.

La situazione di stallo in cui si trovava la città di Fiume da ormai diversi mesi, e forse la rinuncia ufficiale dell'Ungheria a ogni diritto sull'antico possedimento, spinsero D'Annunzio ad una nuova azione, la proclamazione di uno stato indipendente, la Reggenza Italiana del Carnaro, proclamata ufficialmente il 12 agosto 1920.

«La vostra vittoria è in voi. Nessuno può salvarvi, nessuno vi salverà: non il Governo d'Italia che è insipiente ed è impotente come tutti gli antecessori; non la nazione italiana che, dopo la vendemmia della guerra, si lascia pigiare dai piedi sporchi dei disertori e dei traditori come un mucchio di vinacce da far l'acquerello... Domando alla Città di vita un atto di vita. Fondiamo in Fiume d'Italia, nella Marca Orientale d'Italia, lo Stato Libero del Carnaro.»

L'8 settembre, pochi giorni dopo la proclamazione dell'indipendenza fu promulgata la Carta del Carnaro. La politica dannunziana a Fiume, anche per via di tentennamenti non fu univoca. Se l'obiettivo di partenza era il ricongiungimento di Fiume all'Italia, in seguito, vista l'impossibilità di raggiungere tale obiettivo tentò di costituire uno stato indipendente. La struttura di questo nuovo stato, basandosi sulla Carta del Carnaro redatta da Alceste De Ambris avrebbe creato uno stato basato su valori propugnati dal sindacalismo rivoluzionario e sotto certi aspetti vicini a quelli che si pensavano esser nati nella Russia dei Soviet. D'altronde in quel periodo l'affermarsi del regime leninista in Unione Sovietica era avvertito negli strati della piccola borghesia e dei reduci militari in modo controverso: da una parte era forte la paura dei sovversivi; dall'altra era avvertibile un sentimento di interesse per qualcosa di nuovo che stava nascendo.

Il 12 settembre fu presentato il vessillo del nuovo stato. Come atto di frattura la Reggenza fu il primo stato a riconoscere ufficialmente l'Unione Sovietica. Questo risultò per molti inaccettabile, causando la defezione di molti legionari fedeli alla monarchia, in particolare dei carabinieri. Si cominciò inoltre a fornire asilo a tutti coloro che erano costretti ad abbandonare il proprio paese per problemi politici.

Il nuovo stato vide l'ingresso nel governo di personalità come Giovanni Host-Venturi, Maffeo Pantaleoni e Icilio Bacci.

Il presidente del Consiglio Nazionale Antonio Grossich espresse le proprie perplessità riguardo la proclamazione dell'indipendenza.

Il Trattato di Rapallo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Trattato di Rapallo (1920).

Nel frattempo il 12 novembre 1920 sia l'Italia sia la Jugoslavia firmarono il Trattato di Rapallo in cui si impegnarono a garantire ed a rispettare l'indipendenza dello Stato libero di Fiume. Tutti i partiti politici italiani accolsero favorevolmente l'accordo stipulato. Anche Mussolini e De Ambris considerarono positivo il nuovo Trattato[13] Mussolini lo difese inoltre sul Popolo d'Italia cercando di convincere la propria recalcitrante base.

Pochi giorni dopo il generale Caviglia comunicò a D'Annunzio i dettami del trattato di Rapallo. Il capo gabinetto De Ambris avvertì D'Annunzio del desiderio di pace espresso dalla popolazione e dagli amici in Italia:

«...lo stato d'animo dei fiumani è in complesso per l'accettazione del Trattato di Rapallo. In Italia domina lo stesso sentimento anche negli amici più fedeli, i quali non lo dicono apertamente solo per non avere l'aria di abbandonarci.»

D'Annunzio pochi giorni dopo decise di rifiutare il trattato. Seguirono alcuni giorni di frementi contatti, ma quando il Trattato di Rapallo fu ufficialmente approvato dallo Stato italiano il generale Caviglia si risolse ad intimare l'ultimatum a D'Annunzio. Al rifiuto del "vate" Fiume fu completamente circondata e, dopo 48 ore di tempo concesse per far evacuare i cittadini stranieri, il mattino della vigilia di Natale fu sferrato l'attacco.

Il Natale di sangue

  Lo stesso argomento in dettaglio: Natale di sangue.

Un primo attacco a Fiume fu sferrato la vigilia di Natale, che D'Annunzio battezzò come il Natale di sangue. Dopo una tregua di un giorno la battaglia ricominciò il 26 dicembre e vista la resistenza dei legionari verso mezzogiorno incominciò il bombardamento navale della città da parte della nave Andrea Doria che proseguì fino al 27 dicembre. Vi furono alcune decine di morti da entrambe le parti nel corso degli scontri. Il 28 dicembre D'Annunzio riunì il Consiglio nazionale e si decise ad accettare un incontro con gli emissari del governo italiano e ad accettare i termini del Trattato di Rapallo. Rassegnò conseguentemente le proprie dimissioni con una lettera fatta consegnare dal comandante dei legionari Giovanni Host-Venturi e dal sindaco Riccardo Gigante:

«Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919 e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei Rettori adunati in Governo Provvisorio. Io lascio il Popolo di Fiume arbitro unico della propria sorte, nella sua piena coscienza e nella sua piena volontà... Attendo che il popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore, la mia vittoria.»

Il 31 dicembre 1920, al termine del Natale di sangue, vista la sconfitta, D'Annunzio firmò la resa e da quel momento ebbe vita lo Stato libero di Fiume.

Nel gennaio 1921 i legionari fiumani cominciarono ad abbandonare Fiume, D'Annunzio partì per ultimo il 18 gennaio alla volta di Venezia.

Antonio Gramsci difese dalle colonne di L'Ordine Nuovo tanto D'Annunzio quanto la Legione di Fiume mentre i dirigenti del Partito Nazionale Fascista dal canto loro elaborarono una mozione di condanna per l'attacco a Fiume, firmata all'unanimità con l'unica astensione di Benito Mussolini.

Lo Stato libero di Fiume

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stato libero di Fiume.

Nell'anno 1921 si tennero le prime elezioni parlamentari, alle quali parteciparono gli autonomisti e i Blocchi Nazionali pro-italiani. Il Movimento Autonomista ricevette 6558 voti e i Blocchi Nazionali (Partito Nazionale Fascista, Partito Liberale e Partito Democratico) 3443 voti. Presidente divenne il capo del Movimento Autonomista, ossia Riccardo Zanella che intraprese una politica di allontanamento dall'Italia.

Con un colpo di mano, nel 1922, i Blocchi Nazionali presero il potere a Fiume e il governo legale scappò a Porto Re (Kraljevica) nel Regno di Jugoslavia.

Fiume verrà annessa a tutti gli effetti allo stato italiano solo nel 1924 dallo stesso Mussolini. Come nelle altre regioni annesse vi fu introdotta una politica di italianizzazione.

Riflessi politici

A parere di alcuni storici, l'impresa portata avanti da D'Annunzio è stata fagocitata ed utilizzata a fini propagandistici dal fascismo. Questo utilizzo potrebbe avere impedito, per motivazioni soprattutto politiche, di porre nel giusto contesto storico la vicenda e di consentirne una sua compiuta analisi. Il processo di fascistizzazione dei fatti di Fiume, tuttavia, è correlato anche alla promulgazione delle leggi razziali fasciste avvenuta nel1938, gli ex legionari fiumani, ne furono esclusi esplicitamente all'articolo 14.[14]

È ugualmente indiscutibile che le tecniche di comunicazione di massa adottate dal Comandante (così veniva chiamato D'Annunzio durante l'impresa di Fiume) ed il metodo per impostare il personale carisma furono utilizzate anche da Mussolini (ad esempio le adunate oceaniche e molti slogan).

Sta di fatto che la popolarità di D'Annunzio al tempo era alta, e non solo per la sua attività di letterato che, come riferì Nicola Bombacci: lo stesso Lenin, contestando l'inattività dei socialisti italiani, avrebbe definito D'Annunzio come l'unica persona in grado di portare avanti la rivoluzione in Italia[15]

In definitiva, la complessità del caso Fiume altro non era che lo specchio della contestuale complessità del primo dopoguerra, un'epoca in cui lo stesso movimento fascista veniva accostato al sansepolcrismo, che poteva definirsi un movimento di sinistra non marxista legato per certi aspetti al sindacalismo rivoluzionario.

Roberto Vivarelli, storico socialista e docente di storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa, indica nell'impresa di Fiume una svolta decisiva del processo di decadimento e di crisi dello Stato liberale: ovvero - è la sintesi - l'impresa contribuì a rendere pubblica ed esasperatamente chiara la realtà di uno stato debole oberato da interessi di parte e spesso corrotto. Mussolini, appoggiò la sortita di D'Annunzio e né sfruttò il momento propizio appena creato sull'onda della vittoria mutilata nelle elezioni politiche italiane del 1919, ma con scarso successo. I rapporti con D'Annunzio non sono di fiducia ma di reciproco utilizzo.

È altrettanto conseguente che per i rinnovati potentati dell'industria e dell'agraria non erano assolutamente condivisibili le istanze a sfondo socialista di D'Annunzio. Erano però sfruttabili da un movimento in grado di riportare a miti consigli il battagliero proletariato del periodo (e che sapesse quindi utilizzare in questo senso la non trascurabile situazione provocata dall'impresa fiumana).

Mussolini comprendeva l'intuito di D'Annunzio in campo sociale ma disprezzava le capacità politiche di questi. Il futuro Duce al tempo stesso intuì che l'eroica impresa non poteva costituire un pericolo eversivo. D'Annunzio aveva una visione patriottica e indubbiamente personalistica pur tuttavia ben distante dal nazionalismo in senso stretto e comunque di stampo fascista: l'impresa era in ogni caso la grande occasione per restituire all'Italia quella unità che il patto di Londra le aveva sottratto.

D'Annunzio cercò appoggio politico in diverse fazioni (rifiutando però di incontrare Antonio Gramsci): il suo limite fu però soprattutto quello di mostrare scarsità di vedute in campo militare, considerata l'efficienza che avrebbero potuto avere gli Arditi, corpo speciale di assaltatori, nell'eventuale difesa di Fiume. Lo svolgersi degli eventi storici lascia intendere come ci sarebbe stato bisogno di difensori di una buona caratura militare, che invece evidentemente mancarono.

Proficua fu per contro la collaborazione tra D'Annunzio e Alceste De Ambris[16]. Dai carteggi Mussolini-De Ambris-D'annunzio, studiati da Renzo De Felice, si deduce quanto fossero diversi (e per certi versi diametralmente opposti) i fini di Mussolini rispetto a quelli di D'Annunzio: gli squadristi sarebbero stati inaccettabili per il vate e per gran parte dei militari intellettuali ma anche uomini d'azione che accompagnarono D'Annunzio e i Centauri di Fiume (alcuni dei legionari si ritroveranno vent'anni dopo su sponde opposte al tempo della Resistenza italiana). Va detto che De Ambris, che conosceva Mussolini dal 1913 (ovvero grosso modo dal periodo immediatamente precedente la fondazione dei Fasci d'Azione Internazionalista), romperà ogni rapporto con lui all'indomani del Natale di sangue (De Ambris diventerà poi presidente dell'Associazione Legionari Fiumani e parteciperà con gli Arditi del Popolo e la Legione Proletaria Filippo Corridoni alla difesa di Parma del 1922).

Lo storico Renzo De Felice cita, nel carteggio De Ambris–D'Annunzio, un articolo de La conquista ripreso da Claudia Salarisi nel suo saggio Alla festa della rivoluzione: De Ambris - nella sostanza - conferma il proprio intento di essere a fianco di D'Annunzio, ma sotto la bandiera della libertà, e non della reazione, e a proposito di bandiera, nel senso reale del termine, ricordiamo che la bandiera dei legionari di Fiume era una bandiera rossa con due piccole bande verticali bianca e verde, ovvero un tricolore su cui dominava il colore rosso.

De Ambris voleva trasformare l'impresa di Fiume in un laboratorio rivoluzionario per far affermare anche in Italia uno stato impostato sui principi del sindacalismo rivoluzionario.

Tale impostazione - non appena il caso fiumano divenne di pubblico interesse - fu appoggiata dai nazionalisti discendenti dall'ala repubblicano-socialista-irredentista nonché dallo stesso Mussolini, il quale vedeva in esso un appoggio tattico di sfruttamento del momento, con l'intento non dichiarato forse di far cadere il governo Nitti. In sostanza, Mussolini, conscio dei mutamenti possibili, si avvicinò a Giolitti sabotando il progetto De Ambris.

D'Annunzio fu ingannato dalla politica del doppio binario di Mussolini: gli chiese di reperire fondi per la Libera Repubblica Fiumana tramite Il Popolo d'Italia. Poi, indispettito dall'approvazione da parte di Mussolini del trattato di Rapallo, e resosi forse conto di quanto il duce avesse strumentalizzato l'idea fiumana, ammonì i legionari a non aderire al fascismo fino al famoso volo dell'Arcangelo, episodio interpretabile in varie maniere ma in cui D'Annunzio rischiò comunque la vita. Certo D'Annunzio, alla morte di Giacomo Matteotti dimostrò tutto il suo livore contro il fascismo e contro il duce.

Ricapitolando, sia gli uomini - Mussolini e D'Annunzio - sia le loro idee erano ben diverse. La presa del potere del regime fascista a Fiume fu considerata con indifferenza e diffidenza e ben presto l'Assemblea costituente fiumana si adeguò in termini di opportunismo politico al regime mentre il fascio fiumano passava da un'impostazione in chiave dannunziana a quella più propriamente squadrista.

 
Francobollo del 1922 con il visto dell'Assemblea costituente fiumana

Scrisse Antonio Gramsci, dopo il Natale di sangue, il 6 gennaio 1921 su L'Ordine Nuovo, a difesa di D'Annunzio e dei legionari:

«L'onorevole Giolitti in documenti che sono emanazione diretta del potere di Stato ha più di una volta, con estrema violenza, caratterizzato l'avventura fiumana. I legionari sono stati presentati come un'orda di briganti, gente senza arte né parte, assetata solo di soddisfare le passioni elementari della bestialità umana: la prepotenza, i quattrini, il possesso di molte donne. D'Annunzio, il capo dei legionari, è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile. Ai fini di governo, sono stati scatenati i sentimenti più intimi e profondi della coscienza collettiva: la santità della famiglia violata, il sangue fraterno sparso freddamente, la integrità e la libertà delle persone lasciate in balìa di una soldataglia folle di vino e di lussuria, la fanciullezza contaminata dalla più sfrenata libidine. Su questi motivi il governo è riuscito ad ottenere un accordo quasi perfetto: l'opinione pubblica fu modellata con una plasticità senza precedenti.»
«Emilio Lussu scriveva che gli ex combattenti erano tutti dei socialisti potenziali: avevano maturato una concezione internazionalista in trincea…

Per capire la contraddittorietà, ma anche la sincerità di quelle tensioni ideali, pensa alle simpatie che la rivoluzione Russa riscuote tra molti legionari Fiumani!… Si tratta di una pagina di storia che poi è stata “accomodata” e nascosta, ma fa pensare… Perché per il fascismo era importante appropriarsi anche dell’esperienza Fiumana? È semplice: perché il fascismo non aveva la storia del partito socialista, non aveva dietro di sé la cultura cattolica del partito popolare, non aveva neppure le vecchie tradizioni risorgimentali dei liberali; si trattava di un movimento nuovo, che si muoveva solo nella logica della presa del potere, privo di solide radici ideologiche o simboliche, che cercava di “mettere il cappello” ad un’ampia fetta di popolazione in cui era percepibile un disagio istintivo… Il fascismo aveva, insomma, l’esigenza di appropriarsi di una “storia” altrui, non avendone una propria…»

[17]

Intrecci con futurismo ed anarchia

Una lettura utile ad una più completa comprensione degli influssi avuti dall'impresa di Fiume nei campi artistico e politico è data dal libro Alla Festa della Rivoluzione di Claudia Salaris, una tra i maggiori studiosi del futurismo.

Premesso che in quel periodo esisteva anche un futurismo di sinistra o filo-anarchico (rappresentato nella sua espressione più alta da Renzo Novatore[18]), tale tipo di impostazione futuristica era ben radicata sia nella Liguria - particolarmente nella provincia della Spezia - sia nelle Marche.

Aderivano al movimento anche donne rilevanti dal punto di vista artistico come Gianna Manzini (1896-1974), figlia di un militante anarchico.

Nella vicenda Fiumana è possibile individuare l'intreccio con la forma artistica del futurismo, fermo restando il fatto che il movimento fu poi fagocitato dal fascismo cessando - a parere di molti - la sua funzione artistico-propulsiva.

Fondamentali per l'analisi dell'atmosfera del momento fiumano sono anche gli articoli dei giornali del periodo che mettono soprattutto in evidenza Testa di Ferro Mario Carli e i manifesti della associazione Yoga di Guido Keller. Carli è personaggio di grande interesse in quanto interpreta il doppio ruolo di artista e politico: futurista fra i firmatari del manifesto dei futuristi, capitano degli Arditi (nel quale riesce ad arruolarsi pur essendo stato respinto ad una prima visita per motivi oculistici), filo-bolscevico a Fiume, golpista di sinistra ante-litteram, rientrò poi nel fascismo su posizioni di fronda spezzando dopo l'attacco squadristico alla camera del Lavoro di Milano il legame preferenziale formatosi fra Arditi e Mussolini con il suo articolo Arditi non gendarmi. Supportò poi la scissione degli associazione nazionale Arditi d'Italia da cui nacque il Fronte Unito Arditi del Popolo.

Nel 1922 Argo Secondari, fondatore degli Arditi del Popolo, in un'intervista ad un emissario di Antonio Gramsci ritenne che il D'annunzio (il Comandante come lo chiamano in quel periodo) stesse organizzando la battaglia contro i fascisti e nella vicenda di Parma la Lega Proletaria Filippo Corridoni, che combatteva i fascisti alleata con il Fronte Unito Arditi del Popolo, mostrava una foto con dedica del D'annunzio nella sede (Pino Cacucci in Oltretorrente):

«Ovvero si può dire che l'Impresa Fiumana fu anche, ed ovviamente non solo, il crogiolo da cui poterono fuoriuscire e/o rivendicarne una certa continuità ideale (quella legata alla Carta del Carnaro) le più formazioni militarmente meglio organizzate, delle Formazioni di difesa proletaria che furono ben presto riconosciute ed accettate e nelle cui fila confluirono molti militanti del movimento anarchico.»

La maggioranza numerica era tuttavia di militanti del partito comunista che non avevano obbedito agli ordini contrari, in tal senso, di Amedeo Bordiga ed avevano invece seguito il parere favorevole dell'Internazionale esplicitato da Nikolai Bucharin nel suo incontro con Ruggero Grieco.

Personalità legate all'impresa di Fiume

I personaggi di cui si parla in questo paragrafo sono in buona parte riferiti a quella frangia di intellettuali, la maggioranza dei quali con idee rivoluzionarie di sinistra, che accompagnarono e furono di supporto a D'Annunzio nell'impresa di Fiume.

 
Guido Keller

Una prima rielaborazione storica degli eventi avvenne per opera del citato storico Renzo De Felice che trattò l'argomento nel libro D'Annunzio politico 1918-1938 (Laterza, 1978).

Tale lavoro può essere considerato un preludio per una rilettura della vicenda non inquinata né dalla fascistizzazione né da molta parte della storiografia seguente che ormai l'aveva etichettata di fatto come impresa pre-fascista. Fonti non inedite ma poco conosciute ai più sono state usate da De Felice: in particolare le testimonianze dei legionari letterati, i diari, le memorie scritte, le biografie di protagonisti.

Un'opera utile per comprendere il senso degli eventi di quel periodo è il saggio dell'esperta di Futurismo Claudia Salaris Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume (Il Mulino, Bologna, 2002). Fondamentali per l'analisi dell'atmosfera del momento fiumano sono poi gli articoli dei giornali del periodo a Fiume (soprattutto quelli di Mario Carli).

I personaggi qui riportati - non trattati in ordine alfabetico ma per affinità di legame politico o culturale - possono essere considerati un veloce repertorio di personalità legate all'impresa fiumana:

Sinistra, nel senso eterogeneo del termine

Intellettuali creativi

Non orientati secondo sicura documentazione

  • Romano Manzutto[29]
  • Umberto Lusena, figlio del generale ebreo Leonardo Lusena, comandante del IV battaglione arditi paracadutisti di un Reggimento della "Nembo" si oppose militarmente all'avanzata dei carri armati tedeschi su Roma, Medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza.
  • Antonio Voluti, a lui D'Annunzio donò una foto con scritto "Al più giovane legionario".

Fascisti

Industriali, armatori, uomini di potere istituzionale

Note

  1. ^ Leandro Castellani, "L'impresa di Fiume", su Storia illustrata n° 142, Settembre 1969 pag. 34: "La cittadinanza .. aveva proclamato fino dal 30 ottobre 1918, all'indomani del conflitto, la propria volontà di unirsi all'Italia."
  2. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 223
  3. ^ Leandro Castellani, "L'impresa di Fiume", su Storia illustrata n° 142, Settembre 1969 pag. 35: "Sulle migliaia di giovani reduci senza lavoro le grandi parole fanno presto a far breccia."
  4. ^ Fonte: rigocamerano.org
  5. ^ Leandro Castellani, "L'impresa di Fiume", su Storia illustrata n° 142, Settembre 1969 pag. 36
  6. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 232: "Il Comandante riconosceva di averlo autorizzato a trattenere una cifra imprecisata per i suoi "combattenti".
  7. ^ Leandro Castellani, "L'impresa di Fiume", su Storia illustrata n° 142, Settembre 1969 pag. 41: "L'episodio è talmente grave che induce Badoglio a scrivere a Roma chiedendo di essere rimosso dall'incarico. La richiesta è respinta.
  8. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 245: "Il timore che la popolazione, ormai stanca, votasse in massa per il sì indusse i legionari più scalmanati a violenze e a intimidazioni apertamente tollerate da d'Annunzio".
  9. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 245: "Le pressioni sui votanti si fecero sempre più gravi e perfino "La Vedetta d'Italia", il giornale nazionalista che aveva sostenuto l'impresa dall'inizio, fu chiuso per qualche giorno perché favorevole al "modus vicendi"".
  10. ^ Mimmo Franzinelli e Paolo Cavassini, "Fiume, l'ultima impresa di D'Annunzio", Le scie Mondadori, 2009 Milano, pag. 217
  11. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 248: "Quattromila bambini furono sfollati e mandati in varie città del Nord, grazie grazie all'organizzazione dei Fasci di Combattimento e di gruppi patriottici femminili".
  12. ^ Mimmo Franzinelli e Paolo Cavassini, "Fiume, l'ultima impresa di D'Annunzio", Le scie Mondadori, 2009 Milano, pag. 218
  13. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 257: "Gli stessi De Ambris e Mussolini giudicarono con favore il trattato, come i fiumani e l'opinione pubblica italiana, tutti stanchi di quell'avventura".
  14. ^
    «Art. 14. Il Ministro per l'interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni dell'art 10, nonché dell'art. 13, lett. h):

    a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista; b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni:

    1. mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola; 2. combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra; 3. mutilati, invalidi, feriti della causa fascista; 4. iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924; 5. legionari fiumani»

    Provvedimenti per la difesa della razza italiana DECRETO-LEGGE 17 novembre 1938-XVII, n.1728
  15. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 247: "Lo stesso Bombacci nel dicembre 1920 affermò che "il movimento dannunziano é perfettamente e profondamente rivoluzionario. Lo ha detto anche Lenin al Congresso di Mosca". In effetti sembra che Lenin avesse definito D'Annunzio "l'unico rivoluzionario in Italia", ma per bollare l'inettitudine dei socialisti, più che per lodarlo".
  16. ^ Vedi: Carta del Carnaro
  17. ^ da intervista di Ivan Tagiaferri autore di morte alla morte, libro, fra gli altri dell'autore, sulla storia degli Arditi del Popolo
  18. ^ Novatore fu amico di Giovanni Governato e morì in uno scontro a fuoco coi carabinieri a Murta, delegazione di Genova
  19. ^ Tenente dei legionari, Giordano fu amico di Gramsci e tentò di combinare un incontro a Gardone fra lo stesso Gramsci e D'Annunzio, ma quest'ultimo lo evitò con la scusa di pressanti impegni improvvisi.
  20. ^ Capitano, presidente dell'Associazione Lavoratori del Mare, Giulietti fu in contatto con D'Annunzio durante la vicenda fiumana. Famoso rimane l'abbordaggio del mercantile Persia che portava armi ai controrivoluzionari bianchi in Russia. Nel periodo fiumano cercò contatti per marciare su Roma e prendere il potere con fini opposti a quelli di Mussolini. Dal suo carteggio si evidenziano proteste per l'esitazione di D'Annunzio (che pure rifiutò di ospitare gli Arditi di Trieste in rivolta, dimostrando anche in quella circostanza scarsa visione militare, specie nella considerazione a posteriori del Natale di sangue).
  21. ^ Anarchico responsabile della ristrutturazione delle strutture anarchiche per l'alta Italia nel secondo dopoguerra, Vella rischiò di essere fucilato dai nazisti. Fu salvato dall'arrivo delle truppe alleate. In una sua intervista a D'Annunzio questi ebbe a dichiarare:
    «Io sono per il comunismo senza dittatura […] tutta la mia cultura è anarchica […] è mia intenzione fare di questa città un'isola spirituale dalla quale possa irradiare un'azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse»
  22. ^ Ex commissario del popolo del governo di Béla Kun
  23. ^ Fu un legionario. Su La testa di ferro descrive il ruolo degli intellettuali:
    «[…] se il proletariato intellettuale capirà i nuovi tempi e saprà accostarsi al proletariato manuale nella sua lotta di emancipazione […] non si troverà più nella pericolosa e umiliante posizione di cuscinetto fra il capitalismo e il lavoro.»

    La testa di ferro era il giornale di Mario Carli, edito a Fiume, nel quale cui venivano "fustigati" i reazionari dell'impresa.

  24. ^ molti anni dopo «È in questo clima che Felice Chilanti, coadiuvato dall’ex legionario fiumano Vittorio Ambrosini, decide di attuare il golpe, una sorta di “25 luglio” al contrario, una resa dei conti tra fascisti di sinistra e di destra» (Felice Chilanti l'anarchico "fascista")
  25. ^ Statunitense, di origine tedesca, fu un regista teatrale. Poliglotta, sapeva parlare e scrivere correntemente in inglese, italiano, francese, tedesco. Si disse convinto che la vittoria della società comunista a livello mondiale era possibile e vicina e tentò di influenzare D'Annunzio nelle sue scelte, aiutato in ciò da Leone Kochnitzky. Il vate tuttavia prese le distanze dai due fino al loro allontanamento da Fiume, mostrando ancora una volta quella che secondo molti storici fu una fatale indecisione del poeta rispetto una completa e strutturata scelta rivoluzionaria di classe.
  26. ^ Figlio di un banchiere ebreo, tentò di ottenere, senza risultati, finanziamenti per l'impresa di Fiume tramite l'intercessione del padre Giuseppe, banchiere ebreo polacco e consigliere delegato della Banca Commerciale italiana dal 1917 al 1933.
  27. ^ Critico e scrittore pugliese, frequentatore a Parigi dei gruppi dell'avanguardia letteraria ed artistica, amico di Apollinaire che gli affibiò lo scherzoso nomignolo di le Barisien. Era considerato uno dei pionieri dell'immagine fotografica nel cinema e del problema dell'estetica cinematografica in generale. Morì nel 1923. Quattro anni dopo, nel 1927, venne pubblicato postumo il suo libro L'officina delle immagini (L'usine aux images), in cui era raccolto il suo lavoro nel settore.
  28. ^ Scrittore giapponese, fondò la Rivista Sakura (Napoli 1920). Dal 1921 al 1926 tenne la cattedra di lingua giapponese all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sakura tradusse opere di poeti e scrittori giapponesi. Il libro diario che tratta dell'impresa fiumana riporta foto riguardanti la vicenda, fra cui una propria in divisa da Ardito.
  29. ^ Capitano, fu comandante degli uscocchi dannunziani.
  30. ^ Bottai, a proposito della vicenda fiumana, prese le distanze da Tommaso Marinetti e da Mario Carli, pur essendo anch'egli un seguace del futurismo. Fu estromesso dalla direzione della sezione di Roma dell'associazione Nazionale Arditi d'Italia quando Argo Secondari, ex pluridecorato Ardito assaltatore fondò gli Arditi del Popolo.
  31. ^ archivio storico Corriere della Sera
  32. ^ Giordano Bruno Guerri, "D'Annunzio", Oscar Mondadori, 2008 Cles (TN) pag. 239
  33. ^ Economista ed autore de Il bolscevismo italiano, Bari, Laterza, 1922.

Bibliografia

  • Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, Il Mulino, Bologna
  • Eros Francescangeli, Arditi del popolo, Odradek, Roma, 2000
  • Marco Rossi, Arditi, non gendarmi! Dall'arditismo di guerra agli Arditi del Popolo, 1917-1922, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1997
  • Luigi Balsamini, Gli arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, Galzerano Ed., Salerno
  • Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume
  • George L. Mosse, L'uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, 1999
  • Mario Carli, Trilliri
  • Ludovico Toeplitz, Si rinnova la vita
  • Tommaso Marinetti, Al di là del comunismo
  • Giovanni Comisso, Il porto dell'amore
  • Leone Kochnitzky, La quinta stagione o I centauri di Fiume
  • Renzo De Felice, D'Annunzio politico (1918-1928), Roma-Bari, Laterza, 1978
  • Giovanni Comisso, Le mie stagioni
  • L. Toeplitz, Ciack a chi tocca
  • Guido Keller, Nel pensiero e nelle gesta
  • Michael A. Ledeen, D'Annunzio a Fiume, Laterza, Bari 1975
  • Ferdinando Gerra, L'impresa di Fiume, Longanesi, Milano, 1974
  • Indro Montanelli, L'Italia in camicia nera, Rizzoli, Milano, 1976
  • Enrico Galmozzi, "Il soggetto senza limite. Interpretazione del dannunzianesimo", Milano, 1994

Voci correlate

Collegamenti esterni