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Diego Armando Maradona (Lanús, 30 ottobre 1960) è un allenatore di calcio ed ex calciatore argentino, di ruolo centrocampista offensivo ed attaccante, capitano della Nazionale argentina di calcio vincitrice del Mondiale del 1986. Ha partecipato a quattro diverse edizioni dei mondiali: 1982, 1986, 1990, 1994, andando a segno in tutte tranne nel 1990[1]. I suoi 91 match e 34 reti con la Nazionale argentina hanno costituito un record per diverso tempo, successivamente battuto da altre importanti figure del calcio argentino come Javier Zanetti e Gabriel Batistuta[2]. A prescindere da ciò, la Federazione calcistica dell'Argentina (AFA) gli ha assegnato nel 1993 il titolo di "Miglior Calciatore Argentino di sempre"[3].
Noto anche come El Pibe de Oro (Il Ragazzo d'Oro), considerato tra i più talentuosi calciatori di tutti i tempi, ha militato nell'Argentinos Juniors, nel Boca Juniors, nel Barcellona, nel Napoli, nel Siviglia e, in una breve parentesi, nel Newell's Old Boys in una carriera da professionista più che ventennale. Alla fine del 2000 è stato eletto da un sondaggio popolare indetto dalla FIFA miglior calciatore di tutti i tempi col 53,6% dei voti[4][5]. Fu inoltre eletto Calciatore dell'anno nel 1986 dalla rivista inglese World Soccer[6] e occupa la 2ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla stessa rivista[7]. In una votazione tenutasi nel 2000 per l'IFFHS a cui hanno partecipato giornalisti ed ex-calciatori, Maradona è risultato il 5° miglior giocatore del XX secolo dopo Pelé, Johan Cruijff, Franz Beckenbauer e Alfredo di Stéfano[8].
Ritenuto una delle figure più controverse della storia del calcio, fu sospeso due volte per positività a test antidoping nel 1991 (per uso di cocaina) e nel Mondiale 1994 (per uso di efedrina): dopo il suo ritiro ufficiale dal calcio nel 1997, ha subìto un aumento eccessivo di peso (risolto con l'ausilio di un bypass gastrico) e le conseguenze della dipendenza dalla droga, dalla quale si è liberato dopo lunghi soggiorni in centri di disintossicazione. Successivamente è stato inserito da Pelé nel FIFA 100, la lista dei 125 migliori calciatori viventi divulgata il 4 marzo 2004, in occasione del centenario della federazione[9] ed è diventato nel 2005 una star della TV argentina con il suo show La Noche del 10. Nonostante la poca esperienza nel ruolo, nel novembre 2008 è stato nominato CT dell'Argentina[10] con il compito di condurre la nazionale nelle qualificazioni per i Mondiali del 2010, obiettivo raggiunto nell'ottobre 2009. L'AFS (Association of Football Statisticians'), classificando i 100 più grandi calciatori di sempre secondo un criterio puramente statistico, lo ha incluso al 6° posto[11].
Caratteristiche tecniche
Le sue peculiarità fisiche (circa 165 cm per poco meno di 70 kg di peso[12]) gli garantivano un baricentro basso e un buon equilibrio, non facile da compromettere per gli avversari: a ciò si univa forza nelle gambe, agilità e velocità sia negli scatti prolungati che in quelli brevi, rendendolo difficile da fermare quando scattava palla al piede se non ricorrendo al fallo. Era inoltre dotato di una eccellente resistenza che gli permetteva di vincere i contrasti e resistere ai falli degli avversari, anche se ripetuti[13].
Mancino naturale, negli anni sviluppò un elevato bagaglio tecnico, partendo dai fondamentali come controllo di palla e dribbling nell'uno contro uno, fino a giocate prestigiose come la rabona e la rovesciata[13]. Ulteriore arma erano le parabole pericolose ed imprevedibili che riusciva a dare al pallone sui tiri piazzati, la precisione sui calci d'angolo, nonchè la sua abilità nei calci di rigore (in Serie A 30 rigori realizzati su 34 tentativi, media del 88,24%[14]). Inoltre la sua ottima visione di gioco, una classe innata e una gran dose di fantasia lo portavano a fornire precisi assist e passaggi smarcanti: di conseguenza era spesso colui che dettava i tempi dell'azione e che fungeva sia da rifinitore per i compagni che da uomo-assist per le punte[13].
La sua posizione iniziale (giocò infatti come trequartista e centrocampista offensivo, così come da seconda punta) non gli impediva però di svariare su tutto il fronte d'attacco, talvolta anche decentrandosi sulle fasce, e di risultare spesso il goleador più profilico delle squadre in cui militò (fu infatti capocannoniere sia in Italia[15] che in Argentina[16]). É perciò considerato uno dei giocatori più completi del panorama calcistico di tutti i tempi, anche se i suoi detrattori (fra i quali Pelè) indicano come suoi evidenti limiti lo scarso uso del piede destro e la quasi completa assenza di giocate di testa[17].
I gol "alla Maradona"
Il secondo gol segnato all'Inghilterra nei quarti di finale dei Mondiali del 1986, ossia l'azione con la quale Maradona saltò 5 giocatori inglesi più il portiere Shilton partendo da centrocampo (poi eletto Gol del secolo), venne più tardi indicato dalla stampa come gol "alla Maradona" quando altri giocatori riuscirono ad imitare (anche se in maniera diversa e in contesti meno prestigiosi) lo slalom effettuato dall'argentino[18][19].
Allo stesso modo vengono menzionati sia il gol fatto da centrocampo con la maglia del Boca Juniors nel 1981[20], sia il gol fatto con la maglia del Napoli il 20 ottobre 1985 contro il Verona, con un pallonetto da oltre 35 metri[21]: saranno diversi i paragoni con gol simili fatti successivamente[22][23]. Numerosi saranno poi i riferimenti al famoso gol di mano effettuato nel Mondiale del 1986 sempre contro l'Inghilterra (anche se viene ricordato più spesso come la Mano de Dios che come "gol alla Maradona")[24][25].
Carriera da giocatore
Club
Primi Anni
Figlio di Diego (detto Chitoro) e Dalma Salvadora Franco (detta Tota), Diego Armando nacque il 30 ottobre 1960 nel Policlínico Evita di Lanús, un comune della provincia di Buenos Aires. Crebbe a Villa Fiorito - una villa miseria situata a sud della Grande Buenos Aires - con la sua famiglia, trasferitasi da Corrientes. Quinto di otto fratelli e primo figlio maschio, oltre a lui la famiglia era composta dalle sorelle maggiori Ana, Rita (Kity), Elsa (Lili) e María Rosa (Mary), dai due fratelli minori, Raul detto Lalo e Hugo detto El Turco (entrambi divenuti poi calciatori professionisti) e dalla sorella minore Claudia (Caly)[26]. Il Pelusa (così chiamato per l'elevata quantità di capelli in testa[27]) iniziò a giocare a calcio nella squadra del quartiere, l'Estrella Roja, dove già aveva militato lo zio come portiere[27]. Sin da piccolo il padre lo portava a vedere giocare la sua squadra preferita, il Boca Juniors, di cui anche Maradona diventò estimatore e grande tifoso[27], anche se inizialmente tifò per l'Independiente di Bochini e Bertoni[28]. Nel quartiere di Villa Fiorito giocava, nella squadra avversaria delle Tres Banderas, il suo amico Goyo Carrizo, per tutti il miglior giocatore del quartiere[29]. Fu proprio questi a farlo partecipare ad una selezione nelle giovanili dell'Argentinos Juniors di Buenos Aires[27][30]. Entrò così a far parte delle Cebollitas (Cipolline), la squadra giovanile dell'Argentinos, il 5 dicembre 1970 a 10 anni[31][32]. Il suo primo allenatore fu Francisco Cornejo, che all'inizio non credette all'età di Maradona (gli fu addirittura richiesto un documento, che però non aveva con sè al momento del provino[32][33]). Con lui in rosa, la squadra giovanile raggiunse una striscia di 136 risultati utili consecutivi in tre anni, giocando tornei anche in Perù e Uruguay[31][32]. Dopo una finale del Campionato Nazionale persa dalle Cebollitas contro la Santiago del Estero allenata da Elías Ganem, il figlio di questi, César, disse a Maradona: "Non devi piangere, ragazzo, perchè diventerai il più grande giocatore del mondo"[34]. È in questi anni che conobbe e diventò amico di Jorge Cyterszpiler, che diventerà il suo rappresentante e suo procuratore ufficiale nel 1977[35]. Cominciò ad essere conosciuto dai tifosi quando si mise a palleggiare durante gli intervalli delle partite della prima squadra, tanto da indurre il pubblico a chiedergli di continuare anche con le squadre tornate in campo[36][37]. Il talento così mostrato fu tale da interessare anche la televisione, che andò nel quartiere a riprenderne l'abilità[38]; partecipò anche ad una trasmissione, Sábados Circulares, non facendo altro che palleggiare per tutta la durata dello show[39].
Argentinos Juniors
Maradona iniziò la sua carriera professionistica nell'Argentinos Juniors, debuttando il 20 ottobre 1976 nella partita contro il Talleres de Córdoba[31][40], dieci giorni prima di compiere sedici anni. Entrò infatti in campo all'inizio del secondo tempo al posto di Giacobetti, indossando la maglia numero 16[40][41]. Poco prima di farlo esordire l'allora allenatore dell'Argentinos Juniors, Juan Carlos Montes, gli disse: "Vai Diego, gioca come sai... E se possibile fai un tunnel"[31][40][42]: in tutta risposta, Maradona fece subito un tunnel al primo avversario che gli si parò davanti, Juan Domingo Patricio Cabrera[40]. Il giorno dopo, il magazine sportivo El Gráfico nella sintesi della partita lo defìni "sorprendente, molto abile e intelligente" assegnandogli come voto 7, nonostante avesse giocato solo 45 minuti[40]. La prima partita da titolare fu contro il Newell's Old Boys[41], mentre i primi gol arrivarono il 14 novembre, con una doppietta al San Lorenzo[41][43]. Dai primi spezzoni di partita a diventare titolare fisso il passo fu breve: nel Campionato Metropolitano del 1977 (il primo dopo il suo debutto) giocò infatti 37 partite consecutive da titolare[40]. Negli anni successivi diventò capocannoniere del Campionato Metropolitano per 3 anni consecutivi: 1978 (a parimerito con Luis Andreuchi[16]), 1979 (a parimerito con Élio Sergio Fortunato[16]) e soprattutto 1980[16] quando portò la squadra al 2° posto[44]. Fu anche goleador del Campionato Nacional nel 1979[16] e nel 1980[16].
In una partita del Campionato Nacional 1980, contro il Boca Juniors, avvenne un fatto che rese Maradona ancora più celebre: fu infatti preso di mira dallo storico portiere dei Bosteros, Hugo Gatti, che cercò di sminuirlo dichiarando al giornale La Razón: "gioca abbastanza bene, ma i giornali tendono ad esaltarne le doti" e che "ha la tendenza ad ingrassare"[45]. Il suo manager Cyterszpiler, riportandogli l'intervista, gli disse:"Fagli due gol e chiudiamo qui la faccenda, no?, al che Maradona rispose:"No, Jorge, no... Due no: gliene faccio quattro"[46]. E il 9 novembre gli segnò proprio quattro gol: il primo su rigore, il secondo con una punizione battuta quasi dalla linea di fondo, il terzo con un tocco morbido di sinistro e il quarto con una punizione dal limite[47][48].
Durante la sua permanenza all'Argentinos Juniors, vinse per due volte consecutive il Pallone d'Oro sudamericano, il premio che spetta al miglior giocatore del continente, rispettivamente nel 1979 e nel 1980[49]. Una simile ascesa nel calcio sudamericano non fu ignorata dalle grandi squadre internazionali: già nel 1978 arrivarono le prime offerte del Barcellona e dei New York Cosmos, respinte però dalla dirigenza dell'Argentinos[50]; nuove offerte del Barcellona, della Juventus e dello Sheffield (ed anche, come si saprà più tardi, del Napoli) furono rifiutate nel 1979[51]. L'AFA, per evitare che i talenti argentini emigrassero nei campionati stranieri (nonchè su pressione dell'allora CT della Selección César Luis Menotti), diramò una lista di giocatori intrasferibili all'estero valida fino al termine dei Mondiali del 1982: in questa lista era presente anche Maradona[50]. Ciò vieterà la sua cessione nel 1980, quando a giugno il Barcellona raggiunse l'intesa con l'Argentinos per 10 milioni di dollari, mentre la Juventus aveva trovato l'accordo con il procuratore Cyterszpiler[52]. Rimanendo però solo la possibilità di trasferirsi in una squadra argentina si fece avanti il River Plate, società dotata di una ottima disponibilità finanziaria, che fece una forte pressione alla dirigenza dell'Argentinos per assicurarsi il suo cartellino. La chiara ed esplicita volontà di Maradona era giocare nel Boca Juniors, il quale però non pareva avere la possibilità economica necessaria per l'acquisto. Ma il desiderio (sia di Maradona che del padre[53]) di vestire la maglia del Boca risolveranno la partita a favore dei Bosteros: rifiutata l'offerta del River Plate, nel febbraio 1981 fu annunciato il trasferimento di Maradona al Boca con la formula del prestito con diritto di riscatto, valido fino al 30 giugno 1982, per una cifra pari a 4 miliardi di lire[53][54]. L'ingaggio di Maradona fu di 600 milioni, più 310 milioni di stipendo all'anno per due anni, premi vari per 250 milioni di lire e ulteriori 600 milioni di premio per le amichevoli[53].
Il Boca Juniors
Al Boca i rapporti non iniziarono per il verso giusto: l'allenatore Silvio Marzolini puntualizzò subito che per Maradona non ci sarebbe stato alcun tipo di "favoritismo"[55], i dirigenti ponevano molta pressione allo spogliatoio[55] e i tifosi, pur premendo per farlo diventare capitano, dopo qualche partita poco entusiasmante minacciarono di morte i giocatori qualora non si fossero impegnati a vincere il campionato[56]. Per celebrare l'acquisto di Maradona fu organizzata un'amichevole contro l'Argentinos, il 20 febbraio 1981: Maradona giocò il primo tempo con i vecchi compagni e la ripresa con il Boca. Davanti a 25.000 spettatori, l'amichevole finì 3-2 per i Bichos Colorados con un gol segnato da Maradona per la sua vecchia squadra[55]. Due giorni dopo ci fu il debutto ufficiale alla Bombonera: il Boca vinse contro il Talleres de Córdoba per 4-1 (curiosamente, la stessa squadra contro cui esordì con la maglia dell'Argentinos Juniors), con Maradona che andò a segno siglando due rigori[55]. Uno strappo muscolare lo fermò per quattro giornate[55], ma al suo rientro guidò il Boca alla vittoria nella classica contro il River Plate (vittoria per 3-0 il 10 aprile) e alla conquista del Campionato Metropolitano 1981, segnando 17 reti[57]. Nella seconda parte della stagione Maradona segnò 11 gol in 12 partite, portando il Boca fino ai quarti di finale del Campionato Nacional, dove furono però sconfitti dal Vélez[57]. Maradona giocò le ultime partite nel febbraio 1982 contro il Racing, l'Independiente e il River Plate in un torneo valido per la Copa de Oro[58], prima di andare in ritiro con la Nazionale per i Mondiali del 1982.
La squadra argentina (in forte difficoltà economica per l'esborso dovuto al prestito di Maradona e per l'alta inflazione che colpiva in quegli anni l'Argentina) non riusciva però a trovare il denaro necessario per l'acquisto definitivo: per riscattarlo, il Boca avrebbe dovuto pagare altri 4 miliardi di lire all'Argentinos entro il 1982[59][60]. Il club organizzò pertanto una tournée di amichevoli imponente con lo scopo di fare cassa: prima un quadrangolare in Costa d'Avorio[59][61], poi nel gennaio 1982 addirittura 8 partite in 21 giorni in giro per il mondo a Los Angeles, Hong Kong, Malesia, Messico, Guatemala e Giappone[59]. Fu addirittura organizzata una riffa in accordo con il governatore provinciale[62], senza successo: il Boca dovette privarsi di Maradona, il cui cartellino tornò ad essere di proprietà dell'Argentinos, anche se una quota di una eventuale cessione sarebbe comunque andata ai Bosteros[62][59]. La cessione in realtà era praticamente certa perchè le casse dell'Argentinos, come quelle del Boca, erano vuote[62][59]. Arrivò per prima un'offerta del Santos per 7 milioni di dollari[62], ma contemporaneamente tornò alla carica il Barcellona che trovò l'accordo sia con l'Argentinos che con il Boca: la cifra complessiva del trasferimento fu pari a 15 miliardi di lire, di cui 7 miliardi e mezzo all'Argentinos, 2 miliardi e mezzo al Boca Juniors e 5 miliardi a Maradona tra ingaggio, stipendi spalmati negli anni e sponsor (premi esclusi)[59][60]. Fu il trasferimento più costoso della storia del calcio[59] e Maradona divenne il giocatore più pagato di quegli anni[63]. Il tutto venne reso pubblico il 4 giugno 1982 ma potè essere effettivo soltanto dopo i Mondiali, a seguito della già citata lista degli instraferibili all'estero disposta dalla AFA[59][63].
Il Barcellona
Dopo i Mondiali, Maradona giocò la sua prima stagione con la maglia del Barça dell'allora presidente Nuñez, e subito iniziarono i primi problemi: sia con la tifoseria, che lo considerava un sudàca (termine dispregiativo per indicare gli Indios sudamericani[64]), sia con l'allenatore Udo Lattek, che Maradona non apprezzava (dato che faceva allenare la squadra con palle mediche di 8 kg[65]), sia con la dirigenza, che considerava il suo stile di vita non idoneo a quello di un calciatore[66]. Anche se l'esordio fu con gol il 4 settembre contro il Valencia (ma il Barcellona perse per 2-1 al Mestalla[67]), la stagione fu condizionata da diversi infortuni: prima la distorsione della rotula del ginocchio sinistro, poi la rottura parziale dei legamenti del ginocchio sinistro[65], sino a che un'epatite virale (scoperta proprio mentre si curava dall'ultimo infortunio[65][68]) lo allontanò dai campi di gioco per oltre tre mesi. Il campionato del Barça procedeva in maniera deludente rispetto alle aspettative di inizio stagione, ed anche le speranze di vincere la Coppa delle Coppe svanirono presto: i catalani furono eliminati ai quarti di finale dall'Austria Vienna (0-0 all'andata a Vienna, 1-1 al ritorno al Camp Nou[65]), e Maradona poté giocare solo la partita di ritorno a causa dell'epatite che ancora lo debilitava. Lattek fu esonerato il 3 marzo 1983 e al suo posto, dopo una partita in cui la squadra fu guidata da José Luis Romero, arrivò César Luis Menotti, l'allenatore dell'Argentina nei Mondiali del 1982. Il Barça finì la stagione solo quarto nel campionato spagnolo[69], ma Maradona trascinò i blaugrana alle vittorie sia della Coppa del Re, sconfiggendo il 4 giugno 1983 in finale per 2-1 i rivali storici del Real Madrid allenato da Alfredo di Stéfano, sia della Copa de la Liga nella doppia finale sempre contro il Real Madrid (2-2 all'andata il 26 giugno e 2-1 al ritorno il 29 giugno, con un gol di Maradona in entrambe le partite[70]).
La stagione 1983-1984 con Menotti in panchina cominciò meglio: il 14 settembre, alla prima partita di Coppa delle Coppe contro la squadra tedesca dell'FC Magdeburgo, Maradona segnò una tripletta e la partita terminò 5-1[70]. Andò in rete anche nella successiva partita di campionato contro il Maiorca[70]. Finalmente si stava mettendo in mostra nel Barça, ma tutto si fermò alla quarta giornata di campionato durante l'incontro fra Barcellona ed Athletic Bilbao del 24 settembre 1983. Mentre la partita era sul 3-0 a favore del Barça, Maradona subì un grave infortunio per un fallo di frustrazione da parte del difensore dell'Athletic Andoni Goikoetxea Olaskoaga (che successivamente verrà soprannominato Il Macellaio di Bilbao ed eletto "giocatore più duro della storia del calcio" dal Times[71]). Il basco non fu neppure ammonito dal direttore di gara nonostante l'evidente volontarietà del fallo, anche se fu poi squalificato per 18 giornate (poi ridotte a 8[72][73]). Il violento intervento provocò la rottura del malleolo sinistro in tre diversi punti e la lesione dei legamenti della caviglia[73][74]. Maradona fu operato la notte stessa dal dottor Gonzalez Adrio, dopo numerosi consulti richiesti sia al medico della Nazionale Argentina Madero, sia allo specialista di fiducia di Maradona, Ruben Dario Oliva[75]. L'esito dell'operazione fu positivo: i medici del Barcellona prescrissero 2 mesi di fermo completo e un rientro in campo dopo 4 ulteriori mesi di riabilitazione, inoltre gli comunicarono che aveva perso per sempre il 30% della mobilità della caviglia sinistra[76]. Il dottor Oliva invece, dopo aver visto le prime radiografie, curò la sua fisioterapia e accelerò i tempi del recupero, facendolo camminare poco meno di un mese dopo l'intervento[72]. Durante il suo infortunio, il Barça vinse la Supercoppa spagnola nella doppia finale sempre contro l'Athletic Bilbao (1-3 all'andata il 26 ottobre 1983 e 0-1 al ritorno il 30 novembre 1983). Il rientro ufficiale di Maradona fu l'8 gennaio 1984, appena 106 giorni dopo l'infortunio, contro il Siviglia, contro i quali segnò una doppietta[70][76]. A marzo riprese la Coppa delle Coppe: il Barcellona vinse 2-0 contro il Manchester United la gara d'andata al Camp Nou, ma il 3-0 del ritorno per gli inglesi lo condannò all'eliminazione[73]. Il Barcellona perse per 2-1 anche lo scontro diretto in campionato, il 25 febbraio, contro il Real Madrid: il Barça arriverà terzo in campionato, ad un punto dal Bilbao campione e dallo stesso Real Madrid[77]. A causa dei vari infortuni Maradona giocò in campionato solo 16 partite, riuscendo comunque a segnare 11 gol[70].
Con le mancate vittorie crebbero le proteste: i tifosi continuavano a considerarlo un bluff e una invenzione degli argentini[74], si inasprirono i contrasti con lo stesso presidente Nuñez (l'episodio più noto fu il vietargli di partecipare alla partita di addio di Paul Breitner, togliendogli il passaporto: gli fu restituito solo dopo che ruppe uno dei Teresa Herrera lì presenti, ma non andò comunque alla partita[78][79]), più naturalmente le accuse presenti sin dall'inizio sulla sua vita notturna (specie durante l'infortunio). È in questi anni, come affermò più tardi lo stesso Maradona, che cominciò a fare uso di cocaina[73].
Dopo il campionato rimaneva comunque la Coppa del Re: il 5 maggio si tenne la finale fra Barça e Athletic Club, gara che segnava l'occasione per Maradona di reincontrare Goikoetxea (nel ritorno di campionato segnò una doppietta, ma il difensore non era in campo[70][73]). Sebbene fossero passati mesi, la questione dell'infortunio non era ancora risolta; durante la partita (vinta dal Bilbao per 1-0), Maradona reagì ad un gestaccio del difensore José María Núñez, innescando una plateale rissa tra le due squadre sotto gli occhi del re Juan Carlos[80]. In seguito si scusò personalmente con il re di Spagna prima tramite lettera e poi in un incontro ufficiale[81], ma l'episodio decretò una squalifica di 3 mesi[82] e al contempo segnò la fine della sua esperienza spagnola. I rapporti con il Barcellona e il suo presidente Nuñez erano ormai completamente deteriorati: la goccia che fece traboccare il vaso fu il divieto impostogli dalla dirigenza di concedere interviste al giornalista José María García (che criticava aspramente la gestione Nuñez[83]); questa azione fu vista da Maradona solo come l'ennesima ingiusta imposizione. Ai problemi con la dirigenza, si aggiunse il fatto di trovarsi praticamente in bancarotta a causa sia di investimenti sbagliati fatti del suo manager Cyterszpiler, sia dello sperpero di denaro per mantenere la famiglia che viveva al suo seguito[84]: questi due fattori e il fatto di sentirsi quasi imprigionato portarono Maradona a chiedere di essere ceduto[85]. La dirigenza era a conoscenza del suo abuso di droga e avrebbe voluto la sua cessione, ma era necessario mettere in conto la forte spesa per il suo acquisto e le mancate vittorie nei due anni precedenti[86][87]. Il vicepresidente Joan Gaspart, pur di trattenerlo, arrivò a proporgli un contratto in bianco, invitandolo ad inserire la cifra che desiderasse: nonostante Cyterszpiler avallasse l'accordo per i problemi di denaro già citati[85][88], la volontà di Maradona di andare via da Barcellona e di scappare da quella realtà fu tale da rifiutare qualsiasi offerta.
Il Consiglio del club portò ai voti la cessione di Maradona: il risultato fu di 18 favorevoli su 19, con Gaspart unico contrario[89]. Nel giugno 1984 arrivò la prima offerta del Napoli tramite il Ds Antonio Juliano: 3 milioni di dollari subito, 2 milioni entro il giugno 1985 e altri 2 entro il giugno 1986 per un totale di 7 milioni di dollari (13 miliardi di lire)[89][90], ma il Barcellona (che ne aveva speso altrettanti) non accettò la proposta cercando di far lievitare il prezzo. Si inserì brevemente nella trattativa il Racing di Parigi, ma il Barcellona rifiutò anche l'offerta francese[91]. La Juventus negò il suo interesse (avendo già in squadra Michel Platini), tanto che l'allora presidente Boniperti arrivò a dichiarare: "Con quel fisico non potrà andare da nessuna parte"[91][92]. Il Napoli nel frattempo continuava la trattativa: addirittura organizzò una raccolta fondi tra soci e tifosi per raggiungere la maggior somma possibile[93]. Dopo diversi e difficili giorni di contatti, Juliano aveva sia l'ok da parte di Cyterszpiler che da parte del Barcellona: l'ultima scadenza era la chiusura del mercato italiano prevista per il 30 giugno, pochi giorni dopo. L'allora presidente del Napoli Corrado Ferlaino depositò in federazione una busta vuota due giorni prima, facendo credere che contenesse il contratto firmato dal giocatore, quando in realtà la trattativa era ancora in corso[94]. In questo modo guadagnò il tempo necessario per concludere la trattativa, sostituendo poi la busta vuota con quella regolare proprio la notte del 30 giugno[95]. Dopo oltre un mese di negoziazioni fu ufficializzato il trasferimento di Maradona al Napoli per la cifra di 13 miliardi e mezzo di lire (record per il mercato italiano dei tempi[90]). L'ingaggio fu di 1 milione di dollari, più 800 mila dollari di stipendio all'anno per 4 anni, premi doppi, casa ed automobile per sè e per il suo procuratore Cyterszpiler, dieci biglietti aerei all'anno di andata e ritorno per Buenos Aires più le varie sponsorizzazioni e pubblicità[96].
Le prime stagioni nel Napoli
Il 5 luglio 1984 Maradona venne presentato ufficialmente in uno Stadio San Paolo gremito di tifosi[97], che pagarono da mille a tremila lire in base agli ordini di posto per vederlo e dargli il benvenuto[98]. Bastarono una serie di palleggi ed un paio di tiri verso la porta per scatenare l'entusiasmo: il Napoli infatti veniva da una stagione difficile, nella quale si era classificato 11° ad un solo punto dalla zona retrocessione. L'avvento di Maradona era pertanto visto dai tifosi come l'inizio della sfida alle squadre del Nord Italia per la conquista del campionato[99].
L'esordio in Serie A fu il 16 settembre 1984 in Verona - Napoli, persa per 3-1[100], mentre il primo gol fu segnato alla Sampdoria su calcio di rigore nella giornata successiva, il 23 settembre[100]. Le aspettative iniziali furono però in gran parte disattese. Mal supportato da una squadra di non eccellente valore (nonostante gli ulteriori innesti di Bagni e Bertoni e l'esordio di alcuni promettenti giovani della Primavera), Maradona dimostrò quasi esclusivamente le proprie grandi capacità (come nella tripletta realizzata alla Lazio il 24 febbraio 1985[101]), ma il solo suo contributo non permise alla squadra di raggiungere grandi traguardi. Il Napoli guidato da Rino Marchesi disputò infatti un brutto girone di andata, conquistando solo 9 punti[102]: lo spartiacque della stagione fu la partita contro l'Udinese, in quello che era in pratica uno scontro valido per la salvezza. Il presidente Ferlaino dispose un ritiro prepartita fatto, oltre che di allenamenti, di riunioni nelle quali era coinvolta tutta la squadra: furono chiarite le divergenze e appianate le discussioni[103][104]. Il risultato fu la vittoria in casa per 4-3 il 6 gennaio 1985, con doppietta di Maradona e Bertoni[102]; fino alla fine del campionato il Napoli perse una sola partita[104], terminando la stagione in 8ª posizione a 3 punti dalla qualificazione alla Coppa UEFA[105]. Maradona fu il capocannoniere della squadra con 14 reti[100]. In Coppa Italia la squadra superò la fase a gironi ma negli ottavi di finale arrivò l'eliminazione per mano del Milan[106].
Era chiaro che da solo Maradona non avrebbe portato il Napoli a grandi risultati e la società dovette subito correre ai ripari. Lo stesso Maradona chiese alla società di vendere i giocatori che erano fischiati dai tifosi e consigliò l'acquisto di Alessandro Renica, libero della Sampdoria[107]. Ulteriori rinforzi di una certa caratura furono l'attaccante Bruno Giordano (acquistato dalla Lazio, retrocessa in B e colpita dallo scandalo scommesse), il regista Eraldo Pecci e il portiere Claudio Garella (vincitore dello Scudetto l'anno precedente con il Verona): non mancò l'apporto di nuovi giovani prelevati dalla Primavera, tra i quali Ciro Ferrara e Francesco Baiano. Ci fu inoltre l'arrivo come manager di Italo Allodi e l'approdo in panchina di Ottavio Bianchi al posto di Rino Marchesi: il nuovo allenatore fu però considerato da Maradona un tipo freddo ed autoritario[107]. Nello stesso periodo Guillermo Coppola divenne il suo nuovo manager al posto di Jorge Cyterszpiler[107].
L'apporto dei nuovi giocatori e l'ottima intesa immediatamente creatasi tra Maradona (ormai capitano[108]) e Giordano portarono un grosso miglioramento alle trame di gioco, ma nonostante ciò il Napoli fu eliminato nella fase a gironi della Coppa Italia[109]. In campionato la squadra da battere risultò subito la Juventus di Michel Platini, allenata da Giovanni Trapattoni, che conquistò 8 vittorie di fila nelle prime 8 giornate. Lo scontro diretto contro i bianconeri il 3 novembre 1985 fu deciso proprio da Maradona, che diede la vittoria ai suoi con un calcio di punizione a due dall'interno dell'area di rigore, con la barriera posta a poco più di 5 metri[110]. Due settimane prima, il 20 ottobre, Maradona aveva siglato un'altra rete di ottima fattura contro il Verona (vittoria per 5-0), con un pallonetto da oltre 35 metri[21]. Grazie anche a queste sue prodezze, il girone di andata si chiuse con il Napoli secondo a 6 punti dalla Juventus capolista. Nel girone di ritorno la Juve cominciò a zoppicare e favorì la parziale rimonta della Roma guidata da Roberto Pruzzo, mentre il Napoli vinse diverse partite importanti (come contro l'Inter per 0-1 e contro il Milan per 2-1) ma fu rallentato dai troppi pareggi. Alla fine la Juventus vinse il campionato con 4 punti sulla Roma e 6 sul Napoli, giunto terzo e quindi qualificato per la Coppa UEFA[111], con Maradona nuovamente capocannoniere della sua squadra con 11 reti[100].
Il double Campionato / Coppa Italia
Dopo il vittorioso Mondiale del 1986, Maradona era considerato tra i più forti giocatori al mondo mentre il Napoli, rinforzato dall'arrivo di nuovi giocatori tra cui Fernando De Napoli e Andrea Carnevale, veniva ormai dato come una seria pretendente allo scudetto. Arrivò però l'inaspettata eliminazione nei 32esimi di finale di Coppa UEFA contro i francesi del Tolosa: nonostante una vittoria all'andata per 1-0 con gol di Carnevale (giocata al San Paolo il 17 settembre), nel ritorno a Tolosa il 2 ottobre i francesi pareggiarono i conti e si finì pertanto ai calci di rigore. Giordano, Ferrario e Renica non fallirono dal dischetto, Bagni si fece parare il tiro mentre i francesi non commisero errori. L'ultimo rigore tirato da Maradona colpì il palo, sancendo l'eliminazione della squadra partenopea dalla competizione[112][113].
In campionato la lotta fu nuovamente contro la Juventus guidata da Platini e con in panchina l'ex Rino Marchesi. Nello scontro diretto del 9 novembre al "Comunale" di Torino le due squadre si trovarono appaiate al primo posto. La Juventus andò in vantaggio grazie ad un gol di Michael Laudrup, ma i campani (supportati da un pubblico in gran parte napoletano nonostante la trasferta[114]) rovesciarono il risultato grazie ai gol di Ferrario, Giordano e Volpecina[115], ottenendo una vittoria che contro la Juventus a Torino mancava da ben 29 anni. Il Napoli si piazzò solitario in vetta alla classifica, laureandosi campione d'inverno con una sola sconfitta e vincendo le ultime tre giornate del girone di andata[116]. Nel girone di ritorno gli azzurri inanellarono 4 vittorie nelle prime 4 giornate (per un totale di 7 consecutive), distanziando così il gruppo degli inseguitori che comprendeva anche Inter e Milan[115]. Le sconfitte subite dal Napoli a Milano (contro l'Inter per 1-0[116]) e a Verona (per 3-0[116]) e la contemporanea incostanza degli avversari fecero sì che il vantaggio rimanesse di 2 punti fino alle ultime giornate. La Juventus dovette rinunciare definitivamente al titolo dopo essere stata sconfitta al San Paolo per 2-1[116]. Decisiva fu la vittoria il 26 aprile nello scontro diretto in casa contro il Milan per 2-1 e la sconfitta dell'Inter ad Ascoli nella giornata successiva: a due giornate dalla fine e con 3 punti di vantaggio sui nerazzurri[117] sarebbe stato sufficiente un pareggio per avere la certezza matematica del titolo. E così fu: il 10 maggio 1987, mentre l'Inter perse a Bergamo contro l'Atalanta, il Napoli pareggiò per 1 a 1 la partita casalinga con la Fiorentina (con il primo gol in serie A di Roberto Baggio per i viola[117]), conquistando così il primo scudetto della sua storia[117]. La città intera si abbandonò all'euforia ed alla festa: Maradona, che era stato il protagonista assoluto della stagione portando la squadra a vincere un titolo fino ad allora solo immaginato da tifosi e addetti ai lavori, per il terzo anno consecutivo fu capocannoniere della squadra con 10 reti[100][115].
Il Napoli vinse anche la sua terza Coppa Italia, vincendo tutte le 13 gare comprese le due finali disputate contro l'Atalanta[118]. L'accoppiata scudetto/coppa fu un'impresa che fino a quel momento era riuscita solo al Grande Torino nel 1943 ed alla Juventus nel 1960. Bruno Giordano fu il capocannoniere della manifestazione con 10 reti[119].
La rivalità contro Milan ed Inter
All'inizio della stagione 1987-1988 Maradona vide approdare nel campionato italiano il fratello Hugo, che giocò una decina di partite con l'Ascoli, allora allenato da Ilario Castagner, ma senza grosso successo. Il Napoli frattanto si presentava con una rosa ulteriormente rinforzata dall'arrivo di Giovanni Francini e del brasiliano Careca, nonchè come la candidata principale allo scudetto. Grazie alla vittoria dell'anno precedente partecipò per la prima volta alla Coppa dei Campioni, ma uno sfortunato sorteggio mise gli azzurri contro il Real Madrid già nei 16esimi di finale: i partenopei uscirono battuti dal Bernabéu per 2-0 il 16 settembre (con lo stadio surrealmente vuoto per via di un provvedimento disciplinare[120]) e pareggiarono per 1-1 la gara di ritorno il 30 settembre al San Paolo, abbandonando subito le ambizioni europee anche a causa di un Maradona poco incisivo[121].
In campionato le cose andarono molto meglio: il Napoli dominò fin dalle prime battute tenendo a diversi punti di distanza le dirette inseguitrici[120]. L'attacco era infatti guidato da Giordano e Careca: con il supporto di Maradona nacque il trio chiamato Ma.Gi.Ca. (nato dall'ordine delle marcature nella partita contro l'Ascoli il 31 gennaio 1988). Nel frattempo il contratto di Maradona era in scadenza nel giugno 1989, le trattative per il rinnovo erano già in corso ma diverse società erano alla finestra[122]. Il manager Coppola ricevette un'offerta da parte del nuovo patron del Milan Silvio Berlusconi: il doppio di quanto guadagnava al Napoli con un contratto di 5 anni, appartamento in centro a Milano, una Lamborghini e una collaborazione con la neonata Fininvest a partire dal 1989[120][122]. Arrivò un'ulteriore offerta dagli inglesi del Tottenham Hotspur per 15 milioni di dollari[123]. Nonostante le ricche offerte e i lunghi mesi di trattative, il rapporto tra Maradona ed il Napoli fu prolungato fino al giugno 1993 secondo i seguenti termini: premi tripli, 5 milioni di dollari l'anno di stipendio fino al 1993, altri 2 milioni di introiti pubblicitari e una Ferrari F40 nera[120][122], rendendo di fatto Maradona il giocatore più pagato di quei tempi[122]. Frattanto i partenopei parevano dominare il campionato, laureandosi campioni d'inverno con 3 punti di vantaggio sulla seconda (proprio il Milan di Sacchi)[124] e raggiungendo un vantaggio massimo di 5 punti grazie a 4 vittorie consecutive nel girone di ritorno[124]. Inaspettatamente gli azzurri crollarono dopo la 20ª giornata, ottenendo un solo punto in 4 giornate: alla vigilia dello scontro diretto contro il Milan, il vantaggio era ridotto ad un solo punto. Al San Paolo la partita finì per 3-2 per i rossoneri[124], sancendo un sorpasso considerato fino ad un mese prima assolutamente improbabile[125]. Il campionato si concluderà con il Milan Campione d'Italia ed il Napoli secondo e qualificato per la Coppa UEFA dell'anno seguente[124]. Il clamoroso crollo della squadra partenopea nelle ultime giornate diede adito a qualche sospetto di combine mai provato (le malelingue sottolineavano il fatto che Ferlaino ottenne proprio allora un'importante concessione edilizia a Milano[126]): in realtà, la squadra arrivò a fine campionato con diversi infortunati e in calo di forma dopo una prima parte di stagione eccezionale, e i giocatori non ebbero la "benzina" per reggere il confronto con i milanesi[127][128]. Maradona fu comunque capocannoniere del torneo con 15 reti all'attivo[124] (unico giocatore del Napoli ad aver vinto la classifica cannonieri in serie A fino ad oggi[15]). In Coppa Italia i partenopei furono eliminati ai quarti di finale dal Torino, dopo aver passato a punteggio pieno la fase a gironi[129]: nonostante la prematura uscita, Maradona risultò capocannoniere del torneo con 6 reti[119].
Il fallimento dell'obiettivo (che pareva ormai raggiunto) e soprattutto la sconfitta in casa (con conseguente sorpasso) da parte del Milan aveva però creato all'interno dello spogliatoio una frattura insanabile tra la "vecchia guardia" formata principalmente da Bagni, Garella, Giordano e Ferrario e l'allenatore Ottavio Bianchi. Prima dell'ultima giornata di campionato, i giocatori espressero in un comunicato stampa l'assenza di rapporti con l'allenatore[128], problema di cui la società era già al corrente, richiedendo in pratica il suo esonero[130]. Non appena informato, Maradona si schierò con i compagni (che non riuscirono a comunicargli per tempo la volontà di far uscire il comunicato[130]) e in polemica contro Ferlaino e Bianchi, questione che rimase aperta per tutto l'anno seguente; successivamente, pur continuando a considerare corretto il gesto dei compagni anche se fatto al momento sbagliato[128], ritenne che la colpa fosse sia dell'allenatore (che tenne fuori Giordano per buona parte della partita contro il Milan[125]) sia dei giocatori stessi[130]. Il presidente Ferlaino non intendeva licenziare il tecnico per non far cadere la squadra nel caos[128] e, con l'appoggio dei tifosi, decise di cedere i ribelli mantenendo al suo posto Bianchi[130]. In tutto ciò, Maradona era costantemente circondato da giornalisti e tifosi non appena metteva piede fuori casa, ai limiti dell'idolatria. In pratica non gli era permesso di vivere una vita normale, dato che ogni sua azione era in balìa della gente: è in questo periodo che cominciò ad esprimere la sua volontà di andarsene da Napoli[131]. Nel maggio 1988 fu invitato a partecipare all'addio al calcio di Platini, in una partita giocata a Nancy tra la Francia e il Resto del Mondo[132].
La stagione 1988-1989 iniziò quindi non nel migliore dei modi: per ricoprire i ruoli lasciati dai giocatori licenziati vennero ingaggiati il portiere Giuliano Giuliani, il brasiliano Alemão e i centrocampisti Luca Fusi e Massimo Crippa. Ferlaino inoltre assunse come general manager Luciano Moggi e, come già detto, confermò Bianchi alla guida della squadra. I necessari chiarimenti tra Maradona, Bianchi e la dirigenza avvennero nel ritiro precampionato, dove decisero di voltare pagina e restare uniti per il bene della squadra[133]. In campionato le favorite erano proprio il Napoli ed il Milan campione uscente, ma subito emerse come candidata alla vittoria l'Inter allenata da Giovanni Trapattoni, rinforzatasi con l'acquisto di campioni del calibro di Lothar Matthäus e Andreas Brehme, che già alla 5ª giornata era in testa alla classifica[134]. Soltanto il Napoli riusciva a tenere testa agli interisti, specie con le vittorie con la Juventus a Torino per 5-3 il 20 novembre 1988, per 4-1 in casa nella giornata successiva contro il Milan e con la goleada (8-2) rifilata al Pescara[134]. Il primo scontro diretto tra le due pretendenti allo scudetto, giocato al San Paolo il 15 gennaio 1989, terminò per 0-0 e i nerazzurri si laurearono campioni d'inverno con 3 punti di distacco sui partenopei[134]. I milanesi aumentarono ulteriormente il ritmo nel girone di ritorno vincendo 8 partite consecutive e aumentando in maniera considerevole il loro vantaggio su un Napoli decisamente concentrato sulle gare europee di Coppa UEFA[134]. Il secondo scontro diretto fu vinto dall'Inter in casa per 2-1 grazie ad un gol di Matthäus su punizione: la vittoria assegnò matematicamente lo Scudetto ai nerazzurri, squadra che verrà poi ricordata come Inter dei record. Maradona segnò 9 gol in 26 presenze[100], capocannoniere della squadra (e secondo in Serie A dopo Aldo Serena) fu Careca con 19 gol[134].
In Coppa Italia, dopo aver agevolmente superato la fase a gironi, il Napoli sconfisse l'Ascoli ai quarti e il Pisa in semifinale, arrivando in finale contro la Sampdoria guidata da Gianluca Vialli e Roberto Mancini: all'andata si imposero i partenopei al San Paolo per 1-0, ma al ritorno (giocato a Cremona[135]) i blucerchiati ottennero una clamorosa vittoria per 4-0 aggiudicandosi il trofeo[136].
I nuovi successi con il Napoli
La stagione 1988-1989 è ricordata soprattutto per il trionfo in Coppa UEFA, primo titolo internazionale ottenuto dalla squadra campana nella sua storia. Dopo un inizio un po' stentato contro i greci del Paok Salonicco nei 32esimi[137][138] e contro i tedeschi del Lipsia nei 16esimi di finale[137][138], i partenopei eliminarono agli ottavi il Bordeaux vincendo in trasferta per 1-0[137]. Nei quarti si trovarono di fronte la Juventus: l'andata fu segnata da una sconfitta a Torino per 2-0, ma al ritorno il 15 marzo Maradona e Carnevale pareggiarono i conti, e furono necessari i tempi supplementari per sancire la vittoria del Napoli grazie al gol di Renica[137][138]. In semifinale lo scontro fu contro i tedeschi del Bayern Monaco, che avevano eliminato l'Inter negli ottavi, in una partita etichettata come "la vera finale"[139]. Al San Paolo i partenopei vinsero 2-0 con gol di Careca e Carnevale (grazie a due assist di Maradona[137]), pareggiando poi al ritorno in terra tedesca il 19 aprile per 2-2 con una doppietta di Careca propiziata da altri due assist di Maradona[137][139]. La finale vedeva il Napoli contro i tedeschi dello Stoccarda: per entrambe le squadre si trattava della prima finale europea. Nella partita di andata, giocata il 3 maggio 1989 in uno stadio San Paolo tutto esaurito, andarono in vantaggio i tedeschi con gol di Maurizio Gaudino: nel secondo tempo risposero i partenopei con un rigore di Maradona (favorito da un controllo con la mano sinistra) e andando in vantaggio con Careca nuovamente con assist di Maradona a 3 minuti dalla fine, vincendo così per 2-1[137]. Al ritorno in Germania il 17 maggio il Napoli passò in vantaggio con gol di Alemão, ma i tedeschi pareggiarono poco dopo con Jürgen Klinsmann. Prima della fine del primo tempo i partenopei passarono nuovamente in vantaggio con un gol di Ciro Ferrara su assist di Maradona: il terzo gol arrivò nel secondo tempo con Careca su ennesimo assist di Maradona[137]. Il forcing finale dello Stoccarda permise ai tedeschi di raggiungere il 3-3 all'89°[137], ma grazie al risultato dell'andata il Napoli si laureò campione.
Il successo sportivo nascondeva però il desiderio di Maradona di andare via da Napoli, nella quale viveva quasi prigioniero, adorato in maniera morbosa dai tifosi e costretto a difendere ogni giorno la sua vita privata e la sua famiglia dalle intromissioni degli estranei. A ciò si aggiungero l'uso di cocaina trasformatosi ormai da vizio in tossicodipendenza e la stanchezza per le forti tensioni e rivalità di cui era carico il campionato italiano. Nel giugno 1989 ricevette l'offerta dal patron dell'Olympique Marsiglia Bernard Tapie, che gli offriva non solo soldi, casa ed automobile ma anche tranquillità per la sua famiglia e la calma del campionato francese: al Napoli sarebbero andati 25 milioni di dollari. L'offerta fu seriamente valutata da Maradona che già aveva espresso la sua voglia di cambiare al presidente Ferlaino, ottenendo prima della semifinale con il Bayern Monaco la promessa (nonostante il contratto fino al 1993) di lasciarlo libero se la squadra avesse vinto la Coppa UEFA. Una volta vinto il trofeo, Ferlaino cercò di convincerlo a rimanere (addirittura subito dopo la vittoria del trofeo, mentre la squadra festeggiava in campo) a Napoli e, non riuscendoci, si rimangiò la parola data sostenendo di averlo detto "solo per motivarlo" e costringendo quindi Maradona a rimanere a Napoli fino alla fine del suo contratto. Tapie (che alla fine rinuncerà a Maradona ingaggiando Enzo Francescoli) alzò l'offerta a 35 milioni di dollari per il Napoli, che rifiutò con le indicative parole di Moggi: "Maradona giocherà per il Napoli o non giocherà". Emersero legami con la camorra e in particolare con il Clan Giuliano: furono infatti recuperate dalla stampa alcune foto del boss Carmine Giuliano, al tempo latitante, in cui oltre ai parenti era presente anche il giocatore argentino (alcuni sostengono che le foto, pubblicate dal giornale Il Mattino di cui Ferlaino era azionista, furono rese pubbliche proprio in quel periodo per mettere ulteriormente sotto pressione Maradona). Queste vicende causeranno il forte risentimento da parte dell'argentino e una guerra tra le parti: fax e telex di notizie e minacce iniziarono prima della Copa América 1989 e anche dopo la fine del torneo per l'Argentina, a metà luglio. Maradona dichiarava di voler andare a Marsiglia, chiedendo a Ferlaino di rispettare il patto e lasciarlo andare via da Napoli, la società al contrario ricordava l'oneroso contratto sottoscritto e premeva per averlo a disposizione il prima possibile: al contempo i giornali rilanciavano le accuse di collusione con la camorra e le vicende legate alla droga. Era previsto che Maradona avrebbe raggiunto il ritiro il 16 agosto, ma non si fece vivo: dopo un lungo tira e molla, tornò in Italia solo il 4 settembre, anche se sovrappeso e fuori forma, dopo che il Napoli aveva fatto a meno di lui e dei brasiliani Careca e Alemao per le prime 2 giornate di campionato (l'inizio del torneo era stato anticipato per permettere lo svolgimento dei Mondiali del 1990).
Il campionato 1989-1990 iniziò pertanto con l'assenza degli stranieri del Napoli: le altre novità per i campani furono l'approdo in panchina di Alberto Bigon al posto di Bianchi e l'arrivo di Marco Baroni e, come riserva di Maradona, del giovane Gianfranco Zola, prelevato dalla Sassari Torres militante in Serie C-1. Anche in questa annata i partenopei partirono come favoriti insieme ad Inter e Milan. Le prime giornate furono giocate dal Napoli con una formazione completamente italiana, che non sfigurò: dopo quattro giornate di campionato (ancora senza Maradona ma con i rientranti Careca ed Alemao) la squadra era in testa a 7 punti insieme alla Juventus guidata da Dino Zoff. Il rientro di Maradona, anche se ancora fuori forma, sarà nella giornata successiva e con un inedito numero 16, il 17 settembre contro la Fiorentina al San Paolo: i partenopei vinsero per 3-2 anche grazie ad un suo assist, e i tifosi lo accolsero con calore nonostante le sue dichiarazioni dell'estate appena trascorsa e un rigore fallito nel secondo tempo. Tornò a segnare nella giornata successiva contro la Cremonese (pareggio per 1-1) e contro il Milan pareva aver già ritrovato una buona condizione, guidando la sua squadra nel 3-0 finale e siglando una marcatura. Suo il sigillo anche nella vittoria casalinga contro l'altra rivale, l'Inter, battuta per 2-0 il 22 ottobre 1989: al giro di boa, nonostante la sconfitta contro la Lazio per 3-0, il Napoli fu campione d'inverno con 2 punti sull'Inter. Nel girone di ritorno i partenopei ebbero un calo di prestazioni facendosi raggiungere e superare dal Milan, vittorioso a San Siro sui partenopei per 3-0 l'11 febbraio, quasi come se si stesse riproponendo quanto visto due stagioni prima: alla 30ª giornata i rossoneri avevano un punto di vantaggio sui partenopei e quattro sui nerazzurri. Il 25 marzo 1990 il portiere della Juventus Stefano Tacconi sfidò Maradona come Gatti anni prima, affermando che "Maradona, più che Dio, si crede Gesù: ormai, parla di tutto con la pretesa di dire la verità": l'argentino lo castigò con una doppietta in 15 minuti, portando alla vittoria i partenopei per 3-1[140].L'8 aprile si verificarono però due fatti molto importanti: il Milan pareggiò a Bologna per 0-0 (graziato anche da una svista arbitrale che non vide un gol fantasma della squadra emiliana) e il Napoli vinse a tavolino per 0-2 fuori casa contro l'Atalanta, quando una monetina da 100 lire lanciata dagli spalti colpì in testa l'azzurro Alemão costringendolo alla sostituzione (più tardi Ferlaino riconoscerà di aver ingigantito il danno subìto dal brasiliano per poter vincere il ricorso). A tre partite dalla fine le due squadre si trovarono a pari punti; nella 32ª giornata sia il Napoli (3-0 contro il Bari) che il Milan (1-0 contro la Sampdoria) vinsero le rispettive partite. La penultima giornata fu quella decisiva: mentre il Napoli vinse a Bologna per 4-2 (con un gol di Maradona), il Milan cadde su rimonta in casa del Verona, perdendo per 2-1 (fu duramente contestato l'arbitraggio di Rosario Lo Bello che nel corso della gara espulse tre milanisti, l'allenatore Sacchi e negò due rigori su Van Basten e Massaro). Nell'ultima giornata il Napoli vinse in casa contro la Lazio per 1-0 con gol di Baroni su assist di Maradona, rendendo inutile la vittoria del Milan contro il Bari. Per i campani fu il secondo scudetto e la possibilità di giocare nella Coppa dei Campioni dell'anno successivo. Maradona, che fu nuovamente capocannoniere della sua squadra con 16 reti, arrivò quindi come Campione d'Italia ai Mondiali del 1990.
In Coppa Italia, dopo aver passato le eliminatorie (vincendo contro Monza e Reggina) e la fase a gironi (contro Bologna e Fiorentina) incontrò in semifinale la rivale in campionato, il Milan: dopo lo 0-0 a San Siro il 30 gennaio, il Milan vinse al San Paolo per 3-1 il 14 febbraio con l'unico gol dei partenopei segnato da Maradona su rigore.
In Coppa UEFA invece il cammino si interruppe a metà strada: dopo aver sconfitto lo Sporting Lisbona e gli svizzeri del FC Wettingen, negli ottavi il Napoli incontrò i tedeschi del Werder Brema. Contro di essi i campani incapparono in due sonore sconfitte, sia in casa per 3-2 il 22 novembre 1989 che in trasferta per 5-1 due settimane dopo.
L'ultimo anno in Italia
Nella stagione 1990-1991, la rosa del Napoli era di poco diversa da quella laureatasi campione d'Italia. La stagione cominciò con la vittoria nella Supercoppa Italiana del 1990 ottenuta battendo la Juventus allenata da Maifredi per 5-1. Il campionato, invece, cominciò male: nelle prime tre partite la squadra ottiene solo un punto.
In Coppa dei Campioni, dopo un inizio favorevole con una convincente doppia vittoria sugli ungheresi dello Újpesti Dózsa, al secondo turno il Napoli incontrò lo Spartak Mosca; l'andata al San Paolo finì 0-0, ma alla partita di ritorno in Russia Maradona non partì con la squadra, noleggiò un aereo privato ed arrivò a Mosca solo la sera successiva, il caso fu ampiamente affrontato dalla stampa italiana, che tra l'altro riportò alcune dichiarazioni di Luciano Moggi (allora dirigente del Napoli) e Alberto Bigon[141]. Maradona entrò in campo solo nel secondo tempo, l'incontro finì 0-0 anche dopo i supplementari e i russi vinsero la partita ai rigori (nonostante Maradona avesse siglato il suo).
Iniziò il lento declino dell'esperienza italiana di Maradona che finì il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping effettuato al termine della partita di campionato Napoli-Bari che diede il responso di positività alla cocaina. Il Napoli chiuse la stagione all'ottavo posto.
Il primo e l'ultimo gol di Maradona in Serie A sono stati entrambi segnati contro la Sampdoria ed entrambi su rigore.
La cessione forzata al Siviglia
Dopo un anno e mezzo di squalifica per doping, nel 1992, la carriera di Maradona riprese nel Siviglia. Dei sette milioni e mezzo di dollari dovuti al Napoli dalla squadra spagnola, la società italiana ne ricevette solo tre: stranamente, infatti, la FIFA autorizzò il Siviglia a non completare il pagamento.
Al Siviglia, Maradona reincontrò Carlos Bilardo, l'allenatore dell'Argentina ai mondiali del 1986. Maradona debuttò il 28 settembre contro il Bayern Monaco ed il 4 ottobre giocò la sua prima partita nella Liga in cui il Siviglia fu sconfitto dall'Athletic Club per 2-1. Il campionato continuò fra alti e bassi, con Maradona sempre più contestato dai tifosi.
In Spagna la situazione precipitò. Il Siviglia fallì la qualificazione per la Coppa UEFA, in 26 partite Maradona segnò solo 5 gol e dopo una sola stagione, l'esperienza sivigliana di Maradona finì.
Il ritorno al calcio argentino
Maradona tornò a giocare in Argentina nel Newell's Old Boys; il 31 ottobre 1993, un giorno dopo il suo compleanno, ritornò a giocare con la nazionale, a Sydney, contro l'Australia per gli spareggi di qualificazione ai Mondiali USA 1994. La partita finì 1-1 e la rete argentina di Abel Balbo fu propiziata da un cross di Maradona. Nel ritorno del 17 novembre al Monumental l'Argentina vinse 1-0 qualificandosi per i Mondiali.
In seguito all'andamento mediocre in campionato e per via alcuni problemi fisici che lo costrinsero a giocare solo sette partite, dopo la partita contro l'Huracán, il 12 febbraio 1994, Maradona sciolse il contratto con il Newell's, recependo un milione e mezzo di dollari, la metà di quanto previsto dal contratto.
In attesa dei mondiali per alcuni mesi Maradona si ritirò dalle competizioni di club e tornò a giocare il 20 aprile, in un'amichevole tra Argentina e Marocco che terminò 3-1 per l'Argentina, con una rete di Maradona su rigore (dopo un'"astinenza da gol" durata ben 1.255 minuti di gioco).
Maradona non avrebbe potuto partecipare alla prevista tournée pre-mondiale in Giappone in quanto gli fu negato il visto di ingresso a causa dei precedenti con la droga. La Nazionale argentina decise di non recarsi in Giappone senza Maradona, cambiò quindi il programma di incontri sfidando Israele (3-0), Ecuador (1-0) e Croazia (0-0).
Gli ultimi anni della carriera
Il 7 ottobre dello stesso anno tornò a giocare con la maglia del Boca Juniors nella partita contro il Colón (1-0). Rimase nel Boca per due anni prima di ritirarsi dal calcio, il 30 ottobre 1997, giorno del suo trentasettesimo compleanno.
Nazionale
Under-20
Maradona esordì con la Nazionale giovanile il 3 aprile del 1977, successivamente quindi al suo esordio con la Nazionale maggiore[142], in una amichevole contro la formazione del Chascomús, vincendo per 3-2[143]. Il primo gol arrivò pochi giorni dopo sempre in amichevole, l'8 aprile, nella partita contro il Cipolletti vinta per 2-1[143]: fin quando possibile continuò a giocare sia con la Nazionale Under-20 che con la Nazionale Maggiore. La sua prima competizione internazionale, già con la maglia numero 10, fu il Campionato Sudamericano Under-20 del 1977 in Venezuela, che per la prima volta garantiva l'accesso al Mondiale Under-20: l'Argentina rimediò solo 2 punti in 4 gare, frutto di 2 pareggi e 2 sconfitte, venendo così eliminata nella prima fase a gironi[144]. Due anni dopo, nel 1979 in Uruguay, le cose andarono diversamente: la formazione argentina terminò seconda nel girone eliminatorio (2 vittorie e una sconfitta) e nella fase simile terminò seconda a un punto dall'Uruguay padrone di casa[145], guadagnando la qualificazione ai Mondiali Under-20 del 1979 in Giappone. E fu lì che Maradona (con la fascia di capitano) si mise definitavemente in mostra come calciatore di livello mondiale, contribuendo in maniera sostanziosa alla vittoria: nella prima fase a gironi la squadra passò a punteggio pieno (con 3 gol di Maradona in 3 partite), battendo poi l'Algeria nei quarti per 5-0 e l'Uruguay in semifinale per 2-0 (Maradona segnò una rete in entrambe le gare)[146]. Nella finale contro l'Unione Sovietica, Maradona andò in rete su punizione[147], siglando il definitivo 3-1[148]. Vinse il premio come Miglior giocatore del torneo[149] e fu secondo nella classifica cannonieri dietro il compagno di squadra Ramón Díaz[150].
Nazionale Maggiore
Il debutto internazionale arrivò per Maradona a soli 16 anni: il 27 febbraio 1977 l'allora allenatore della Nazionale César Luis Menotti lo convocò per un'amichevole contro l'Ungheria alla Bombonera di Buenos Aires. Fece il suo ingresso al 19' del secondo tempo al posto di Leopoldo Luque: la partita finì 5-1 per l'albiceleste[142][151]. Il suo primo gol arriverà solo dopo i Mondiali, in una amichevole giocata all'Hampden Park contro la Scozia, il 2 giugno 1979[45].
Diventato capocannoniere del campionato argentino[16], sembrò destinato a far parte dei convocati per i Mondiali del 1978, ma non venne inserito nella rosa della Selección (che divenne Campione del Mondo per la prima volta nella sua storia) in quanto Menotti lo ritenne troppo giovane per affrontare un torneo di vitale importanza per l'Argentina, sia dal punto di vista sportivo che politico (i campionati del mondo dovevano costituire per il regime militare golpista presieduto da Videla l'occasione di rivalutazione dell'immagine internazionale della Nazione). L'esclusione di Maradona era anche dovuta alla presenza di diversi altri giocatori nel suo stesso ruolo come Villa, Alonso, Valencia e Bertoni: non potendo rinunciare a nessuno di questi per vari motivi, Menotti lasciò fuori il più giovane e meno esperto in campo internazionale[152].
Subito dopo la vittoria mondiale, Maradona divenne titolare della Nazionale e giocò importanti partite che riscattarono la sua mancata convocazione. Tra queste, un'amichevole fra Argentina e Resto del Mondo allo stadio Monumental di Buenos Aires, il 25 giugno 1979: la partita finì 2-1 per gli avversari, ma con l'unico gol degli argentini segnato da Maradona[51]. Alla fine del 1980 partecipò al Mundialito, creato per celebrare il cinquantenario del primo campionato del mondo, tenutosi in Uruguay nel 1930. Gli argentini furono inseriti in un girone all'italiana con Brasile e Germania Ovest: la vittoria contro i tedeschi per 2-1 e il pareggio per 1-1 contro i brasiliani (con Maradona autore del gol degli argentini) non bastarono per avere accesso alla finale, appannaggio della Seleção grazie alla migliore differenza reti. Il trofeo fu vinto dall'Uruguay che sconfissero i brasiliani per 2-1[153].
Spagna 1982: il primo campionato del mondo
Nel primo turno a gironi, l'Argentina, campione uscente, perse l'incontro d'esordio del campionato del mondo 1982 per 1-0 contro il Belgio. Due vittorie contro l'Ungheria (4-1 con due goal di Maradona) e contro il debole El Salvador diedero ai sudamericani l'accesso alla seconda fase, in un gruppo che comprendeva Brasile e Italia, destinata a succedere agli argentini nella conquista della Coppa del Mondo.
L'incontro con gli italiani fu perso dagli argentini per 1-2, e Maradona soffrì la marcatura particolarmente attenta e aggressiva di Claudio Gentile. Contro i brasiliani la sconfitta fu più pesante: 1-3. Complessivamente Maradona ebbe cinque presenze e fece due gol, più un'espulsione contro il Brasile all'85°, per fallaccio di reazione su João Batista da Silva, con cui concluse senza gloria il suo primo mondiale.
Messico 1986: Argentina campione
Il culmine della carriera di Maradona fu senza dubbio la vittoria nel campionato del mondo 1986 in Messico, al termine di un torneo nel quale fu, nel bene e nel male, il protagonista: nel bene, per i suoi cinque gol e cinque assist nelle sette partite giocate nel torneo (tutte vinte, tranne l'1-1 contro l'Italia nella prima fase a gironi) e per il gol nei quarti di finale segnato contro l'Inghilterra, dopo aver dribblato tutti gli avversari che provarono ad ostacolarlo nella sua corsa dalla linea di centrocampo alla porta difesa da Peter Shilton. Nel male, per le polemiche seguite al celeberrimo gol di mano nella stessa partita contro l'Inghilterra che ruppe l'equilibrio dell'incontro e fu erroneamente convalidato dall'arbitro tunisino Ali Bennaceur. Maradona rivendicò la legittimità di quel gol come atto di giustizia a seguito della Guerra delle Falkland del 1982 (a segnare, secondo Maradona, fu la Mano de Dios), ma in effetti l'unico risultato pratico che ebbe fu quello di indurre la FIFA a escludere di fatto gli arbitri provenienti da federazioni "calcisticamente ancora in via di sviluppo" dalle fasi finali ad eliminazione diretta.
Indipendentemente da ciò, la segnatura al termine di quello slalom (che fu quella del provvisorio 2-0, alla fine l'Argentina vinse per 2-1) risultò essere il Gol del secolo (noto altresì come il Più grande gol nella storia della Coppa del Mondo FIFA) secondo un sondaggio indetto dalla FIFA nel 2002[154].
Due gol al Belgio in semifinale valsero la finale contro la Germania Ovest. Ai goal argentini di Brown e Valdano risposero quasi in finale di partita Rummenigge e Völler, ma quando la gara stava per avviarsi ai tempi supplementari, Maradona pescò un corridoio sulla destra per Burruchaga, che batté Toni Schumacher per il 3-2 che diede all'Argentina il suo secondo titolo mondiale, il primo e unico di Maradona.
Italia 1990: la grande delusione
Maradona capitanò l'Argentina anche nei Campionati del Mondo 1990, svoltisi in Italia. Un infortunio alla caviglia pregiudicò le sue prestazioni, ma comunque fu uno dei protagonisti dei Mondiali.
Negli ottavi di finale contro il Brasile, Maradona fu autore dell'assist a Claudio Caniggia per il gol vincente. Nei quarti di finale l'Argentina affrontò la Jugoslavia che superò ai rigori nonostante l'errore di Maradona (e di Troglio).
Si giunse così alla partita successiva contro l'Italia, padrona di casa, e per giunta nella "tana" di Maradona, quello Stadio San Paolo da lui amato. La gara, soffertissima dagli azzurri, si risolse anch'essa ai rigori dopo un 1-1; questa volta Maradona segnò un tiro dal dischetto e l'Argentina si qualificò per la finale.
Nella gara decisiva, a Roma, l'Argentina perse contro la Germania per 1-0 con un rigore segnato da Andreas Brehme all'85° minuto a seguito di un fallo assai dubbio di Néstor Sensini su Rudolph Voeller. In quest'occasione, Maradona si rese protagonista di due episodi extra-calcistici. Prima della partita, il pubblico dell'Olimpico fischiò l'intera esecuzione dell'inno nazionale argentino e Maradona, ripreso dalle telecamere, rispose con il famigerato "hijos de puta" rivolto al pubblico. Dopo la gara, in lacrime per la finale persa, accusò l'arbitro e la FIFA di aver fatto perdere la gara ai sudamericani.
USA 1994: l'ultimo Mondiale
Ai Mondiali, iniziati a metà giugno, l'Argentina vinse 4-0 la prima partita a Boston contro la Grecia, in cui Maradona realizzò il terzo gol, dopo il quale esultò col famoso urlo ripreso in primo piano dalla telecamera di bordocampo. Gli argentini vinsero (2-1) anche la seconda partita contro la Nigeria.
L'Argentina e Maradona sembravano inarrestabili quando, ancora una volta, l'esito positivo di un controllo antidoping fermò la carriera di Maradona, che fu trovato positivo all'efedrina, sostanza stimolante proibita. La FIFA lo espulse dal campionato e l'Argentina fu eliminata agli ottavi contro la Romania di Gheorghe Hagi.
Maradona si è sempre difeso affermando che la positività al test era dovuta all'ingerimento di una bevanda energetica, la Ripped Fuel, datagli dal suo allenatore personale in sostituzione della Ripped Fast, che in Argentina usava regolarmente e che era permessa dalla FIFA, a differenza della versione statunitense della bevanda, la Ripped Fuel appunto, che, all'insaputa dell'allenatore, disse, conteneva invece efedrina. Maradona accusò pesantemente i vertici della FIFA di averlo voluto far fuori servendosi di un pretesto quale quello dell'efedrina.
Carriera da allenatore
Club
Maradona provò anche a lavorare come allenatore in due brevi periodi, guidando il Deportivo Textil Mandiyú di Corrientes (1994) e il Racing Club de Avellaneda (1995), ma senza molto successo.
Alla guida della Nazionale argentina
Il 28 ottobre 2008, dopo un lungo periodo di indiscrezioni[10], i media argentini annunciano la nomina di Maradona come CT dell'Argentina, in sostituzione del dimissionario Alfio Basile e vincendo la concorrenza del connazionale Carlos Bianchi[10]. L'ufficializzazione dell'incarico arrivò il 30 ottobre (48° compleanno dell'ex-calciatore)[155]: come suoi collaboratori vennero nominati come direttore generale Carlos Bilardo, tecnico dell'albiceleste ai Mondiali 1986, e Pedro Troglio (ex giocatore di Lazio, Verona e Ascoli) come vice[155]. La prima partita della sua gestione fu giocata il 19 novembre 2008 a Glasgow contro la Scozia e vinta per 1-0[156]. Il 1º aprile 2009 l'Argentina subì però la sconfitta più pesante nella storia delle qualificazioni mondiali, crollando 6-1 contro la Bolivia penultima in classifica[157]. Nonostante le difficoltà incontrate durante le qualificazioni (4 sconfitte consecutive), la Selección riuscì ad ottenere il passaggio del turno all'ultima giornata del girone battendo l'Uruguay a Montevideo il 14 ottobre 2009[158]. Successivamente alla vittoria, Maradona si rese protagonista di alcune dichiarazioni molto polemiche nei confronti della stampa argentina (colpevole, a suo dire, di averlo sempre osteggiato ed ostacolato durante il percorso di qualificazione) insultando i giornalisti in modo volgare[159]. Per queste esternazioni, la FIFA gli inflisse due mesi di sospensione e 25.000 franchi svizzeri di multa (circa 16.600 euro)[160], impedendogli così di partecipare ai sorteggi per il Mondiale 2010 anche solo nelle vesti di commentatore televisivo[161].
Vita
Diego Maradona sposò Claudia Villafañe il 7 novembre 1989, a Buenos Aires, dopo la nascita delle loro figlie, Dalma[162] Nerea (nata nel 1987) e Gianinna Dinorah (nata nel 1989). Nella sua autobiografia Maradona ha ammesso che non è sempre stato fedele a Claudia, benché la definisca "l'amore della sua vita"[163]. Nel 2004 i due divorziarono, rimanendo però amici: sono stati visti insieme in diverse occasioni, come nelle partite della Nazionale Argentina durante la Coppa del Mondo 2006. Dopo il divorzio, Claudia intraprese la carriera di produttore di teatro, mentre Dalma diventò attrice, girando alcuni film in Argentina[164]. L'altra figlia Gianinna è invece legata sentimentalmente al giocatore dell'Atletico Madrid Sergio Agüero, da cui ha avuto un figlio, Benjamin, nato il 19 febbraio 2009, facendo diventare quindi Maradona nonno per la prima volta[165]. Dopo aver avuto varie compagne (reali o attribuitegli), nel 2009 instaurò una relazione stabile con l'argentina Veronica Ojeda, che rimase incinta a fine anno[166], ma perse il bambino al quarto mese di gravidanza a causa di un incidente domestico[167].
Dopo il ritiro
Nel 2000 il Napoli decise che mai più nessun calciatore avrebbe indossato una maglia con il numero 10 appartenuto a Maradona, in onore della sua straordinaria carriera. Nel 2004, a causa del fallimento e della successiva iscrizione al campionato di Serie C1 e visto il regolamento della numerazione delle maglie di quest'ultima, il club fu costretto a ristampare la maglia con il 10, fino al nuovo ritiro nel 2006 grazie alla promozione in Serie B. Nel 2001 anche l'AFA chiese alla FIFA l'autorizzazione a ritirare la maglia numero 10 della Nazionale argentina in onore di Maradona, ma la FIFA dichiarò respinta la richiesta nel 2002[168]. La Federazione argentina annunciò che l'avrebbe assegnato al terzo portiere, Roberto Bonano, ma ai Mondiali del 2002 la maglia fu vestita da Ariel Ortega e a Bonano andò il "classico" numero 23[169].
Nonostante si fosse ritirato dal calcio nel 1997, Maradona decise di disputare la sua partita di addio al calcio (che in Argentina è detta homenaje, tributo) il 10 novembre 2001: alla Bombonera, storico stadio del Boca Juniors, davanti ad oltre 50.000 spettatori si sfidarono una selezione argentina (ovviamente capitanata da Maradona) e una selezione del Resto del Mondo, che vedeva tra le sue file campioni del calibro di Enzo Francescoli, Éric Cantona, Hristo Stoičkov e altri. La partita terminò 6-3 per l'Argentina con due gol di Maradona su calcio di rigore[170].
Il 22 giugno 2005 Maradona tornò al Boca Juniors come vicepresidente del settore calcio, dopo una deludente stagione del Boca coincisa con il centenario della squadra. Il contratto iniziò il 1º agosto 2005[171] e tra le sue prime decisioni assunse Alfio Basile come nuovo allenatore. Nel 2005 il Boca vinse il campionato di Apertura, la Copa Sudamericana e la Recopa Sudamericana: nel 2006 vinse invece il campionato di Clausura e nuovamente la Recopa Sudamericana. Il 26 agosto 2006 Maradona abbandonò la carica per disaccordi con l'AFA, che scelse proprio Basile come nuovo allenatore della Nazionale argentina[172]. Nel maggio 2006 accettò di partecipare al Soccer Aid, un programma di sostegno all'UNICEF[173]. Nello specifico, Maradona giocò nel Resto del Mondo contro l'Inghilterra il 27 maggio 2006: segnò su calcio di rigore per la rappresentativa mondiale e la partita finì 2-1 per l'Inghilterra[174]. Alla fine del 2007 sponsorizzò e partecipò in prima persona, in Sudamerica, ad incontri amichevoli di showbol tra ex stelle del calcio, che riscossero un buon successo[175].
Nel gennaio del 2008 il quotidiano britannico The Sun annunciò che Maradona, dopo quasi ventidue anni, chiedeva scusa agli inglesi per il goal di mano segnato durante i Mondiali del 1986[176]. La notizia fu smentita pochi giorni dopo dallo stesso Maradona, che protestò per un errore di traduzione da parte del giornalista che lo aveva intervistato[177].
Nella cultura popolare
Sin dalla vittoria del Mondiale 1986, gli argentini usano il nome di Maradona per farsi riconoscere come suoi compatrioti in tutte le parti del mondo: in Argentina e a Napoli il campione argentino è indicato come simbolo ed eroe dello sport[178] (lo sportivo è infatti un mito "democratico", in quanto pone le sue basi nella gente comune: è infatti rappresentante del popolo e dei suoi valori)[178]. Maradona incarnò perfettamente questo spirito, date le sue umili origini e la sua originaria bassa condizione sociale: i molteplici guadagni non gli fecero perdere i modi di esprimere e il vocabolario proprio della frangia meno agiata della popolazione. A ciò si aggiunse il suo schierarsi contro i "poteri forti": in particolar modo con i napoletani che lo videro come un rappresentante degli "oppressi" del Sud Italia che lottava contro lo "strapotere" delle squadre del Nord[178].
Fu anche per questo e non solo per le sue prodezze nei campi di calcio che Maradona venne in pratica idolatrato sia dagli argentini che dai napoletani. A Rosario, in Argentina, i suoi tifosi fondarono nel 1998 la Iglesia Maradoniana (Chiesa di Maradona)[179], dove il calendario si calcola contando gli anni dalla sua nascita: il suo quarantatreesimo compleanno, nel 2003, rappresentò l'inizio dell'anno 43 d.D. - después de Diego (dopo Diego). Se alla sua nascita la chiesa contava 200 membri, i fedeli raccolti anche tramite il sito ufficiale raggiunsero gli 80.000, tra cui alcuni giocatori famosi come Michael Owen, Ronaldinho e Juan Román Riquelme[179]. Il 26 dicembre 2003 la sua prima squadra, l'Argentinos Juniors, inaugurando il nuovo stadio costruito nel quartiere di La Paternal a Buenos Aires, decise di dedicarglielo chiamadolo Estadio Diego Armando Maradona: il nome fu ufficializzato il 10 agosto 2004[180]. Inoltre ha un monumento situato nel museo del Boca Juniors, all'interno della Bombonera[181], una statua nella cittadina di Bahía Blanca[182] e numerose altre sculture in diverse parti del mondo.
A Napoli, in una via pubblica, gli fu dedicato addirittura un altarino con una foto nella quale indossa la maglia del Napoli e un suo capello in una teca, dove i tifosi si recavano prima delle partite a chiedere la "grazia calcistica". L'11 maggio 1991 fu celebrato nella città partenopea un convegno in onore di Maradona, intitolato Te Diegum, al quale presero parte molti intellettuali tifosi della squadra azzurra. Il report di questa esperienza (oltre che della sua preparazione) è riportato in un libro omonimo, pubblicato nello stesso anno[183].
Il 15 agosto 2005 debuttò come conduttore del programma televisivo argentino La Noche del 10, che fu molto seguito. In una puntata ospitò ed intervistò Pelé, il calciatore che gli contende la palma di miglior giocatore di ogni tempo. Altri ospiti importanti furono Zinédine Zidane, Ronaldo, Hernán Crespo, Fidel Castro e Mike Tyson. Inoltre, durante una puntata incentrata sul tema dei talenti calcistici più promettenti dell'Argentina, tra i vari Messi e Agüero, spuntava anche l'attuale stella del Napoli Lavezzi, che in quel periodo giocava nel San Lorenzo.
Oltre a ciò e alla sua autobiografia Yo soy el Diego, pubblicata nel 2000 e subito diventata un best seller, Maradona è stato citato in numerosi libri, fumetti e film, oltre ad aver recitato in diversi camei in serie televisive. A lui furono dedicate diverse canzoni da artisti più o meno famosi, come Rodrigo Bueno, che interpretò La mano de Dios. Altri furono i Mano Negra con Santa Maradona, Charly García con Maradona blues, gli Attaque 77 con Francotirador, Pino Daniele con Tango della buena suerte e altri. Tra le varie pubblicità da lui girate, quella che generò più polemiche fu quella della bibita brasiliana Guaraná Antarctica, dove Maradona compariva come un membro del Brasile, indossando la classica divisa color oro e cantando l'inno nazionale brasiliano con Kaká e Ronaldo. Maradona si svegliava improvvisamente, realizzando di aver vissuto un incubo provocatogli dall'abuso di Guaraná Antarctica[184]. Lo spot generò molte polemiche nei mass media argentini, sebbene fosse stato trasmesso solo in Brasile; i fan ne vennero a conoscenza tramite YouTube[185].
Il 14 gennaio 2010, tramite un video pubblicitario trasmesso in Argentina, Maradona annuncia la nascita della sua rete televisiva chiamata 10eTV, che sarà disponibile in 20 paesi dell'America Latina e su Internet a partire dal giugno 2010[186].
Problemi di salute
Dai primi anni ottanta fino al 2004 Maradona fu dipendente dalla cocaina: egli ammise, nella sua autobiografia pubblicata nel 2000, di aver iniziato a far uso di droga dal 1983 quando militava nel Barcellona[73]. Durante il suo soggiorno a Napoli il consumo divenne una vera e propria tossicodipendenza, che cominciava ad interferire con la sua capacità di giocare a calcio[187]. Negli anni successivi al suo ritiro, la sua salute peggiorò progressivamente: il 4 gennaio 2000, durante una vacanza a Punta del Este (in Uruguay), dovette essere trasportato d'emergenza nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale locale, il Cantegril. Qui gli fu riscontrata una aritmia ventricolare e una crisi ipertensiva: nella successiva conferenza stampa, i medici dichiararono di aver riscontrato danni al muscolo cardiaco e il suo rappresentante Coppola confermò che il ricovero non era dovuto all'abuso di droga ma al fatto che Maradona soffrisse di ipertensione[188]. In realtà le analisi del sangue e delle urine rilevarono tracce di cocaina: fu pertanto coinvolta la polizia uruguaiana, alla quale Maradona dovette rispondere anche se il consumo di droga non è considerato reato[188]. Due settimane dopo Maradona fu dimesso e si recò a Cuba, dove rimarrà per qualche tempo, per iniziare un piano di riabilitazione e disintossicazione[189].
Il 18 aprile 2004 Maradona fu nuovamente ricoverato d'urgenza nella clinica Suizo-Argentina di Buenos Aires, questa volta per un infarto e una nuova crisi ipertensiva dovuti ad un'overdose di cocaina[190]. Il respiratore artificiale venne rimosso il 23 aprile, ma Maradona rimase in terapia intensiva fino a quanto fu dimesso, il 29 aprile. Entrò il 9 maggio nella clinica neuropsichiatrica "Del Parque" per iniziare un nuovo ciclo di disintossicazione: dopo 3 mesi cercò di ripartire per Cuba, ma la sua famiglia si oppose avendo ottenuto la responsabilità legale sulle azioni di Maradona, dato che egli non era in grado di esercitarla in base al codice civile argentino[191]. Il trattamento pertanto continuò in Argentina.
Lontano dall'attività sportiva e a causa degli eccessi con cibo e droga, Maradona aumentò considerevolmente di peso, arrivando a pesare 120 kili nel febbraio del 2005. Il 6 marzo 2005 si fece ricovere in una clinica di Cartagena de Indias (Colombia) specializzata nelle cure contro l'obesità[192]: tramite un intervento gli venne impiantato un bypass gastrico che, grazie anche ad un regime alimentare controllato, gli permise di perdere più di 50 kili.
Il 29 marzo 2007 fu nuovamente ricoverato all'ospedale Güemes di Buenos Aires a causa di un'epatite dovuta all'eccesso di alcool, aggravata da un nuovo aumento di peso e dall'abuso di sigari cubani[193]. Ciò costrinse Maradona ad una degenza di circa due settimane e fu dimesso l'11 aprile. Il suo medico personale, Alfredo Cahe, dichiarò: "quello che mi preoccupa è il suo entourage, perché tutti quelli che gli si avvicinano lo fanno per approfittarsi di lui. E da quando ha cominciato con il cosiddetto showbol mangia e beve in quantità eccessive"[194]. Due giorni dopo essere stato dimesso Maradona avvertì un nuovo malore che lo costrinse ad un ennesimo ricovero, questa volta nella clinica privata Madre Teresa di Calcutta di Buenos Aires, dove rimase fino al 21 aprile. Circolarono alcune notizie riguardo la sua morte[195] che furono subito smentite, così come le voci precedenti che lo dichiaravano morto in un incidente automobilistico[196]. Per curare la sua dipendenza dall'alcool, rimase per due settimane nelle clinica psichiatrica Avril, dalla quale fu dimesso il 7 maggio[197]. Il giorno dopo apparve in televisione, dichiarando di aver smesso di bere e di non usare droga da due anni e mezzo[198].
Problemi con la giustizia
Nel corso degli anni, Maradona è stato implicato in diversi procedimenti giudiziari, in parte risolti fuori dai tribunali. Quelli che hanno avuto più risalto sono stati sicuramente quelli legati alla paternità, ma diversi sono stati quelli per droga, aggressione e questioni economiche. A seguito della positività per doping durante la sua permanenza a Napoli, la giustizia sportiva nel settembre 1991 lo condannò a 15 mesi di squalifica e la giustizia ordinaria a 14 mesi di prigione per possesso di stupefacenti, anche se Maradona non entrò mai in carcere[199]. Pochi mesi dopo la positività, rientrato a Buenos Aires ad aprile, fu sorpreso in possesso di cocaina dalla polizia nel suo appartamento: fu trattenuto per una notte e liberato il giorno dopo, pagando una cauzione di 20.000 pesos, non fu processato penalmente ma venne condannato a sottoporsi ad un trattamento di riabilitazione[200]. Il 2 febbraio 1994, pochi mesi prima del Mondiale, un gruppo di giornalisti circondò la casa di Maradona: in tutta risposta l'argentino sparò loro con un fucile ad aria compressa, venendo per questo condannato, anni dopo, a due anni di prigione con la condizionale e all'indennizzo dei giornalisti colpiti dagli spari[201].
Cristiana Sinagra iniziò una causa in Italia in modo che Maradona riconoscesse la paternità di suo figlio, chiamato Diego come suo padre, nato il 20 settembre 1986 dopo una relazione tra i due. Il 6 maggio 1992, dato che l'argentino si rifiutò per tre volte di sottoporsi al test del DNA, il giudice Maria Lidia de Luca confermò la paternità, autorizzando la Sinagra ad usarne il cognome e obbligando il giocatore a pagare 4.000 dollari al mese[203]: la sentenza verrà poi confermata nel 1995. Maradona comunque non lo riconnobbe mai veramente come suo figlio, dichiarando nell'ottobre del 2005 durante il suo programma televisivo La Noche del 10: "Accettare non significa riconoscere. Ho due figlie con l'amore della mia vita. Si chiamano Dalma e Gianinna. Sto pagando i miei errori del passato. Un giudice mi obbligò a pagare, ma non può obbligarmi a sentire affetto per lui"[204][205] A seguito di queste dichiarazioni, Diego jr. iniziò una causa per danni morali[205]: il giovane napoletano è diventato come il padre un calciatore, in particolare di beach soccer. A causa di ritardi nel pagamento degli alimenti, all'inizio del 2005 Cristiana Sinagra diede il via ad una procedimento volto al recupero del dovuto, che portò alla vendita all'asta di una proprietà che Maradona possedeva a Moreno. Dopo una lunga serie di negoziazioni tra le parti, la vendita dell'immobile fu sospesa[206].
Diego Sinagra non è l'unico figlio non riconosciuto nato da una relazione extraconiugale: nel 1996 nacque una bambina, che fu chiamata Jana, frutto della relazione dell'argentino con Valeria Sabalaín. Maradona, come già in passato, rifiutò di sottoporsi all'esame del DNA per cinque volte: il giudice Graciela Varela gli assegnò la paternità, autorizzò la madre ad usare il cognome Maradona[207] e il 29 giugno 2001, durante la sentenza di appello, dispose una quota per gli alimenti pari a 2.000 pesos[208]. Nel 2004 venne raggiunto un accordo tra le parti per la chiusura della causa, sulla base di un pagamento di 400 mila pesos e di 2.400 pesos di alimenti mensili tramite l'impresa Aceites y Esencias Patagónicas, alla quale Maradona aveva ceduto alcuni diritti commerciali[209]. L'azienda non rispettò l'accordo, pertanto si riaprì la disputa legale che, a seguito del pagamento delle cifre pattuite, vide l'assoluzione di Maradona: l'indagine infatti provò che la responsabilità dei pagamenti era a carico di Guillermo Coppola, indicato pertanto come colpevole dei mancati pagamenti[210]. Alla fine del 2005 venne intentata una nuova causa per un nuovo sospetto figlio del calciatore argentino. I genitori del ragazzo, chiamato Santiago (e battezzato dalla stampa Santiaguito), sarebbero Maradona e Natalia Garat, morta a causa di un tumore nel novembre del 2005 e alla quale l'argentino avrebbe elargito diverse somme di denaro[211]. Nel 2009 fu nuovamente portato in tribunale per la paternità di una bambina di 6 anni, figlia di una ballerina di un locale di Buenos Aires: l'esame del DNA, al quale Maradona si sottopose per la prima volta dopo vari processi, scagionò il calciatore argentino[212].
Emersero inoltre problemi di natura ecomonica con il fisco italiano, che lo accusò di aver evaso le imposte durante gli ultimi due anni di permanenza a Napoli[213]. Il giornalista Gianni Minà spiegò come i dirigenti del Napoli facessero firmare ai giocatori due contratti, uno da calciatori e uno per i diritti d'immagine[214]: questa procedura fu vista dalla Guardia di Finanza come evasione, l'ente lasciò del tempo per permettere agli accusati di pareggiare i conti ma Maradona, al contrario di alcuni ex-compagni di squadra come Careca ed Alemao[215], non prese provvedimenti. Vista la legge che prevede l'aumento della mora con il passare degli anni, una sentenza della Corte Suprema di Cassazione il 17 febbraio 2005 condannò il giocatore al pagamento di 31 milioni di euro[216]. A maggio 2008 la cifra ha toccato quota 34 milioni di euro a causa degli interessi accumulati (circa 3.000 euro al giorno[215]). A questo proposito, la Guardia di Finanza sequestrò il suo compenso di 3 milioni di euro percepiti nel 2005 per la partecipazione al programma televisivo italiano Ballando con le stelle[216]: inoltre il 6 giugno 2006, in occasione della manifestazione di beneficenza "Giugliano Cuore", nell'omonima cittadina a nord di Napoli, gli furono pignorati due Rolex d'oro del valore di 10.000 euro[213] (che furono poi acquistati da due tifosi napoletani, con lo scopo di incontrarlo per restituirglieli[217]). Il 18 settembre 2009, durante un soggiorno a Merano, gli venne ulteriormente pignorato un orecchino del valore di 5.500 euro[216]: il gioiello è stato poi messi in vendita a Bolzano il 14 gennaio 2010 e venduto per 25.000 euro[218] (l'acquirente, come si saprà più tardi, fu il calciatore Fabrizio Miccoli[219]). A fine 2009, il totale dovuto da Maradona al fisco è stato calcolato in oltre 37 milioni di euro[218].
Nel chiudere il contratto con il suo procuratore Guillermo Coppola, nel 2003 fu iniziata una causa nella quale il giocatore chiedeva il pagamento di 2 milioni di dollari, riguardanti la scomparsa di soldi guadagnati anche grazie alla partecipazione ad alcune partite promozionali[220]. Dopo il fallimento di varie udienze di conciliazione, Maradona decise nell'aprile 2008 di ritirare la querela[221].
Nel gennaio del 2006, mentre si trovava in vacanza in Polinesia, fu accusato di aver rotto un bicchiere in testa ad una donna, colpevole di aver avuto un alterco con sua figlia Gianinna: la questione venne risolta con un accordo tra le parti[222]. Sempre nel 2006 fu accusato di lesioni lievi ai danni di una coppia, ferita dai vetri di una cabina telefonica alla quale era andato addosso con la sua jeep il 10 febbraio dello stesso anno[223]. Secondo alcuni testimoni l'argentino lasciò il luogo dell'incidente senza fornire i suoi dati né quelli relativi al suo mezzo: Maradona, interpellato, negò di possedere il mezzo incriminato e, supportato da alcuni testimoni, dichiarò che egli non fu mai presente sul posto[224]. Dopo che l'ex calciatore non si presentò in tribunale a seguito di 5 citazioni, il giudice Gonzalo Rúa emanò un ordine di "comparizione forzata" nei suoi confronti: fu per questo fermato all'aeroporto di Ezeiza e portato in tribunale dove gli fu notificato ufficialmente l'atto[223].
Nel luglio 2007, il narcotrafficante colombiano Hernando Gómez Bustamante, uno dei capi del cartello della droga Norte del Valle, poco prima di essere estradato negli Stati Uniti ha assicurato che, quand'era agli arresti a Cuba, diede 50.000 dollari a Diego Maradona affinché influisse sul governo de L'Avana in modo da evitare l'estradizione[225].
Contrasti con la FIFA
Il 14 marzo 2008 appoggiò l'idea della Bolivia di continuare a giocare le partite di calcio in altura, sopra i 2700 metri sul livello del mare, in contrasto con quanto espresso dalla FIFA e dal suo presidente Joseph Blatter (riguardo alla difficoltà, per squadre non abituate, di giocare a certe altitudini)[226].
Idee politiche
Maradona ha mantenuto per diversi anni una discontinua ma forte amicizia con l'ex presidente dell'Argentina, il neoliberista di destra Carlos Saúl Menem[227]. Nel 1999 ha festeggiato con lui il trionfo alle edizioni presidenziali del radicale Fernando de la Rúa[228] che ottenne più voti del peronista Eduardo Duhalde (principale rivale di Menem all'interno del partito). Maradona gli fece visita mentre era agli arresti domiciliari nel 2001, accusato di aver favorito durante il suo mandato un traffico illecito di armi con Croazia e Ecuador[229]. Lo stesso Menem partecipò nel 2000 alla presentazione dell'autobiografia di Maradona, Yo soy el Diego, dedicata tra gli altri anche a lui[230].
Negli ultimi anni, il giocatore ha espresso il suo appoggio a diversi politici di sinistra. All'inizio del suo primo tentativo di riabilitazione a Cuba ha stretto amicizia con il leader cubano Fidel Castro, che ha poi appoggiato anche pubblicamente. Ha inoltre espresso ammirazione per l'argentino Ernesto 'Che' Guevara: dello stesso ha dichiarato nella sua autobiografia, riferendosi anche a Jorge Rafael Videla: "Tipi come Videla fanno sì che il nome dell'Argentina sia malvisto all'estero; al contrario, gente come il Che ci fa sentire orgogliosi"[231]. Segni di questa ammirazione sono due tatuaggi, di Guevara sul braccio destro e di Castro nella gamba sinistra[232]. Ha anche riconosciuto il lavoro dell'ex presidente argentino Néstor Carlos Kirchner, che incontrò nel 2004[233]. Nell'ottobre del 2007 manifestò pubblicamente il suo appoggio alla candidata (e attuale Presidente) Cristina Fernández de Kirchner[234].
Nel 2005 si recò in Venezuela per incontrare il presidente Hugo Chávez, che lo ricevette a Miraflores. Dopo questo incontro Maradona affermò di essere andato in Venezuela per "incontrare un grande uomo", ma di avere invece "incontrato un gigante"[235]. Nel novembre dello stesso anno Maradona fu uno dei partecipanti di spicco al Vertice dei Popoli, chiamato anche "controvertice" in opposizione al 4° Summit delle Americhe a Mar del Plata. Iniziò la sua partecipazione il 3 dello stesso mese, salendo a bordo dell'Expreso del Alba, un treno che partì da Buenos Aires e che trasportò 160 partecipanti al "controvertice", tra i quali il candidato alla presidenza della Bolivia Evo Morales[236]. Il Vertice dei Popoli, dal quale emerse avversione per l'imperialismo neoliberale e il rifiuto a George W. Bush (Maradona in particolare vestì una t-shirt con la scritta Stop Bush[237] e si riferì al presidente degli Stati Uniti come "immondizia umana"[238]), contava oltre all'argentino la presenza del presidente venezuelano Hugo Chávez, Silvio Rodríguez, Adolfo Pérez Esquivel e le Madri di Plaza de Mayo. La partecipazione di Maradona generò la reazione negativa di vari politici, tra i quali il presidente messicano Vicente Fox[239]. Nell'agosto 2007 Maradona andò oltre, apparendo nello show televisivo settimanale di Chavez dichiarando: "Odio tutto ciò che viene dagli Stati Uniti, lo odio con tutte le mie forze"[240]. Alla fine del 2007 Maradona si dichiarò vicino al popolo iraniano, in quanto avversario del presidente Bush, e donò la sua maglia numero 10 al leader iraniano Mahmud Ahmadinejad: il gesto scatenò le polemiche della comunità ebraica in Argentina, date le precedenti dichiarazioni del presidente iraniano sull'Olocausto[241].
Statistiche
Cronologia presenze e reti nei club
Carriera da giocatore
Stagione | Squadra | Campionato | Coppe nazionali | Coppe continentali | Altre coppe | Totale | |||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Comp | Pres | Reti | Comp | Pres | Reti | Comp | Pres | Reti | Comp | Pres | Reti | Pres | Reti | ||
1976 | Argentinos Juniors | N | 11 | 2 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 11 | 2 |
1977 | M+N | 37+12 | 13+6 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 49 | 19 | |
1978 | M+N | 31+4 | 22+4 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 35 | 26 | |
1979 | M+N | 14+12 | 14+12 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 26 | 26 | |
1980 | M+N | 32+13 | 25+18 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 45 | 43 | |
Totale Argentinos Juniors | 166 | 116 | 166 | 116 | |||||||||||
1981 | Boca Juniors | M+N | 28+12 | 17+11 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 40 | 28 |
1982-1983 | Barcellona | PD | 20 | 11 | CR | 5 | 3 | CC | 4 | 5 | CdL | 6 | 4 | 35 | 23 |
1983-1984 | PD | 16 | 11 | CR | 4 | 1 | CC | 3 | 3 | - | - | - | 23 | 15 | |
Totale Barcellona | 36 | 22 | 9 | 4 | 7 | 8 | 6 | 4 | 58 | 38 | |||||
1984-1985 | Napoli | A | 30 | 14 | CI | 6 | 3 | - | - | - | - | - | - | 36 | 17 |
1985-1986 | A | 29 | 11 | CI | 2 | 2 | - | - | - | - | - | - | 31 | 13 | |
1986-1987 | A | 29 | 10 | CI | 10 | 7 | UEL | 2 | 0 | - | - | - | 41 | 17 | |
1987-1988 | A | 28 | 15 | CI | 9 | 6 | UCL | 2 | 0 | - | - | - | 39 | 21 | |
1988-1989 | A | 26 | 9 | CI | 12 | 7 | UEL | 12 | 3 | - | - | - | 50 | 19 | |
1989-1990 | A | 28 | 16 | CI | 3 | 2 | UEL | 5 | 0 | - | - | - | 36 | 18 | |
1990-apr.1991 | A | 18 | 6 | CI | 3 | 2 | UCL | 4 | 2 | SI | 1 | 0 | 26 | 10 | |
Totale Napoli | 188 | 84 | 45 | 29 | 25 | 5 | 1 | 0 | 259 | 115 | |||||
1992-1993 | Siviglia | PD | 26 | 5 | CR | 3 | 3 | - | - | - | - | - | - | 29 | 8 |
ott.1993-gen.1994 | Newell's Old Boys | A | 5 | 0 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 5 | 0 |
1995-1996 | Boca Juniors | A+C | 11+13 | 3+2 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 24 | 5 |
1996-1997 | A+C | 0+1 | 0 | - | - | - | - | - | - | SS | 1 | 0 | 2 | 0 | |
1997-ott.1997 | A | 5 | 2 | - | - | - | - | - | - | - | - | - | 5 | 2 | |
Totale Boca Juniors | 70 | 35 | 1 | 0 | 71 | 35 | |||||||||
Totale carriera | 486 | 262 | 57 | 36 | 32 | 11 | 7 | 4 | 588 | 312 |
M=Campionato Metropolitano ----- N=Campionato Nacional ----- A=Campionato di Apertura ----- C=Campionato di Clausura
Carriera da allenatore
Dati aggiornati al 25 maggio 2010
Stagione | Squadra | Campionato | Piazzamento | Andamento | |||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Giocate | Vinte | Nulle | Perse | ||||
1994 | Textil Mandiyu | A+C | dimissionario | 12 | 1 | 5 | 6 |
1995 | Racing Avellaneda | A+C | dimissionario | 11 | 2 | 3 | 6 |
2008 - | Argentina | 20 | 15 | 0 | 5 | ||
Totale carriera | 43 | 18 | 8 | 17 |
A=Campionato di Apertura ----- C=Campionato di Clausura
Cronologia presenze e reti in Nazionale
Giocatore
Allenatore
Palmarès
Club
Competizioni nazionali
- Boca Juniors: Metropolitano 1981
- Barcellona: 1983
- Barcellona: 1983
- Barcellona: 1983
- Coppa Italia: 1
- Napoli: 1986-1987
- Napoli: 1990
Riconoscimenti individuali
- Capocannoniere del Campionato Metropolitano - 1978 (22 gol), 1979 (14 gol), 1980 (25 gol)
- Capocannoniere del Campionato Nacional - 1979 (12 gol), 1980 (18 gol)
- Calciatore sudamericano dell'anno accreditato dal CONMEBOL - 1979, 1980
- Calciatore sudamericano dell'anno secondo il Centro dei Giornalisti Accreditati dalla AFA (CEPA) - 1979, 1980, 1981
- Miglior giocatore dei Mondiali Under-20 - 1979
- Olimpia de Plata al Miglior Calciatore argentino dell'anno - 1979, 1980, 1981, 1986
- Olimpia de Oro al Miglior Sportivo argentino dell'anno - 1979, 1986
- Miglior Calciatore Sudamericano dell'anno per la rivista El Mundo, di Caracas - 1979, 1980, 1986, 1989, 1990, 1992
- Guerin d'Oro - 1985
- Onze d'or al miglior calciatore in Europa, secondo la rivista francese Onze Mondial - 1986, 1987
- Once de bronze al terzo miglior calciatore in Europa, secondo la rivista francese Onze Mondial - 1985, 1988
- Pallone d'Oro al Mondiale - 1986
- Calciatore dell'anno per la rivista World Soccer - 1986
- Capocannoniere della Serie A 1987-1988 (15 gol)
- Capocannoniere della Coppa Italia 1987-1988 (6 gol)
- Pallone di Bronzo al Mondiale - 1990
- Eletto "Miglior Calciatore Argentino di tutti i tempi" dalla AFA - 1993
- Pallone d'oro alla carriera - 1995
- Olimpia de Platino al Miglior Sportivo argentino del secolo - 1999
- Sportivo del secolo per il quotidiano argentino Clarín - 1999
- Eletto "Secondo miglior giocatore di tutti i tempi" in una votazione tra tutti i vincitori del Pallone d'Oro - 1999
- Calciatore del secolo FIFA secondo un sondaggio popolare - 2000 (insieme a Pelé, eletto da una giuria FIFA)
- Eletto autore del Gol del secolo - 2002
- Inserito nel FIFA 100 - 2004
- Golden Foot alla carriera - 2007
Note
Bibliografia
- Emanuela Audisio, Il ventre di Maradona. Storie di campioni che hanno prestato il corpo allo sport, Milano, Mondadori, 2007. ISBN 9788804568490
- Template:Bibliografia
- Template:Bibliografia
- Template:Bibliografia
- Template:Bibliografia
- Massimo Mauro e Luca Argentieri, Ho giocato con tre geni. Zico, Platini, Maradona, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2001. ISBN 9788884900807
- Manuel Parlato, Da Maradona a De Laurentiis, Arezzo, Limina, 2009. ISBN 9788860410306
Filmografia
- Maradona di Kusturica, film-documentario, regia di Emir Kusturica, 2008
- Maradona, la mano di Dio, film, regia di Marco Risi, 2007
- Amando a Maradona, film, regia di Javier Vazquez, 2005
- Tifosi, film, regia di Neri Parenti, 1999
Speciali
- RAI, Sfide: Speciale Maradona, RAI 3, 27 dicembre 2004.
- La Gazzetta dello Sport, I Miti del Calcio - Maradona, DVD, 26 aprile 2005.
- La Gazzetta dello Sport, Non sarò mai un uomo comune - di Gianni Minà, DVD, 26 aprile 2005.
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- (ES, EN) Sito ufficiale
- (EN) Profilo su FIFA.com
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- ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ a b c Il più grande - Omaggio a Maradona, su vivadiego.com. URL consultato il 19-11-2009.
- ^ Gli errori furono:
- nel Campionato del 1985/86 in Napoli-Torino 3-1 del 2 marzo 1986, parato da Renato Copparoni ToroNews.net
- nel Campionato del 1986/87 in Verona-Napoli 3-0 del 12 aprile 1987, parato da Giuliano Giuliani (Tabellino della partita)
- nel Campionato del 1987/88 in Napoli-Verona 4-1 del 20 dicembre 1987, parato da Giuliano Giuliani (Tabellino della partita)
- nel Campionato del 1989/90 in Napoli-Fiorentina 3-2 del 17 settembre 1989, parato da Marco Landucci (Tabellino della partita)
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- ^ Maradona nella sua autobiografia parla di 80.000 persone, Levinsky ne indica 60.000, Napoli.com ne indica 70.000, pertanto si preferisce non citare cifre esatte.
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