Raffaello Sanzio

pittore e architetto italiano del Rinascimento (1483-1520)
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Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano.

Presunto autoritratto (1506 circa), Galleria degli Uffizi, Firenze
Autoritratto con un amico (1518 circa), Louvre, Parigi

Biografia

Gioventù (1483-1504)

Origini (1483-1490)

 
Madonna col Bambino (1498), Casa Santi, Urbino

Raffaello nacque a Urbino «l'anno 1483, in venerdì santo,[1] a ore tre di notte, d'un Giovanni de' Santi, "Pittore non meno eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno, e atto a indirizzare i figli per quella buona via, che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù»[2]. La notizia del Vasari comporta che Raffaello sia nato il 28 marzo (venerdì santo). Tuttavia esiste un'altra versione secondo la quale il giorno di nascita del maestro urbinate dovrebbe essere il 6 aprile, e ciò sulla base della lettera di Michelangelo Michiel ad Antonio Marsilio (confermata dal noto epitaffio di Pietro Bembo) che sottolinea come la data del giorno e dell'ora di morte di Raffaello, apparentemente coincidente con quella di Cristo - ore 3 del 6 aprile, venerdì prima di Pasqua - corrispondano esattamente con la data della sua nascita. Naturalmente, tutto questo ha il sapore della leggenda e se si può ritenere sufficientemente certo il giorno della sua morte, non può essere così per quello della sua nascita.

Raffaello (ritratto bambino dal padre nella Cappella Tiranni in Cagli) fu il primo e unico figlio di Giovanni Santi e di Magia di Battista di Nicola Ciarla. Il cognome "Sanzio" infatti non è che una delle possibili declinazioni di "Santi", in particolare derivata dal latino "Sancti" con cui Raffaello sarà poi solito, nella maturità, firmare le sue opere. La madre morì di lì a poco, il 7 ottobre 1491[3]. Il padre si risposò poco dopo con una certa Berardina di Piero di Parte, dalla quale ebbe la figlia Elisabetta. Con le due donne la famiglia del padre ebbe liti per motivi finanziari[4].

Alla bottega del padre (1491-1494)

Ricevette la sua formazione nella bottega del padre, pittore alla corte ducale dei Montefeltro, prima per Federico e poi per suo figlio Guidobaldo[3]. Nella formazione di Raffaello fu determinante il fatto di essere nato e di aver trascorso la giovinezza ad Urbino, che in quel periodo era un centro artistico di primaria importanza che irradiava in Italia e in Europa gli ideali del Rinascimento. Qui Raffaello, avendo accesso con il padre alle sale del Palazzo Ducale, ebbe modo di studiare le opere di Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì e altri[3].

Raffaello apprese probabilmente i primi insegnamenti di disegno e pittura nella bottega del padre[2], che almeno dagli anni ottanta del Quattrocento era a capo di una fiorente bottega, impegnata nella creazione di opere per l'aristocrazia locale e per la famiglia ducale, come la serie delle Muse per il tempietto del palazzo, nonché l'allestimento di spettacoli teatrali[3]. Giovanni Santi inoltre aveva una conoscenza diretta e aggiornatissima della pittura contemporanea non solo italiana, come dimostra una sua efficace Chronaca rimata, scritta in occasione delle nozze di Guidobaldo con Elisabetta Gonzaga[3].

A bottega dal padre, il giovanissimo Raffaello apprese le nozioni di base delle tecniche artistiche tra cui probabilmente anche la tecnica dell'affresco: una delle primissime opere a lui attribuite è infatti la Madonna di Casa Santi, delicata pittura murale nella casa familiare[4].

Il 1º agosto 1494, quando Raffaello aveva undici anni, morì il padre. Tale data ha ridimensionato in alcuni studi il contributo della bottega paterna nella formazione dell'artista; è altresì comprovato come per nel giro di pochissimi anni, in piena adolescenza, l'artista raggiunse rapidamente una maturazione artistiche che non può prescindere un avviamento giovanissimo all'attività artistica[5].

Non è noto attraverso quali vie il giovanissimo pittore arrivò a far parte della bottega del Perugino: non sembra infatti credibile la notizia del Vasari secondo la quale Raffaello sia stato allievo del Perugino ancora prima della morte del padre e persino di quella della madre[6]. Probabilmente, più che di un vero e proprio apprendistato a Perugia, il ragazzo ebbe modo di frequentare saltuariamente la bottega di Perugino, intervallando l'attività in quella paterna, almeno fino alla morte del genitore: in quell'anno Raffaello ne ereditò l'attività, assieme ad alcuni collaboratori tra cui soprattutto Evangelista da Pian di Meleto[4] (artista quasi sconociuto agli studi storico-artistici) e Timoteo Viti da Urbino, già attivo anche a Bologna dove era stato adiretto contatto con Francesco Francia[7].

Apprendistato dal Perugino (1494-1498)

 
Resurrezione (1501), Museu de Arte, San Paolo

Le prime tracce della presenza di Raffaello accanto a Perugino sono legate ad alcuni lavori della sua bottega tra il 1497 e il nuovo secolo. In particolare si è ritenuto di vedere un intervento di Raffaello nella tavoletta della Natività della Madonna nella predella della Pala di Fano (1497) e in alcune figure degli affreschi del Collegio del Cambio a Perugia (dal 1498), soprattutto dove le masse di colore che assumono quasi un valore plastico ed è accentuato il modo di delimitare le parti in luce e quelle in ombra, con un generale ispessimento dei contorni. Se comunque la sua mano è ancora difficile da individuare, a Perugia Raffaello dovette vedere per la prima volta le grottesche, dipinte sul soffitto del Collegio, che entrarono in seguito nel suo repertorio iconografico[8].

Sembra però che la sua prima opera cui possa darsi un reale credito attributivo sia la Madonna col Bambino, affrescata nella stanza in cui si crede sia nato, in casa Santi a Urbino, databile al 1498 (e che fino a pochi anni addietro si riteneva opera del padre, che avrebbe raffigurato nei personaggi lo stesso Raffaello e la prima moglie Magia Ciarla).

Città di Castello (1499-1504)

 
Crocifissione Gavari (1503-1504), Londra, National Gallery

Nel 1499 Raffaello, sedicenne, si trasferì con gli aiuti della bottega paterna a Città di Castello, dove ricevette la sua prima commissione indipendente: lo stendardo della Santissima Trinità per una confraternita locale che voleva offrire un'opera devozionale in segno di ringraziamento per la fine di una pestilenza proprio quell'anno. L'opera, sebbene ancora ancorata agli echi di Perugino e Luca Signorelli, presenta anche una profonda, innovativa freschezza, che gli garantì una fiorente committenza locale, non essendo reperibili in città altri pittori di pregio dopo la partenza di Signorelli proprio nel 1499, alla volta di Orvieto[8].

Il 10 dicembre 1500 infatti, Raffaello ed Evangelista da Pian di Meleto ottennero dalle suore del convento di Sant'Agostino un nuovo incarico, che è il primo documentato della carriera dell'artista, la Pala del beato Nicola da Tolentino, terminata il 13 settembre 1501 e oggi dispersa in più musei dopo che venne sezionata in seguito a un terremoto nel 1789. Nel contratto è interessante notare come Raffaello, poco più che esordiente, venga già menzionato come magister Rafael Johannis Santis de Urbino, prima dell'anziano collaboratore, testimoniando ufficialmente come venisse già, a diciassette anni, ritenuto pittore autonomo dall'apprendistato concluso[9].

A Città di Castello l'artista lasciò almeno altre due opere di rilievo, la Crocifissione Gavari e lo Sposalizio della Vergine. Nella prima, databile al 1502-1503, si nota una piena assimilazione dei modi di Perugino (un "Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro", scrisse Vasari), anche se i notano però i primi sviluppi verso uno stile proprio, con una migliore interazione tra figure e personaggi e con accorgimenti ottici nelle gambe di Cristo che testimoniano la piena conoscenza degli studi di matrice urbinate, dove tali l'ottica e la prospettiva erano materia di studio comune fin dai tempi di Piero della Francesca[10].

Perugia e gli altri centri (1499-1504)

 
Sposalizio della Vergine (1504), Pinacoteca di Brera, Milano

Nel frattempo la fama di Raffaello iniziava ad allargarsi a tutta l'Umbria, facendone uno dei più richiesti pittori attivi in regione. Nella sola Perugia, negli anni tra il 1501 e il 1505, gli vennero commissionate ben tre pale d'altare: la Pala Colonna, per la chiesa delle monache del convento di Sant'Antonio, la Pala degli Oddi, per San Francesco al Prato e un'Assunzione della Vergine per le clarisse di Monteluce mai portata a termine, dipinta poi da Berto di Giovanni[11]. Si tratta di opere di impianto peruginesco, con una graduale messa a fuoco verso elementi stilistici più personali.

Nella Resurrezione di San Paolo del Brasile Roberto Longhi lesse influssi di Pinturicchio - nel paesaggio, nei particolari della decorazione del sarcofago e nella preziosità delle vesti dei personaggi - legati a una fase databile al biennio 1501-1502.

Allo stesso periodo sono riferibili alcune Madonne col Bambino che, sebbene ancora ancorate all'esempio di Perugino, preludono già all'intenso e delicato rapporto tra madre e figlio dei più importanti capolavori successivi legati a questo tema[12]. Tra queste spiccano Madonna Solly, la Madonna Diotallevi, la Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Francesco[8].

Verso il 1503 l'artista dovette intraprendere una serie di brevi viaggi che lo portarono ai primi contatti con importanti realtà artistiche. Oltre alle città umbre e alla nativa Urbino, visitò quasi sicuramente Firenze, Roma (dove assitette alla consacrazione di Giulio II) e Siena. Si trattò di brevi viaggi, magari di qualche settimana, che non possono essere definiti veri e propri soggiorno[11]. A Firenze vide forse le prime opere di Leonardo da Vinci, a Roma entrò in contatto con la cultura figurativa classica (leggibile nel dittico delle Tre Grazie e il Sogno del cavaliere[10]), a Siena aiutò l'amico Pinturicchio, ben più anziano e in pieno declino, a preparare i cartoni per gli affreschi della Libreria Piccolomini, di cui restano due splendidi esemplari agli Uffizi, di incomparabile grazia ed eleganza rispetto al risultato finale[11].

A Siena

A Siena fu invitato da Pinturicchio, con il quale intesseva una stretta amicizia. Il pittore più anziano invitò Raffaello a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini, fornendo dei cartoni che svecchiassero il suo stile ormai in una fase di declino, come si vede nei precedenti affreschi della Cappella Baglioni a Spello[11].

Non è chiaro quante di queste composizioni vennero in effetti disegnate da Raffaello, ma quasi sicuramente dove essere di mano del Sanzio il cartione con la Partenza di Eenea silvio Piccolomini per Basilea oggi al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Firenze[11].

Raffaello dovette infatti abbandonare presto l'impresa, poiché, come riporta Vasari, venne a conoscenza, tramite alcuni pittori locali, delle lodi straordinarie a proposito del cartone della Sant'Anna di Leonardo, esposto nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze, nonché del disegno della Battagli di Anghiari, sempre di Leonardo, e del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo, che incuriosirono a tal punto il giovane pittore da farlo decidere di partire subito per la città sull'Arno[11].

Lo Sposalizio della Vergine (1504)

L'opera che conclude la fase giovanile, segnando un distacco ormai incolmabile con i modi del maestro Perugino, è lo Sposalizio della Vergine, datato 1504 e già conservato nella cappela Albizzini della chiesa di San Francesco di Città di Castello. L'opera si ispira a una pala analoga che il Perugino stava dipingendo in quegli stessi anni per il Duomo di Perugia, ma il confronto tra le due opere mette in risalto profonde differenze. Raffaello infatti copiò il maestoso tempio sullo sfondo, ma lo alleggerì allontanandolo dalle figure e ne fece il fuclro dell'intero spazio della pala che sembra ruotare attorno all'elegantissimo edificio a pianta centrale. Anche le figure sono più sciolte e naturali, con una disposizione nello spazio che evita un rigido allineamento sul primo piano, ma si assesta a semicerchio, bilanciando e richiamando le forme concave e convesse del tempio stesso[13].

A Firenze Raffaello soggiornò per quattro anni, pur facendo viaggi e brevi soggiorni altrove, e senza recidere i contatti con l'Umbria, dove continuò a spedire pale d'altare per le copiose commissioni che continuavano a giungergli.

Il periodo fiorentino (1504-1508)

 
Madonna del Cardellino (1506 circa)

Raffaello si trovava a Siena, da Pinturicchio, quando gli giunse notizia delle straordinarie novità di Leonardo e Michelangelo impegnati rispettivamente agli affreschi della Battaglia di Anghiari e della Battaglia di Cascina. Deisderoso di mettersi subito in viaggio, si fece preparare una lettera di presentazione da Giovanna Feltria, sorella del duca di Urbino e moglie del duca di Senigallia e "prefetto" di Roma. Nella lettera, datata 1 ottobre 1504 e indirizzata al gonfaloniere a vita Pier Soderini, si raccomanda il giovane figlio di Giovanni Santi «il quale avendo buono ingegno nel suo esercizio, ha deliberato stare qualche tempo in fiorenza per imparare. [...Perciò] lo raccomando alla Signoria Vostra»[14].

Probabilmente la lettera voleva assicurare qualche commissione ufficiale al giovane pittore, ma il gonfaloniere era in ristrettezze economiche per il recente esborso per acquistare il David di Michelangelo e i grandiosi progetti per la Sala del Gran Consiglio. Nonostante ciò non passò molto tempo che l'artista riuscì a garantirsi commissioni da alcuni facoltosi cittadini, come Lorenzo Nasi, per i quale dipinse la Madonna del Cardellino, suo cognato Domenico Canigianie i coniugi Agnolo e Maddalena Doni[15].

Nel clima artistico fiorentino, fervente più che mai, Raffaello strinse rapporti d'amicizia con altri artisti, tra cui Aristotile da Sangallo[16], Ridolfo del Ghirlandaio, Fra' Bartolomeo, l'architetto Baccio d'Agnolo, Antonio da Sangallo, Andrea Sansovino, Francesco Granacci. Scrisse Vasari che «nella città molto onorato e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua e alla sua tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù»[17]. Per lui Raffaello eseguì, nel 1506, la Madonna del Prato di Vienna - che il Vasari giudica ancora della maniera del Perugino e, forse l'anno dopo, la Madonna Bridgewater di Londra, «molto migliore», perché nel frattempo Raffaello «studiando apprese»[17].

Il soggiorno fiorentino fu di fondamentale importanza nella formazione di Raffaello, permettendogli di approfondire lo studio dei modelli quattrocenteschi (Masaccio, Donatello...) nonché delle ultime conquiste di Leonardo e di Michelangelo. Dal primo apprese i principi compositivi per creare gruppi di figure strutturati plasticamente nello spazio, mentre sorvolò sulle complesse allusioni e implicazioni simboliche, sostituendo anche l'"indefinito" psicologico a sentimenti sentimenti più spontanei e naturali. Da Michelangelo invece assimilò il chiaroscuro plastico, la ricchezza cromatica, il senso dinamico delle figure[18].

I suoi lavori a Firenze erano destinati quasi esclusivamente a committenti privati, gradualmente sempre più conquistati dalla sua arte, creò numerose tavole di formato medio-piccolo per la devozione privata, soprattutto Madonne e Sacre famiglie, e alcuni intensi ritratti. In queste opere variava continuamente sul tema, cercando raggruppamenti e atteggiamenti sempre nuovi, con una particolare attenzione alla naturalezza, all'armonia, al colore ricco e intenso e spesso al paesaggio limpido di derivazione umbra[14].

Commissioni dall'Umbria

 
Pala Colonna

Ma all'inizio del soggiorno fiorentino erano soprattutto le commissioni che continuavano ad arrivare da Urbino e dall'Umbria a tenere occupato l'artista, che di tanto in tanto si spostava in quelle zona temporaneamente. Nel 1503 aveva ricevuto l'incarico, dalle suore del convento di Sant'Antonio a Perugia, di una pala d'altare, la Pala Colonna, che ebbe una lunga elaborazione, visibile nelle differenze di stile tra la lunetta ancora «umbra» e il gruppo «fiorentino» della tavola centrale[19].

Un'altra commissione ricevuta da Perugia, nel 1504,, riguardò una Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Nicola (Pala Ansidei) da collocare in una cappella della chiesa di San Fiorenzo, fu completata, secondo quanto sembra leggersi nel dipinto, nel 1505. Nell'opera ancora di ispirazione umbra, Raffaello apporta una sostanziale semplificazione dell'impianto architettonico, così da dare all'insieme una più efficace e rigorosa monumentalità, di stampo leonardesco. In tale opera, nonostante il tema convenzionale, soprende il dominio del mezzo pittorico, ormai pienamente maturo, con le figure che acquistano consistenza in funzione del variare della luce[19].

Sempre nel 1505 firmò a Perugia l'affresco con la Trinità e santi nella chiesa del monastero di San Severo, che anni dopo Perugino completò nella fascia inferiore. In questo lavoro le forme sono ormai più grandiose e possenti, con una monumentalità immota che rimanda all'esempio di Fra' Bartolomeo e che preannunciano la Disputa del Sacramento[20].

Commissioni dalle Marche

Nel 1505-1506 Raffaello dovette trovarsi brevemente ad Urbino, dove venne accolto alla corte di Guidobaldo da Montefeltro: la fama raggiunta nella sua città natale è testimoniata da una menzione lusinghiera nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione e da un serie di ritratti, tra cui quello di Guidodaldo, di Elisabetta Gonzaga sua consorte e dell'erede designato del ducato Guidobaldo della Rovere.

Per il duca inoltre dipinse una grande Madonna e tre tavolette di soggetto simile, San Michele e il drago, un San Giorgio e il drago oggi a Parigi e uno a Washington. Quest'ultimo venne dipinto per essere regalato a Enrico VII d'Inghilterra come ringraziamento per il conferimento dell'Ordine della giarrettiera: la giarrettiera è infatti evidente al polpaccio del cavaliere, con l'iscrizione "Honi" che la prima parola del motto dell'ordine ("Honi soit qui mal y pense", "Sia vituperato chi ne pensa male").

La serie delle Madonne

 
Madonna del Belvedere

Celebre è la serie delle Madonne col Bambino che a Firenze raggiunge nuovi vertici. Per famiglie fiorentine della borghesia medio-alta Raffaello dipinse alcuni capolavori assoluti, come alcuni gruppi di Madonne a tutta figura col Bambino e san Giovannino: la Bella giardiniera, la Madonna del Cardellino e la Madonna del Belvedere. In queste opere la figura della Vergine si erge monumentale davanti al paesaggio, dominandolo con leggiadria ed eleganza, mentre rivolge gesti affettuosi ai bambini, in strutture compositive piramidali di grande efficacia. Gesti familiari si riscontano anche in opere come la Madonna d'Orleans, come quello di solleticare, o spontanei come nella Grande Madonna Cowper (Gesù allunga una mano verso il seno materno), o ancora sguardi intensi come nella Madonna Bridgewater[21].

Queste figure dimostrano inoltre l'assimilazione di vari modelli iconografici fiorentini, che dovevano ispirare positivamente la committenza. Da Donatello ad esempio prense spunto per la Madonna Tempi, con i volti di madre e figlio teneramente accostati, mentre al Tondo Taddei rimandava la postura del Bambino della Piccola Madonna Cowper o della Madonna Bridgewater[18].

Le composizioni divengono via via più complesse e articolate, senza però mai rompere quel senso di idilliaca armonia che, unita alla perfetta padronanza dei mezzi pittorici, fanno di ciascuna opera un autentico capolavoro. Nella Sacra Famiglia Canigiani, databile al 1507 circa, quindi quasi alla fine del soggiorno fiorentino, le espressioni e i gesti si intrecciano con sorprendente varietà, che riesce a rendere sublimi e poetici dei momenti tratti dalla quotidianità[21].

I ritratti

Al periodo fiorentino appartengono infine alcuni ritratti nei quali è manifesta l'influenza di Leonardo: la Donna gravida, Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, la Dama col liocorno e la Muta. Ad esempio in quello di Maddalena Strozzi è evidente l'impostazione a mezza figura nel paesaggio, con le mani conserte, derivata dalla Gioconda, ma con risultati quasi antitetici, in cui prevalgono la descrizione dei lineamenti fisici, dell'abbigliamento, dei gioielli, e la luminosità del paesaggio, scevra dal complesso mondo di significati simbolci ed allusivi di Leonardo[18]. In queste opere Raffaello dimostra la capacità di indagare attentamente la psiche, cogliendo i dati introspettivi degli effigiati, assieme a un'appassionata descrizione del dettaglio di matrice fiamminga, appresa probabilmente alla bottega paterna[20].

 
Deposizione Borghese, parte centrale della Pala Baglioni

La pala Baglioni

Opera cruciale di questa fase è la Pala Baglioni (1507), commissionata da Atalanta Baglioni, in commemorazione dei fatti di sangue che avevano portato alla morte di suo figlio Grifonetto, e destinata a un altare nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, anche se dipinta interamente a Firenze. I numerosi studi pervenutici sull'opera dimostrano un graduale passaggio iconografico per la pala centrale, da un Compianto, ispirato a quello di Perugino nella chiesa di Santa Chiara a Firenze, a una più drammatica Deposizione nel sepolcro[22].

In quest'opera Raffaello fuse il senso tragigo della morte con il vitale slancio del turbamento, con una composizione estremanente monumentale, drammatica e dinamica, ma bilanciata con cura, in cui si notano ormai evidenti spunti michelangioleschi, nella ricerca plastica e coloristica, e dell'antico, in particolare dalle rappresentazione della Morte di Melagro che l'artista aveva potuto vedere durante un probabile viaggio formativo a Roma nel 1506[23].

La Madonna del Baldacchino

 
Madonna del Baldacchino

Opera conclusiva del periodo fiorentino, del 1507-1508, può considerarsi la Madonna del Baldacchino, lasciata incompiuta per la sua repentina chimatata a Roma, da parte di Giulio II. Si tratta di una grande pala d'altare, la prima commissione del genere ricevuta a Firenze, con una sacra conversazione organizzata attorno al fulcro del trono della Vergine, con un fondale architettonico grandioso ma tagliato ai margini, in modo da amplificarne la monumentalità. Ogni staticità appare annullata dall'intenso movimento ciroclare di gesti e sguardi, esasperato poi negli angeli in volo accuratamente scorciati. Sant'Agostino ad esempio allunga un braccio verso sinistra invitando lo spettatore a percorrere con lo sguardo lo spazio semicircolare della nicchia, legando i personaggi uno per uno, caratteristica che a breve si ritroverà anche negli affreschi delle Stanze vaticane[22].

Tale opera fu un imprescindibile modello nel decennio seguente, per artisti quali Andrea del Sarto e Fra' Bartolomeo[23].

Il periodo romano (1509-1520)

Verso la fine del 1508 per Raffaello arrivò la chiamata a Roma che cambiò la sua vita. In quel periodo infatti papa Giulio II aveva messo in atto una straordinaria opera di rinnovo urbanistico e artistico della città in generale e del Vaticano in particolare, chiamando a sé i migliori artisti sulla piazza, tra cui Michelangelo e Donato Bramante. Fu proprio Bramante, secondo la testimonianza di Vasari, a suggerire al papa il nome del conterraneo Raffaello, ma non è escluso che nella sua chiamata ebbero un ruolod ecisivo anche i Della Rovere, parenti del papa, in particolare Francesco Maria, figlio di quella Giovanna Feltria che già aveva raccomandato l'artista a Firenze[24].

Fu così che il Sanzio, appena venticinquenne, si trasferì repentinamente a Roma, lasciando incompiut alcuni lavori a Firenze[22].

La Stanza della Segnatura

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stanza della Segnatura.

Qui affiancò un team di pittori di tutta Italia (il Sodoma, Bramantino, Baldassarre Peruzzi, Lorenzo Lotto e altri) per la decorazione, da poco avviata dei nuovi appartamenti papali, le Stanze. Le sue prove nella volta della prima, poi detta Stanza della Segnatura, piacquero così tanto al papa che decise di affidargli, fin dal 1509, tutta la decorazione dell'appartamento, a costo anche di distruggere quanto già era stato fatto, sia ora che nel Quattrocento (tra cui gli affreschi di Piero della Francesca)[25].

Alle pareti Raffaello decorò quattro grandi lunettoni, ispirandosi alle quattro facoltà delle università medioevali, ovvero teologia, filosofia, poesia e giurisprudenza, cosa che ha fatto pensare che la stanza fosse originariamente destinata a biblioteca o studiolo[26].

Opere celeberrime sono la Disputa del Sacramento, la Scuola di Atene o il Parnaso. In queste dispiegò una visione scenografica ed equilibrata, in cui le masse di figure si dispongono, con gesti naturali, in simmetrie solenni e calcolate, all'insegna di una monumentalità e una grazia che vennero poi definite "classiche"[27].

La Stanza di Eliodoro

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stanza di Eliodoro.

Nel 1511, mentre i lavori alla Stanza della Segnatura andavano esaurendosi, il papa tornava da una disastrosa guerra contro i francesi, che gli era costata la perdita di Bologna e la tanto temuta presenza di eserciti stranieri in Italia, nonché un forte spreco di risorse finanziarie. Il programma decorativo della successiva stanza, destinata a sala delle Udienze e poi detta di Eliodoro dal nome di uno degli affreschi, tenne conto della particolare situazione politica: venne deciso infatti a scene legate al superamento delle difficoltà della Chiesa grazie all'intervento divino[27].

Già il primo degli affreschi, la Cacciata di Eliodoro dal Tempio, mostra un radicale sviluppo stilistico, con l'adozione di un inedito stile "drammatico", fatto di azioni concitate, pause e asimmetrie, impensabile nei pur recentissimi affreschi della stanza precedente. Assiste dalla sinistra dell'affresco il papa imperturbabile, come se fosse davanti a una rappresentazione teatrale[28].

Nella Messa di Bolsena tornano ritmi pacati, anche se la profondità dell'architettura e gli effetti luminosi creano un'innovativa drammaticità; il colore si arricchì di campiture dense e più corpose, forse derivate dall'esempio dei pittori veneti attivi alla corte papale[28].

Di nuovo nell'Incontro di Leone Magno con Attila ricorrono asimmetrie e azione, mentre nella Liberazione di san Pietro si raggiunge il culmine degli studi sulla luce, con una scena in notturna ravvivata dai bagliori lunari e dell'apparizione angelica che libera il primo pontefice dalla prigionia[28].

All'inizio del 1513 Giulio II morì, e il suo successore, Leone X, confermò tutti gli incvarichi a Raffaello, affidandogliene presto anche di nuovi[28].

Per Agostino Chigi

Mentre la fama di Raffaello si andava espandendo, nuovi committenti desideravano avvalersi dei suoi servigi, ma solo quelli più influenti alla corte papale poterono riuscire a distoglierlo dai lavori in Vaticano. Tra questi spiccò sicuramente Agostino Chigi, ricchissimo banchiere di origine senese, che si era fatto costruire in quegli anni la prima e imitatissima villa urbana da Baldassarre Peruzzi, quella poi detta villa Farnesina[29].

Raffaello vi fu chiamato a lavorare a più riprese, prima con l'affresco del Trionfo di Galatea (1511), di straordinaria rievocazione classica, poi alla Loggia di Psiche (1518-1519) e infine alla camera con le Storie di Alessandro, opera incompiuta creata poi dal Sodoma[29]. In questo periodo Raffaello conobbe una popolana, figlia di un fornaio di Trastevere, di nome Margherita Luti, con cui scoppiò una passione amorosa. Pare che[30] per fare incontrare l'artista con la sua "Fornarina" il Chigi non esitò a farla ospitare nella sua villa, in modo da evitare dispendi di tempo prezioso per portare avanti i lavori[29].

Inoltre per i Chigi Raffaello eseguì l'affresco delle Sibille e angeli (1514) in Santa Maria della Pace e soprattutto l'ambizioso progetto della Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, dove l'artista curò anche la progettazione dell'architettura, i cartoni per i mosaici della cupola e, probabilmente, i disegni per le sculture, eseguite dal Lorenzetto e completate, anni dopo, da Gianlorenzo Bernini[29].

I ritratti

Accanto all'attività di affrescatore, un'altra delle fondamentali opccupazioni di quegli anni è legata ai ritratti, dove apportò molteplici innovazioni sul tema. Già nel Ritratto di cardinale oggi al Prado (1510-1511), l'uso di un punto di vista ribassato e il conseguente leggero scorcio delle spalle e della testa introdusse un aristocratico distacco confermato dall'atteggiamento impassibile del personaggio[31].

Ma fu soprattutto col Ritratto di Giulio II che le innovazioni si fecero più evidenti, con un punto di vista diagonale e leggermente dall'alto, studiato come se lo spettatore si trovasse in piedi accanto al pontefice. L'atteggiamento di malinconica pensosità, così indicatore della situazione politica dell'epoca (il 1512), introduce un elemento psicologico fino ad allora estraneo dalal ritrattistica ufficiale. In pratica lo spetttatore è come se si trovasse al cospetto del pontefice, senza alcun distacco fisico o psicologico[31].

Un'impostazione simile venne replicata anche nel Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi (1518-19, Uffizi), in cui il papa, di nuovo con una prospettiva basata su linee diagonali, è rappresentato mentre, sospesa la lettura di un prezioso codice miniato, si trova al cospetto dei due cardinali cugini, con un intreccio di sguardi e gesti che sonda lo spazio in profondità, calibrandosi su un'estrema armonia. Lo straordinario virtuosismo nella resa dei dettagli, come la resa materica della mozzetta, la campanella cesellata o il riflesso della stanza nel pomello della sedia, aiuta a creare quell'immagine di splendore tanto cara al pontefice[32].

Il rinnovo della pala d'altare

L'altro motivo fondamentale di questa stagione quello legato alle radicali trasformazioni messe in atto sul tema della pala d'altare, all'insegna di un sempre più profondo coinvolgimento dello spettatore. Già nella Madonna di Foligno (1511-1512) lo schema tradizionale dell'ancona è superato dai continui rimando tra parte superiore e inferiore, con un'orchestrazione cromatica che dà unità all'insieme, compreso il vibrante paesaggio sullo sfondo, legato a un evento miracoloso che era stato all'origine della commissione[31].

Il passo decisivo si compì però con la Madonna Sistina (1513-1514), dove una tenda scostata e una balaustra franno da cornice a unìapparizione terrena di Maria, scalza e priva di aureola, ma resa sovrannaturale dall'area luminosa che la circonda. Attorno ad essa due santi guardano e indicano fuori dalla pala, come a voler introdurre gli invisibili fedeli a Maria, verso i quali essa sembra incedere, miracolosamente immota ma spinta da un vento che le agita la veste. Anche i due celeberrimi angioletti pensosi, appoggiati in basso, hanno il ruolo di mettere in connessione la sfera terrena e reale con quella celeste e dipinta[33].

Punto di arrivo è la pala con l'Estasi di santa Cecilia (1514), tutta giocata su un'impalpabile presenza del divino, interiorizzato dallo stato estatico della santa che rinuncia alla musica terrena, raffigurata nella straordinaria natura morta di vecchi strumenti musicali ai suoi piedi, in favore della musica eterna e celeste dell'apparizione del coro di angeli in alto[33].

La bottega

Per far fronte alla mole di lavoro richiesto, Raffaello mise su una grande bottega che comprendeva artisti di noetvole levatura, come Giulio Romano, artisti polivalenti come Lorenzo Lotti e Giovan Francesco Penni, specialisti, come Giovanni da Udine, a cui era assicurata un ruolo autonomo per le decorazioni architettoniche, Tommaso Vincidor e altri ancora come Vincenzo Tamagni. Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio che possono essere considerati anch'essi allievi di Raffaello, ma ebbero un'attività autonoma dal maestro.

A trent'anni circa Raffaello era il titolare della più attiva bottega di pittura a Roma, con una schiera di aiuti che inizialmente si dedicavano essenzialmente a lavori preparatori e di rifinitura di dipinti e affreschi[29]. Col tempo, negli anni avanzati del periodo romano, la quasi totalità dei lavori di Raffaello vide poi un contributo sempre maggiore della bottega nella stesura pittorica, mentre la preparazione dei disegni e dei cartoni restava solitamente ad appannaggio del maestro. L'integrazione tra le varie figure era tale che risulta difficoltoso anche distinguere la paternità di opere e disegni, tanto più che i vari artisti della sua scuola furono individualmente incaricati di completare le varie opere pittoriche e architettoniche lasciate incompiute. Il sistema di lavoro della bottega, per un periodo ospitata nella stessa casa di Raffaello (Palazzo Caprini), era strutturato con efficienza e formò un'intera generazione di artisti[29].

Raffaello collaborò anche con numerosi incisori come Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano, Marco Dente e Ugo da Carpi a cui affidò la realizzazione di stampe tratte da propri dipinti o disegni, assicurando una grande diffusione alla propria opera figurativa.

Stanza dell'Incendio di Borgo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stanza dell'Incendio di Borgo.

Nelle Stanze Leone X non fece altro che confermare a Raffaello il ruolo che aveva sotto il suo predecessore. La terza Stanza, poi detta dell'Incendio di Borgo, fu incentrata sulla celebrazione del pontefice in carica attraverso le figure di suoi omonimi predecessori, quali Leone III e IV. La lunetta più famosa, nonché l'unica col consistente intervento diretto del maestro, è quella dell'Incendio di Borgo (1514) in cui iniziano ormai ad essere evidenti i debiti verso il dinamismo turbinoso degli affreschi di michelangelo, reintepretati però con altri influssi, fino a generare un nuovo "classicismo", scenografico e monumentale, ma dotato anche di grazia e armonia[34].

Gli arazzi per la Sistina

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arazzi di Raffaello.

Le imprese che distolsero il Sanzio dall'esecuzione materiale degli affreschi nella terza Stanza furono essenzialmente la nomina a sovrintendente della basilica vaticana dopo la morte di Bramante (1 agosto 1514) e quella degli arazzi per la Cappella Sistina. Leone Xdesiderava infatti legare anche il proprio nome alla prestigiosa impresa della Cappella pontificia, facendo decorare l'ultima fascia rimastra libera, il registro più basso dove si trovavano i finti tendaggi e dove decise di far tessere a bruxelles una serie di arazzi da appendere in occasione delle liturgie più solenni[34].

Raffaello, trovandosi a confronto direttamente coi grandi maestri del Quattrocento e soprattutto con Michelangelo e la sua sfolgorante volta, dovette aggiornare il proprio stile, adattandosi anche alle difficoltà tecniche dell'impresa che prevedevano la stesura di cartoni rovescaiti rispetto al risultato finale, la limitazione della gamma cromatica rispetto elle tinture disponibili dei filati e il dover rinunciare ai dettagli troppo minuti, preferendo grandi campiture di colore[34].

Nei sette su dieci cartoni conservati oggi al Victoria and Albert Museum di Londra si nota come il Sanzio seppe superare tutte queste difficolatà, semplificando la determinazione dei paini in profondità e scandendo con maggiroe forza l'azione grazie a una netta contrapposizione tra gruppi e figure isolate e ricorrendo a gesti eloquenti, di immediata leggibilità, all'insegna di uno stile "tragico" ed esemplare[34].

Raffaello architetto

Quando Raffaello decise di accettare l'ìincarico di soprintendente ai lavori nella basilica vaticana, il più importante cantiere romano, egli aveva già alle spalle alcune esperienze in questo campo. Le stesse architetture dipinte, sfondo di tante celebri opere, mostrano uan bagalio di conoscenze che va al di là del consueto apprendistato di un pittore.

Già per Agostino Chigi aveva curato le cosiddette "Scuderie" di villa Farnesina (distrutte, ne resta solo il basamento su via della Lungara) e la cappella funeraria in Santa Maria del Popolo. Inoltre aveva atteso alla costruzione della piccola chiesa di Sant'Eligio degli Orefici. In queste opere si nota un reimpiego di motivi derivati dall'esempio di Bramante e di Giuliano d Sangallo, coniugati con suggestioni dell'antico, all'insegna di una notevole originalità.

La Cappella Chigi ad esempio riproduce in piccolo la pianta centrale dei quattro piloni angolari di San Pietro, ma aggiornati a modelli antichi come il Pantheon e tendenzialmente decorati con maggiore ricchezza e vivacità, con connessioni armoniose alle strutture architettoniche.

Lo studio dell'antico e dell'architettura

Pur ingraziandosi altri mecenati presso i quali prestò servizio Raffaello mantenne la posizione di pittore papale, proseguendo il lavoro sotto il papato di papa Leone X, successore di Giulio II che gli affidò l'incarico di custodia e registrazione dei marmi antichi. In questo periodo Raffaello conduce un attento studio dei resti antichi, per esempio esaminando le strutture e gli elementi architettonici del Pantheon, come nessuno aveva fatto fino a quel momento[35].

In questo periodo all'amicizia con Bramante si contrappose la rivalità di entrambi con Michelangelo e Sebastiano del Piombo. Sotto il pontificato di Giulio II la fama di Raffaello crebbe a tal punto che fu nominato nel 1514 architetto della basilica di San Pietro, sebbene la morte dell'artista, avvenuta il 6 aprile 1520, non abbia permesso ai progetti originali di essere portati a compimento secondo le idee originarie. Era stato lo stesso Bramante a proporre Raffaello come suo successore, grazie alla fama che aveva come pittore.
L'interesse per l'architettura di Raffaello, maturato grazie all'influenza di Bramante ed allo studio delle antichità, si estende agli aspetti teorici: fece fare da Fabio Calvo una traduzione del De architectura di Vitruvio, rimasta inedita, evidentemente per poter studiare direttamente il trattato ed utilizzarlo nello studio sistematico dei monumenti romani[36]. Nella sua breve attività come architetto portò a termine a Roma altri edifici; tra cui il Palazzo Branconio dell'Aquila in Borgo, e la chiesa di S. Eligio degli Orefici vicino via Giulia.

Palazzi

Raffaello progettò (secondo Vasari) il palazzo Branconio dell'Aquila per il protonotario apostolico Giovan Battista Branconio dell'Aquila. Il palazzo fu demolito nel Seicento per fare spazio al colonnato del Bernini di fronte a San Pietro. La facciata aveva cinque campate (riferimento al Palazzo Caprini di Bramante), ma si distacca dal modello del maestro: il pianterreno, che doveva essere affittato a botteghe, non era bugnato ma articolato da un ordine tuscanico che incornicia arcate cieche. Al piano superiore Raffaello abbandona gli ordini classici, rompendo così la tradizione da Palazzo Rucellai>> a Palazzo Caprini. Se si confronta il Palazzo d'Aquila con quello bramantesco, con la sua chiara distinzione tra elementi portanti e parti di riempimento, la facciata del primo appare inquieta e manierista. Raffaello elabora un linguaggio proprio che ribalta quello di Bramante; infatti ribalta il modello corrente che vedeva un basamento bugnato e l'ordine solo al piano nobile: Raffaello nel piano terra, dove si aprivano le botteghe, inserisce colonne tuscanice addossate alla parete che inquadrano acrhi e che erano sovrastati da una trabeazione continua; il piano nobile è caratterizzato da un'alternanza di nicchie e finiestre, quest'ultime incorniciate in una serie di edicole sormontate da timpani triangolari e semicircolari alternati. Nell'ultimo piano (l'attico) la decorazione scompare, mentre il resto del palazzo è molto denso di decorazione. Chiusura con una balaustrina bramantesca che consente una chiusura leggera

Altri palazzi quasi certamente progettati da Raffaello, con l'aiuto della sua bottega, che comprendeva Giulio Romano, sono il Palazzo Jacopo da Brescia ed il Palazzo Alberini.

Palazzo Vidoni Caffarelli,nonostante sia stato attribuito per molto tempo a Raffaello, non fu progettato personalmente dal mastro, ma sicuramente da un suo allievo, probabilmente Lorenzo Lotti, e rispecchia comunque un modello e uno stile riferibile non solo a Raffaello ma anche a Bramante. In origine la facciata era di sette campate; il prolungamento e l'ultimo piano appartengono a una fase di costruzione più tarda. Il pian terreno è trattato come un basamento bugnato (orizzontale), mentre le colonne binate in rilievo poste al piano nobile richiamano il Palazzo Caprini e come unico elemento verticale assumono una grande importanza visiva.

A Raffaello è attribuito, secondo anche quanto riportato dal Vasari, anche il progetto del Palazzo Pandolfini a Firenze. La costruzione iniziò già dal 1516, ma Raffaello non seguì i lavori affidati a Giovanfrancesco da Sangallo e poi Bastiano da Sangallo, detto Aristotile. Probabile che l'originario progetto di Raffaello sia stato modificato dagli esecutori nell'impostazione di questo palazzo insolitamente a due soli piani, invece dei tre canonici. Non è inoltre chiaro se il palazzo sia un'opera compita a metà, vista la posizione del portale posto tra l'edificio ed un corpo basso ad un solo piano che forse si è rinunciato a rialzare raddoppiando le dimensioni della facciata. Lo stesso Vasari parlava di un progetto incompleto. Inoltre la prima raffigurazione iconografica del palazzo come lo si vede oggi risale solo al 1779, mentre planimetrie più antiche non riportano una pianta come quella attuale. In ogni caso il fabbricato alla destra del portone è un'aggiunta settecentesca.

Villa Madama

  Lo stesso argomento in dettaglio: Villa Madama.

Negli ultimi anni della sua vita Raffello lavorò al progetto della villa a Monte Mario. Sovrintendente dei lavori fu nominato Antonio da Sangallo il Giovane, che era assistente di Raffaello a San Pietro. Un disegno mostra lo stato del progetto nel 1520, in cui al centro della villa doveva trovarsi un grande cortile circolare. Oltre alle stanze, la villa avrebbe compreso un teatro, stalle per duecento cavalli, un immenso ippodromo e giardini con giochi d'acqua; una grande scalinata, avrebbe dovuto condurre all'ingresso della villa.

La Curia, dopo l'elezione di Clemente VII, difficilmente poteva permettersi di continuare i lavori al Belvedere; così si fermarono anche quelli a Monte Mario. La parte completata venne incendiata durante il Sacco di Roma. Dopo un restauro la villa divenne proprietà di Margherita di Parma (da lì il nome Villa Madama). Le sole parti dell'edificio originario sono, oltre a qualche zona del giardino, sono alcune parti incomplete della rotonda, cinque stanze e una loggia a tre campate. C'era un'idea di fare come nel Cortile del Belvedere (terrazze) ma venne abbandonata. Non esisteva un unico punto dal quale vedere la villa nel suo insieme; l'ippodromo,il teatro, la loggia, le terrazze del giardino e anche il vestibolo erano pensati per essere usati o tutti insieme o anche solo uno alla volta. In Villa Madama troviamo la stessa insistenza sulle visuali interne, come nella Cappella Chigi, e la medesima rinuncia a un sistema strutturale che governi tutto l'insieme, come Palazzo d'Aquila. Nessun edificio precedente aveva riprodotto così esattamente la funzione e le forme degli antichi modelli romani. Il teatro così come appare nel disegno di Sangallo è una precisa ricostruzione del teatro romano. Non esiste niente di più vicino all'epoca romana come la loggia (il modello più vicino era la decorazione della Domus Aurea e delle terme di Tito). Struttura e ornamento si fondono insieme. Erano proprio questi edifici che Raffaello, nella Lettera a Papa Leone X, considerava la massima conquista dell'arte dell'antichità. I giardini e la terrazza, nonostante secoli di abbandono, rendono ancora l'idea della fusione di paesaggio e architettura che caratterizzava la villa.

Basilica di San Pietro

  Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica di San Pietro in Vaticano.

Il lavoro di Raffaello a San Pietro si svolse sotto cattivi auspici, perché Leone X era molto meno interessato del suo predecessore al nuovo edificio. Si concentrava di più sulla facciata della chiesa di famiglia, San Lorenzo a Firenze, sulla ricostruzione di San Giovanni dei Fiorentini, a Roma (nel frattempo il lavoro a San Pietro procedette molto lentamente).

Un solo disegno si può attribuire a Bramante, molti invece a Raffaello; quest'ultimo era solito preparare molti dipinti con disegni metodici e accurati (si rese conto che non era possibile una sola pianta per tutta San Pietro). Era complicato mettere tutto per iscritto, quindi Raffaello utilizzò un nuovo sistema, quello della proiezione ortogonale (dice: l'architetto non ha bisogno di saper disegnare come un pittore, ma di avere disegni che li permettono di vedere l'edificio così come). Abbandonò la configurazione prospettica del Bramante.

Sebastiano Serlio precisa che molte parti del modello bramantesco sono incomplete, e Raffaello disegnando la propria pianta riutilizzò le idee di Bramante. Questa pianta si distingue da tutte le altre per la sua completa chiarezza: una navata di cinque campate, con navate laterali, viene posta davanti allo spazio cupolato bramantesco; la facciata è costituita da un ampio portico a due piani, i pilastri presentano doppie paraste sia verso la navata maggiore sia verso le navate laterali. L'altezza della navata maggiore era fissata dagli archi a crociera bramanteschi. Il sistema delle cupole minori fu ripreso. Le fondazioni dei piloni si mostrano insufficienti; per questa ragione si decise di posizionare i muri (quelli più sollecitati dal carico) più vicini ai piloni della cupola. L'ordine gigante della crociera prosegue sui pilastri del transetto, e le colonne tra i pilastri formano un ordine minore.

Raffaello non aveva alcuna intenzione di modificare la cupola di Bramante: l'aspetto esterno della chiesa sarebbe stato dominato dal sistema trabeato all'antica, composto cioè da sostegni verticali e architravi orizzontali senza l'uso di archi. Sia nei deambulatori che sulla facciata, colonne libere o semicolonne addossate alla muratura sostengono una trabeazione dorica; la facciata come quella di un tempio classico, consiste di colonne e timpano (Sant'Andrea a Mantova).

Con la sua navata, le alte torri e la facciata colossale, questo progetto supera quello della prima fase della fabbrica, sia per dimensione sia per magnificenza. Certamente il progetto di Raffaello presenta un ritorno all'impianto tradizionale a forma di T dell'antica San Pietro.

Durante la direzione di Raffaello la costruzione di San Pietro avanzò molto lentamente. Antonio da Sangallo, successore di Raffaello (1520), espose i difetti del progetto di Raffaello in un famoso memoriale.

Ultimi anni e morte

 
La Trasfigurazione, ultima opera di Raffaello, esposta nella camera ardente

Verso il 1517, Raffaello dipinge su tela una grande Visitazione su richiesta di Marino padre di Giovan Battista Branconio dell'Aquila, per la cappella di famiglia nella chiesa di San Silvestro a L'Aquila, posta nei pressi del palazzo di famiglia nella città abruzzese. Gli anni tra il 1517 e il 1520 furono per Raffaello particolarmente fecondi e lo portarono a realizzare alcune tra le sue opere più apprezzate come il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi ed il ritratto di donna conosciuto come La Fornarina in cui raffigurò -secondo alcune ipotesi- la sua musa-amante Margherita Luti; dello stesso periodo è la Trasfigurazione, grande olio su tavola, dinamico ed innovativo, che risulta essere l'ultima opera dell'artista e che fu completata nella parte inferiore da Giulio Romano il giorno prima della morte del maestro, così da poter essere collocata accanto al suo letto al momento del decesso, come racconta il Vasari. Lo stesso Vasari si sofferma sulle cause della morte, sopraggiunta dopo 15 giorni di malattia, iniziata con una febbre, causata secondo il biografo da "eccessi amorosi", ed infelicemente curata con ripetuti salassi. Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo; la sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dei romani e dell'intera corte pontificia. La data della sua morte è oggetto di frequenti errori, si crede infatti che essendo sia nato che morto di Venerdì Santo esso sia lo stesso giorno, mentre invece nacque il 28 marzo 1483 e morì il 6 aprile 1520, nonostante quanto comunemente si riporti. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto. L'epigrafe della tomba di Raffaello, un distico scritto appositamente da Pietro Bembo e situato nel Pantheon, recita:

(latino)
«ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI
RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI
»
(italiano)
«Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette
di essere superata, e quando morì temette di morire con lui.»

Dipinti

  Lo stesso argomento in dettaglio: Madonne di Raffaello.
 
Monumento a Raffaello Sanzio, Urbino.

Gioventù

Periodo fiorentino

Periodo romano

Opere postume della scuola

Già negli ultimi anni di vita Raffaello fu più un appaltatore di lavori per la sua bottega che un pittore nel senso stretto; produceva solitamente i disegni e cartoni per opere che venivano eseguite dai suoi assistenti. Per questo le sue idee continuarono a essere eseguita anche dopo la sua morte.

Onorificenze

A Raffaello Sanzio è stato dedicato l'asteroide 9957 Raffaellosanti.

Banconote italiane

 
Banconota da 500.000 lire italiane raffigurante Raffaello Sanzio

Dal 1997, Raffaello Sanzio venne raffigurato sulla banconota da 500.000 lire italiane, in corso fin quando l'Italia adottò l'euro.

Note

  1. ^ Che nel 1483 corrispondeva al giorno 28 marzo
  2. ^ a b Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Vita di Raffaello da Urbino, Firenze 1568.
  3. ^ a b c d e Franzese, cit., pag. 10.
  4. ^ a b c Franzese, cit., pag. 12.
  5. ^ www.electaweb.it, in raffaello e urbino.
  6. ^ Per Vasari, Pietro Perugino, «preso il putto, non senza molte lagrime della madre, che teneramente l'amava, lo menò a Perugia»
  7. ^ Santi, cit., pag. 323.
  8. ^ a b c Franzese, cit., pag. 13.
  9. ^ Franzese, cit., pag. 14.
  10. ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 158.
  11. ^ a b c d e f Franzese, cit., pag. 15.
  12. ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 159.
  13. ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 159.
  14. ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 190.
  15. ^ Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 366. ISBN 88-09-03675-1
  16. ^ Ossia Bastiano da Sangallo, soprannominato Aristotile per il suo parlare con gravità, adagio e sentenziosamente
  17. ^ a b G. Vasari, Vita di Raffaello
  18. ^ a b c De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 191.
  19. ^ a b Franzese, cit., pag. 17.
  20. ^ a b Franzese, cit., pag. 18.
  21. ^ a b Franzese, cit., pag. 19.
  22. ^ a b c Franzese, cit., pag. 20.
  23. ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 192.
  24. ^ Franzese, cit., pag. 21.
  25. ^ Franzese, cit., pag. 22.
  26. ^ Franzese, cit., pag. 23.
  27. ^ a b Franzese, cit., pag. 24.
  28. ^ a b c d Franzese, cit., pag. 25.
  29. ^ a b c d e f Franzese, cit., pag. 256.
  30. ^ La fonte è Vasari.
  31. ^ a b c De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 207.
  32. ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 209.
  33. ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 208.
  34. ^ a b c d De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 2010.
  35. ^ Frommel, Ray, Tafuri (a cura di), Raffalello architetto, 1984
  36. ^ La traduzione, una delle prime conosciute, di cui esistono due redazioni manoscritte, riporta la seguente intestazione: "...tradocto di latino in lingua e sermone proprio e volgare da Messere Fabio Calvo ravennate, in roma in casa di Raphaello di Giovan de Sancte da Urbino e a sua instantia...": vd. F. Di Todaro, Vitruvio, Raffaello, Piero della Francesca, in Annali di Architettura n. 14, 2002.

Bibliografia

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  • J. Beck, Raffaello, Milano 1982
  • K. Oberhuber, Raffaello, Milano 1982
  • John Pope-Hennessy, Raffaello, Torino 1983
  • M. Tafuri, C. L. Frommel, S. Ray, Raffaello architetto, Milano 1984
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  • V. Labella, Una stagione di giganti. Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Cinisello Balsamo 1991
  • AA.VV., Raffaello, Milano 1994
  • W. Lotz, Architettura in Italia 1500-1600, a cura di D. Howard, Milano, Rizzoli 1995.
  • Pasquale Sabbatino, Raffaello Sanzio e Baldassare Castiglione, in La bellezza di Elena. L'imitazione nella letteratura e nelle arti figurative del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 35–40, ISBN 88-222-4503-2
  • Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7212-0
  • Bruno Santi, Raffaello, in I protagonisti dell'arte italiana, Scala Group, Firenze 2001. ISBN 8881170914
  • V. Farinella, Raffaello, Milano, 5 Continents 2004
  • J. Shearman, Studi su Raffaello, a cura di B. Agosti e V. Romani, Milano, Electa 2007
  • N. Dacos, Le logge di Raffaello. L'antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna, Milano, Jaca Book-LEV-Musei Vaticani 2008
  • Paolo Franzese, Raffaello, Mondadori Arte, Milano 2008. ISBN 978-88-370-6437-2

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