Clima italiano

clima della regione italiana

La regione italiana (compresa tra il 47º ed il 36º parallelo nord) si trova quasi al centro della zona temperata dell'emisfero boreale.

La penisola italiana vista dal satellite in una giornata quasi ovunque serena del marzo 2003. È presente una copertura nuvolosa solo sulla Liguria e sulla Calabria tirrenica; sono visibili gli accumuli di neve sull'arco alpino, sull'Appennino centrale e sui monti della Corsica.

Da punto di vista climatico è, inoltre, favorita dalla grande massa d'acqua dei mari mediterranei che la circondano quasi da ogni lato. Tali mari costituiscono soprattutto per la nostra penisola (meno per quelle ellenica, iberica ed anatolica) un benefico serbatoio di calore e di umidità. Determinano infatti, nell'ambito della zona temperata, un clima particolare detto temperato mediterraneo.

Tipi di clima

 
Carta dei climi d'Italia secondo Mario Pinna
Climi temperati (ricadono nel tipo C di Köppen ma seguono una classificazione diversa)

     subtropicale

     temperato caldo

     sublitoraneo

     subcontinentale

     temperato fresco

Clima temperato-freddo (tipo D di Köppen)

     temperato freddo

Climi freddi (tipo E di Köppen)

     freddo

     glaciale

  1. tra la Vetta d'Italia e Lampedusa vi sono 12 gradi di latitudine
  2. la penisola è divisa in due versanti dalla catena appenninica
  3. la parte continentale della regione italica è circondata da un sistema montuoso (Alpi-Appennini)
  4. In Italia si trova la montagna più alta d'Europa (Monte Bianco 4.810 m) e il vulcano più alto d'Europa (3.343 m) e il punto minimo più elevato d'Italia è -3,5 m.

secondo la classificazione di Wladimir Köppen[1] l'Italia è suddivisa in dieci tipi di clima [2][3][4]:

Temperati ("miti umidi")

Nella classificazione del Köppen rientrano sotto la categoria dei climi temperati, indicati con la lettera C in prima posizione, tutti i climi caratterizzati da una temperatura media del mese più freddo compresa tra -3 °C e +18 °C, purché non aridi: sotto la stessa lettera C vengono perciò inclusi climi soggetti al gelo come quello della pianura padana e climi molto più miti come quelli delle coste mediterranee.

  • Clima temperato subtropicale o mediterraneo secco tendente allo steppico (Csa tendente a BS): aree costiere della Sicilia, della Sardegna meridionale e della Calabria ionica centrale e meridionale. Questo clima si distingue per le precipitazioni scarse (quasi nulle in estate) e molto irregolari.
  • Clima temperato caldo mediterraneo a siccità estiva (Csa): gran parte della Sardegna, della Sicilia, della Calabria e della Puglia, intera fascia costiera occidentale dalla Riviera Ligure di Ponente alla Calabria, intero litorale del Mar Jonio, coste adriatiche dall'Abruzzo alla Puglia e più in generale tutte le zone di bassa quota del Centro e del Sud.

La lettera minuscola "s" indica: "il mese più secco, che è estivo, riceve in media una quantità di precipitazioni inferiore a 30 millimetri".

  • Clima temperato mediterraneo ad estate tiepida, con siccità estiva (Csb, transizione verso Cfb nelle regioni più settentrionali): aree collinari e di bassa montagna di Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata, monti della Daunia, alto Gargano e bassa montagna di Calabria, Sardegna e Sicilia.
  • Clima temperato di transizione al mediterraneo (Cfsa): caratteristico dell'entroterra della Liguria a bassa quota, con forti piogge autunnali, inverno abbastanza piovoso e moderata siccità estiva. Secondo il Köppen la "transizione" si estrinseca non tanto nel regime termico, quanto nella comparsa di una differenza notevole di precipitazioni tra l'estate e l'inverno (il mese più secco, estivo, riceve una quantità di precipitazioni inferiore ad un terzo di quella del più piovoso dei mesi invernali, ma sempre superiore a 30 mm): è per questo che tale categoria non comprende l'Emilia-Romagna ed il Piemonte meridionale (Langhe ed Alessandrino), che hanno un'estate moderatamente secca ma non le abbondanti piogge invernali di tipo mediterraneo. Ad Alessandria, ad esempio, il mese più secco è luglio (32 mm di pioggia) ma in quello più umido invernale (Dicembre) cadono 46 mm, mentre a Ferrara il minimo pluviometrico cade in gennaio (39 mm, contro i 44 di luglio).
  • Clima temperato ad estate calda (Cfa): tipico di Pianura veneto-friulana, delle coste adriatiche da Trieste ad Ancona, della Pianura Padana e più in generale le aree di bassa quota del Nord Italia ed i bassi versanti appenninici che si affacciano sulla Pianura Padana. La quota massima oscilla grossomodo tra i 400 metri s.l.m. di alto Piemonte e Prealpi ed i 500 metri di Emilia-Romagna, Oltrepò pavese, Alessandrino e Langhe. Qui si hanno due massimi pluviometrici, uno in primavera ed uno in autunno, e due minimi, uno in inverno (di solito in gennaio) ed uno in estate (luglio o agosto): l'estate tende ad essere più piovosa dell'inverno nelle zone a nord del Po, mentre nelle terre subappenniniche ed in provincia di Cuneo la differenza si annulla.
  • Clima temperato ad estate tiepida (Cfb): caratteristico delle colline e degli altipiani del Piemonte al di sopra di circa 400 metri s.l.m. a nord e 500 metri s.l.m. a sud, dell'Appennino Ligure ed Emiliano e dei bassi versanti alpini e prealpini (esclusi quelli più interni).
  • Clima temperato fresco (Cfc): tipico delle zone prealpine ed appenniniche a quote elevate. Qui le precipitazioni possono essere notevoli: sono frequenti soprattutto nelle stagioni intermedie ma abbondanti anche in estate.

Temperato-freddi ("delle foreste boreali") e polari

I climi indicati con la lettera iniziale D sono caratterizzati da una temperatura media del mese più freddo inferiore ai -3 °C e sono esclusivi dell'emisfero boreale (nell'emisfero australe, in gran parte oceanico, si passa direttamente dai climi temperati a quelli polari). Sotto la categoria dei "climi polari", indicati con la lettera E, rientrano invece tutti i climi caratterizzati da una temperatura media del mese più caldo sempre inferiore a +10 °C.

  • Clima temperato freddo d'altitudine (DfH): si trova sui monti dell'arco alpino al di sotto dei 2000-2200 metri s.l.m. (compresi i fondovalle più interni di media altitudine) ed in singole zone appenniniche a quote elevate che godono di una continentalità locale . Esso si distingue per l'inverno lungo, rigido (la temperatura media del mese più freddo è inferiore ai -3 °C) e leggermente secco. Sulle Alpi le precipitazioni sono soprattutto estive, mentre sugli Appennini il regime pluviometrico ricalca quello presente ad altitudini inferiori (con un moderato aumento estivo).
  • Clima freddo della tundra di altitudine (ETH): arco alpino a quote superiori ai 2000-2200 metri s.l.m. ed alcune cime dell'Appennino, caratterizzato da rigide temperature notturne ed invernali e da precipitazioni soprattutto estive. Il paesaggio varia gradualmente dalle praterie d'alta quota fino ai ghiacciai.
  • Clima nivale di altitudine (EFH): vette più elevate delle Alpi ricoperte da neve perenne, con quote generalmente superiori ai 3.500 metri s.l.m..

Temperature

Le temperature medie più basse si registrano nell'Italia settentrionale, perché è costituita da aree montane e da pianure (la Val Padana e la pianura veneto-friulana) non favorite da un mare esteso.

La catena alpina non solo esplica un'azione di barriera rispetto alle correnti fredde, provenienti dalle regioni artiche dell'Europa settentrionale, ma anche nei confronti delle masse d'aria temperate (ma umide), che provengono dall'Atlantico settentrionale. Inoltre, le Alpi delimitano (assieme al prospiciente Appennino settentrionale) un bacino chiuso, soggetto a subsidenza atmosferica, con ristagno d'aria nei bassi strati, e quindi a marcato riscaldamento estivo e a forte raffreddamento invernale, tale bacino (che include tutte le pianure settentrionali italiane) le isola anche dalle restanti regioni dell'Europa centro-meridionale e fa sì che, l'area "padano-veneta", abbia un profilo climatico autonomo e differente rispetto a quello delle aree limitrofe della Francia sud-orientale, della Svizzera e dell'Austria. Sempre in questo contesto la presenza del Mar Adriatico, lungo e poco profondo (specie in prossimità delle coste) e stretto tra due penisole (italiana e balcanica) apporta un beneficio tutto sommato limitato, infatti il suo influsso mitigatore è nettamente meno rilevante rispetto quello esercitato dal più ampio e profondo Mar Tirreno sul versante occidentale della penisola italiana.

Temperature medie annue

In base alla carta relativa alle temperature medie annue che si registrano in Italia[5], si registrano valori medi superiori ai 16 °C all'estremità occidentale della Riviera di Ponente, lungo tutto il litorale occidentale a sud di Cecina, lungo la fascia costiera tra Abruzzo e sponda settentrionale del Gargano, su tutta la Puglia a est della linea immaginaria tra Bari e Taranto, lungo le coste joniche della Basilicata e della Calabria e lungo tutti i tratti litoranei e nelle aree pianeggianti interne di Sicilia e Sardegna. Nelle aree peninsulari, l'isoterma si inoltra localmente in modo più o meno deciso verso il corrispondente retroterra.

Si registrano temperature medie annue comprese tra i 14 e i 16 °C lungo il tratto costiero del Mar Ligure tra Capo Mele e Cecina, lungo il versante adriatico a sud di Ancona e nel breve tratto litoraneo compreso fra Duino-Aurisina e Muggia (litorale triestino)[6], su tutta la Puglia a ovest della linea Bari-Taranto, nelle pianure interne di Toscana, Lazio e Campania e in gran parte delle zone interne collinari di Sicilia e Sardegna.

Valori medi annui compresi tra 12 e 14 °C si registrano sull'intera Pianura Padana e, fino alle coste, sulla pianura veneto-friulana e nelle aree pianeggianti tra la Romagna e la città di Ancona. Identici valori interessano le aree collinari dell'Italia centrale e meridionale e le zone di transizione tra alta collina e montagna in Sicilia e Sardegna.

Gran parte della dorsale appenninica, i monti della Sardegna, le Prealpi e le valli alpine fanno registrare valori medi annui tra 10 e 12 °C; temperature medie annue tra 5 e 10 °C si registrano sulla vetta dell'Etna, sulle vette più alte dell'Appennino e su gran parte dell'arco alpino, sulle cui cime più alte possono registrarsi valori inferiori ai 5 °C di media annua.

Temperature medie di gennaio

In base alla carte delle temperature medie di gennaio in Italia[5], si registrano valori inferiori ai 2 °C su gran parte dell'arco alpino (valli interne comprese), sulle vette più alte dell'Appennino e nella Pianura Padana in prossimità del corso del Po, da Chivasso e dintorni fino alle coste attorno al Polesine (ad esempio ad Alessandria si hanno +0,4°). Anche in diverse zone collinari del Piemonte centrale si scende sotto valori di 2 °C, specie in provincia di Asti (il capoluogo ha un valore di +0,7 °C), e talvolta sotto lo zero.

Valori medi tra 2 e 4 °C interessano alcune vallate e rilievi alpini, alcune vette appenniniche, l'area sommitale dell'Etna e le zone della Pianura Padana più vicine alle montagne, fino alle coste occidentali del Friuli-Venezia Giulia e al litorale veneto e romagnolo.

Le zone collinari più interne di Toscana, Umbria e Lazio, le coste e la pianura marchigiana fino al Conero, il litorale triestino, le sponde del lago di Garda, il Piemonte sud-occidentale (in provincia di Cuneo ed a bassa quota) e alcune vallate prealpine fanno registrare valori medi tra 4 e 6 °C.

Temperature medie tra 6 e 8 °C si registrano sulle zone a più elevate altitudini della Sardegna, le zone più protette del lago di Garda, su gran parte delle aree interne pianeggianti e collinari dell'Italia peninsulare, fino alle coste adriatiche delle Marche centro-meridionali, dell'Abruzzo e della Puglia tra il golfo di Manfredonia e Bari.

Valori medi tra 8 e 10 °C si registrano su tutta la Sardegna centro-settentrionale (comprese le coste), nella Piana di Catania, nelle zone interne e sul litorale orientale della Sicilia, lungo l'intero litorale occidentale peninsulare e nelle corrispondenti aree pianeggianti dalla Riviera di Ponente alla città di Salerno, lungo le zone interne e sul versante jonico di Calabria e Basilicata, lungo le coste del Molise, del Gargano e su tutta la Puglia a sud di Bari.

La Sardegna meridionale, gran parte della Sicilia, le coste sud-orientali del Salento, alcuni tratti del litorale jonico calabrese, l'intera costa tirrenica tra Salerno e Reggio Calabria e parte delle coste della Maremma e dell'Agro Pontino fanno registrate temperature medie comprese tra 10 e 12 °C; valori superiori ai 12 °C si registrano soltanto lungo le coste occidentali e nord-occidentali della Sicilia, in un breve tratto della costa calabrese jonica a sud di Reggio Calabria (compresa fra i comuni di Melito Porto Salvo e Bova Marina) e nelle Isole Pelagie[7].

Temperature medie di luglio

In base alla carte delle temperature medie di luglio in Italia[5] ridotte al livello del mare, si registrano valori inferiori ai 20 °C sulle aree montane delle Alpi e dell'Appennino Settentrionale (specialmente sui rilievi esposti a nord), e sulle vette più alte dell'Appennino Centrale e Meridionale; valori tra 20 e 22 °C interessano parte dell'arco alpino fino al limite di transizione tra le quote collinari e montuose, le colline più elevate del Centro e, localmente, alcuni monti dell'Appennino.

Temperature medie tra i 22 e i 24 °C interessano gran parte delle basse valli alpine (specie in Trentino - Alto Adige), le pianure adiacenti la fascia prealpina, gran parte della pianura veneto-friulana (soprattutto sottocosta), gran parte del Piemonte fino ai 400/500 metri di altitudine, l'Emilia occidentale, la pianura e le coste della Romagna, la Liguria, alcuni tratti litoranei e sublitoranei tra la Toscana meridionale e il Lazio centro-settentrionale, le colline del Centro Italia e la fascia costiera occidentale della Sardegna centro-settentrionale.

Valori tra 24 e 26 °C interessano parte delle coste di Veneto e Friuli-Venezia Giulia, la parte centrale dell'Emilia-Romagna, la Pianura Padana centro-occidentale (dalla Lombardia fino a Novara ed Alessandria) e in generale gran parte delle aree peninsulari ed insulari. A causa dell'effetto serra, oggigiorno può essere incluso in questa fascia di temperature anche l'altopiano piemontese tra Torino e Bra, che fino agli anni novanta sfiorava l'isoterma dei "24 gradi a Luglio" senza però varcarla.

Temperature medie tra 26 e 28 °C interessano alcune valli interne di Toscana, Umbria e Lazio, il litorale adriatico di Abruzzo e Molise, il Salento, gran parte della Basilicata e le coste joniche della Calabria.

Valori superiori ai 28 °C si registrano in alcune aree interne della Sardegna, della Lucania, della Puglia e della Sicilia dove, nella parte interna sud-occidentale della Piana di Catania e in alcune conche interne si possono raggiungere temperature medie di 30 °C.

Escursioni termiche

L'escursione termica annuale (differenza tra la temperature estive ed invernali) è notevole nella piana del Po e in alcune vallate alpine, aree in cui la differenza tra gennaio e luglio si attesta tra i 21 ed i 24 °C, ma è moderatamente accentuata (18-21 °C) anche lungo le coste dell'alto e medio versante adriatico e nelle vallate interne dell'Italia centrale e meridionale (ad esempio: la città di Firenze dove la massima assoluta il 26 luglio 1983 ha raggiunto i +42,6 °C e il 12 gennaio 1985 la minima assoluta ha fatto registrare -23,2 °C, oltre a più estese aree quali l'alto Valdarno, l'alta Val Tiberina, la Val di Chiana e il Vallo di Diano), risulta invece modesta (15-18 °C) lungo tutta la fascia costiera ligure, tirrenica e adriatica meridionale mentre, sulle coste delle isole maggiori, essa si riduce ad appena 12-15 °C di differenza tra la media delle temperature del mese più caldo e quelle del mese più freddo.

L'escursione termica diurna (differenza tra la temperatura del giorno e della notte) è più marcata nelle località lontane dal mare e nelle aree montane. Tuttavia, in condizioni di vento di caduta, possono registrarsi valori di escursione termica molto elevata anche lungo le coste adriatiche, come è accaduto a Pescara il 30 agosto 2007, quando la temperatura massima ha toccato i 45 °C (record assoluto per la città abruzzese) e la minima della notte successiva è scesa sotto i 20 °C.

Valori estremi

In base ai dati sui valori estremi registrati in Italia dalle stazioni meteorologiche ufficialmente riconosciute dall'organizzazione meteorologica mondiale[8], la temperatura più elevata mai registrata in Italia da una stazione meteorologica ufficiale è quella di +47,0 °C toccati dalla stazione meteorologica di Foggia Amendola il 25 giugno 2007 (stesso valore a Perdasdefogu il 23 luglio 1983 ma registrato dalla stazione idrologica non ufficiale quando la stazione ufficiale del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare risultava inattiva). Nei 45 anni precedenti al 25 giugno 2007, il valore più elevato era quello di +46,7 °C che fu registrato il 12 luglio 1962 dalla stazione meteorologica di Catania Sigonella (nella stessa giornata la stazione meteorologica di Catania Fontanarossa si fermò a +46,0 °C). Il terzo valore più elevato è stato quello di +46,2 °C registrato il 25 giugno 1982 dalla stazione meteorologica di Capo San Lorenzo, che detiene il record di caldo tra le stazioni prettamente costiere. Tuttavia, devono essere ricordati anche i +49 °C registrati in alcune località dell'entroterra sardo il 30 luglio 1983, ma non omologati, a causa dell'estrema vicinanza di estesi incendi alle stazioni meteorologiche idrologiche di riferimento che ne hanno condizionato i valori rilevati; il medesimo valore attribuito alla stazione meteorologica di Palermo negli anni 80 del XIX secolo risulta invece essere stato un clamoroso errore di trascrizione, privo anch'esso di omologazione ufficiale. Un altro importante valore, riguardante però una piccola cittadina siciliana, sono i +48,5 °C registrati a Catenanuova il 10 agosto 1999 dalla locale stazione meteorologica idrologica non ufficialmente riconosciuta dall'organizzazione meteorologica mondiale.

Valori comunque molto elevati sono stati i +45,6 °C della stazione meteorologica di Bari Palese del luglio 2007, i +45,4 °C della stazione meteorologica di Catania Sigonella del luglio 1998, i +45,0 °C della stazione meteorologica di Capo San Lorenzo del 23 luglio 2007, della stazione meteorologica di Pescara Aeroporto del 30 agosto 2007 (forse sovrastimati) e della stazione meteorologica di Decimomannu del 24 luglio 2009, i +44,6,°C di Palermo Osservatorio Astronomico nel 1999, i +44,4 °C della stazione meteorologica di Lecce Galatina nel luglio 1987 e della stazione meteorologica di Brindisi nel luglio 2007, i +44,2 °C della stazione meteorologica di Reggio Calabria nel luglio 1983, mese in cui si toccarono +43,7 °C alla stazione meteorologica di Cagliari Elmas, +42,6 °C alla stazione meteorologica di Firenze Peretola, +41,8 °C alla stazione meteorologica di Alghero Fertilia. Ragguardevoli anche i +40,8 °C di massima assoluta, invece, alla stazione meteorologica di Ancona Falconara nel luglio 1968, mentre la Capitale ha visto raggiungere i +40,6 °C alla stazione meteorologica di Roma Ciampino nell'agosto 1956 e nell'agosto 1981 (+40,5 °C alla stazione meteorologica di Roma Urbe nell'agosto 2007, +40,1 °C alla stazione meteorologica di Roma Centro del Collegio Romano nel luglio 1905); valori di +40,4 °C alla stazione meteorologica di Piacenza San Damiano nell'agosto 2003 e, forse sovrastimati, alla stazione meteorologica di Ferrara nel luglio 2007. "Soltanto" +40,0 °C di massima assoluta, invece, alla stazione meteorologica di Napoli Capodichino nell'agosto 1981.

Sulle regioni settentrionali, vanno segnalati anche i +41,6 °C registrati a Torino l'11 agosto 2003 dalla stazione meteorologica urbana non ufficiale del centro cittadino (+37,1 °C alla stazione meteorologica di Torino Caselle), e i +41,1 °C toccati durante la medesima onda di calore dalla stazione meteorologica di Milano Brera (+39,3 °C alla stazione meteorologica di Milano Linate). In Sicilia a Catenanuova,un paesino in provincia di Enna,si è raggiunta la temperatura più calda d'Europa in tutta la storia,raggiungendo così i 48.5°,il 10 Agosto del 1999.Il 25 Luglio 2009 la temperatura è arrivata a 48.0° nell'omonimo paese. La temperatura minima più bassa registrata in pianura è quella di -28,8 °C registrata a Molinella in provincia di Bologna nella notte tra il 12 gennaio e il 13 gennaio 1985 (si veda in merito l'ondata di freddo del gennaio 1985). La grande città che in quell'occasione raggiunse il valore più basso fu Firenze, con -23,2 °C il 12 gennaio alla stazione meteorologica di Firenze Peretola; notevoli furono anche i -22,0 °C della stazione meteorologica di Piacenza San Damiano. Nella classifica del freddo nei capoluoghi segue Torino, la cui temperatura più bassa registrata è stata di -21,8 °C alla stazione meteorologica di Torino Caselle (verificatasi però nell'anno 1956, il 12 febbraio). A quote più elevate si sono registrati valori inferiori, tra i quali spiccano su tutti i -34,6 °C registrati al Plateau Rosà nel marzo 1971, i -34,0 °C della stazione non ufficiale di Livigno nell'inverno del 1967[9], i -32,0 °C della stazione non ufficiale di Castelluccio di Norcia nell'inverno del 2005, i -23,0 °C della stazione idrologica di Città di Castello a 295 metri s.l.m. nel febbraio 1956[10],i -30,0 °C della stazione meteorologica di Dobbiaco nel gennaio 1985, i -28,2 °C della stazione meteorologica di San Valentino alla Muta nel febbraio 1956, i -26,2 °C della stazione meteorologica di Paganella nel gennaio 1985, i -24,8 °C della stazione meteorologica di Passo Rolle nel marzo 1971 e i -23,2 °C della stazione meteorologica di Tarvisio nel gennaio 1985 (-33,0 °C nella frazione di Fusine). Tuttavia il valore più basso fu misurato nel febbraio 1929 ai 4554 m della Capanna Regina Margherita, sul Monte Rosa, il termometro in quell'occasione scese fino a -41,0 °C[11]. Nel dicembre 2010 in località Busa Fradusta a 2607 m sulle Pale di San Martino in Trentino è stata registrata una temperatura minima assoluta di -48,3 °C[12], bisogna però tener presente che questo valore è stato misurato in una dolina che ha caratteristiche microclimatiche proprie e particolari.

Nuvolosità

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nuvolosità in Italia.

La nuvolosità tende generalmente a raggiungere i valori medi più bassi nel mese di luglio, mentre i valori medi più alti, in base alle diverse zone climatiche, possono interessare in modo variabile alcuni mesi tra il tardo autunno e la prima parte della primavera, col mese di novembre che fa registrare i valori medi più elevati nella maggior parte del territorio.

Piovosità

Precipitazioni medie annue

Le precipitazioni medie annue [5] sono maggiori nelle zone montuose. Grazie al pluviometro, si può constatare come le zone più piovose d'Italia (media annua tra 2500 e 3500 mm) siano collocate sulle Alpi Carniche e Giulie, nella fascia prealpina tra il Lago Maggiore e il Lago di Como, sull'Appennino Ligure orientale, sulle Alpi Apuane e nelle località più elevate dell'Appennino Tosco-Emiliano.

Invece godono di una minor quantità annua di piogge le zone di pianura lontane dai monti. Nella Pianura Padana le località meno favorite non ne ricevono che 700 mm circa. Stessa osservazione vale anche per la Maremma grossetana e laziale, dove lungo la fascia costiera i valori si aggirano tra i 500 e i 600 mm annui; restano poi sotto i 500 mm le coste meridionali della Sardegna (il minimo assoluto medio annuo dell'intero territorio nazionale italiano si registra a Capo Carbonara con poco più di 250 mm)[13], le coste occidentali e sud orientali della Sicilia, il promontorio dell'Argentario, le isole meridionali dell'Arcipelago Toscano (Pianosa, Montecristo, Giglio e Giannutri) e alcune zone della bassa Val Padana, poste nei dintorni del Delta del Po.

Frequenza annua delle precipitazioni

La frequenza annua delle precipitazioni in Italia [5] vede più di 120 giorni sulle vette più alte delle Alpi Carniche, dell'Appennino settentrionale e dell'Irpinia.

Si registrano tra i 100 e i 120 giorni di pioggia su gran parte dell'arco alpino nord-orientale e lungo l'intero asse della dorsale appenninica tra la Liguria di levante e l'Aspromonte, mentre si verificano tra 80 e 100 giorni di pioggia su tutte le aree prealpine, su gran parte delle zone interne peninsulari, sull'Italia nord-orientale a nord del Po, sulla bassa pianura emiliana e romagnola, sulla Riviera di Levante, la Toscana settentrionale, l'Umbria settentrionale e centro-orientale, sul Basso Lazio, la Campania, gran parte della Calabria e sui rilievi più elevati di Sicilia e Sardegna.

Frequenze di pioggia tra i 60 e gli 80 giorni all'anno interessano gran parte della Pianura Padana, la Riviera di Ponente, la Toscana centrale, l'Umbria sud-occidentale, il Lazio centrale, gran parte del litorale adriatico e jonico, la Basilicata e gran parte della Sicilia e della Sardegna.

Si contano, invece, frequenze inferiori ai 60 giorni di pioggia in alcune aree della Riviera di Ponente e della Pianura Padana, tra la Maremma grossetana e laziale, lungo il litorale del Molise, sul Tavoliere, nel Salento, lungo le coste joniche della Basilicata e della Calabria centrale, sulla Sicilia meridionale e sud-orientale e lungo le coste orientali e meridionali della Sardegna.

Regimi pluviometrici

In Italia si distinguono cinque diversi regimi pluvometrici.

  1. Sulle montagne, in particolare sulle Alpi, piove prevalentemente durante l'estate, con un massimo secondario ad inizio autunno e un marcato minimo invernale.
  2. Nelle zone prettamente mediterranee, cioè sulle coste della Sardegna, della Sicilia, di alcune regioni tirreniche del Mezzogiorno, del Mar Ionio e della Puglia meridionale, la maggior quantità di piogge cade in inverno (dicembre-marzo), mentre durante i mesi centrali dell'estate la siccità è molto duratura.
  3. Piove prevalentemente in autunno ed in primavera in quasi tutte le altre zone e solitamente il massimo autunnale (ottobre-novembre) è più accentuato di quello primaverile (marzo-aprile), mentre durante l'estate si ha una riduzione della piovosità ma senza vera e propria siccità.
  4. La fascia costiera della Maremma è generalmente interessata da un lungo periodo siccitoso che, soprattutto nell'area del promontorio dell'Argentario, in alcune annate può avere inizio già nel corso dell'inverno e proseguire quasi ininterrottamente fino all'inizio dell'autunno, salvo temporanee interruzioni dovute ad alcuni episodi temporaleschi.
  5. La Val Padana (specie nelle zone a nord del Po) si caratterizza per periodi di siccità più probabili in inverno che in estate, stagione in cui l'area è interessata con una moderata frequenza dal passaggio della coda di sistemi perturbati atlantici associati a fenomeni temporaleschi in transito verso la penisola balcanica e l'Europa orientale.

A determinare la distribuzione delle piogge durante l'anno contribuisce, naturalmente, oltre all'altitudine anche l'azione dei venti e la loro direzione.

Inverno

Durante l'inverno la massa d'aria sovrastante il Mar Mediterraneo è più calda di quella sovrastante la penisola.

Ciò porta alla formazione di venti diretti verso la zona di minore pressione (quella più calda) e favorisce le precipitazioni soprattutto sulle isole e nelle estreme regioni meridionali (area jonica, Puglia meridionale e Salento); dalla fine di dicembre, inoltre, si assiste ad un progressivo cambio di orientamento delle correnti su tutto il comparto atlantico orientale ed europeo occidentale e centrale, non di rado l'azione combinata dell'anticiclone russo-siberiano, che tende ad estendersi verso ovest e sud-ovest, fino a raggiungere le regioni europee orientali e il Baltico e quella delle correnti nord-atlantiche che (causa il rallentamento invernale dell'attività del vortice polare) tendono ad essere progressivamente sostituite da masse d'aria artica marittima con componente più settentrionale, fa sì che il Mediterraneo centrale (quindi l'Italia, che ne costituisce il cuore) si trovi interessato dalla formazione di profonde saccature, con minimi depressionari meridionali (che di solito si collocano tra l'Algeria e lo Jonio greco) e prevalenza di correnti alternativamente settentrionali (bora e grecale, oppure maestrale) o meridionali (a seconda del ramo della corrente a getto, che viene ad interessare la penisola italiana), in grado di portare precipitazioni consistenti, specie sulle regioni dell'estremo sud, precipitazioni che, causa l'anticiclone dinamico "di blocco" che si posiziona su Mediterraneo orientale e Balcani favorisce una persistenza di questo tipo di configurazione, che a differenza di altre situazioni di marcata perturbabilità tende ad evolvere molto lentamente. Più raramente l'anticiclone russo-siberiano riesce ad estendersi ulteriormente verso ovest, andando a interessare addirittura anche Francia centro-settentrionale e Gran Bretagna e, disponendosi con asse lungo i paralleli, in questo caso l'Europa meridionale (dalla Turchia fino alla Spagna) si trova ad essere interessata da minimi pressori "retrogradi", che si muovono cioè da est verso ovest, in seno a gelide correnti da Est-Nord-Est (che i meteorologi chiamano con il nome russo buran, ossia tempesta di vento e neve), questo flusso orientale, proveniente direttamente dal bassopiano siberiano, innesca violente bufere di neve e blizzard sulle regioni centrali del versante orientale della penisola italiana, specie nelle zone interessate dall'effetto "stau" appenninico, mentre lungo i versanti occidentali si hanno condizioni di cielo sereno, seppure abbinate a temperature molto inferiori alle medie.

Estate

Durante l'estate il Mediterraneo occidentale e centrale viene interessato progressivamente dall'azione stabilizzante dell'anticiclone delle Azzorre, che dalle latitudini subtropicali dell'Oceano Atlantico settentrionale tende ad espandersi verso est e nord-est, fino a coinvolgere l'intera penisola italiana e l'arco alpino, al culmine di questa espansione (che coincide solitamente con la metà di luglio) le correnti nord-atlantiche scorrono molto più a nord delle Alpi, investendo direttamente le isole britanniche, i paesi scandinavi e baltici e marginalmente l'Europa centrale tra il 48º ed il 55º parallelo; l'Italia si trova quindi in una situazione di calma atmosferica, interessata da una massa d'aria stabile, calda e relativamente umida (specie negli strati più bassi): in questo contesto i venti spirano in direzione della terra ferma, che si riscalda più facilmente, si creano quindi zone di alta e bassa pressione relativa che innescano il fenomeno delle brezze marittime, mentre la risalita e l'espansione delle masse d'aria calda che ristagnano nelle pianure e nei fondivalle e la condensazione dell'umidità che avviene per il raffreddamento, innescato proprio dalla risalita verso l'alto di quest'aria calda e umida, provoca gli imponenti fenomeni di termoconvezione che generano quei forti temporali di calore che caratterizzano il clima delle alte montagne italiane e che determinano una parte consistente delle precipitazioni estive nelle aree montuose.

Tuttavia, l'anticiclone delle Azzorre presenta anche la caratteristica, tipica di tutti gli anticicloni dinamici, di avere un lato orientale ed uno settentrionale vulnerabili alle infiltrazioni di aria perturbata. Può essere penetrato da nuclei di aria più fredda (per questo motivo i temporali che interessano l'estremo Nord-Est italiano in luglio ed agosto sono spesso più organizzati, rispetto a quelli che coinvolgono le Alpi del Nord-Ovest) che provocano marcata instabilità: il ritiro progressivo del dominio anticiclonico atlantico, che avviene a partire dalle regioni italiane nord orientali, tende a portare un progressivo aumento delle precipitazioni, che su Alpi, Friuli-Venezia Giulia e Veneto comincia all'inizio della seconda metà d'agosto ed entro l'inizio di settembre coinvolge tutte le regioni italiane, ad eccezione delle isole maggiori e dell'estremo Sud, zone in cui il regime termico e quello pluviometrico estivo persistono ancora (seppure con temporanee crisi) per tutto il mese di settembre e per la prima parte di ottobre.

A partire dal 1989, si sono verificate sempre più ripetutamente configurazioni estive nelle quali l'alta pressione delle Azzorre tende ad espandersi verso le isole britanniche anziché verso il Mediterraneo, dove può stabilirsi anche per lunghi periodi l'anticiclone subtropicale africano, accompagnato da elevatissimi valori di temperature e di umidità che raggiungono i picchi massimi nelle pianure e nelle vallate più interne: questo accadde ad esempio durante la caldissima estate del 2003. Tuttavia, in queste configurazioni anomale, non sempre l'alta pressione nord-africana riesce a risalire fino al bacino del Mediterraneo. In questi casi, la penisola italiana può rimanere esposta sia alle correnti atlantiche che a quelle di aria fresca continentale che possono generare fenomeni temporaleschi anche molto intensi e frequenti, specie in presenza di cut off, un po' su tutto il territorio ma, comunque, con la massima persistenza nelle zone interne collinari e montuose: possono conseguire così stagioni estive piuttosto piovose e non particolarmente calde, come già accaduto nel 1989, 1992, 1996 e 2002.

Autunno e primavera

Durante l'autunno e la primavera si ha una netta prevalenza delle correnti zonali nord-atlantiche, dirette da ovest verso est, che conducono sull'Italia diversi sistemi perturbati, che dall'Atlantico settentrionale si spostano verso il Mediterraneo orientale e il Mar Nero.

Le correnti occidentali, attraversando la penisola italiana impattano nell'Appennino, che si sviluppa perpendicolarmente (NNW/SSE) rispetto alla direzione delle masse d'aria atlantiche; questo causa precipitazioni consistenti lungo quasi tutto il versante occidentale e nelle zone prealpine del Veneto.

Sempre nelle stagioni intermedie, le masse d'aria calda da sud e sud Est (provenienti dall'entroterra tunisino e libico) precedono l'arrivo dei fronti atlantici, generalmente richiamate da profonde depressioni sulle isole britanniche e l'Europa centro-occidentale: esse investono l'Italia dopo essersi caricate di umidità scorrendo sopra il mare, e provocano precipitazioni nelle aree esposte a questo tipo di correnti (Alpi Carniche, Alpi occidentali, riviera ligure di Ponente fino a Genova).

Infine, la particolare conformazione delle coste nord-occidentali italiane e, soprattutto, dell'area del Mar Ligure, tende a favorire le ciclogenesi orografiche (formazione di aree di bassa pressione secondarie, causate dalla disposizione delle montagne). Tali depressioni (che i meteorologi chiamano Genoa Low, perché si formano nel mare di fronte a Genova) si spostano solitamente verso est (ossia verso l'alto Adriatico) o più frequentemente verso sud-est (attraversando diagonalmente la penisola italiana), portando precipitazioni prima al Nord-Ovest, quindi nelle altre aree, che mano a mano sono interessate dal transito di questi minimi pressori.

Valori estremi

La località più piovosa d'Italia è Musi, in comune di Lusevera, in Friuli-Venezia Giulia. Questo paese, posto a 633 m di quota, è esposto agli umidi e piovosi venti di Scirocco e Libeccio con effetti di stau della catena montuosa posta poco più a nord, grazie ai quali riesce a totalizzare una media di 3313 mm di precipitazione all'anno[14]. La massima quantità di precipitazione in un anno si registrò a Uccea, in Friuli-Venezia Giulia. Infatti nel 1960 vennero registrati ben 6012,9 mm[15].

La località meno piovosa dell'intero territorio nazionale, secondo i dati del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, risulta essere Capo Carbonara, nel comune di Villasimius, in Sardegna, la cui stazione meteorologica sita in loco presenta una media pluviometrica annua di 265,5 mm nel trentennio 1961-1990 e di 237,8 mm nel trentennio 1971-2000.[16]

Nevosità

In Italia, le precipitazioni nevose interessano nella stagione invernale tutte le aree montane delle Alpi e degli Appennini, oltre che le quote medie e alte vette delle isole maggiori.

Durante le irruzioni di aria fredda di origine artica, la quota neve può sensibilmente abbassarsi fino alle zone collinari e, localmente, anche nelle pianure e lungo alcuni tratti costieri.

L'Italia settentrionale è generalmente interessata da nevicate in pianura con l'arrivo di perturbazioni atlantiche che seguono intensi raffreddamenti responsabili di formazione di cuscini di aria fredda al suolo: tali configurazioni tendono a favorire la Pianura Padana centro-occidentale ove la persistenza dell'aria fredda nei bassi strati risulta essere più persistente. Nella Pianura Veneto-Friulana (soprattutto nella parte più orientale, province di Gorizia, Udine, Pordenone e Treviso) il cuscino freddo viene scalzato via quasi subito dai venti meridionali, vista l'inesistente protezione montuosa a sud. Queste zone sono fra le meno nevose dell'intero parallelo. A sud dell'Appennino, tali configurazioni determinano generalmente precipitazioni nevose solo a partire dalle quote collinari, per il riscaldamento portato dall'interazione tra il Mar Mediterraneo e le masse d'aria provenienti da ovest o da sud-ovest. La Liguria, infatti, vede molto più raramente la neve rispetto alle altre regioni settentrionali, con la zona di Genova e quella di Savona più favorite grazie agli effetti della tramontana scura rispetto al resto della regione. Da sottolineare che nelle pianure di Emilia e Basso Piemonte spesso nevica anche durante ciclogenesi fredde (ovvero minimi di bassa pressione provocati da discese di aria fredda provenienti dall'Europa settentrionale o orientale) che richiamano venti da Nord-Est con marcato effetto stau contro l'Appennino Settentrionale.

In Italia centrale le nevicate sono più probabili a quote pianeggianti lungo il versante adriatico (dove comunque si presentano ogni anno), per effetto stau durante la discesa di sistemi perturbati di origine artica o scandinava. Il versante tirrenico di Toscana e Lazio è raramente interessato da precipitazioni nevose in pianura e lungo le coste, che sono possibili solo in caso di flusso di aria artica continentale o marittima molto gelida verso il Mediterraneo attraverso la porta del Rodano, oppure a seguito del transito di sistemi frontali che seguono intensissime ondate di gelo (1956, 1985) scorrendo sopra il cuscino freddo precedentemente formatosi al suolo.

L'Italia meridionale può essere interessata da fenomeni nevosi in pianura durante la discesa di intensi nuclei di aria fredda, che colpiscono soprattutto il basso Adriatico (in Abruzzo, in Molise, nelle coste di Bari e della provincia di Foggia) e lo Jonio; se tali perturbazioni artiche sono associate ad una depressione tirrenica, può nevicare anche lungo le coste tirreniche di Campania, Calabria e Sicilia (in quest' ultima regione sono preferibili minimi sullo Ionio). Per quanto riguarda la Sardegna invece, le nevicate a quote molto basse si verificano durante le discese di nuclei di aria artica (marittima e continentale) e di aria polare continentale, associate a vortici di bassa pressione. Per le zone centro-occidentali dell'Isola, le configurazioni ideali per le nevicate si hanno durante le irruzioni di aria gelida dalla Valle del Rodano accompagnate da venti molto freddi di Ponente e Maestrale; se le temperature in quota sono particolrmente basse e le precipitazioni sono sufficientemente intense da rovesciare adeguatamente al suolo l'aria fredda presente alle alte quote, allora le nevicate possono spingersi sino al piano e sulle zone costiere. La parte orientale insulare, invece, risulta essere maggiormente favorita in termini di nevicate, dalle avvezioni di aria gelida da nord-est di origine continentale, convogliate sull'Isola dai venti di Grecale, che in certi casi favoriscono le nevicate anche su tutto il litorale orientale, oltre che nelle zone interne. Risultano più rare, invece, le configurazioni in grado di far nevicare lungo le coste della Sardegna meridionale e ancor più lungo le coste meridionali della Sicilia.

Precipitazioni nevose medie annue

In base alle mappe sulla nevosità in Italia[17], va segnalato che l'accumulo totale medio annuo è compreso tra 0 e 5 cm su gran parte della Sardegna e della Sicilia, lungo le coste della Versilia, nel medio-basso Valdarno, in parte della Maremma grossetana e laziale, nell'Agro Pontino e lungo parte delle coste calabresi, lucane e salentine.

Un accumulo totale medio annuo compreso tra i 5 e i 20 cm interessa le pianure dell'Italia nord-orientale(da un massimo di 15cm a Vicenza al 7cm di Udine), la riviera ligure, la Toscana centrale, l'Umbria occidentale, le zone interne fino alle quote collinari di Lazio, Basilicata e Puglia, gran parte delle pianure e delle coste della Campania, l'intero tratto litoraneo dell'Abruzzo, del Molise, parte delle coste calabresi e pugliesi e alcune aree interne della Sardegna e della Sicilia.

Accumuli medi annui tra i 20 e i 50 cm si verificano nelle pianure dell'Italia nord-occidentale, Lombardia compresa, nelle valli alpine, nelle aree pianeggianti dell'Emilia-Romagna in prossimità dell'Appennino, lungo la fascia costiera e nell'immediato retroterra di Marche e lungo tutta la dorsale appenninica a quote di transizione tra l'alta collina e la montagna; rientrano in questa media anche le vette più alte della Sardegna.

Per quanto riguarda le aree montuose la nevosità aumenta con la quota e soprattutto con l'esposizione alle correnti umide mediterranee e balcaniche. A parità di quota le aree dove si hanno maggior nevosità media sono le prealpi tra il Biellese, le Orobie e le Prealpi Giulie, le testate delle grandi valle alpine cioè Val d'Ossola e Spluga e le Alpi Giulie e Marittime. Per quanto riguarda l'Appennino le aree più nevose sono in generale quelle dell'appennino Tosco-Emiliano e del versante Adriatico, in particolare tra i Monti Sibillini e il Matese, e poi i massicci esterni alla catena più prossimi al mare (Pollino, Etna). A una quota media di 1500 metri cadono dai 120 ai 200 cm sulle Alpi Occidentali, 130/300 cm sulle Alpi Centrali, 70/190 cm sulle Alpi del Trentino-Alto Adige e tra i 250 e i 400 cm sulle Alpi Giulie e sulle Carniche. Nell'Appennino, alla stessa quota, cadono in media dai 100 ai 350 cm di neve nelle zone più esposte[18]

Durata media del manto nevoso

In base alle mappe sulla nevosità in Italia[17], la durata media del manto nevoso compresa tra 0 e 1 giorno interessa gran parte della Sardegna e della Sicilia, la Riviera di Ponente, l'intera fascia costiera occidentale e le corrispondenti pianure dalla Toscana fino alla Calabria, le coste joniche di Calabria, Basilicata e Puglia e quelle del basso Adriatico tra Santa Maria di Leuca e Brindisi.

Durate medie tra 1 e 10 giorni interessano gran parte delle aree pianeggianti interne e collinari delle isole maggiori e dell'Italia peninsulare, la fascia costiera della Riviera di Levante, l'intero versante adriatico tra Brindisi e Trieste e parte delle aree pianeggianti della Lombardia sud-orientale e dell'Italia nord-orientale.

Durate medie tra i 10 e i 25 giorni interessano nelle aree pianeggianti più interne e le zone pedemontane dell'Italia nord-orientale, le pianure dell'Italia nord-occidentale, gran parte della dorsale appenninica e delle zone prealpine; valori medi fino a 100 giorni si registrano sulle vette più alte dell'Appennino settentrionale, della Sila e dell'Etna, valori medi fino a 200 giorni si verificano sulle cime più elevate dell'Appennino abruzzese e dell'arco alpino, dove può essere superato questo limite massimo sulle più alte cime della Valle d'Aosta e dell'Alto Adige.

Valori estremi

Lo spessore massimo di neve al suolo, pari a 1125 cm, fu misurato a fine marzo del 1951 presso il Lago d'Avino (2240 m.) in alta Val Cairasca[19]. Gli spessori più elevati registrati in centri abitati si aggirano attorno ai 4 o 5 metri, ad esempio i 415 cm misurati a Gressoney-La-Trinité il 3 febbraio 1986[20] oppure i 570 cm misurati a Roccacaramanico[18]. La più intensa nevicata in 24 ore si misurò tra il 29 ed il 30 dicembre 1917 a Gressoney-La-Trinité dove caddero 198 cm di neve fresca[20], notevoli furono anche i 181 cm caduti a Roccacaramanico il 15 gennaio 1951[18].

Eliofania e radiazione solare globale

  Lo stesso argomento in dettaglio: Eliofania in Italia e Radiazione solare globale in Italia.
 
Mappa dell'eliofania media annua in Italia

In base alle carte sull'eliofania [5][21] e sulla radiazione solare globale [22] in Italia, le aree che presentano i valori maggiori sono le coste della Sardegna, la fascia costiera occidentale e meridionale della Sicilia, tutta la Puglia a sud di Bari e le fasce costiere dell'Arcipelago Toscano meridionale: tutte queste zone presentano valori superiori alle 2600 ore di sole all'anno, con una media superiore alle 7 ore giornaliere.

Ricevono mediamente tra le 2400 e le 2600 ore di sole all'anno (tra le 6,5 e le 7 ore giornaliere) la fascia costiera settentrionale ed orientale della Sicilia, le zone più interne della Sardegna, l'intero litorale occidentale peninsulare a sud di Livorno, comprese le aree pianeggianti e collinari dell'entroterra, il litorale jonico tra Calabria e Basilicata, le zone interne della Lucania, le coste adriatiche di Molise e l'intera Puglia settentrionale.

Valori tra 2200 e 2400 ore di sole all'anno (tra le 6 e le 6,5 ore giornaliere) si registrano nelle aree più interne della Sicilia, in alcuni tratti del litorale jonico calabrese e nelle corrispondenti zone interne, lungo le coste adriatiche dell'Abruzzo, in Liguria, Versilia, zone interne della Toscana settentrionale ed orientale, in Umbria e nell'entroterra del Basso Lazio e della Campania.

Tutte le altre zone a nord della linea immaginaria trasversale obliqua, tracciata tra la città di Genova e il confine tra Marche e Abruzzo, fanno registrare valori medi annui che non raggiungono le 2200 ore, ovvero inferiori alle 6 ore giornaliere.

I valori medi annui più elevati nella rete di stazioni piranometriche relativi alla radiazione solare globale sono superiori ai 18 MJ/mq ed interessano la parte meridionale e l'estremità sud-orientale della Sicilia.

Valori medi annui compresi tra i 16 e i 18 MJ/mq si registrano su gran parte della Valle d'Aosta, sull'estremità occidentale alpina del Piemonte, sull'isola di Pianosa, sulle aree costiere e sublitoranee del medio e Basso Lazio, sulla Puglia centro-meridionale, sulla Calabria, sulla Sardegna e su gran parte della Sicilia (comprese le isole di Ustica, Pantelleria e Lampedusa.

Valori medi annui compresi tra i 14 e i 16 MJ/mq interessano la Liguria di ponente, gran parte della Toscana e del Lazio centro-settentrionale, gran parte delle Marche, dell'Abruzzo e del Molise, la Campania, la Basilicata, la Puglia settentrionale e la Sardegna nord-orientale.

Valori medi annui compresi tra i 12 e i 14 MJ/mq si verificano sul Piemonte centro-orientale, sulla Liguria di levante, sulla Lombardia, sul Trentino-Alto Adige, sul Veneto, sul Friuli-Venezia Giulia, su gran parte dell'Emilia-Romagna e sulla dorsale appenninica tra l'Emilia, la Toscana, l'Umbria, le Marche e il Lazio.

Valori medi annui inferiori ai 12 MJ/mq si registrano su un'area dell'Appennino Tosco-Emiliano che comprende le vette più alte.

Clima tirrenico e adriatico

La catena appenninica separa due mari, il Tirreno e l'Adriatico, di differente estensione. Per effetto dei venti, il clima di cui gode il versante tirrenico è alquanto diverso dal clima che interessa quello adriatico.

Di fatto, sul versante adriatico le piogge sono generalmente più scarse e un fenomeno analogo, ma di segno contrario, accade anche per le temperature che, a parità di latitudine, sono più basse lungo l'Adriatico (mare chiuso e poco profondo) che lungo le coste occidentali. La differenza che si riscontra nei valori termici dei due versanti tende però a ridursi, procedendo da nord verso sud. A Genova la temperatura media di gennaio risulta di oltre 4 °C più alta che a Rimini (+8,0 °C contro +3,9 °C), a Bari e a Napoli le medie invernali sono invece molto simili. Va infine rilevato che la minore azione mitigatrice dell'Adriatico si fa ancor più evidente allontanandosi dalla costa. L'influsso mitigatore di questo mare tende a ridursi in modo significativo procedendo, anche di pochissimi chilometri, verso l'interno, mentre quello del Tirreno penetra più profondamente nell'entroterra: Roma, posta ad oltre 20 km in linea d'aria dal litorale, risente ancora in pieno degli effetti mitigatori, anche se rispetto alla fascia strettamente litoranea dell'Agro Romano la pianura attorno a Roma ha valori medi lievemente più bassi e registra un numero sensibilmente maggiore di gelate notturne. Il divario tra i quantitativi annui di precipitazioni rimane invece piuttosto costante, con valori che tendono a mantenersi più alti ad ovest anche all'estremo sud della penisola italiana. L'unica eccezione interessa la fascia costiera della Maremma che registra valori pluviometrici minori rispetto alle corrispondenti aree litoranee delle Marche, grazie alle non lontane catene montuose della Corsica e dell'Isola d'Elba che deviano e/o attenuano le perturbazioni atlantiche in transito da WNW verso ESE e alla contemporanea relativa lontananza della dorsale appenninica, senza che vi siano frapposti sistemi montuosi particolarmente organizzati esposti ai venti umidi atlantici.

Cambiamenti climatici

Stazioni meteorologiche

In Italia esistono alcune migliaia di stazioni meteorologiche sparse nell'intero territorio nazionale.

Tra esse, quelle identificabili attraverso i codici WMO e ICAO sono ufficialmente riconosciute dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale, che certifica, di fatto, la correttezza delle medie climatiche calcolate generalmente con i dati rilevati nel trentennio di riferimento climatico 1961-1990, convenzionalmente fissato dalla medesima Organizzazione Meteorologica Mondiale.

Tutte le altre stazioni prive dei codici identificativi, pur non venendo ufficialmente riconosciute per le relative medie climatiche, sono fondamentali per lo studio del clima a scala ridotta, quale la prevenzione di alluvioni e l'allerta alla popolazione per l'arrivo di eventuali onde di calore o irruzioni di aria gelida.

Di seguito, è riportata la suddivisione per aree climatiche e per regione delle varie stazioni meteorologiche.


Italia nord-occidentale Italia nord-orientale Italia centrale Italia meridionale Italia insulare

Note

  1. ^ http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=13273 Classificazione dei climi della terra secondo il climatologo Köppen
  2. ^ http://www.isac.cnr.it/aerobio/aia/AIACLIM.html I climi italiani
  3. ^ http://www.ilpolline.it/clima-italia Clima d'Italia
  4. ^ http://www.i-h-g.it/clima.htm Carta climatica d'Italia
  5. ^ a b c d e f Atlante Geografico Metodico De Agostini (edizione 2001-2002). Novara, Istituto Geografico De Agostini. Pag. 85
  6. ^ Vedi a tale proposito le temperature medie annue registrate nelle stazioni meteorologiche di Trieste Barcola e di Trieste Porto
  7. ^ Nelle Pelagie, e più particolarmente a Lampedusa, si registrano i valori medi più alti d'Italia per il mese di gennaio, con una temperatura media di 13,5 °C. Cfr.a tale proposito il sito di Worldclimate: [1]
  8. ^ http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=16213 Le temperature record assolute in Italia
  9. ^ http://digidownload.libero.it/krystis/caputfrigoris/pubblicazioni/I_paesi_piu_freddi_delle_Alpi.pdf TEMPERATURE INVERNALI ESTREME NEI PAESI PIU' FREDDI DELLE ALPI a cura di Bruno Renon ARPAV
  10. ^ http://www.idrografico.roma.it/Documenti/Annali/1956/parte1/Index00000.html Pag. 26: Annale idrologico 1956: valori medi ed estremi della temperatura a Città di Castello
  11. ^ Mercalli Luca , I tempi sono maturi,CDA & Vivalda Editori.ISBN 88-7480-040-1 pag.116
  12. ^ Fonte: Meteotriveneto (URL consultato 19/1/2011)
  13. ^ http://www.eurometeo.com/italian/climate Dati climatologici medi
  14. ^ Enciclopedia monografica del Friuli-Venezia Giulia, vol.I parte prima, pag. 459
  15. ^ Apat, Annali idrologici; compartimento di Venezia,parte 1, anno 1960, pag.206
  16. ^ http://www.clima.meteoam.it Medie Clino 1961-1990 e Atlante Climatico 1971-2000
  17. ^ a b http://www.nimbus.it/liguria/rlm15/neve.htm a): Carta delle precipitazioni nevose medie annue in Italia b): Carta della durata del manto nevoso in giorni in Italia
  18. ^ a b c CARATTERI GENERALI DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIO - ALTITUDINALE DEI FENOMENI DI INNEVAMENTO in Neve e Valanghe n.60 - Aineva http://www.aineva.it/pubblica/neve60/6_fazzini.html
  19. ^ annali idrologici APAT, parte 1, anno 1951, pag. 326 http://www.annali.apat.gov.it/site/it-IT/annali/pr195101326_70723.html?cmbCompartimenti=Parma&cmbAnni=1951&cmbSezioni=1&pagina=326&Page=6
  20. ^ a b Mercalli Luca, Cat Berro Daniele, Montuschi Sofia, Atlante Climatico della Valle d'Aosta, SMS Editore. ISBN 88-900099-3-4 pag.258
  21. ^ Pinna M. (1985). L'eliofania in Italia. Mem. Soc. Geogr. It., 39 pag. 23-58
  22. ^ Lavagnini A., Martorelli S., Coretti C. (1987). Radiazione solare in Italia. Mappe mensili della radiazione globale giornaliera. Roma, CNR, Ist. Fis. Atm.

Bibliografia

  • Istituto Poligrafico dello Stato. La temperatura media dell'aria in Italia nel trentennio 1926-1955. Roma.
  • Istituto Poligrafico dello Stato. Precipitazioni mensili dei giorni piovosi nel trentennio 1921-1950. Roma.
  • C. Mennella. Il clima d'Italia nelle sue caratteristiche e varietà quale fattore dinamico del paesaggio. Vol. I. Napoli, Editrice Edart, 1967.
  • C. Mennella. Il clima d'Italia nelle sue caratteristiche e varietà quale fattore dinamico del paesaggio. Vol. II. Napoli, Fratelli Conte Editore, 1972.
  • E. Bernacca. La previsione del tempo e i climi della Terra e d'Italia. Brescia, Casa Editrice La Scuola, 1972.
  • M. Pinna. Climatologia. Torino, Utet, 1977.
  • M. Pinna. L'atmosfera e il clima. Torino, Utet, 1978.
  • G. Caroselli. Il tempo per tutti. Milano, Mursia, 2001.

Riviste e periodici

  • Aeronautica Militare: Ufficio Generale per la Meteorologia. Rivista di Meteorologia Aeronautica. Roma, pubblicazione trimestrale. ISSN 00356328
  • Istat. Annuario di statistiche meteorologiche. Roma, pubblicazione annuale.

Voci correlate

Collegamenti esterni