Storia del Regno d'Italia (1861-1946)

storia del Regno d'Italia (1861-1946)

La destra storica

Lo stesso argomento in dettaglio: Destra storica.

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.

Ritratto di Marco Minghetti

In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma.

Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La sinistra storica

Lo stesso argomento in dettaglio: Sinistra storica.
Agostino Depretis

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia.

Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

L'epoca giolittiana

Lo stesso argomento in dettaglio: Età giolittiana.
File:Giolitti1.jpg
Giovanni Giolitti

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.

Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria.

In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

L'avventura coloniale

  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale italiano.

Il Corno d'Africa

  Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano e Campagna d'Africa orientale .

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L'iniziativa fu appoggiata dai governi di sinistra di Agostino Depretis e da una compagnia private guidata da Raffaele Rubattino. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano.

Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo stato italiano cercò di occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo. Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea.

L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di Francesco Crispi. La città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo, autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del mar Rosso), alcuni sultanati (i più importanti furono gli Harar, gli Obbia, e i Zanzibar), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di un stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II.

Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, prima politicamente e poi militarmente, all'interno dell'Etiopia. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio, posto alla foce del Giuba, in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente.

 
Umberto I, Re d'Italia dal 1878 al 1900

Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di Aden con i i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su Migiurtina. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città di Lugh.

A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti, cioè “Re di Re” (“Imperatore”). Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.

La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e terminò con la sconfitta di Adua (1º marzo 1896). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo del XIX secolo. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica coloniale nel Corno d'africa continuò con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.

Dalla Sirte al Ciad

Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal mare Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba, oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad, possedimento francese.

Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello “stato liberale”, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno d'Africa.

Colonie italiane

Eritrea (1884 - 1941)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Eritrea italiana.
 
Menelik II, imperatore d'Abissinia (oggi Etiopia) dal 1889 al 1913

L'area del mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della Sinistra italiana.

Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società Rubattino nel 1870 presso la baia di Assab. Abbandonata per quasi dieci anni, fu poi acquistata dallo stato italiano agli inizi degli anni ottanta e assieme al porto di Massaua, occupato nel 1884, compose i possedimenti italiani del mar Rosso.

Con il Trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il 1º gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un Governatore e avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).

La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del 1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio, mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale, occupò ampie zone del Tigray, comprendenti la città di Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla guerra d'Etiopia.

Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.

La Somalia (1890 - 1941)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Somalia Italiana.

La prima penetrazione italiana in Somalia fu stabilita nel sud del paese africano tra il 1889 e il 1890 come protettorato. Fu dichiarata colonia nel 1905. Nel giugno 1925 la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le isole Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la prima guerra mondiale.

Tientsin, Cina (1901 - 1943)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Concessione italiana di Tientsin.

Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste impero alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankow e Pechino, furono formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947.

Libia (1911 - 1943)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Libia italiana.

Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del Trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia (durante la quale si fece ricorso ai gas asfissianti e alle deportazioni di massa).

Il Dodecaneso (1912 - 1943)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dodecaneso.

Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero Ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna, l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.

Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi.

Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il Trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.

Saseno (1914-1920)

L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia, fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva per la sua posizione strategica.

Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi nel 1941 entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947).

Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.

Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano

  Lo stesso argomento in dettaglio: Crimini di guerra italiani.

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia [1], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi[2]) alcune atrocità e crimini contro l'umanità[3][4].

L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)

L'iniziale neutralità

  Lo stesso argomento in dettaglio: Neutralità italiana (1914-1915).
 
Armando Diaz

Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto Patto di Londra.

L'accordo prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la Venezia Giulia, l'intera penisola istriana, con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia.

Per quanto riguarda i possedimenti coloniale l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania , il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).

1915

Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.

 
L'Isonzo vicino a Caporetto

Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana[5]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto.

Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra posizione simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.

1916

 
La cartolina di un soldato al fronte alla famiglia

L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla quinta battaglia dell'Isonzo che non portò ad nessun risultato. In scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in Trentino, occupando l'altopiano di Asiago. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'altopiano del Carso. Lo scontro fu chiamato battaglia degli Altipiani.

Il 4 agosto 1916 fu conquistata Gorizia che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.

Oltre la conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino.

1917

 
Un bastione eretto durante la guerra nei pressi di Plezzo

Il 18 agosto 1917 iniziò la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto territoriale né tantomeno alla conquista di postazioni strategie. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).

Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono spostate dal fronte orientale a quello occidentale.

Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Caporetto.

Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2a Armata comandato dal generale Luigi Capello. Il generale Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro[6] fu la 3a, guidata da Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.

 
Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana

La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume Tagliamento, con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di Re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al Mincio.

A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.

La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale Luigi Capello, ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un altro effetto della disfatta l'elevato malcontento nelle truppe. I disordini furono frequenti, e molti si concludevano con sommarie fucilazioni.

1918

  Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva del Piave e Battaglia di Vittorio Veneto.
 
Schema della Battaglia di Vittorio Veneto nel 1918 risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra

La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 furono chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “Ragazzi del '99”).

Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.

L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.

«La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. [...]

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.»

Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume. Quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia.

 
Il Sacrario Militare di Redipuglia

L'esercito italiano forzò comunque la linea del Trattato di Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. I cinque reparti della Marina entravano a Pola. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a Sebenico che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.

L'ultimo caduto italiano è stato il caporalmaggiore Giuseppe Pezzarossa di 19 anni appartenente alla 1º Sezione Mantova, colpito da una pallottola in fronte alle ore 15 del 30 ottobre 1918 a sud di Udine.

L'esito del conflitto

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni territori del Friuli ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero austro-ungarico (ad eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania).

 
L'Italia nel 1924, con Fiume, Zara e la sua provincia.

Inoltre al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'Oltregiuba in Somalia.

Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.[7][8][9]

Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie.

Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali acquisiti sulla Dalmazia con l'intervento a fianco degli alleati: in base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin.

Infatti, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.

Questo rifiuto degli Alleati di mantenere gli impegni sottoscritti nel Patto di Londra creò numerose tensioni nella politica italiana del primo dopoguerra, ed uno dei maggiori beneficiati fu Benito Mussolini con il suo "Fascismo".

Il Fascismo

Le origini

 
Il fascio littorio, simbolo del fascismo.

Dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria: il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun vantaggio importante all'Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate.

Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte.

Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.

Nascita del fascismo

Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.

Con la fine della Prima guerra mondiale ed essendo l'Italia risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra, che preveda l'annessione anche della Dalmazia così non fu a causa del parere contrario del presidente americano Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915.

 
Incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, il poeta attivo nella Prima guerra mondiale ed anche nella lotta per l'indipendenza di Fiume

L'Italia fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la Jugoslavia.

Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come le camicie nere e il teschio.

Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari.

Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "terza via".

Gli anni dello squadrismo

 
Roma, devastazione di una sede sindacale con falò sulla strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute (1920)

Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra civile.

Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi.

Il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti emiliani e toscani. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ras furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 45 seggi.

Marcia su Roma e primi anni di governo

 
Un momento della marcia su Roma

Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono a marciare su Roma, Mussolini diede seguito ai suoi piani insurrezionali contro il debole governo italiano: il momento pareva propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e condotto da un quadrumvirato, composto da Italo Balbo (uno dei ras più famosi), Emilio De Bono (comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi (un generale non sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito fedelissimo di Mussolini che, invece, rimase prudentemente a Milano), mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza ed effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città.

Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita.

Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.

Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia.

Il fascismo diventa dittatura

 
Giacomo Matteotti

In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.

Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso.

L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato» e quindi non intervenne.

Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del 1924 non sarà forse mai accertato. Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:

«Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

La crisi economica

 
Stemma di Stato durante il fascismo.

Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo stato.

Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei confronti di dollaro e sterlina.

Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.

La conciliazione con la Chiesa

 
I partecipante e firmatari dei Patti lateranensi

L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano.

Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla così detta legge delle Guarentigie approvata unilateralmente dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma, questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici.

Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in Italia non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.

Alla soglia del potere Mussolini affermò (giugno 1921) che «il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla vigilia della marcia su Roma informò la Santa Sede che non avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.

Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede.

Imprese propagandistiche

 
Italo Balbo

All'inizio degli anni trenta la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era profondamente asservita al fascismo.

Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931), nel 1933 il quadrumviro della marcia su Roma, Italo Balbo, organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della Regia Aeronautica (28 marzo 1923). A bordo di 25 idrovolanti SIAI-Marchetti S.55X dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a New York e ritorno attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli Stati Uniti. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.

Gli anni del consenso

Nel 1929 l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta ed orale: ad esempio chiave inglese diventò chiave morsa, cognac diventò arzente, ferry-boat diventò treno-battello pontone. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome francofono dell'Italia nord-occidentale e con nome tedescofono dell'Italia nord-orientale: secondo la toponomastica fascista, per fare un paio di esempi, Courmayeur diventò Cormaiore e Kaltern diventò Caldaro. Inoltre si scoprì che anche l'uso del lei aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del lei con il voi, capeggiata dal segretario del partito Achille Starace.

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistevano in:

  • Embargo sulle armi e sulle munizioni
  • Divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia
  • Divieto di importare merci italiane
  • Divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica

Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo mancano petrolio e i semilavorati.

In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La Germania hitleriana così come gli Stati Uniti furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La Russia rifornì di nafta l'esercito italiano per tutta la durata del conflitto, ed anche la Polonia si dimostrò piuttosto aperta.

In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La Gran Bretagna venne etichettata col termine di perfida Albione, e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un posto al sole. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché «fa male» e sostituito con il "caffè" d'orzo.

La guerra civile in Spagna

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile spagnola.
 
FIAT C.R.32 del XVI Gruppo Autonomo "cucaracha" scortano un S.M.81 in una missione di bombardamento.

Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la Falange, una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di Francisco Franco.

Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la Seconda Repubblica Spagnola erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.

L'Italia si scopre francamente razzista

Il 14 luglio 1938 il fascismo scrisse una delle pagine più vergognose della storia d'Italia: in quel giorno infatti fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il "Manifesto della razza". In questa sorta di tavola redatta da cinque cattedratici (Arturo Donaggio, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Nicola Pende e Sabato Visco) e da cinque assistenti universitari (Leone Franci, Lino Businco, Lidio Cipriani, Guido Landra e Marcello Ricci) venne fissata la «posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza».

I dieci imperativi categorici erano:

  1. Le razze umane esistono
  2. Esistono grandi razze e piccole razze
  3. Il concetto di razza è un concetto puramente biologico
  4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
  5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici
  6. Esiste ormai una pura "razza italiana"
  7. È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti
  8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli Orientali e gli Africani dall'altra
  9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
  10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo

Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle leggi razziali.

L'alleanza con la Germania Nazista

Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini dopo l'Etiopia stava cercando nuove prede per non perdere il passo dell'alleato d'oltralpe.

La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati Tirana fu conquistata.

Il 22 maggio tra Germania e Italia venne firmato il Patto d'acciaio. Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia in una alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per l'Italia, definì il patto una «vera e propria dinamite»

L'Impero

  Lo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana.
 
L'Impero coloniale italiano nel 1940, nel momento di massima espansione.

A partire dal 1926-27 l'Albania entrò gradualmente nella sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del 1939 fu occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano Vittorio Emanuele III.

Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in Etiopia, divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a Ual Ual, nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato etiopico.

Mussolini, quindi, nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esterni francese, Pierre Laval per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.[10] Pochi mesi più tardi la società delle nazioni riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a Cagliari non erano soddisfatti.

Il 2 ottobre del 1935, poi Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia (Guerra d'Etiopia) e il giorno successivo iniziarono le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di De Bono, che da quelle somale, sotto al guida di Graziani. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana[11]. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine. A novembre Pietro Badoglio sostituì De Bono e il 7 maggio 1936 l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. Vittorio Emanuele III assunse infatti il titolo di “Imperatore d'Etiopia”.

La guerra d'Etiopia e la nascita dell'Impero

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'Etiopia.

Il fascismo cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma Mussolini non volle inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto.

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti).

Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

Le colonie durante il fascismo

 
Vittorio Emanuele III, Re d'Italia dal 1900 al 1946 ed Imperatore d'Etiopia dal 1936 al 1943

Durante il fascismo l'Eritrea fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. La colonia Eritrea venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1941 la colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale Italiana, dalle truppe britanniche.

All'inizio della seconda guerra mondiale, nel maggio 1940 le truppe italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana. Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il Somaliland. Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria decennale nel 1950.

Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano per indicare quei territori. L'Italia perse il controllo sulla Libia, quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel 1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla Gran Bretagna fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel 1951.

Negli anni venti e trenta l'amministrazione del dodecaneso da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di una minoranza turca ed ebraica. Nel settembre 1943 dopo l'Armistizio di Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il Trattato di Parigi (1947), gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.

Durante il regime fascista fu ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a Eritrea, Somalia, Libia, dodecaneso e la concessione di Tientsin, entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata Etiopia, l'Albania.

Etiopia (1936 - 1941)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero Italiano d'Etiopia.

L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal generale Pietro Badoglio dopo la guerra del 1935-1936. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.

Con la conquista dell'Etiopia, i possedimenti italiani in africa orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il nome di Africa Orientale Italiana A.O.I., e posti sotto il governo di un Viceré.


L'Etiopia fu la colonia italiana, insieme all'Eritrea, più interessata dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano. Tuttavia, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.

Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941. Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto Negus, Haile Selassie, esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.

Albania (1939 - 1943)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione italiana del Regno di Albania.

L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della Pace di Parigi (1919). Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si rifugiò a Londra.

Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da Shefqet Verlaci. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.

Nel 1941 vennero uniti all'Albania il Kosovo, alcune piccole aree del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori già iugoslavi).

La resistenza contro l'occupazione italiana inizió nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel 1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini, il controllo sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.

L'Italia nella Seconda guerra mondiale (1940-1945)

1940

Nel 1940 l'Italia fu alleata con la Germania nazista nella Seconda guerra mondiale contro Francia e Regno Unito, dichiarando nel 1941 guerra alla Unione Sovietica e con l'Impero giapponese agli Stati Uniti d'America. Mussolini credeva infatti in una guerra lampo a favore della Germania di Hitler da cui poter trarre vantaggi come alleato. Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò quindi in guerra. I primi scontri ebbero luogo il 21 giugno sulle Alpi, contro la Francia, ormai attacatta dai tedeschi con la tattica del blitzkrieg, che portò allo stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di Nizza. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni nell'Africa. Il 3 agosto venne attaccata la Somalia britannica, che venne conquistata il 19 agosto. Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale Rodolfo Graziani attaccarono gli inglesi stanziati in Egitto e si spinsero fino a Sidi el Barrani. Nello stesso momento lo stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in Grecia. Più volte bloccati dalla Germania durante l'estate nell'ottobre del 1940 gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in Albania. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della Corazzata Cavour e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al porto di Taranto. Intanto la situazione peggiorò anche in Africa.

 
La corazzata Cavour parzialmente affondata nella Notte di Taranto dall'aviazione inglese

Gli insuccessi in Grecia portarono poi, il 4 dicembre alle dimissioni dal ruolo di capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio, che venne sostituito dal generale Ugo Cavallero. Pochi giorni dopo, tra il 10 e l'16 dicembre gli inglesi iniziarono un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi Sidi el Barrani e la Baia di Sollum.

1941

Nel febbraio 1941 gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in Egitto penetrando anche in Libia nella regione della Cirenaica. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il 20 maggio con la resa del Duca d'Aosta dopo la battaglia sull'Amba Alagi. In questa occasione all'esercito italiano fu reso l'onore delle armi da parte dei britannici. Nel marzo ripresero poi le operazioni in Grecia, ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della Guerra parallela, così chiamata da Mussolini.[12] Nell'aprile, quindi gli sforzi militari italiani si diressero verso la Jugoslavia al fine di anticipare i nazisti, senza ottenere grandi risultati. L'11 aprile i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo stato fascista di mettere nominalmente a capo dello stato croato un rappresentante di casa Savoia. L'influenza italiana si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato Ante Pavelic, l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della Croazia.[13]

L'intervento tedesco nei Balcani fece rinviare la campagna in Russia, in quanto i nazisti avevano interesse a proteggere dagli inglesi gli stati satelliti. Nel giugno 1941, comunque venne intrapresa la campagna militare, con l'Operazione Barbarossa. Il governo italiano decise un'ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il CSIR al comando del generale Giovanni Messe. Contemporaneamente l'arrivo di Erwin Rommel in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a Malta fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.

1942

 
I granatieri difendono Roma il 9 settembre del 1943

Nel 1942 le operazioni italiane si concentrarono in Unione Sovietica e Africa. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche Stalingrado, mentre nel nord Africa Rommel si spinse in Egitto, conquistò varie città, più importante delle quali Tobruch, facendo prigionieri molti inglesi, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò ad una sconfitta nella battaglia di El Alamein, che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto ed i campi petroliferi del Medio Oriente. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni Ariete e Littorio che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.

La situazione peggiorò poi anche in Russia con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'ARMIR,[14] ex CSIR. Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre 1942 cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.

1943

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Sociale Italiana.
 
Lo sbarco americano a Gela nel contesto dell'Operazione Husky
 
1943: due donne, nell'Italia meridionale, che trasportano brocche d'acqua sulla testa

Le sconfitte sia sul fronte africano che su quello russo causarono in Italia vari scioperi e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. Intanto, in Africa, proseguì la resistenza delle truppe italiane, mentre in Russia procedeva la ritirata. A maggio venne presa Tunisi, ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di Lampedusa e Pantelleria, dando inizio all'Operazione Husky.

Le difficoltà militari colpirono anche Mussolini. Il 24 luglio si riunì il Gran Consiglio del Fascismo e il mattino seguente il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con Pietro Badoglio. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini venne arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il duce viene portato a Ponza, in carcere. Successivamente fu trasferito a La Maddalena e sul Gran Sasso. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio annunciò il continuo della guerra a fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente stava trattando l'armistizio con gli Alleati, che venne firmato il 3 settembre e reso pubblico l'8.

Il giorno successivo il re e Badoglio fuggirono da Roma, andando in Puglia, sotto la protezione di inglesi e americani. Sempre in questi giorni le truppe italiane, che non avevano ordini precisi (e nella coscienza popolare l'8 settembre viene ricordato come il giorno del "Tutti a casa"), vennero catturate dai soldati tedeschi e molti componenti dell'esercito finirono prigionieri.

Il 12 settembre un reparto speciale tedesco liberò Mussolini, che venne incaricato di formare un nuovo regno nel nord Italia.

Il Paese si trovò così diviso in due: il Regno del Sud a fianco degli alleati contro la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, formata dai reduci fascisti. Di fatto, erano entrambi due stati-fantoccio, rispettivamente degli anglo-americani e dei tedeschi. In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni partigiane, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera; tutte le formazioni si schierarono contro i fascisti, responsabili della guerra, ma non tutte contro la monarchia. Gli stessi partigiani si divisero, dando inizio così alla guerra civile italiana.

Nascita dei partigiani

  Lo stesso argomento in dettaglio: Brigata partigiana.

I partigiani della resistenza italiana si divisero in tre grandi gruppi:

  • i partigiani azzurri
  • i partigiani rossi
  • i partigiani verdi

Gli altri gruppi minori furono le Brigate bianche e le Brigate Matteotti.

Tutte le formazioni partigiane riconobbero, nella diversità dei loro ideali (da ex-ufficiali a comunisti, da cattolici a monarchici), l'obiettivo comune di cacciare dalla Penisola Mussolini ed il fascismo, considerati i responsabili del disastro che aveva colpito la nazione.

La Resistenza

  Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza Italiana.

Con un paese troncato in due, occupato da diversi eserciti impegnati in una lotta all'ultimo sangue, gli italiani si ritrovarono in una posizione decisamente difficile.

Nel Sud, la situazione era leggermente migliore perché gli anglo-americani lasciarono un minimo di libertà alle popolazioni, seppur litigando continuamente sulle azioni da intraprendere nei confronti del paese a guerra finita.

Al Nord, la situazione era difficile ed ingarbugliata: da un lato c'era uno stato fantoccio della Germania nazista (la Repubblica Sociale Italiana), che di libertà non ne lasciava neppure a Mussolini, dall'altro i partigiani, che al di là delle ideologie, lottano per l'obbiettivo comune che era la fine del fascismo prima e della guerra poi. Ma quando questi si trovarono a combattere contro altri italiani, mandati da Mussolini a fianco dei tedeschi per frenare l'avanzata alleata, nacque una vera e propria guerra civile che ha avuto forti strascichi anche molti anni dopo la fine della guerra.

Sicuramente, è indubbio che chi combatté nelle file della Repubblica Sociale Italiana era dalla parte dei nazisti, ma bisogna ricordare che, di quei giovani, molti non avevano semplicemente "aderito" al fascismo ma vi erano "nati" dentro. Non avevano mai conosciuto altro regime che quello fascista, e si trovarono, così, plasmati dalla propaganda nera, e dunque senza scelta. È in quest'ottica che si parla di "Guerra Civile".

1944

 
Umberto di Savoia, "Luogotenente del Regno" dal 5 giugno 1944. Fu Re d'Italia dal 9 maggio 1946 al 13 giugno dello stesso anno

L'11 gennaio 1944 furono fucilati a Verona, dopo un drammatico processo pubblico, degli ex gerarchi fascisti Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, a seguito della condanna a morte che il tribunale decretatò a tutti coloro che il 25 luglio 1943 avevano votato la sfiducia a Mussolini nell'ordine del giorno proposto da Dino Grandi al Gran Consiglio del Fascismo.

Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani sbarcarono nell'Italia centrale, nella zona compresa tra Anzio e Nettuno. L'attacco, comandato dal maggior generale John P. Lucas, aveva lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla Linea Gustav e di liberare Roma. La lunga battaglia che ne derivò è comunemente conosciuta come battaglia di Anzio.

Il 24 marzo i nazisti compirono l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Fu un massacro, eseguito a Roma ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per un attacco eseguito da partigiani contro le truppe germaniche ed avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili.

Nel maggio 1944 si accresce la sottomissione della Repubblica Sociale Italiana nei confronti della Germania nazista. Il Trentino-Alto Adige, la provincia di Belluno e Tarvisio sono annesse al Terzo Reich.

Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nomina il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedono di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercita di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimane a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a Salerno.

1945

Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 ed il 1945 in primavera gli alleati poterono lanciare l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la linea gotica portando gli alleati alla liberazione il 21 aprile 1945 di Bologna. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il 25 aprile, questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la liberazione.

Le truppe nazi-fasciste capitolarono il 29 aprile 1945, ed il 2 maggio il comando tedesco firmò a Caserta la resa delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI.

Epilogo del conflitto e costo della guerra

Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il consistente contributo delle forze partigiane, formate da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi ed anziani, e con un forte supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti.

La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i combattimenti risalendo la penisola ed i bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi a cumuli di macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe angloamericane, ad eccezione dell'area triestina che venne velocemente occupata dai partigiani titini per un periodo di sei mesi, ritirandosi solo a seguito di un ultimatum alleato. Durante questo periodo i partigiani jugoslavi massacrarono le minoranze etniche italiane presenti nell'Istria e, per nascondere il crimine, gettarono gli innumerevoli cadaveri nelle foibe carsiche.

Il numero di italiani morti a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili) [15] e 443.000 morti [16], stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di 43.800.000 persone si arriva conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani.

Dalla fine della guerra fino agli anni cinquanta avvenne anche l'esodo istriano durante il quale circa gran parte della popolazione di lingua italiana (in quantità stimata tra un minimo 200.000 e un massimo 350.000 persone, [17]) abbandonò i territori istriani e dalmati, occupati dagli jugoslavi, rifugiandosi come profughi in Italia.

L'Italia repubblicana

Nascita della repubblica

Dopo la fine della guerra in Italia lo scontento popolare, soprattutto nell'Italia settentrionale, nei confronti della monarchia, in particolare, di Vittorio Emanuele III era elevatissimo. Questi tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del figlio Umberto II, tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana; in contemporanea vennero eletti i delegati all'Assemblea Costituente. Per la prima volta in Italia, per questa occasione, anche la donne ebbero il diritto al voto.

Il 1 luglio Enrico de Nicola viene nominato il primo Presidente della Repubblica Italiana.

File:AlcideDeGasperi.jpg
Alcide De Gasperi

Il primo Presidente del Consiglio dei ministri fu Alcide De Gasperi, della Democrazia cristiana e, salvo poche eccezioni, dal 1946 al 1993 la Presidenza del Consiglio fu democristiana. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'Assemblea Costituente con Giuseppe Saragat alla presidenza e la nuova costituzione repubblicana entrò in vigore il 1º gennaio 1948.

Nel frattempo erano stati firmati nel 1947 i Trattati di Parigi con i quali formalmente e definitivamente fu siglata la pace con le potenze alleate e vennero sancite le conseguenze dell'ingresso e sconfitta nella Seconda guerra mondiale, con mutilazioni nazionali territoriali: l'Istria e la Dalmazia cedute alla nascente Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, il Dodecaneso alla Grecia, il colle di Briga ed il colle di Tenda alla Francia, l'Isola di Saseno all'Albania, il pagamento dei danni di guerra alla URSS e la perdita di tutti i possedimenti coloniali italiani.

Tuttavia questo fu un periodo particolarmente felice per la letteratura italiana ed ancor di più per il cinema con la nascita del neorealismo.

Gli anni della ricostruzione

  Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte dell'Uomo Qualunque, Piano Marshall, Legge truffa e Legge Merlin.

(Indicativamente dal 1946 al 1958).

 
Poster del Piano Marshall

In questi anni si tentò di riparare i danni provocati prima dal fascismo e poi dalla guerra. L'Italia diventò un grande cantiere, anche grazie agli aiuti del Piano Marshall. In contemporanea si verificarono evoluzioni nella politica e nel costume.

Nel 1949 l'Italia aderì alla NATO (North Atlantic Treaty Organization).

Nel 1950 nacque la Cassa del Mezzogiorno, con l'obiettivo di colmare il divario economico tra il nord ed il sud del Paese (la cosiddetta Questione meridionale era ormai riconosciuta).

Nel 1954 fu firmato il Memorandum di Londra con il quale il Territorio libero di Trieste veniva suddiviso in due zone, una assegnata all'Italia ed una alla Jugoslavia.

Nel 1955 l'Italia venne ammessa alle Nazioni Unite. Il 1957 vide anche la nascita della Comunità Economica Europea, il primo passo verso la realizzazione dell'Unione Europea.

Gli anni del "miracolo economico"

  Lo stesso argomento in dettaglio: Strage del Vajont.

(Indicativamente dal 1958 al 1963).

In questi anni l'economia italiana, insieme alla società ed alla famiglia, fu trasformata dal cosiddetto miracolo economico.

L'unità nazionale italiana si stava consolidando, ma persistevano episodi di separatismo, tra i quali fu la Notte dei fuochi del 1961 in Alto Adige.

Nel 1961, avvennero le celebrazioni del centenario dell'unificazione italiana: il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy disse: "Tutti noi, nel senso più vasto, dobbiamo qualcosa all’esperienza italiana. È un fatto storico straordinario: ciò che siamo e in cui crediamo ha avuto origine in questa striscia di terra che si protende nel Mediterraneo. Tutto quello per la cui salvaguardia combattiamo oggi ha avuto origine in Italia, e prima ancora in Grecia. (...) Il Risorgimento, da cui è nata l’Italia moderna, come la Rivoluzione americana che ha dato le origini al nostro Paese, è stato il risveglio degli ideali più radicati della civiltà occidentale: il desiderio di libertà e di difesa dei diritti individuali. Lo Stato esiste per proteggere questi diritti, che non ci vengono grazie alla generosità dello Stato. Questo concetto, le cui origini risalgono alla Grecia e all’Italia, è stato, secondo me, uno dei fattori più importanti nello sviluppo del nostro Paese. (...) Per quanto l’Italia moderna abbia solo un secolo di vita, la cultura e la storia della penisola italiana vanno indietro di oltre duemila anni. La civiltà occidentale come la conosciamo oggi, le cui tradizioni e valori spirituali hanno dato grande significato alla vita occidentale in Europa dell’Ovest e nella comunità Atlantica, è nata sulle rive del Tevere"[18].

Le cifre del miracolo economico

Tra il 1958 e il 1963 l'economia italiana, ma anche la società e le famiglie italiane si trasformarono completamente in seguito al cosiddetto miracolo economico.

In questi anni il Prodotto interno lordo, che fino al 1958 era cresciuto in media del 5.5%, crebbe nei sei anni successivi del 6.3%. Tale crescita rappresentò un record nella storia del paese. Il reddito pro-capite passò da 350000 lire a 571000 lire. Tra il 1958 e il 1959 gli investimenti lordi crebbero del 10% e tra il 1961 e il 1962 l'incremento fu del 13%. Questi numeri ridussero sensibilmente il divario storico con i grandi Paesi europei: Inghilterra, Germania e Francia.

La crescita del reddito pro capite produsse l'aumento dei consumi individuali che registrarono una crescita media di cinque punti percentuali l'anno. La domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc. ) raggiunse una crescita annua pari al 10.4%.

Importanti cambiamenti ci furono anche nell'alimentazione, grazie alla diffusione del frigorifero, che permettendo una prolungata conservazione del cibo modificava anche le abitudini della spesa quotidiana degli italiani. Questo elettrodomestico fino al 1955 rappresentava un bene di lusso; dieci anni dopo il frigorifero era presente nel 30% delle case degli italiani. Come gli elettrodomestici, anche le automobili e le motociclette divennero beni accessibili per un gran numero di italiani. Si affermarono marchi come: Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Autobianchi, Gilera, e Piaggio.

L'industria registrò una crescita pari all'84% tra il 1953 e il 1961. A testimonianza di tale crescita può essere considerato questo dato: nel 1947 Candy produceva una lavatrice al giorno, nel 1967 una ogni 15 secondi. La produzione industriale raggiunse tali livelli sia grazie alle nuove tecnologie di produzione che arrivavano in gran parte dagli Stati Uniti, sia anche grazie ad una manodopera con bassi salari.

L'elevata disponibilità di manodopera era dovuta ad un forte flusso di migrazione dalle campagne alle città e dal sud verso il nord. Chi si trasferiva, dal sud al nord o dalle campagne verso le città, spesso si trovava in condizioni economiche disperate. Tali condizioni portavano ad accettare condizioni di lavoro pesanti e mal retribuite.

All'aumento dell'industrializzazione si verificò la diminuzione del peso delle attività agricole nel bilancio globale dell'economia del paese. Tra il 1954 e il 1964 in tutta Italia vi fu una diminuzione di 3 milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. Il peso dell'agricoltura si ridusse del 10.8% del Prodotto interno lordo.

 
Antonio Segni inaugura l'Autostrada del Sole, il 4 ottobre 1964, a bordo della Lancia Flaminia 335 presidenziale.

Questo notevole sviluppo fu possibile anche grazie all'intervento dello Stato nell'economia che intervenne con politiche economiche di stampo Keynesiano. L'intervento del governo avvenne soprattutto attraverso l'aumento della spesa pubblica e la creazione di società a partecipazione statale. Fondamentale fu l'intervento dello Stato nella realizzazione di alcune infrastrutture necessarie per lo sviluppo del mercato. In tale ambito un importante ruolo fu ricoperto dall'IRI [19] che intervenne sostanzialmente nella costruzione della rete autostradale (costituì la Società Autostrade) e nel potenziamento del settore dei trasporti, sia automobilistico, sia navale e aereo (costituzione dell'Alitalia).

Infine, contribuì alla crescita dell'Italia un fattore esterno, cioè, la creazione del Mercato comune europeo (MEC), preceduta dalla creazione nel 1951 della Comunità europea del carbone e dell'acciaio e la creazione della CEE nel 1957, a cui l'Italia aderì immediatamente. Con la creazione del MEC vi fu l'apertura delle frontiere europee ai commerci, col conseguente aumento delle esportazionie scambi commerciali europei.

Il boom economico provocò, anche, l'aumento del divario economico tra il nord e il sud d'Italia. Il tentativo di ridurre tale squilibrio con la Cassa per il Mezzogiorno non diede risultati soddisfacenti.

In conclusione c'è da dire che, grazie al miracolo economico, l'Italia uscì dall'arretratezza in cui versava. Tuttavia un prezzo alto fu pagato soprattutto da chi, per vivere, fu costretto ad abbandonare la propria terra d'origine per trasferirsi nelle grandi città industriali.

Il sessantotto e la contestazione

  Lo stesso argomento in dettaglio: Il Sessantotto e La contestazione.

(Indicativamente dal 1963 al 1969).

In seguito al boom economico la stratificazione sociale della popolazione era cambiata, l'urbanizzazione creata dai flussi migratori interni aveva aumentato la concentrazione della popolazione, esisteva ormai un ceto medio e si cominciava a delineare un prototipo di italiano medio.

Nel 1964 la giovane Repubblica italiana rischiò un colpo di stato con il Piano Solo.

 
Lavagna in una scuola occupata 1968

Il 1968 vide l'Italia trasformarsi radicalmente sul piano sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e il sorgere di movimenti radicali, soprattutto comunisti, di giovani e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale e particolarmente alla scuola.

Il dualismo dei termini rispecchia la tendenza italiana ad indicare gli eventi con date. Ciò che fuori d'Italia fu contestazione in Italia viene solitamente definito 68.

Gli anni settanta

  Lo stesso argomento in dettaglio: Anni di piombo.
 
Aldo Moro e Amintore Fanfani, definiti i due "cavalli di razza" della Democrazia cristiana.

Negli anni settanta alcuni dei numerosi movimenti politici, sorti negli anni precedenti, si estremizzarono e degenerarono nel terrorismo rosso (le Brigate Rosse), accompagnato da quello nero (i gruppi neofascisti come i NAR).

Il golpe Borghese

L'8 dicembre 1970 ci fu ancora un tentativo di colpo di stato da parte dell'estrema destra, il Golpe Borghese, organizzato da gruppi neofascisti capitanati da Junio Valerio Borghese, ex pezzo grosso della Repubblica Sociale Italiana. Il golpe venne progettato nei minimi dettagli: gli uomini di Borghese avrebbero dovuto occupare il Ministero dell'Interno, il Ministero della Difesa e le sedi della RAI e rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il capo della polizia Angelo Vicari; i golpisti avevano anche l'appoggio di organi eversivi ed occulti come la mafia siciliana e la loggia massonica P2.

Mentre però l'operazione stava iniziando, Borghese annullò l'azione misteriosamente, sancendo il fallimento del golpe.

Le Brigate Rosse

Nell'estrema sinistra rimasero tristemente celebri le Brigate Rosse, dette anche BR, che, sviluppatesi principalmente a Milano e nel Nord Italia, rapirono, gambizzarono o uccisero numerosi esponenti del mondo culturale e politico italiano considerati "reazionari"; l'episodio più eclatante si ebbe nel 1978 quando rapirono e assassinarono il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, proprio nel momento in cui il Presidente del Consiglio incaricato, Giulio Andreotti, stava tentando di far nascere un governo con l'appoggio del PCI; l'omicidio e il rapimento gettarono l'Italia intera nello scompiglio e nel caos, accelerando il lavoro delle forze dell'ordine, che, grazie ad innovativi metodi di indagine, riuscirono ad arrestare i capi delle Brigate Rosse, determinandone la fine.

Verso la fine degli anni settanta lo Scandalo Lockheed anticipava un degrado della politica che negli anni successivi avrebbe portato a svariate inchieste giudiziarie.

Gli anni ottanta

  Lo stesso argomento in dettaglio: Accordo di villa Madama.
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Bettino Craxi nel 1979

Cominciano quelli che Montanelli chiamerà anni di fango.

Il 2 agosto 1980, alcuni terroristi neofascisti piazzarono una valigia carica di esplosivo alla Stazione di Bologna, facendola esplodere. Questo attentato fu uno degli atti terroristici più gravi del dopoguerra in Italia, con un bilancio di 85 morti e 200 feriti.

Inoltre vi fu la scoperta, all'inizio degli anni ottanta, della loggia massonica P2 che mise in nuova luce molti dei misteri italiani. Il presidente del consiglio Arnaldo Forlani si dimise per lo scandalo che seguì.

In questi anni ci fu anche un declino del potere dei sindacati e del PCI. Crebbe la disaffezione dei cittadini per la politica.

Dal punto di vista sociale furono gli anni del riflusso, con un ritorno delle persone dalle piazze al privato. Aumentò, in altre parole, l'individualismo, unito al consumismo in un edonismo consumista.

Nel febbraio 1984 il Presidente del Consiglio Bettino Craxi firmò con il Vaticano un protocollo aggiuntivo ai Patti lateranensi del 1929. Tale protocollo verrà ratificato dalla legge 206 del 1985.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 ebbe ripercussioni anche in Italia, assumendo il significato di un crollo ideale dell'alternativa al capitalismo. L'anno successivo il PCI deliberò il proprio scioglimento, costituendo una nuova forza politica che abbandonava la tradizione comunista, il Partito Democratico della Sinistra. Una minoranza del partito, contraria al cambio di linea, costituì invece il Partito della Rifondazione Comunista.

Seconda Repubblica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda Repubblica (Italia).

Mani pulite

  Lo stesso argomento in dettaglio: Tangentopoli.

Nel 1992 le indagini di Mani pulite sul fenomeno dilagante delle tangenti (lo scandalo venne chiamato "Tangentopoli"), portarono al coinvolgimento di numerosi esponenti nazionali e locali di tutto il pentapartito, che alle elezioni amministrative del 1994 fu duramente punito dall'indignazione degli elettori. Lo scandalo decretò la fine dei tradizionali partiti di governo: il Partito Socialista Italiano collassò sotto il peso delle accuse giudiziarie, la Democrazia Cristiana si sciolse nel gennaio del 1994, mentre i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali agonizzavano o chiudevano la loro parabola politica.

La stagione delle stragi e la lotta alla mafia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Vespri siciliani e Collusioni tra politica e mafia.

Dagli anni del secondo dopoguerra fino ad oggi, Cosa nostra, la più potente organizzazione criminale presente in Sicilia e in Italia, ha esteso il suo potere negli ambienti della finanza e della politica italiana, arrivando addirittura a corrompere uomini politici e banchieri. Per molti anni la magistratura e il parlamento hanno negato l'esistenza della mafia, permettendole di agire nell'ombra.

Tra gli anni ottanta e gli anni novanta, i giudici siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, aiutati da valenti uomini della polizia, sono riusciti a fare arrestare i maggiori membri di Cosa nostra, grazie anche alle dichiarazioni dei pentiti (ex membri dell'organizzazione che hanno accettato di collaborare con la giustizia).

Le cosche mafiose siciliane, incalzate dalle indagini dei giudici antimafia, ordinarono nel 1992 gli assassinii di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Inoltre nel 1993 fecero esplodere autobombe a Milano, Firenze e Roma, provocando molte vittime e gravi danni al patrimonio artistico italiano. In seguito a questi attentati, il parlamento inviava in Sicilia contingenti di polizia, carabinieri e militari per salvaguardare il territorio e i luoghi più a rischio (caserme, tribunali, case dei giudici, ecc...). Inoltre i boss mafiosi più pericolosi che si trovavano in carcere vennero trasferiti in penitenziari siti in località segrete e desolate, per evitare contatti con l'esterno atti ad ordinare omicidi ed intimidazioni.

Questi interventi provocarono l'inizio dello smantellamento di Cosa nostra da parte delle forze dell'ordine; infatti in seguito a questi fatti venne arrestato nel 1993 il boss Salvatore Riina, latitante da 23 anni e sospettato di essere ai vertici della mafia siciliana. Gli interrogatori dei numerosi pentiti fecero emergere i legami tra mafia e politica, in particolare con l'ex presidente del consiglio Giulio Andreotti, accusato dai collaboratori di giustizia di essere addirittura organico a Cosa nostra. Questo fece scoppiare uno scandalo che coinvolse i politici Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi, accusati di aver favorito i membri della mafia ed in particolare il boss Vittorio Mangano, coinvolto in grossi affari occulti e segreti. Ci sono poi i casi di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, e di Salvatore Cuffaro, ex presidente della Regione Siciliana, indicati come coloro che hanno intrattenuto rapporti "amichevoli" e stretti con le cosche mafiose.

Il nuovo panorama politico

Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito costituito dall'imprenditore Silvio Berlusconi, Forza Italia, che si poneva come alternativa al vecchio sistema pur inglobando alcuni dei suoi protagonisti, e otteneva un forte successo alle elezioni del 1994, con due distinte coalizioni, al Nord con la Lega Nord, e al Centro Sud con il MSI (non ancora Alleanza Nazionale). Della coalizione facevano parte anche il CCD e partiti minori. Le due coalizioni ottennero la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato.

Berlusconi e Prodi

In questa fase, definita "Seconda Repubblica", si consolida il principio del bipolarismo e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo, dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà e dal 2006 quello dell'Unione, una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra. Con le nuove elezioni indette dopo la caduta del governo dell'Unione, il 13 e il 14 aprile 2008 sale al potere la coalizione di centro-destra, composta dal PdL (Popolo della Libertà, risultato della lista unica di candidati tra FI, AN e altri partiti minori), dalla Lega Nord e dal Movimento per l'Autonomia. All'opposizione vi sono solo la coalizione tra PD (Partito Democratico, nelle cui liste sono inclusi anche i Radicali Italiani) e Italia dei Valori, e l'UdC (Unione di Centro, formata dall'UDC, dalla Rosa per l'Italia e da altri partiti minori).

Per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana non sono presenti in parlamento rappresentanti dei partiti socialisti (riuniti alla vigilia delle elezioni nel Partito Socialista unitario) e comunisti (riuniti ne La Sinistra L'Arcobaleno assieme alla Federazione dei Verdi, anch'essa rimasta fuori dal Parlamento).

Note

  1. ^ Antonicelli, Franco. Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945 p. 67
  2. ^ Mockler, Anthony. Haile Selassie's War: The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941pag. 48
  3. ^ Angelo Del Boca. Italiani, brava gente?, Editore Neri Pozza, 2005.
  4. ^ Angelo Del Boca. A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell'occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini, Baldini Castoldi Dalai, 2007
  5. ^ L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.683.
  6. ^ Puntata del "La grande storia" dal tiolo "Casa Savoia" andata in onda su Rai Tre
  7. ^ G. Mortara, La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra, Yale University Press, New Haven, 1925.
  8. ^ D. A. Glei S. Bruzzone G. Caselli, The effects of war losses on mortality estimates for Italy - A first attempt (L'effetto delle perdite di guerra nella stima della mortalità in Italia - Un primo tentativo) [1]
  9. ^ Dati Censimento Istat
  10. ^ Langer, William L. ed., An Encyclopaedia of World History. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.
  11. ^ Da “Tesi on-line
  12. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.147.
  13. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.147.
  14. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.194.
  15. ^ Giulio De Martino, La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale, Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4
  16. ^ Secondo il rapporto Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45,compilato nel 1957 da Roma: Istituto Centrale Statistica i morti militari furono 291.376, di cui 204.346 prima dell'armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 111.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l'armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153.147 (123.119 dopo l'armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda qui. A questi vanno aggiunti 15.000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64.000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30.000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5.927 schierati con gli alleati, 17.166 partigiani e 13.000 della Repubblica Sociale Italiana. 1.000 persone del popolo rom e 8.562 ebrei morirono.
  17. ^ A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli e Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto
  18. ^ [2].
  19. ^ La cui creazione risaliva al 1933

Bibliografia

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