Roberto Farinacci
Roberto Farinacci (Isernia, 16 ottobre 1892 – Vimercate, 28 aprile 1945) è stato un politico e giornalista italiano. È stato segretario del Partito Nazionale Fascista.

Biografia
La giovinezza
Figlio di un commissario di pubblica sicurezza, a otto anni seguì la famiglia al nord, a Tortona in Piemonte prima, quindi a Cremona. Lasciò presto la scuola per cercarsi un lavoro, che trovò all'età di 17 anni nelle ferrovie di Cremona; sarebbe restato ferroviere per 12 anni.
Si avvicinò giovanissimo alla politica e si occupò della riorganizzazione del sindacato contadino socialista. Nel frattempo iniziò a collaborare con Il Popolo d'Italia di Benito Mussolini come corrispondente da Cremona. Subito dopo la prima guerra mondiale, alla quale partecipò come volontario[1], abbandonò il gruppo socialista di Bissolati figura di politico che ancora anni dopo Farinacci definirà "anima nobile di apostolo, non di politico[2]. In seguito si avvicinò al movimento fascista. Nello stesso anno (1919) fondò con Mussolini e altri fedelissimi i Fasci di Combattimento.
In seguito riuscì a conseguire in breve tempo la licenza liceale e, grazie all'aiuto del prof. Alessandro Groppali, ricevette la laurea in Giurisprudenza con una tesi "Le obbligazioni naturali dal punto di vista della filosofia del diritto e del diritto civile" che era stata comprata da un altro studente che aveva discusso la medesima tesi pochi anni prima[3].
Il 5 settembre 1920, dopo il congresso regionale fascista tenutosi a Cremona, vi fu una manifestazione pro-Russia con tremila socialisti ed una contromanifestazione con 800 fascisti. Il 6 settembre, in piazza Roma, si verificò uno scontro armato dove si registrarono due morti, un fascista ed un passante, e cinque feriti. I funerali furono sfruttati dal fascio per ottenere consenso: 10.000 i partecipanti. Farinacci scrisse: “Dell'Italia ufficiale oggi sentiamo profondamente schifo. Armiamoci”.[4]
Farinacci affascinava i giovani, i grezzi, gli umili, per le sue umili origini, il suo cipiglio aggressivo, la sua baldanza moschettiera, la sua eloquenza imperfetta (i fogli satirici lo chiamavano l'antigrammatico). Si affermò nelle elezioni del maggio 1921, avendo la maggioranza in 16 comuni. Furono mesi di scontri continui (2 morti, 20 feriti, 181 arresti), che proseguirono sino alla tregua agraria dell'estate.[5]
La crescita nel partito
Nel 1921 fu eletto alla Camera dei deputati ed operò, insieme ad Achille Starace per una massiccia campagna di propaganda nel Trentino-Alto Adige. Nel 1922 fondò il giornale Cremona Nuova in seguito chiamato, nel 1929, Il Regime Fascista.
Farinacci, conosciuto a questo punto anche come il ras di Cremona, organizzò il partito nelle zone rurali della bassa padana, e divenne esponente di spicco della linea estremista e brutale collegata agli agrari del nord Italia, incoraggiando la violenza dello squadrismo al punto da essere più volte ripreso dallo stesso Mussolini, al quale pesavano non poco, sotto il profilo dell'immagine, gli eccessi che gli squadristi compivano in momenti spesso politicamente inopportuni.
Manganello ed olio di ricino, ma non solo
Parallelamente, e con molte analogie, cresceva in Romagna la figura di Dino Grandi, che dello squadrismo di quelle aree era già indiscusso leader: i due si sarebbero presto trovati in contrasto per la supremazia sulle frange violente del movimento prima e del partito poi. Ma mentre Grandi aveva già intrapreso su di sé un lavoro di sgrossatura che ne avrebbe presto fatto un fine diplomatico ed in pratica il gestore della politica estera italiana, Farinacci preferì dedicarsi alla leadership ed alla gestione di questa vasta componente; taluni hanno peraltro ipotizzato che il cambio di rotta di Grandi possa essere stato effetto di un accordo fra i due, eventualmente con la benedizione del Duce (con cui Grandi si era da poco definitivamente accordato riconoscendogli il comando in capo del movimento).
Lo squadrismo, del resto, ben si addiceva al carattere sanguigno di Farinacci, che pur essendo indubbiamente più che portato per la politica, la interpretava comunque con riferimenti di fisicità che sollecitavano il lato violento del regime. Fu in questa caratteristica che la sua figura venne distinguendosi sempre più visibile nel partito, venendo identificato, tanto dai fascisti quanto dagli oppositori, come il principale fornitore dei manganelli e dell'olio di ricino che segnarono il riflesso pratico della dialettica politica di quei frangenti.
La violenza squadrista che Farinacci praticamente promuoveva ormai scopertamente, legò inoltre il nome di questo gerarca all'omicidio Matteotti nel 1924.
I vantaggi del delitto Matteotti
Se da un lato non mancano congetture circa un suo coinvolgimento diretto ed operativo nel sequestro e nella successiva eliminazione del parlamentare socialista (fu peraltro il difensore di Amerigo Dumini, uno degli imputati del relativo processo), le conseguenze politiche dell'accaduto lo riguardarono anche più da vicino. Dopo averlo incontrato, Mussolini, come noto, rivendicò a sé la responsabilità politica dell'omicidio, esplicitando nel famoso discorso alla Camera il riconoscimento dello squadrismo, ammettendo pertanto apertamente che il fascismo considerava (e non più smentiva) i suoi violenti militanti come una delle componenti del partito, legittimando con questo il loro capo alla piena rilevanza politica.
Fu strumentale, molti convengono, tale riconoscimento dello squadrismo all'instaurazione della dittatura, e dunque la situazione di crisi apertasi con il delitto veniva risolta con un ingente vantaggio per il partito. Di tale vantaggio, che non è agevole dire quanto davvero espressamente cercato in questa forma, Farinacci sarebbe stato remunerato con la segreteria del Partito Nazionale Fascista, ufficio che resse dal 1925 al 1926, e con l'ammissione di fatto al gruppo dei politici più importanti. In particolare, il 30 agosto 1925, accompagnato da Italo Balbo, si recò a Forlì per compiere un gesto di grande importanza propagandistica: la fondazione di Predappio Nuova, allo scopo di celebrare il luogo natale di Benito Mussolini.
Tutto questo non sanava una contrapposizione che sempre avrebbe diviso Farinacci dal suo Duce, che egli riconosceva come capo, stimava ed amava, ma cui rimproverava (anche pubblicamente, e non solo per propaganda) di essere eccessivamente liberale e morbido, costantemente ponendoglisi in controscena nel produrre proposte "più decise" ogni volta che Mussolini gli pareva poco incisivo.
Molti nemici, molti guai
Dopo le dimissioni da segretario, rinuncia assai gradita a Mussolini, i rapporti con gli altri gerarchi si deteriorarono, in particolare con l'influentissimo Federzoni, ma ebbe screzi anche con Italo Balbo e Giuseppe Bottai, pregiudicandosi la possibilità di raccogliere supporto da terzi nelle sempre più difficili relazioni col vertice.
I modi, certamente, non erano il suo punto forte, se nelle sue lettere arrivava ad offendere e addirittura minacciare velatamente il Duce forse oltre le sue stesse intenzioni (v.) (il Duce, comunque, per non rischiare, rispose per le rime). Ed i suoi modi riuscirono anche a provocare uno stallo di diversi mesi nel lavoro diplomatico che il regime andava intessendo con la Chiesa cattolica per l'elaborazione del noto trattato che avrebbero sottoscritto nel 1929.
In ogni caso, dovendosi consolidare il regime e per questo scopo ampliare il consenso, si ebbe poco tempo dopo una sorta di epurazione interna delle componenti squadristiche, riducendo al contempo, anzi decimando, il potere rappresentativo di Farinacci. Questi tentò di ostacolare la manovra, ed anzi contestò la creazione della Milizia, nella quale sarebbero dovuti confluire i "suoi" squadristi, cercando di indurre alle dimissioni alcuni dei suoi neo-nominati dirigenti; Mussolini gli inviò allora il quadrumviro Emilio De Bono che, con in mano un mandato di cattura a lui intestato, seppe essere molto persuasivo.
Il "ras" si rituffò perciò - o forse si dedicò sul serio - alla professione forense, costruendo sulla sua figura l'immagine di uno dei Grandi del fascismo dedicatosi, Cincinnato padano, ai suoi campicelli della politica di provincia. In questa veste si volse ad assicurare al partito consenso e popolarità, raggiungendo risultati che Roma considerava molto positivamente; si consideri che il suo giornale, ora chiamato "Il Regime Fascista", a diffusione limitata all'Italia settentrionale, arrivò a vendere più copie del "Popolo d'Italia".
Ma non tutti i suoi entusiasmi erano condivisi a Palazzo Venezia: il giornale seguiva una linea in un certo senso indipendente, sempre protesa verso soluzioni drastiche ed energiche là dove Mussolini si muoveva con diplomazia e prudenza, costituendo il foglio d'opinione di una sorta di vera e propria opposizione interna al partito unico.
Il fascista non allineato
La posizione contestataria era talmente smaccata che anche la polizia, in occasione dell'attentato a Mussolini a Bologna, volle verificare che non vi fossero coinvolgimenti dei fascisti di Farinacci e quando qualche interrogato ne fece il nome, solo il personale intervento di Mussolini lo salvò da misure di sicurezza preventive.
Meno ancora piacque al regime l'evocazione giornalistica dello "scandalo Belloni" (1928): Ernesto Belloni, podestà di Milano, fu indicato come il principale attore di una sorta di Tangentopoli ambrosiana nella quale i vizi privati si mescolavano alle pubbliche malversazioni. Insieme al notissimo federale Mario Giampaoli, la cui vita di lussi e spese folli era ulteriormente impreziosita dalla passione per il gioco d'azzardo, il Belloni aveva costruito una rete fittissima di rapporti "privilegiati" con industriali ed affaristi sino al punto di essersi garantito una maxi-tangente ritagliata da un colossale prestito erogato al comune di Milano (circa 30 milioni di dollari degli anni venti).
Lo scandalo esplose intorno ad un memoriale scritto da Carlo Maria Maggi, precedente federale di Milano e protetto di Farinacci, che fu pubblicato sul giornale cremonese. La vicenda suscitò immediatamente un certo nervosismo da parte di Mussolini, che la seguiva attentamente, conscio della potenziale grave lesione all'immagine del nuovo stato fascista. Il Duce, è stato sostenuto, avrebbe premuto per tacitare la vicenda, ma le pubblicazioni continuarono, in aperta polemica con i vertici romani.
Giampaoli, invece, avrebbe per tutta risposta commissionato l'omicidio di Farinacci, per un soldo di 2.000 lire; non tardò Farinacci a trovare documenti che provavano la manovra e con questi si presentò personalmente al Duce. La pubblicazione, però, aveva destato l'attenzione della magistratura che, probabilmente perché non era più possibile diversamente, aprì nel settembre 1930 un pubblico processo (che avrebbe confermato le accuse). Mussolini aveva destituito Giampaoli prima del processo, ma anche Maggi fu allontanato.
A Farinacci si chiusero le porte della politica "importante" per molti anni ed il suo giornale fu successivamente di tanto in tanto oggetto di "dispettose" censure, sequestri, ammonimenti. E forse - è stato detto - ebbe anche fortuna non avendo patito altre conseguenze (oltre all'emarginazione) quando attaccò Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, del quale insinuò senza prove che avesse ottenuto finanziamenti occulti per "il Popolo d'Italia".
La riammissione alla politica
Con la guerra d'Etiopia, "il selvaggio Farinacci" (com'era affettuosamente chiamato dai suoi fedelissimi) partì volontario della Milizia con i bombardieri di Galeazzo Ciano, nuovamente insieme a Starace (per il quale aveva nel frattempo maturato un disprezzo assoluto). Raggiunse il grado di generale; perse la mano destra per un incidente occorsogli mentre pescava con le bombe a mano in un laghetto africano, ma fu passata per ferita bellica e ne ottenne un vitalizio (devoluto però in opere di beneficenza). Con un'incisività che il suo carattere non rendeva ingiustificata, fu in seguito velenosamente chiamato "la mano destra di Mussolini", mentre da Ettore Muti fu soprannominato "martin pescatore"[6].
L'esperienza africana gli valse comunque una rivalutazione intanto sotto il profilo militare. Inviato come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile spagnola, le sue relazioni furono tecnicamente assai lucide, delineando un quadro prospettico che gli eventi successivi avrebbero confermato.
Anche in politica, la sua voce riguadagnò un certo ascolto e quando i tedeschi cominciarono a trasudare desideri bellici, Farinacci giocò un ruolo certamente influente, ma che ha prodotto interpretazioni talvolta divergenti fra gli osservatori.
Strinse amicizia con alcuni gerarchi del nazismo, come Goebbels, avvicinandosi ad alcune posizioni della dittatura tedesca che nella sua visione si era mantenuta più "pura", senza scadimenti borghesi. Poco dopo avrebbe incontrato Hitler, al quale avrebbe espresso questi suoi dubbi. Secondo alcuni, Mussolini avrebbe deciso di sfruttare queste aperture di Farinacci per affidargli punitivamente (ma con gradimento dell'interessato) i ruoli insostenibili e del tutto impopolari dell'introduzione delle leggi razziali fasciste nel 1938, che seguivano di poco la sottoscrizione del patto d'acciaio. Secondo altri, Farinacci, che era stato tra i firmatari del Manifesto della razza, avrebbe premuto per potersene occupare, convinto della loro opportunità politica.
La guerra
Farinacci fu di fatto un convinto sostenitore della necessità di entrare in guerra e quando nel 1939 l'Italia tergiversava, rinviando le decisioni, assunse posizioni talmente accese che le si dovette spegnere con sequestri del suo giornale, controlli di polizia (fu in pratica seguito come un sovversivo) e faticosissimi richiami all'ordine di scuderia. Quando poi la guerra fu dichiarata, Farinacci si diede al minuzioso controllo dei potenziali traditori, alla caccia dei doppiogiochisti e delle spie, inoltrando decine di rapporti su decine di (da lui) sospettati.
Nel 1941 fu inviato in Albania, dove alcune relazioni sul personale e sull'organizzazione dell'esercito, ingenuamente ma fedelmente indicanti imbarazzanti e pericolose magagne, dovettero essere intercettate e censurate prima che potessero cagionare danno. Su Pietro Badoglio, e soprattutto sui suoi difetti, invece aveva inviato relazioni di grande esattezza, che furono forse la causa principale delle sue dimissioni.
In qualche modo informato con circa un mese di anticipo della fronda che andava preparando il noto ordine del giorno del 25 luglio 1943, volle metterne al corrente Mussolini, che non diede peso alla segnalazione; cercò allora di far pervenire la notizia a Hitler, ma non fu creduto. Alla seduta del Gran Consiglio votò contrariamente, dopo aver criticato la mozione, ma avendo subito dopo replicato sostenendo in pratica le medesime cose sostenute da Grandi: poteri al Re. La stessa sera fu rifugiato nell'ambasciata tedesca ed il giorno successivo sarebbe stato trasferito a Monaco.
La Repubblica Sociale
Si è detto che i tedeschi, prima di insediare Mussolini a Salò avessero pensato a Farinacci come capo della Repubblica Sociale Italiana.
La candidatura, di cui molti storici hanno parlato, ma con esiguità di riscontri, sarebbe caduta sia per la mancanza di carisma di Farinacci, sia per la sua radicalità, che lo avrebbe reso di difficile controllo per tutti quegli aspetti diplomatici che la carica avrebbe comportato. Si sapeva inoltre che Farinacci era in fondo un oppositore del Duce, e che la sua posizione era tanto distinta da quella di Mussolini da poter connotare il nuovo organismo come cosa diversa dal fascismo che gli italiani conoscevano. Non si riscontra affatto, invece, la tesi avanzata di recente per la quale Farinacci avrebbe egli stesso declinato l'offerta perché - si sostiene - deluso dalla volontà germanica di controllare completamente la nuova repubblica senza rappresentatività italiana.
Rientrato in Italia, si vide "scippare" il controllo del suo giornale, trasformato in un foglio di propaganda tedesca, e visse a margine della RSI, scampando il processo di Verona per la personale intercessione di Mussolini che, malgrado Farinacci avesse presentato una mozione in tutto simile a quella di Grandi, non gliene fece colpa.
La fucilazione
Farinacci lasciò Cremona il 27 aprile diretto in Valtellina, giunti nei pressi di Bergamo decise di staccarsi dalla colonna per recarsi a Oreno. Il cambio di percorso fu fatale poiché a Beverate la macchina fu fermata da una pattuglia partigiana e Farinacci fu catturato.[8]
Il giorno dopo, il 28 aprile, Farinacci fu sommariamente processato nell'aula del Comune di Vimercate.[9]
Farinacci si difese acutamente e la condanna a morte voluta dai rappresentanti del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano gli fu inflitta tra molte perplessità.[10]
Rifiutò di farsi bendare e pretese di essere fucilato al petto, ma ciò gli fu rifiutato. Ciononostante Farinacci riuscì a divincolarsi e a girarsi, così i partigiani spararono in aria. Alla seconda scarica, riuscì nuovamente a girarsi, venendo colpito al petto.
Prima di morire le sue ultime parole furono "viva l'Italia".[11]
Roberto Farinacci fu sepolto inizialmente a Vimercate e solo nel 1956 la famiglia ottenne di farne trasferire le spoglie nella tomba di famiglia a Cremona nel Cimitero Civico.
Curiosità
- Farinacci fu iniziato alla massoneria nella loggia Quinto Curzio di Cremona, aderente all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani[12]. Espulso per indegnità, aderì all'obbedienza della Gran Loggia di Piazza del Gesù[13].
- Il 28 settembre 1924 fu ferito in duello dal principe Valerio Pignatelli.
- Nella città di Crema circolava una canzone "segreta" cantata dagli antifascisti e simpatizzanti partigiani, che così recitava:
Mussolini cammina
Farinacci dietro di lui
che gli tira la giacca
"sono fascista anch'io"»
Questa canzoncina goliardica si riferiva al fatto che, dopo la marcia su Roma, Farinacci, che si diceva fosse inviso alla dirigenza del partito, elemosinasse un riconoscimento di status all'interno dello stesso, per arricchirsi nei territori di sua competenza.
Note
- ^ Roberto Festorazzi, Farinacci. L'antiduce, Roma, Il Minotauro, 2004
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 41: "Il suo ispiratore ideale, il suo modello, era Leonida Bissolati, che Mussolini aveva fatto espellere dal partito (socialista, N.d.R.), un mite, un idealista. Farinacci non lo rinnegherà nemmeno quando giungerà ai fastigi della carriera fascista e scriverà che era una "anima nobile di apostolo, non di politico"
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 42: "Presentò la tesi all'Università di Modena, discutendo "Le obbligazioni naturali dal punto di vista della filosofia del diritto e del diritto civile". Si scoprì nel 1930 che aveva comprato tale lavoro da un tale Stefano Marenghi, di Cremona, il quale se ne era servito a sua volta per laurearsi in precedenza a Torino"
- ^ Giuseppe Pardini. Roberto Farinacci ovvero della Rivoluzione Fascista, Le Lettere, 2007 - pag. 39
- ^ Giuseppe Pardini. Roberto Farinacci ovvero della Rivoluzione Fascista, Le Lettere, 2007 - pag. 59
- ^ Arrigo Petacco, "L'archivio segreto di Mussolini", Oscar storia Mondadori, pagina 19
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 48
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 48: "Viaggiarono abbastanza tranquilli fin quasi Bergamo, poi Farinacci ordinò di staccarsi dalla colonna e di dirigersi a Oreno, dove aveva una villa la sorella della marchesa, sposata a un Gallarati Scotti. È difficile dirsi se avesse intenzione di nascondersi, oppure se avesse in mente di mostrarsi gentile con la signora, a costo di gravi rischi. La diversione gli fu fatale. A Beverate un partigiano sparò sulla vettura che non si era fermata all'alt. La macchina si schiantò contro un albero."
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 48: "Lo processarono nella sala del Consiglio comunale. L'atto d'accusa era giuridicamente approssimativo, umanamente irreprensibile."
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 48: "Dicono che si difendesse punto per punto, pallido ma astuto. La pena di morte gli venne inflitta tra molte perplessità. I rappresentanti democristiano e liberale volevano che fosse consegnato agli Alleati come criminale di guerra, i socialisti e i comunisti spingevano per la fucilazione."
- ^ Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188 Luglio 1973, pag. 48: "Non volle essere bendato e chiese di che gli sparassero al petto, secondo la tradizione militare. Glielo rifiutarono, facendolo voltare di spalle a furia di schiaffi. Lui tentò di girarsi e i partigiani allora tirarono in aria, dandogli così l'agghiacciante prodromo dell'esecuzione vera. Alla seconda scarica, lo colpirono: eppure Farinacci era riuscito a torcersi e prese i colpi nel torace. C'è chi assicura cha abbia gridato :"Viva l'Italia"."
- ^ Rosario F. Esposito, La Massoneria e l'Italia. Dal 1800 ai nostri giorni, Edizioni Paoline, Roma, 1976, pag. 386
- ^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Marco Tropea, Milano, 2001, pag. 51
Bibliografia
- Ugoberto Alfassio Grimaldi, con Gherardo Bozzetti, Farinacci. Il più fascista, Milano, Bompiani, 1972.
- Harry Fornari, La suocera del regime. Vita di Roberto Farinacci, Milano, Mondadori, 1972.
- Roberto Festorazzi, Farinacci. L'antiduce, Roma, Il Minotauro, 2004.
- Sergio Vicini, con Paolo A. Dossena, Lupo vigliacco. Vita di Roberto Farinacci, Milano, Hobby & Work, 2006.
- Matteo Di Figlia, Farinacci. Il radicalismo fascista al potere, Roma, Donzelli, 2007.
- Giuseppe Pardini, Roberto Farinacci. Ovvero Della Rivoluzione Fascista, Firenze, Le Lettere, 2007.
- Lorenzo Santoro, Roberto Farinacci e il Partito nazionale fascista, 1923-1926, Soveria Mannelli, Rubettino, 2007.
Opere
- Il processo Matteotti alle Assise di Chieti. L'arringa di Roberto Farinacci, Cremona, Cremona nuova, 1926.
- Un periodo aureo del partito nazionale fascista, Foligno, Campitelli, 1927.
- Redenzione. Episodio cremonese della rivoluzione fascista. Dramma in 3 atti, Cremona, Cremona nuova, 1927; 1932.
- Andante mosso. 1924-25, Milano, A. Mondadori, 1929.
- Da Vittorio Veneto a Piazza San Sepolcro, Milano, A. Mondadori, 1933.
- Squadrismo. Dal mio diario della vigilia. 1919-1922, Roma, Ardita, 1933.
- In difesa dell'Ing. Bruno Venturi. Capitano Aldo Carraresi. Arringa pronunciata il 23 giugno 1934 dinanzi al Tribunale di Napoli, Cremona, Cremona Nuova, 1934.
- Storia della rivoluzione fascista, 3 voll., Cremona, Cremona nuova, 1937.
- La beffa del destino. Dramma in tre atti, Cremona, Cremona nuova, 1937.
- In difesa del dott. Riccardo Gamberini. Resoconto stenografico. Tribunale di Roma, 12 gennaio 1937, Cremona, Cremona nuova, 1937.
- Contro Ida Stucchi e Prof. Carlo Girola, Cremona, Cremona nuova, 1938.
- La Chiesa e gli Ebrei. Conferenza d'inaugurazione tenuta all'Istituto di cultura fascista di Milano il 7 novembre 1938, Cremona, Cremona nuova, 1938.
- In difesa del Gr. Uff. Dott. Giovanni Misco, con Paolo Paternostro, Palermo, IRES, 1939.
- Italia e Francia. Discorso tenuto da Roberto Farinacci al teatro Petruzzelli di Bari il 14 aprile 1939-XVII, Roma, Europa, 1939.
- Realtà storiche, Cremona, Cremona nuova, 1939.
- Costanzo Ciano, Bologna, Cappelli, 1940.
- Donne d'Italia. Caterina da Siena, Cremona, Cremona nuova, 1940.
- Diario 1943, Milano, Rizzoli, 1947.
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Voci correlate
Collegamenti esterni
- FARINACCI, Roberto in Dizionario Biografico degli Italiani
- Corrispondenza Farinacci-Mussolini
- Farinacci, l'antiduce, secondo Roberto Festorazzi