Carlo De Benedetti

imprenditore, dirigente d'azienda, editore e giornalista italiano naturalizzato svizzero (1934-)

Carlo De Benedetti (Torino, 14 novembre 1934) è un imprenditore, ingegnere e editore italiano naturalizzato svizzero. Nominato Cavaliere del Lavoro e Ufficiale della Légion d'Honneur, ha ricevuto la laurea honoris causa in Legge della Wesleyan University, Middletown, Connecticut (Stati Uniti d'America).

Carlo De Benedetti

I primi anni

Nato in una famiglia benestante ebraica, è fratello del senatore Franco Debenedetti nonostante il cognome diverso per errore dell'ufficiale d'anagrafe. Durante la seconda guerra mondiale ottenne nel 1943, unitamente alla sua famiglia, asilo politico in Svizzera per sfuggire alla deportazione in Germania da parte dei nazifascisti italiani e tedeschi. Scampato il pericolo, rientrò in Italia alla fine del conflitto. Si laureò in ingegneria elettrotecnica nel 1958 al Politecnico di Torino per poi entrare nella "Compagnia Italiana Tubi Metallici" del padre.

Assieme al fratello Franco acquisì nel 1972 la Gilardini, una società quotata in Borsa che fino ad allora si era occupata di affari immobiliari e che i due fratelli trasformeranno in una holding di successo, impegnata soprattutto nell'industria metalmeccanica. Carlo De Benedetti nella Gilardini ricoprirà le cariche di presidente ed amministratore delegato fino al 1976. Nel 1974 fu nominato presidente dell'Unione Industriali di Torino e nel 1975 presidente regionale degli industriali del Piemonte.

L'esperienza FIAT

Nel 1976, grazie all'appoggio di Gianni e Umberto Agnelli, quest'ultimo suo vecchio compagno di scuola, fu nominato amministratore delegato della FIAT. Come "dote" portò con sé il 60% del capitale della Gilardini, che cedette alla FIAT in cambio di una quota azionaria della stessa società (il 5%) venduta dalla holding IFI. De Benedetti cercò di svecchiare la dirigenza della società torinese, nominando manager a lui fedeli (a cominciare dal fratello Franco) alla guida di importanti unità operative del Gruppo. Dopo un breve periodo di quattro mesi - a causa, si disse, di "divergenze strategiche"- abbandonò però la carica in FIAT. Per alcuni, ma il condizionale è più che d'obbligo, i due fratelli avrebbero trovato un ostacolo insormontabile nella parte di dirigenza FIAT più legata alla famiglia Agnelli, che avrebbe scoperto un loro tentativo di scalata della società, appoggiato da gruppi finanziari elvetici.

Lui stesso però, nell'occasione della conferenza stampa tenutasi il 26 gennaio 2009 a palazzo Mezzanotte con la quale annunciava le sue dimissioni dalla presidenza di tutte le società che aveva fondato, ci tenne a sottolineare che tali divergenze consistevano nella forte esitazione da parte della famiglia Agnelli a ridurre in modo drastico il numero degli addetti alla manodopera. L'Ingegnere, proseguendo il discorso, ribadì che queste difficili scelte furono comunque prese dal Lingotto quattro anni più tardi; ma dopo aver perduto una "barcata" (sue testuali parole) di denaro.

L'acquisizione di CIR e l'ingresso in Olivetti

Nel dicembre dello stesso anno, De Benedetti rilevò le "Concerie industriali riunite" dai Conti Bocca. L'Ingegnere cambiò la denominazione della società in Compagnie Industriali Riunite (CIR), vendette l'originaria attività nelle concerie e trasformò la CIR in una grande holding industriale. La prima acquisizione fu quella della Sasib di Bologna dall'americana AMF.

Nel 1978 entrò in Olivetti, di cui divenne presidente. In questa azienda, dal nome glorioso, ma molto indebitata e dal futuro incerto, pose le basi per un nuovo periodo di sviluppo, fondato sulla produzione di personal computer e sull'ampliamento ulteriore dei prodotti, che vide aggiungersi stampanti, telefax, fotocopiatrici e registratori di cassa. Nel 1984 la Olivetti inglobò l'inglese Acorn Computers. A causa di una grave crisi della Olivetti, nel 1996 decide di lasciare l'azienda, (di cui rimase presidente onorario fino al 1999) dopo aver fondato la Omnitel.

Nel 1981 CIR diede vita a Sogefi, società globale di componentistica auto, di cui Carlo De Benedetti è stato presidente per venticinque anni prima di cedere il posto al primogenito Rodolfo, conservando però la carica di presidente onorario. Nel 1985 fu acquisito il gruppo Buitoni-Perugina (settore alimentare-dolciario), venduto circa tre anni dopo alla Nestlè. Sempre nel 1988 l'Ingegnere tentò la scalata alla Société Générale de Belgique, importante conglomerato industriale belga, ma fu contrastato con successo dall'opposizione dell'establishment locale e del gruppo francese Suez.

Il Banco Ambrosiano

Nel 1981 entrò nell'azionariato del Banco Ambrosiano guidato allora dall'enigmatico presidente Roberto Calvi. Con l'acquisto del 2% del capitale, De Benedetti ricevette la carica di vicepresidente del Banco. Dopo appena due mesi, l'Ingegnere lasciò l'istituto, già alle soglie del fallimento, motivandone le ragioni sia alla Banca d'Italia sia al ministero del Tesoro e cedendo la sua quota azionaria. De Benedetti fu accusato di aver fatto una plusvalenza di 40 miliardi di lire e per questo processato per concorso in bancarotta fraudolenta. Condannato in primo grado e in appello a 8 anni e 6 mesi di reclusione, fu assolto in Cassazione poiché non esistevano i presupposti per i quali era stato processato.

Il caso SME

  Lo stesso argomento in dettaglio: Vicenda SME e Processo SME.
File:Carlo De Benedetti Primo Piano dettagio.jpg
Carlo De Benedetti nel 1985

Il 29 aprile 1985 Romano Prodi, in qualità di presidente dell'IRI, e Carlo De Benedetti in qualità di presidente della Buitoni, stipularono un accordo preliminare per la vendita del pacchetto di maggioranza, 64,36% del capitale sociale, della SME, finanziaria del settore agro-alimentare dell’IRI, per 497 miliardi di lire. Il consiglio di amministrazione dell'IRI, del quale solo il comitato di presidenza era già informato della trattativa, approvò il 7 maggio. Il governo richiese una verifica sull'opportunità dell'operazione e Bettino Craxi dichiarò : "Se ciò che ci viene proposto risulterà un buon affare lo faremo. Se no, no". Si poneva quindi un problema di valutazione economica e sociale. Il 24 maggio (la scadenza per l'entrata in vigore dell'accordo, già prorogata dal 10 maggio, era prevista per il 28) l'IRI ricevette dallo studio legale dell'Avv. Italo Scalera un'offerta per 550 miliardi (10% in più dell'offerta Buitoni, il minimo per rilanciare); l'offerta non indicava i nomi dei mandanti, che sarebbero apparsi solo al momento della eventuale stipula, e l'avvocato Scalera, dopo quella prima ed unica lettera, non ebbe più contatti con l'IRI.

Poco prima della mezzanotte del 28 maggio, data di scadenza dei termini, arrivò un'offerta via telex di 600 miliardi (altro rilancio minimo del 10%), apparentemente più vantaggiosa, da una cordata, la IAR (Industrie Alimentari Riunite) composta da Barilla, Ferrero, Fininvest, a cui successivamente si sarebbe aggiunta Conserva Italia, lega di cooperative "bianche". Di seguito arrivarono ulteriori offerte ma il governo non diede la prevista autorizzazione alla vendita a nessuno dei potenziali compratori e decise di mantenere la SME in ambito pubblico. Contro questa decisione De Benedetti citò l'IRI davanti al tribunale di Roma. Sia in primo sia in secondo grado, però, i giudici non accolsero le tesi della Buitoni.[1]

L'ingresso nella stampa e il Lodo Mondadori

Nel 1987, attraverso la CIR, l'Ingegnere entrò nell'editoria acquisendo una partecipazione rilevante nella Mondadori e, attraverso di essa, nel gruppo Espresso-Repubblica. Nel 1990 ebbe inizio la "guerra di Segrate" che per molti mesi vide contrapposti Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi. Sia la CIR che la Fininvest, infatti, rivendicavano accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote Mondadori. Un collegio di tre arbitri diede ragione a De Benedetti. Ma la famiglia Formenton impugnò il Lodo arbitrale davanti alla Corte d'Appello di Roma e, nel settembre dello stesso, intervenne nel giudizio di appello, insieme agli altri partecipanti al patto di sindacato fra gli azionisti della Holding Mondadori, la Fininvest. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza del 14 gennaio 1991 (Relatore Dott. Vittorio Metta) annullò il Lodo favorevole a De Benedetti e così spianò la strada a Berlusconi per la successiva trattativa per la spartizione finale: Repubblica, Espresso e i quotidiani locali Finegil a De Benedetti, a Berlusconi invece Panorama, tutto il resto della Mondadori e un conguaglio di 365 miliardi di lire.

Nel 1996, però, la Procura di Milano avviò inchieste che, come cristallizzato dalla Cassazione nel 2007, hanno svelato che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice Vittorio Metta con 400 milioni Fininvest.[2] La vicenda è ancora oggi oggetto di una causa civile che vede contrapposte CIR e Fininvest. Nel 1997 l'Espresso incorporò Repubblica e assunse l'attuale denominazione di Gruppo Espresso. All'inizio degli anni Novanta l'Ingegnere favorì l'ingresso nel gruppo del suo primogenito Rodolfo, che nel 1993 divenne amministratore delegato di CIR e nel 1995 della controllante Cofide-Gruppo De Benedetti.

Tangentopoli

Nel 1993, in piena bufera Tangentopoli, Carlo De Benedetti presentò al pool di Mani Pulite un memoriale in cui si assunse la responsabilità di tutte le vicende di cui era al corrente e di quelle di cui non era al corrente. Nessun altro dirigente di Olivetti fu oggetto di provvedimenti della Magistratura. In particolare, l'Ingegnere ammise di aver pagato tangenti per 10 miliardi di lire ai partiti di governo e funzionali all'ottenimento di una commessa dalle Poste Italiane. Su iniziativa della Procura di Roma, fu arrestato e liberato nella stessa giornata per poi essere assolto da alcune accuse e prescritto da altre.[3][4]

Gli anni 2000

Negli anni 2000, superati i problemi derivanti dalla crisi di Olivetti, il gruppo CIR si rifocalizzò puntando sulle attività tradizionali nei media (Gruppo Editoriale L'Espresso) e nella componentistica auto (Sogefi) e dando vita a nuove attività nell'energia con Sorgenia, che in pochi anni sarebbe diventato uno dei principali operatori italiani nell'elettricità e nel gas, e nella sanità socio-assistenziale con il gruppo KOS.

Nel 2005 De Benedetti fondò la società di investimenti Management&Capitali (M&C) tramite la controllata Cdb Web Tech Spa. Inizialmente il capitale di M&C era detenuto al 90% da questa società e il 10% dal management, successivamente, con un aumento di capitale, entrarono nell'azionariato anche Schroders Investment Management, Cerberus Capital Management LP, e Goldman Sachs.[5]. Nel 2008 l'assetto azionario cambiò nuovamente con l'uscita di alcuni soci iniziali e l'entrata, come secondo azionista, di SeconTip, società del gruppo TIP SpA, facente capo al banchiere Giovanni Tamburi e ad alcune importanti famiglie imprenditoriali. A fine 2010, l'Ingegnere ha lanciato un'offerta pubblica sulla società attraverso il veicolo Per SpA.

Dal 2006 ha deciso di tornare a guidare in prima persona le sue attività editoriali, subentrando a Carlo Caracciolo nel ruolo di presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso. Il 26 gennaio del 2009, nel corso di una conferenza stampa, De Benedetti annunciò la sua decisione di lasciare tutte le cariche operative all'interno del gruppo CIR per ragioni anagrafiche, mantenendo solo - su richiesta del Consiglio di Amministrazione - la presidenza del Gruppo Editoriale L'Espresso. Le deleghe operative del gruppo CIR furono affidate all'amministratore delegato Rodolfo, suo figlio primogenito. Nei mesi successivi l'Ingegnere abbandonò anche tutti gli incarichi in Management&Capitali.

La politica

Imprenditore noto per le sue idee progressiste (così come il fratello Franco), nel 2005 destò sorpresa l'annunciata sottoscrizione, per un fondo finanziario comune destinato al recupero delle imprese in difficoltà, di una consistente quota da parte di Silvio Berlusconi, suo avversario di lunga data nella vicenda SME e nel lodo Mondadori. A causa delle reazioni e delle insinuazioni che ne seguirono, rinunciò alla partecipazione dell'imprenditore milanese. L'impennata in Borsa del valore delle azioni, dovuta alla notizia dell'ingresso di Fininvest, produsse un beneficio finanziario (e accuse di "insider trading") per le quali De Benedetti avrebbe pagato una sanzione di 30.000 euro.

La cittadinanza svizzera

Dal 2009 ha acquisito anche la cittadinanza svizzera. Ha giustificato questa scelta con motivi affettivi, dichiarando di voler comunque continuare a pagare le tasse in Italia[6]. Ha però ricevuto pesanti accuse, da parte di alcuni organi di stampa di aver fatto questa scelta per motivi fiscali.[7] A tali accuse l'Ingegnere ha ribattuto di aver sempre pagato le tasse in Italia[8]. Nel 2010 ha trasferito la sua residenza civile a Dogliani (Cuneo).

Vita privata

Nel 1997 ha sposato l'attrice Silvia Monti. Ha tre figli, Rodolfo sposato con la scrittrice Emmanuelle de Villepin, Marco sposato con la giornalista Paola Ferrari, Edoardo sposato con Ilgi Suna Erel.

Onorificenze

«Laureato in ingegneria elettrotecnica, ha percorso una carriera manageriale brillantissima ricoprendo cariche di vertice in primarie aziende industriali e società finanziarie. È Presidente e Amministratore Delegato della Olivetti, di cui è uno dei principali azionisti. Sotto il suo impulso la Olivetti sta conseguendo lusinghieri traguardi nel settore dell'elettronica, che ne fanno una delle aziende leader nel settore. De Benedetti ricopre incarichi di responsabilità in varie altre aziende: vice presidente e amministratore delegato delle Compagnie Industriali Riunite, vice presidente, fondatore e uno dei principali azionisti nella Euromobiliare S.p.A. di Milano una delle maggiori società finanziarie in Italia vice presidente della Hermes Precisa International.»
— 1983[9]
  • Member of IVA - Royal Swedish Academy of Engineering Science - Stoccolma, Svezia, 1987
  • Grande Medaglia al Merito della Repubblica d'Austria - Vienna, Austria, 2006

Note