Storia dell'Alto Adige

vicende storiche dell'Alto Adige

Il territorio dell'odierno Alto Adige (in tedesco Südtirol), già latinizzato dai Romani, fu successivamente colonizzato da popoli germanici, in particolare dai Baiuvari. Fu a lungo un possesso della casata degli Asburgo, come parte della contea del Tirolo: con essa appartenne al Sacro Romano Impero Germanico, all'Impero Austriaco (dal 1804) e in ultimo all'Impero Austro-Ungarico (dal 1867). Nel 1919 viene infine annesso al Regno d'Italia, acquisendo la denominazione 'Alto Adige'.

Oggi l'Alto Adige è parte della Regione Trentino-Alto Adige, una delle cinque regioni autonome italiane, di cui costituisce una provincia autonoma. E' inoltre il cuore geografico dell'Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino.

Sul suo territorio, in parte italianizzato durante il fascismo e oggetto di terrorismo fino agli anni Ottanta, coesistono oggi popolazioni di lingua tedesca, italiana e ladina in modo pacifico, seppur non esente da tensioni.

Una Musikkapelle in costumi storici tirolesi

Preistoria

File:Mann vom Hauslabjoch (Museum Bélesta).jpg
Ricostruzione di Ötzi al Château-musée di Bélesta (Ariège)

I rinvenimenti archeologi dimostrano la presenza dell'uomo nelle valli dell'odierno Alto Adige dopo la fine dell'ultima glaciazione, intorno al 12000 a.C. Reperti provenienti dall'Alpe di Siusi sono databili al paleolitico inferiore. Accampamenti di cacciatori mesolitici risalenti all'VIII millennio a.C. sono stati scoperti nei fondi valle presso Bolzano, Bressanone e Salorno. Accampamenti analoghi furono rinvenuti nel vicino Trentino, a Passo Rolle, nel 1971. La celebre mummia del Similaun, nota anche come Ötzi, avrebbe un'età di circa 5 300 anni. Questo la pone nell'età del rame, momento di transizione tra il neolitico e l'età del bronzo. Sepolcri in pietra del 2000 a.C. sono stati localizzati ad Appiano. Il clima era ancora più mite di oggi, come dimostrano i reperti localizzati in grotte della Val Pusteria.

Per l'età del bronzo (1800 - 1300 a.C.) sono attestati insediamenti sia nelle valli principali che in quelle secondarie, localizzati su terrazzi alluvionali e su siti d'altura. Intorno al 1500 a.C., l'uomo si spinse più in alto, lasciando le vallate di mezzamontagna, per estrarre il rame in Valle Aurina e d'Isarco. Durante l'età del bronzo e del ferro nella regione sono attestate culture locali autoctone che occupavano approssimativamente l'area del Tirolo storico.

Appartiene alla tarda età del bronzo e alla prima età del ferro la cultura di Luco-Meluno, che prende il nome da due importanti siti archeologici presso Bressanone. Essa ebbe origine nel XIV secolo a.C. nella valle dell'Adige tra Trento e Bolzano, da dove si diffuse fino ad occupare all'incirca l'area del Trentino a nord di Rovereto, dell'Alto Adige, del Tirolo Orientale e della Bassa Engadina.[1] La cultura di Luco-Meluno è caratterizzata dal un particolare stile di ceramica riccamente decorata, mentre la produzione metallurgica è influenzata dalle culture circostanti. Gli appartenenti a questa cultura cremavano i loro morti e raccoglievano i resti in urne che poi venivano sepolte in modo simile alla cultura dei campi di urne, attestatasi in questo stesso periodo nelle valli del Tirolo Settentrionale. I santuari nei quali venivano adorate le divinità si trovavano su colline sovrastanti le vallate e vicino a corsi d'acqua e laghi, spesso anche in aree remote. I ricchi corredi funebri rinvenuti dagli archeologi dimostrano che la cultura di Luco-Meluno raggiunse il suo apice tra il XIII e l'XI secolo a.C., soprattutto grazie all'estrazione del rame, materiale necessario per la produzione del bronzo.

Intorno al 500 a.C. si sviluppò la cultura di Fritzens-Sanzeno, conosciuta anche come la cultura dei Reti, che prese il posto della cultura di Luco-Meluno a sud dello spartiacque alpino e della cultura dei campi d'urne a nord dello stesso.[2] Il nome di "Reti" per queste popolazioni viene tramandato dagli scrittori romani; la sua origine è incerta (Plinio lo attribuiva a un loro antico capo, Raetus[3]) e sembra connesso con la principale divinità di questi popoli, la dea Raetia.[2] Come nella precedente cultura di Luco-Meluno, è la ceramica riccamente decorata che contraddistingue Fritzens-Sanzeno, mentre la lavorazione degli oggetti di metallo è influenzata dalle civiltà degli Etruschi e dei Celti. Tipici della cultura di Fritzens-Sanzeno sono i luoghi di culto, peraltro già frequentati dalla cultura di Luco-Meluno, certi tipi di fibula, particolari armature in bronzo e un alfabeto di derivazione etrusca.

Epoca romana

 
Le provincie della Rezia e del Noricum
 
La Regio X "Venetia et Histria"

Nel 16 a.C. e 15 a.C., i Romani sotto Druso e Tiberio occuparono il territorio alpino, spingendosi fino alle rive del Danubio. La parte settentrionale dell'odierno Alto Adige venne divisa fra le due province Rezia (Raetia) e Norico (Noricum), mentre quella meridionale che includeva la Val d'Adige fino all'altezza di Merano venne inclusa nella Regio X Venetia et Histria. L'insediamento di maggiori dimensioni finora noto è Sebatum/San Lorenzo di Sebato, un importante snodo stradale.

Il periodo romano si protrasse per cinque secoli e lasciò profonde tracce nella regione che fu completamente latinizzata. Le popolazioni autoctone, quali Isarci, Breuni, Venosti, svilupparono una parlata neolatina, nella quale prevaleva il sostrato retico, il cosiddetto retoromanzo. Fanno parte di questo gruppo linguistico gli odierni dialetti ladini, oltre al romancio e al friulano.

Secondo la controversa teoria etnolinguistica della continuità invece le popolazioni alpine parlavano un idioma romanzo già prima della conquista romana. Secondo questa teoria, il ladino sarebbe una lingua italide modificata da influssi slavi attribuibili a cercatori di rame provenienti dall'area balcanica durante l'età del bronzo[4]. Questa teoria si scontra però col fatto che la presenza di Slavi nei Balcani è accertata solo a partire dai tempi delle invasioni di Attila, intorno al 440 d.C.[5]

Dopo l'anno 400 d.C., nella tarda romanità, si diffuse il Cristianesimo, influenzando in misura crescente la vita pubblica e privata. La sede vescovile di Sabiona, presso l'odierna Chiusa, ebbe un ruolo importante nella cristianizzazione del territorio.

Epoca germanica

 
Oswald von Wolkenstein

Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d.C., la regione fu inclusa nel Regno di Odoacre e successivamente nel Regno degli Ostrogoti (493-553). Subito la caduta del regno ostrogoto, nel 558-559 fu la volta dei Longobardi, che annessero al loro regno la regione. Bolzano e parte delle valli d'Adige e d'Isarco (da Maia-Merano a Sabiona) entrarono a far parte del ducato di Trento. I Baiuvari e i Franchi a più riprese penetrarono in Val Venosta e Val Pusteria, questi ultimi favoriti dagli alleati Longobardi, che continuarono a controllare il ducato di Trento.

All'inizio dell'VIII secolo anche la conca meranese era stata occupata dai Baiuvari e nel 679, come attesta Paolo Diacono un comes baiuvaro reggeva Bolzano. Nel 774 d.C. Carlo Magno sconfisse i Longobardi a Pavia e conquistò il regno longobardo d'Italia. Pochi anni più tardi, nel 788, ebbe ragione anche dei Baiuvari. Il territorio passò dunque sotto l'Impero Carolingio. Fu decisivo in questo contesto l'inglobamento della chiesa vescovile di Sabiona, dal 798 in poi, nella metropoli vescovile di Salisburgo, abbandonando così l'orientamento precedente verso Aquileia.[6]

L'imperatore Corrado II (1024-1033) nel 1027 concesse ai vescovi di Trento e Bressanone poteri di sovranità territoriale su ampie zone dell'Alto Adige. Al vescovo di Trento Udalrico II l'imperatore donò il comitato di Trento, che corrispondeva all'antico ducato longobardo, il comitato di Venosta, e il comitato di Bolzano. Nei comitati di Trento e Bolzano il vescovo di Trento esercitava sia la giurisdizione ecclesiastica che quella temporale, mentre nel comitato di Venosta la giurisdizione ecclesiastica rimase al vescovo di Coira. Anche il vescovo di Bressanone venne investito di poteri politici. A lui spettava il dominio sulla valle inferiore dell'Inn, il Wipptal e la valle dell'Isarco, inclusa la val di Fassa e Livinallongo. Nel 1091 l'imperatore Enrico IV aggiunse al dominio di Bressanone il comitato di Pusteria.[7] Queste donazioni si pongono all'interno di un progetto di egemonia sulla chiesa perseguito dalla dinastia degli Ottoni. I vescovi venivano scelti nell'ambito delle famiglie fedeli all'imperatore, e garantivano all'imperatore sostegno morale e politico. Le chiese vescovili così divennero uno strumento efficace per contrastare l'ascesa delle grandi casate dei duchi di Baviera, Svevia e Lorena, e per mantenere il controllo sulle importanti vie di comunicazione verso sud che passavano per la rotta del Brennero.[8] I principi-vescovi mantennero il potere, almeno formalmente, fino alla secolarizzazione napoleonica del 1803.

Le valli tirolesi dell'odierna provincia diedero anche i natali al più antico scrittore in lingua tedesca, il meranese Arbeo di Frisinga, e ai poeti Walther von der Vogelweide e Oswald von Wolkenstein, considerati i padri del tedesco letterario (ma l'origine di von der Vogelweide non è stata accertata).

Germanizzazione

Il territorio dell'odierno Alto Adige alla caduta dell'Impero Romano era incluso nella regione di parlata retoromanza, che si estendeva ininterrotta dagli attuali Grigioni al Friuli.[9] Nei secoli seguenti le popolazioni alpine, frammentate e prive di strutture politiche e sociali comuni, rimasero soggette a forti pressioni demografiche, culturali e linguistiche da parte delle popolazioni circumalpine.[10]

Sin dal VII secolo le lingue germaniche penetrarono nella regione, a partire dalla val Pusteria e dalla zona a nord di Merano verso le altre vallate. Nei secoli XII-XIII la penetrazione divenne generale, come testimoniano i documenti storici e la microtoponomastica ad oggi esistente. Strati neoromanzi erano presenti in val Venosta ancora nel XVI secolo, e lo sono tutt'oggi nelle valli ladine (Val Gardena, Marebbe e Val Badia).[11]

La germanizzazione dell'attuale Alto Adige, come di tutta la regione storica del Tirolo, fu dunque un processo lento e intenso[12] e vide il progressivo arretramento delle popolazioni di cultura reto-romanza (gli antenati degli attuali ladini). La nobiltà e il clero d'Oltralpe furono i principali attori della germanizzazione capillare, possedendo ingenti latifondi nelle zone di Bolzano e Merano (a produzione prevalentemente vinicola).[13] Tra i maggiori proprietari terrieri figuravano i vescovi di Augusta e Frisinga, i conventi di Schäftlarn, Herrenchiemsee e Weingarten nonché le casate degli Ariboni e degli Andechs.[14] L'immigrazione germanica seguì due direttrici: i contadini germanici si stabilirono nelle vallate più settentrionali e remote, portando la lingua tedesca negli ambienti rurali delle valli; i commercianti tedeschi dalle zone austriache e della Germania meridionale, soprattutto della Baviera e della Svevia, si stabilirono invece nei centri urbani come Bolzano, Merano, Vipiteno e Brunico.[15]

Comunque la prevalenza della lingua tedesca non escluse continui contatti e presenze di persone e gruppi di lingua romanza. Commercianti italiani provenienti dal Principato Vescovile di Trento e dalla Repubblica di Venezia nonché banchieri esuli da Firenze, tra cui i Botsch, si trasferirono a Bolzano e generalmente si tedeschizzarono nel corso di una sola generazione.[16] Contatti commerciali mantennero sempre vivi i rapporti con Venezia, verso la quale furono esportati pregiati legni utilizzati per la fabbricazione navale.[17][18]

Contea del Tirolo

 
Castel Tirolo
 
Mappa del Tirolo storico

Nel corso del XII secolo iniziò l'ascesa delle casate nobiliari a scapito del potere dei principi vescovi attraverso l'istituzione della advocatia. Con questo termine viene descritta una protezione concessa dai conti alle chiese, che con il passare del tempo divenne dominio effettivo sul territorio. Fu grazie a questo processo che iniziò l'ascesa dei conti di Tirolo, una casata che prese il nome dall'omonimo castello presso Merano. I Tirolo sono noti circa dal 1140 come advocati del vescovo di Trento. Grazie anche all'estinzione o eliminazione di casati avversari come i conti di Appiano, i conti di Morit-Greifenstein, i conti di Andechs e i signori di Vanga essi diventano la più potente autorità dell'alta val d'Adige. Il conte Alberto III nella prima metà del XIII secolo controllava un territorio che spaziava dalla valle dell'Engadina fino a Bolzano, ed includeva la val d'Isarco nei pressi di Bressanone e la valle dell'Inn. Si venne così a creare un dominio che univa territori a nord ed a sud dello spartiacque alpino.[19]

La figlia di Alberto, Adelaide, sposò il conte Mainardo I di Gorizia (1194-1258), che con la morte di Alberto III ereditò la contea del Tirolo. Dopo la morte di Mainardo I le due contee furono di nuovo divise fra i figli. A Mainardo II (1238-1295) spettò la contea di Tirolo e il titolo di conte di Tirolo-Gorizia, ad Alberto andò la contea di Gorizia con il titolo di Conte di Gorizia-Tirolo.

Fu Mainardo II a creare la regione del Tirolo sulle orme di suo nonno Alberto III creando i confini che poi, con minimi ampliamenti, restarono immutati dal tempo di Massimiliano I fino al 1918.[20] Mainardo II continuò gli sforzi dei suoi predecessori per sottrarre diritti e poteri ai vescovi ed usando astuzia, violenza e denaro (per esempio, nel 1276 conquistò Bolzano, distruggendone castello e palazzo vescovile e ordinando anche l'abbattimento delle mura, con i cui resti venne colmato il fossato che circondava la città). Questi sviluppi trovano paralleli nelle regioni vicine: anche i vescovi di Verona, Vicenza, Feltre e Padova dovettero cedere diritti e poteri ai comuni ed ai nuovi signori. Forse furono anche questi esempi ad ispirare la radicale politica di Mainardo contro il potere temporale dei vescovi. Ma le sue azioni contro i vescovi di Trento e Bressanone non furono l'unico motivo per il suo successo. I suoi sforzi nell'amministrazione e nell'economia contribuirono in modo fondamentale al consolidamento interno ed esterno della contea. Mainardo ampliò le miniere di sale presso Hall e la zecca di Merano, assicurandosi lauti guadagni. Vennero stipulati contratti con Verona e Venezia sulla scorta di commercianti che attraversavano il Tirolo, incoraggiando il commercio e il traffico, ed aumentando di molto la rendita dei dazi imposti sulle strade del Tirolo. Il riconoscimento da parte dell'impero di questo dominio territoriale fu raggiunto nella prima metà del XIV secolo.[21]

Alla morte dell'ultimo discendente maschio dei Tirolo, il potere passò nel 1335 alla nipote del conte Mainardo II, Margherita di Tirolo-Gorizia, nota come Margarethe Maultasch.

Nel 1342 fu concesso uno statuto che prevedeva forme di partecipazione rappresentativa al potere, ampliava le libertà individuali, riconosceva il diritto di proprietà, anche ai contadini, e creava un'amministrazione autonoma di tipo pubblico.

Nel 1363 Margarethe Maultasch fu costretta in seguito a pressioni politiche a cedere la contea del Tirolo al duca d'Austria Rodolfo IV d'Asburgo: Merano rimase formalmente capitale tirolese fino al 1848, ma di fatto sin dal 1420 il duca Federico IV "dalle tasche vuote", trasferì la propria corte a Innsbruck.

Il Tirolo rimase poi possedimento degli Asburgo quasi ininterrottamente fino al 1918. Intorno al 1500 vennero annessi al Tirolo i tribunali di Rattenberg, di Kitzbühel e di Kufstein, la Val Pusteria, la conca di Lienz, Ampezzo, Primiero. Nel 1665 il Tirolo (e quindi il territorio dell'attuale Alto Adige), fino ad allora ampiamente autonomo, passò sotto l'amministrazione diretta di Vienna.

La Riforma protestante e le rivolte contadine sconvolsero il Tirolo. Michael Gaismair (1490-1532) propose nei suoi famosi "articoli meranesi" la costituzione di una repubblica contadina. Il progetto ebbe un esito fallimentare, vi furono violente sommosse e la popolazione insorse contro i nobili ed il clero, incendiando chiese e castelli.[22]

Il XVIII secolo fu segnato da numerosi conflitti: nella guerra di successione spagnola del 1703 gli Schützen si opposero vittoriosamente all'esercito bavarese. La regione fu anche teatro di scontri nel corso della prima guerra di coalizione contro la Francia (1792-1797).

Epoca napoleonica

 
L'Italia durante l'egemonia napoleonica. Nella carta compare la denominazione Haut-Adige

Nel 1805, dopo la disfatta dell'Austria per opera di Napoleone, il Trattato di Presburgo assegnò la Contea del Tirolo alla Baviera, alleata della Francia. La secolarizzazione napoleonica pose anche fine ai Principati vescovili di Trento e Bressanone.

 
Il locandiere eroe tirolese, Andreas Hofer.

In seguito alla dichiarazione di guerra dell'Austria alla Francia, i Tirolesi (tra loro anche i trentini, "tirolesi" di lingua italiana) si sollevarono contro il dominio dei bavaresi, alleati dei francesi. Andreas Hofer, un locandiere di San Leonardo in Passiria, organizzò assieme a Peter Mayr e al bellicoso padre Joachim Haspinger un'azione di opposizione popolare che sfociò in rivolta. Nonostante alcuni successi militari ed una strenua resistenza, la sollevazione, anche per il mancato appoggio dell'Austria, non ebbe esito positivo. Il capo della resistenza tirolese fu catturato e fucilato a Mantova dai francesi: l'inno del Tirolo (Das Andreas-Hofer-Lied) ricorda le vicende di Hofer martire a Mantova.

Nel 1809 i confini cambiarono nuovamente. Con la pace di Schönbrunn alla Baviera toccò il Tirolo settentrionale fino a Merano e quello centrale fino a Chiusa; la Val Pusteria, da San Candido alle Province Illiriche, passò all'Austria; la Bassa Atesina con Bolzano e la maggior parte del territorio dolomitico furono incorporate nel Regno d'Italia di Napoleone: il termine "Alto Adige" (Haut-Adige) fu coniato in questo periodo, per designare il nuovo dipartimento che comprendeva però, oltre a Bolzano, soprattutto il Trentino. Ettore Tolomei lo avrebbe ripreso per creare il toponimo italiano della provincia di Bolzano, spostandone così il significato geopolitico verso il settentrione. La regione tornò alla monarchia asburgica nel 1813, entrando a far parte del neo proclamato Impero Austriaco.

Prima guerra mondiale e annessione all'Italia

 
I comuni dell'Alto Adige nel censimento austriaco del 1880: in verde quelli a maggioranza tedesca, in arancione quelli a maggioranza ladini, in rosso il comune a maggioranza italiana.
«Sua Maestà il Re, assumendo il comando supremo delle forze di terra e di mare, ha emanato il seguente ordine del giorno: "Soldati di terra e di mare, l'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. (...) Soldati a voi la gloria di piantare il tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra.(...")», Proclama ufficiale di Re Vittorio Emanuele in occasione della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria-Ungheria, 24 maggio 1915»

Al termine della prima guerra mondiale, da cui l'Italia uscì vincitrice, il Tirolo cisalpino, comprendente le circoscrizioni di Trento e Bolzano, fu annesso al Regno d'Italia, contro la dichiarata volontà dei suoi abitanti e dei rappresentanti politici e nonostante le vive proteste della nuova Repubblica austriaca.[23] Il confine d'Italia veniva quindi a coincidere con lo spartiacque delle Alpi (anzi a superarlo nella conca di San Candido), così come previsto dall'Accordo di Londra, suggellato dal Trattato di Saint-Germain, estendendosi però oltre l'area linguistico-culturale italiana. Già prima dell'entrata in guerra dell'Italia e anche durante la stessa, diversi esponenti politici si erano espressi a favore del confine di stato in prossimità della chiusa di Salorno, che all'epoca rappresentava il confine linguistico con l'area linguistica germanica. L'irredentista trentino Cesare Battisti aveva nutrito "talune perplessità" sullo spostamento del confine al Brennero in ragione del principio di nazionalità, ma lo considerava militarmente "formidabile".[24] Prevalsero così le posizioni massimaliste, determinate a ottenere il confine in concomitanza dei limiti naturali della penisola italiana.

L'annessione avvenne formalmente il 10 ottobre del 1920, senza tener conto della volontà della popolazione. Il Tirolo cisalpino venne così incluso nel governatorato militare della Venezia Tridentina e diviso nelle due province di Trento e Bolzano nel 1926. Il confine della provincia di Bolzano venne tracciato nei pressi di Laives, località appena a sud di Bolzano, e non più presso Salorno, in corrispondenza di quello linguistico, favorendo in questo modo l'italianizzazione dei cosiddetti territori "mistilingue".[25] I comuni ladini di Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia e Cortina d'Ampezzo furono separati dalla Venezia Tridentina ed accorpati alla provincia di Belluno.

Prima della guerra solo il 3% della popolazione dell'Alto Adige si dichiarava di madrelingua italiana: è però difficile disporre di dati credibili perché in occasione dei censimenti molti italofoni si dichiaravano di lingua tedesca nel tentativo di uscire da una condizione subalterna rispetto ai germanofoni. Non pochi d'altronde avevano subito nel corso dell'Ottocento un forte processo di assimilazione, come dimostrano i molti cognomi italiani di famiglie germanofone. Da ricordare che i censimenti austriaci conteggiavano i ladini come italiani (fu il linguista Graziadio Ascoli a classificare il ladino come una lingua a sé stante). Pur non avendo una propria identità nazionale, i ladini erano comunque di usi e costumi tirolesi e furono fermi oppositori dell'annessione.

Re Vittorio Emanuele III, nel discorso alla corona del 1º dicembre 1919, aveva ancora dichiarato il pieno rispetto delle autonomie e delle tradizioni locali, con il supporto delle istituzioni politiche e militari. Le scuole tedesche, le istituzioni e le associazioni furono mantenute e furono inoltre avviate trattative per creare strutture amministrative autonome, in grado di garantire l'integrazione delle istituzioni locali nel nuovo sistema statale.

Alle prime elezioni parlamentari a cui parteciparono anche gli abitanti dell'Alto Adige (15 maggio 1921), si presentarono la Tiroler Volkspartei, la Deutschfreiheitliche Partei e la Sozialdemokratische Partei. I primi due partiti si presentarono assieme come Deutscher Verband ottenendo circa il 90% dei voti e conquistando quattro seggi (Eduard Reut-Nicolussi, Karl Tinzl, Friedrich Graf Toggenburg e Wilhelm von Walther). I socialdemocratici ebbero il restante 10% dei consensi e non riuscirono a inviare alcun deputato a Roma. I quattro rappresentanti continuarono le trattative sull'autonomia in parlamento, che terminarono con la presa di potere del fascismo (28 ottobre 1922).

L'italianizzazione fascista

  Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo) .

Le trattative per un'ampia autonomia furono immediatamente contrastate da gruppi nazionalistici, a capo dei quali si pose Ettore Tolomei. Gruppi nazionalisti si batterono per la cancellazione della cultura tirolese dai nuovi territori, anche con la violenza. Il primo episidio violento si verificò il 24 aprile 1921, quando uno squadrone fascista agli ordini di Achille Starace assaltò con armi da fuoco e bombe a mano un corteo di cittadini di lingua tedesca, che sfilava nel corso di una manifestazione folcloristica nel contesto della Fiera di Bolzano.[26] Quarantacinque persone furono ferite, in parte gravemente. Franz Innerhofer, un maestro di Marlengo, rimase ucciso da colpi di pistola, mentre tentava ripararsi sotto un portone con uno scolaro. Quel giorno viene ricordato come la "Domenica di sangue". Il 4 ottobre 1922 squadristi fascisti, ancor prima della Marcia su Roma, occuparono il Municipio di Bolzano, costringendo alle dimissioni il sindaco Julius Perathoner e il consiglio liberamente eletti.

Dopo la presa di potere dei fascisti, avvenuta il 28 ottobre 1922, l'Alto Adige germanofono fu sottoposto a una politica di progressiva italianizzazione: fu vietato l'insegnamento della lingua tedesca nelle scuole (riforma Gentile), fu censurata tutta la stampa germanofona, molti nomi e addirittura i cognomi furono italianizzati. Fu incentivata l'immigrazione dalle regioni più povere d'Italia, promuovendo l'industrializzazione dell'Alto Adige, con l'intento di aumentare la consistenza dell'etnia italofona. Tutto ciò suscitò notevoli rancori, soppressi anche con la forza, fra la popolazione di lingua tedesca, che si oppose fermamente ai tentativi di assimilazione: anche l'insegnamento del tedesco continuava nella clandestinità delle "Scuole nelle Catacombe" (Katakombenschule), il cui fondatore fu Michael Gamper. Nell'autunno del 1928 furono create scuole parrocchiali tedesche ove s'insegnava la religione nella madrelingua.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Programma di Tolomei.

L'uso dei soli toponimi italiani, fu imposto con regio decreto nel 1923, sulla base del cosiddetto Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige di Ettore Tolomei (che conteneva moltissimi toponimi inventati dallo stesso Tolomei).

 
L'opera di difesa dello sbarramento Passo Monte Croce Comelico, appartenente al Vallo Alpino in Alto Adige

Per proteggere il nuovo confine italiano, negli anni trenta furono erette in Alto Adige le fortificazioni del Vallo Alpino Littorio, che doveva estendersi da Ventimiglia a Fiume, insomma a tutto l'arco alpino.

Le opzioni

  Lo stesso argomento in dettaglio: Opzioni in Alto Adige.

L'avvicinamento fra Hitler e Mussolini e l'annessione dell'Austria al Terzo Reich facevano sperare agli altoatesini di lingua tedesca che presto avrebbero seguito il destino austriaco. Speranze presto deluse: il 23 giugno 1939 un accordo fra il regime nazista e quello fascista (per il quale era presente a Berlino il Prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei), interessati per motivi diversi ad allontanare il maggior numero possibile di tedescofoni dalla zona, portò alle cosiddette "Opzioni" (l'accordo venne formalizzato il 21 ottobre 1939), in cui ai sudtirolesi veniva imposto di scegliere se rimanere entro i confini italiani accettando l'italianizzazione, o trasferirsi in lontani territori del Reich mantenendo però la propria lingua e cultura. La stragrande maggioranza (per l'esattezza 166.488 ovvero l'85 - 90 % della popolazione di lingua tedesca) optò per il Terzo Reich, a fronte sia delle incertezze fasciste (le autorità italiane si dibattevano fra il desiderio di un trionfo dei Dableiber, che a loro parere avrebbe dimostrato il successo dell'italianizzazione, e quello di un allontanamento in massa dei germanofoni, che avrebbe consentito una colonizzazione italiana anche nelle valli) sia della propaganda del Völkischer Kampfring Südtirols (VKS): intere famiglie furono lacerate fra Dableiber (coloro che decisero di non "tradire" la loro terra, rimanendo) e Optanten (che decisero di non tradire la loro identità culturale tedesca emigrando nei territori del Reich). Effettivamente emigrarono solo 75.000 Optanten, soprattutto semplici lavoratori e contadini, che vendettero le loro case all'Ente per le tre Venezie o ai Dableiber, fino a che nel 1943 l'Alto Adige non venne occupato dalle truppe germaniche. Un terzo degli emigrati ritornò in Italia dopo la guerra.

La seconda guerra mondiale

Dopo l'8 settembre 1943 l'Alto Adige fu occupato dal Terzo Reich nell'ambito dell'operazione Alarico (nel giro di due soli giorni, il 9 e il 10 settembre). La popolazione di lingua tedesca accolse le truppe naziste come forze di liberazione.[27] Insieme alle province di Trento e Belluno, quella di Bolzano fu incorporata nella Operationszone Alpenvorland - Zona di operazioni delle Prealpi, di fatto controllata dal Terzo Reich, e posta sotto il comando del Gauleiter Franz Hofer. Durante il periodo dei "600 giorni", il gruppo linguistico italiano subì gravi contraccolpi: gran parte delle autorità amministrative italiane furono sostituite da elementi tedeschi fedeli al Reich; il giornale italiano "La Provincia di Bolzano" venne soppresso e sostituito con il "Bozner Tagblatt"; l'unica emittente italiana venne sostituita con un'emittente tedesca.

I militari di lingua tedesca confluirono nella Wehrmacht, nelle SS e nella Gestapo. I giovani abili vennero reclutati forzatamente anche se non mancarono volontari che collaborarono alle persecuzioni contro gli ebrei (fu decimata la comunità di Merano) e alla caccia ai soldati italiani sbandati dopo l'8 settembre. I militari "tedeschi" vittime dell'attacco di via Rasella a Roma, che scatenò la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine, appartenevano in realtà all'11ª compagnia del 3º battaglione del reggimento "SS Polizeiregiment Bozen", reclutato nella Provincia di Bolzano. A Bolzano sorse un campo "di transito" ("Polizeiliches Durchgangslager") attraverso il quale passarono migliaia di vittime destinate ai campi di sterminio Oltrebrennero. Anche 23 italiani furono catturati e internati nel campo di Bolzano, per poi essere trucidati nell'eccidio della caserma Mignone il 12 settembre 1944. Altri 9 italiani vennero massacrati nella strage di Lasa.

In base al "programma di eutanasia - T4", voluto da Hitler, molti infermi psichici e disabili vennero deportati presso la clinica psichiatrica di Innsbruck e di qui a Hall e al Castello di Hartheim a Linz. Dei 569 malati che furono deportati, 239 morirono di fame e privazioni o furono eliminati.

La resistenza contro i nazisti era rappresentata dal CNL (guidato fino alla sua esecuzione da Manlio Longon) e dall'Andreas-Hofer-Bund, formato da Dableiber che le truppe naziste perseguitarono come traditori. Si ricordano i nomi di Hans Egarter e Friedl Volgger, internato nel campo di concentramento di Dachau. Quest'ultimo riuscì a sopravvivere e nel dopoguerra divenne senatore della Südtiroler Volkspartei. Josef Mayr-Nusser, capo della gioventù cattolica diocesana, non volle prestare giuramento alle SS per incompatibilità con la propria fede religiosa: morì durante il viaggio verso il Campo di concentramento di Dachau. Anche Erich Ammon, tra i fondatori della Südtiroler Volkspartei (SVP), fece parte della resistenza.

Il 25 aprile del 1945 l'Alto Adige venne liberato dagli Alleati. La seconda guerra mondiale finiva con 8.000 altoatesini dispersi o morti in guerra.

Dopoguerra

Nell'immediato dopoguerra (1945-1946) numerosi altoatesini speravano in un ritorno all'Austria: su iniziativa della neonata Südtiroler Volkspartei furono raccolte 155.000 firme che chiedevano la riunificazione tirolese. Ma l'Italia aveva già perso l'Istria e altri territori e l'Austria era un paese privo di sovranità, sotto occupazione quadripartita, che aveva dato i natali all'istigatore del conflitto mondiale Hitler e partecipato allo sterminio degli ebrei. Un buon numero di altoatesini di lingua tedesca aveva poi simpatizzato per il nazismo, il che rendeva la richiesta di ritorno all'Austria per lo meno intempestiva e difficile da sostenere: in più l'Unione Sovietica si oppose violentemente a qualunque processo potesse favorire un ricompattamento di territori tedeschi, temendo possibili rigurgiti pangermanisti. La terra a sud del Brennero doveva quindi rimanere italiana, a condizione che venisse rispettata la forte minoranza di lingua tedesca. Alcide De Gasperi e Karl Gruber, ministro degli esteri austriaco, raggiunsero l'Accordo di Parigi, stipulato il 5 settembre 1946 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 dicembre del 1947. Fu prevista la possibilità del rientro degli optanti non compromessi in maniera particolarmente evidente e grave con il regime nazista.

 
Funes nel dopoguerra, un tipico esempio di comune rurale prima della modernizzazione degli anni Settanta in poi

Questa serie di provvedimenti, anche se ispirata dalle grandi potenze, poté realizzarsi grazie alla notevole (secondo alcuni eccessiva[28]) disponibilità da parte del governo italiano, se si considera anche il fatto che in Alto Adige le simpatie verso il nazismo nell'immediato dopoguerra non erano affatto scomparse.[29] Le vie di fuga seguite nel 1946 da centinaia di criminali di guerra, fra cui Eichmann, Mengele, Priebke, passavano infatti per il Brennero e portavano in Italia, e da qui, spesso passando per il porto di Genova, in Argentina. L'Alto Adige nei primi anni del dopoguerra era ancora "terra di nessuno". La cittadinanza degli altoatesini era incerta, e l'80% della popolazione che aveva optato per la Germania veniva considerata tedesca senza cittadinanza. Questo fatto risultò molto utile ai fuggiaschi nazisti di tutta Europa. Nel dicembre 1945 gli alleati si ritirarono dall'Italia settentrionale, il che fece dell'Alto Adige l'unico territorio di lingua tedesca non occupato militarmente. Questi fattori resero l'Alto Adige una tappa obbligata sulla via di fuga di molti nazisti. In Alto Adige essi ricevettero aiuto e rifugio soprattutto da ecclesiastici di vario grado e livello. Fu spesso grazie all'aiuto delle gerarchie vaticane che essi poi poterono continuare il loro viaggio verso uno dei porti italiani da dove si imbarcarono verso lidi sicuri[30].

L'Accordo De Gasperi-Gruber prevedeva una forte autonomia per il solo Alto Adige (l'art.1 recitava: "Gli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca"), ma per l'inopportunità politica di creare una regione a maggioranza tedescofona essa venne estesa anche al Trentino. Ebbe un certo rilievo anche l'origine trentina di De Gasperi. Il primo statuto speciale del 1948 concedeva ampi poteri legislativi, amministrativi e finanziari alla Regione Trentino-Alto Adige/Tiroler Etschland, dove gli italofoni erano in maggioranza, fu sancito il bilinguismo italiano/tedesco, furono istituite scuole in lingua tedesca, venne introdotta la toponomastica bilingue.

Nel 1948 furono annessi alla provincia di Bolzano i seguenti comuni a maggioranza o forte presenza tedesca, che prima avevano fatte parte della provincia di Trento: Anterivo, Bronzolo, Cortaccia, Egna, Lauregno, Magrè (dal quale fu successivamente scorporato il comune di Cortina sulla strada del vino), Montagna, Ora, Proves, Salorno, Senale-San Felice, Trodena. In questo modo si raggruppavano i comuni "tedeschi" nella provincia di Bolzano[31]. Rimasero escluse solo alcune isole linguistiche sul territorio trentino.

 
Una cupola difensiva del Caposaldo Col dei Bovi

Negli anni della guerra fredda la linea fortificata del Vallo Alpino in Alto Adige, dopo essere stata temporaneamente abbandonata, riprese il suo livello strategico, dovendosi questa volta l'Italia difendere da possibili minacce dall'est, soprattutto dall'URSS. Le varie opere furono quindi riprese in mano ed aggiornate per poter resistere a questa nuova minaccia.

Dal 1946 al 1954 l'Ufficio per le Zone di Confine istituito presso la Presidenza del Consiglio si occupò di tutti gli affari relativi alle complesse questioni delle aree di confine, come anche della "questione altoatesina".

La lotta per l'autonomia

L'autonomia fu ritenuta insoddisfacente dagli altoatesini di lingua tedesca: mal digerirono l'arrivo di italofoni immigrati dalle zone più depresse del paese, attirati dalle sovvenzioni e dall'industrializzazione; la presenza maggioritaria di italiani nelle pubbliche amministrazioni; il centralismo regionale (in Regione gli italofoni erano sempre in maggioranza). Nel 1957 una folla di 35.000 persone si radunò a Castel Firmiano per protestare contro la costruzione di 5.000 alloggi per gli italiani immigrati nella provincia. La dimostrazione era stata organizzata dalla SVP all'insegna del motto "Los von Trient" (via da Trento), che sostituiva il precedente "Los von Rom" (via da Roma): la parte più moderata dei popolari altoatesini intorno a Silvius Magnago rinunciava (almeno temporaneamente) alla secessione dall'Italia a favore di una maggiore autonomia.

Ma gli sviluppi non furono soltanto pacifici: negli anni cinquanta nacque un movimento terrorista clandestino, mirante alla riunificazione del Tirolo all'Austria, il Comitato per la liberazione del Sudtirolo (Befreiungsausschuss Südtirol - BAS). Negli anni sessanta si verificarono numerosi attentati dinamitardi, inizialmente contro cose (tralicci, caserme, ecc.); ma i terroristi non esitarono a usare la violenza contro le forze dell'ordine, ricorrendo addirittura a mine antiuomo (tragico l'episodio della strage di Cima Vallona). Le forze dell'ordine ed in particolare i Carabinieri risposero duramente. Ci furono denunce secondo le quali due persone sarebbero morte in seguito a torture subite in carcere. La Corte d'Assise di Milano a proposito delle presunte sevizie rilevò che "dalle perizie necroscopiche eseguite da collegi di periti fosse risultato che entrambi i detenuti erano morti per cause naturali".[32] Gli attentati continuarono fino ai primi anni settanta, con strascichi fino agli anni ottanta (riconducibili al gruppo terroristico Ein Tirol). Bilancio: trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988. 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra, mine. 21 morti, di cui 15 membri delle forze dell'ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che stavano predisponendo. 57 feriti: 24 fra le forze dell'ordine, 33 privati cittadini.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Comitato per la liberazione del Sudtirolo ed Ein Tirol.

Nel contempo si cercava una soluzione politica: il trattato del 1946 fu la base della risoluzione 1497 delle Nazioni Unite del 1960, sollecitata dal cancelliere austriaco Bruno Kreisky, che invitava "urgentemente" i due paesi a riprendere "i negoziati con l'obiettivo di trovare una soluzione di tutte le controversie concernenti l'attuazione dell'accordo di Parigi del 5 settembre 1946".

L'Alto Adige dal 1972 a oggi

 
Esempio di insegne stradali bi- e trilingui

Dopo dodici anni di discussione nel 1972 l'Alto Adige ottenne dallo Stato italiano un'amplissima e ricchissima autonomia, in base alla quale esso dispone del 90% delle imposte pagate in provincia. La provincia autonoma dispone di 9 000 euro di risorse all'anno per ognuno dei suoi oltre 500 000 abitanti (contro i 2 000 della Lombardia, superati però dai 12 000 della Valle d'Aosta). Complessivamente il bilancio dell'Alto Adige si aggira sui 5 miliardi di euro all'anno. Con l'entrata in vigore del secondo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (in tedesco Trentino-Südtirol) le maggiori competenze e risorse sono state trasferite alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Nel 1992, approvate le norme di attuazione dello Statuto, confluite nel cosiddetto "pacchetto" di autonomia, l'Austria rilasciò all'Italia la c.d. "quietanza liberatoria" (Streitbeilegungserklärung) che chiudeva il contenzioso tra i due stati pendente innanzi l'ONU.[33]

L'Alto Adige è oggi al secondo posto in Italia per PIL pro capite, superato di poco dalla Lombardia, attestandosi sui 31.158 €. Nel contesto europeo il potere d'acquisto pro capite supera di oltre 40 punti percentuali la media dell'Unione Europea a 25.[34] Anche la condizione occupazionale in provincia è eccellente, e con un tasso di disoccupazione che si attesta al 2,7% si parla tecnicamente di piena occupazione.[35] Il notevole benessere è anche riconducibile alla oculata gestione delle notevoli risorse da parte dell'amministrazione provinciale: nel maggio del 2006 il Presidente Luis Durnwalder ha ricevuto lo "European Taxpayers' Award" per l'efficienza dell'amministrazione pubblica in Alto Adige.[36]

Controversie

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Rimozione del toponimo italiano a Marlengo

Grazie al livello di benessere acquisito, l'Alto Adige è oggi un esempio di pacifica convivenza fra gruppi etnici, tanto da essere talora additato a modello per la soluzione di conflitti etnici, così nel caso della minoranza serba in Kosovo. Il governo kosovaro ha però escluso l'applicazione del modello sudtirolese in quanto porterebbe alla creazione di una specie di repubblica serbo-bosniaca all'interno di uno Stato a maggioranza albanese.[37] Anche in Alto Adige le tensioni non sono state definitivamente sopite.

Lo Statuto di Autonomia sancisce la parità delle due lingue italiano e tedesco, l'obbligo del bilinguismo per tutti i dipendenti pubblici e la cosiddetta proporzionale etnica: le assunzioni pubbliche sono distribuite in proporzione alla consistenza dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. La normativa deroga all'articolo 3 della Costituzione, che proclama l'uguaglianza "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua", ma si giustifica in base all'art. 6: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche" nonché in base alle leggi costituzionali in materia. A parte rare eccezioni (Libera Università di Bolzano, la scuola ladina e alcune scuole private) tutte le scuole, in base allo statuto d'autonomia, sono separate per gruppi linguistici. Anche altri aspetti della vita sociale sono regolati dal principio della separazione: accanto al Club Alpino Italiano esiste l'Alpenverein Südtirol, la Caritas intrattiene sezioni separate per gruppo etnico. In questo contesto c'è chi parla esplicitamente di apartheid (termine afrikaans che significa letteralmente separazione).[38][39]

Da tempo si osserva il declino del gruppo italiano[senza fonte], quasi sempre lontano dalle posizioni di maggior rilievo politico, sociale ed economico.[40] Ciò si deve anche al fatto che il potere politico è saldamente nelle mani della Südtiroler Volkspartei (SVP), che si considera rappresentante degli interessi tedeschi e ladini, ma non italiani, tant'è che gli altoatesini di lingua italiana non vi si possono iscrivere.[41] Si aggiungano le difficoltà di comunicazione: mentre gli italofoni apprendono il tedesco standard, la popolazione germanofona si esprime di regola in dialetto sudtirolese, molto diverso rispetto all' "Hochdeutsch". L'immigrazione di italiani verso questa prospera regione viene ostacolato da una normativa rigidissima, che consente di votare per le elezioni provinciali e di godere dei sussidi pubblici, indispensabili in un territorio dove il costo della vita è altissimo, soltanto dopo 4 anni di residenza. Ma anche fra gli italofoni già residenti è forte il disagio, legato alla percezione di maggiori privilegi e di un trattamento di favore riservato alla comunità tedescofona.[42] Come conseguenza, in occasione del censimento, molti italiani, se coniugati o conviventi con un/a cittadino/a di madrelingua tedesca, trovano più vantaggioso dichiarare i propri figli come di etnia tedesca.

L'ingresso dell'Austria nell'Unione europea e la sua adesione al trattato di Schengen hanno permesso la riunificazione di fatto delle popolazioni tirolesi (c'è ormai la stessa moneta, si passa liberamente il confine senza più controlli né barriera doganale, si stanno creando attività comuni di sviluppo), rafforzando la compattezza del gruppo tedesco e facendo del gruppo italiano una comunità ancora più ristretta, se vista nell'ambito di un contesto tirolese che oggi tende ad allargarsi al versante austriaco. In seguito all'apertura delle frontiere si è anche verificato il trasferimento di un consistente numero di militari dell'esercito e della Guardia di Finanza (che avevano la residenza in Alto Adige) dal confine altoatesino verso altre regioni d'Italia. Il gruppo linguistico italiano si ritrova così ad essere minoranza in Alto Adige, pur senza avere le tutele proprie di una minoranza. Attualmente l'etnia italiana prevale solamente nei comuni di Bolzano (73%), Laives (70%), Salorno (64%), Bronzolo (60%) e Vadena (57%). Una consistente minoranza italiana si registra nei comuni di Merano (48%), Fortezza (41%), Egna (38%), Cortina sulla strada del vino (31%), Ora (30%). Di fatto negli ultimi trent'anni la consistenza del gruppo linguistico italiano è calata da 137.759 a 113.494 residenti, mentre il gruppo tedescofono è aumentato di 36.000 unità. Il timore di una "Todesmarsch" o Marcia della morte - la scomparsa progressiva del gruppo linguistico tedesco - diffuso negli anni sessanta, si sta ora diffondendo fra gli italofoni a proposito della propria etnia.[43]

Molto controversa è la materia dei toponimi. La toponomastica elaborata da Ettore Tolomei e sancita durante il fascismo è tuttora l'unica ufficialmente vigente, dovendo i toponimi tedeschi essere accertati e poi approvati da una legge provinciale. Comunque in buona parte del territorio (con l'eccezione di Bolzano e pochi altri comuni) il toponimo tedesco precede quello italiano. In certi casi, come nel comune di Marlengo, dove oltre il 10% della popolazione è di madrelingua italiana, il toponimo italiano è stato completamente rimosso dall'indicazione della stazione ferroviaria. Nella cartellonistica di montagna i toponimi tedeschi hanno anzi soppiantato quasi del tutto quelli italiani.[44] L'uso dello stesso toponimo Alto Adige, di derivazione francese (dall'omonimo dipartimento francese dell'Haut-Adige al tempo del napoleonico Regno d'Italia (1805-1814)), è stato interdetto dall'amministrazione di alcuni comuni a maggioranza di lingua tedesca.[45] I risultati di questa politica sono finanche comici, laddove Kirchplatz (piazza della chiesa) diventa piazza Kirch, oppure Messnerweg (via del sagrestano) resta via Messner, anche quando non si tratta di un nome proprio.[46] Al fine di trovare una soluzione condivisa è stato creato un comitato paritetico con il compito di elaborare una norma di attuazione in materia. Prime bozze prevedono l'abolizione di numerosi toponimi italiani, anche la Vetta d'Italia dovrebbe scomparire e assumere unicamente il nome tedesco Klockerkarkopf, a meno che non si trovi un accordo sulla ritraduzione in Vetta d'Europa.[47] Già nel 1998 il commissario del governo Carla Scoz richiamava l'attenzione sulla "tedeschizzazione" di toponomastica e odonomastica.[46]

 
Bolzano: Il Monumento alla Vittoria, eretto dal fascismo nel 1928

Anche la questione dei monumenti eretti durante il Ventennio, che per la popolazione di lingua tedesca sono il simbolo della propria oppressione durante l'epoca fascista, è tuttora irrisolta. In particolare il Monumento alla Vittoria di Bolzano è fonte di aspre controversie. Dopo che la piazza dove si erge il monumento era stata ribattezzata "Piazza della Pace", i partiti di centrodestra italiani promossero un referendum, svoltosi il 6 ottobre 2002, in cui prevalse nettamente (62% contro 38%) la decisione di ripristinare il nome "Piazza della Vittoria". La comunità italiana ha così reagito a quello che era apparso come un tentativo di annacquare l'identità italiana della città, venendo accusata di nostalgie fasciste.[48] Pure nella comunità di lingua tedesca vi è la tendenza a nascondere[49] o a minimizzare le evidenti simpatie naziste di molti sudtirolesi negli anni trenta e quaranta, ma anche al giorno d'oggi, come hanno dimostrato le indagini della magistratura.[50] Per quanto riguarda poi la valutazione dei trascorsi terroristici, la popolazione di lingua tedesca non nasconde la propria approvazione per quelli che vengono comunemente definiti "combattenti per la libertà" (Freiheitskämpfer). In questo senso gli Schützen hanno lanciato nel 2004 la campagna "Südtirol sagt Danke für deutsche Schule, starke Wirtschaft, Wohlstand und vieles mehr!". Sullo sfondo un traliccio divelto dalla dinamite, ben in mostra il terrorista Sepp Kerschbaumer, fondatore del BAS, in sovrimpressione le parole: "Il Sudtirolo ringrazia per la scuola tedesca, la forte economia, il benessere e molto altro!"[51] Ad Appiano sulla Strada del Vino una via è stata dedicata a Kerschbaumer. La RAI di lingua tedesca di Bolzano ha prodotto un documentario intitolato "Die Frauen der Helden" (le mogli degli eroi, riferito ai terroristi degli anni 60).[52]

 
La titolazione di una via di Appiano sulla Strada del Vino al terrorista Sepp Kerschbaumer.

Sul piano internazionale la questione altoatesina è tornata sotto i riflettori nel gennaio 2006, quando il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi cancellò la visita ufficiale a Vienna a seguito di iniziative volte a inserire in una prospettata riforma della Costituzione austriaca norme che dichiarassero esplicitamente "la funzione di tutela dell' Alto Adige da parte dello Stato austriaco e il diritto all'autodeterminazione". 113 sindaci altoatesini su 116 firmarono una petizione in favore delle proposte di modifica della costituzione austriaca[53]. L'azione dei sindaci fu molto criticata sia dall'allora Governo Berlusconi[54], sia dall'Unione di centrosinistra[senza fonte]. Dall'altro lato il parlamento austriaco ha nel settembre 2006 votato un ordine del giorno per inserire definitivamente nella nuova Costituzione la funzione di tutela della popolazione altoatesina di lingua tedesca. Il presidente della Provincia autonoma, Luis Durnwalder, si è inoltre detto convinto che se oggi gli altoatesini fossero chiamati al referendum, si pronuncerebbero in maggioranza per il ritorno all'Austria.[55] Nello statuto SVP si può leggere tuttora che "come conseguenza della prima guerra mondiale l'Alto Adige, per secoli parte dell'Austria, fu separato dalle madrepatria e tale ingiustizia storica viene tuttora sentita come tale dalla popolazione".[56]

 
Manifesto separatista a Merano: Il Sud-Tirolo non è Italia!. I graffiti hanno cambiato la frase in "Il Sud-Tirolo è Italia!"
 
Il confine italo-austriaco del Brennero, segnalato dal cippo di confine e da un cartello che recita: Süd-Tirol ist nicht Italien, ovvero: Il Sud-Tirolo non è Italia

Il partito "Süd-Tiroler Freiheit" ha fatto della secessione dall'Italia e della "libertà del Sud-Tirolo" la sua bandiera, lanciando una campagna politica per rimarcare che "il Sud-Tirolo non è Italia". Come l'Union für Südtirol e i Freiheitlichen è favorevole alla celebrazione di un referendum per l'autodeterminazione per il ricongiungimento con l'Austria o la creazione di uno Stato Libero del Sudtirolo. I tre partiti hanno raccolto oltre il 20% dei voti alle elezioni provinciali del 2008.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Alto Adige. Spartizione subito?.

Per quanto riguarda la rappresentanza politica, i voti italiani si dividono fra innumerevoli partiti. A causa della dispersione del voto, alle ultime elezioni comunali il gruppo italiano è riuscito a far eleggere appena 162 consiglieri su 2.030, ovvero meno dell'8%, nonostante sia oltre il 25% della popolazione[57]. Dall'altro lato la SVP, pur essendo il partito di raccolta dei cittadini di lingua tedesca e ladina, attira sempre più voti italiani (fino a 10.000 alle ultime elezioni provinciali secondo stime).

Tanti fantasmi si aggirano ancora a guastare i rapporti tra i gruppi linguistici in Alto Adige anche da parte italiana, come dimostrano le polemiche che i media nazionali italiani hanno scatenato nei confronti di Gerhard Plankensteiner, vincitore della medaglia di bronzo per l'Italia ai XX Giochi olimpici invernali: alla domanda del perché non avesse cantato l'inno di Mameli, l'atleta di madrelingua tedesca aveva risposto: "Non conosco questa canzone"[58]. È evidente che Plankensteiner cercava di "tradurre" il tedesco "Lied", che vale per ogni tipo di canto, dagli inni alle canzonette, così come è comprensibile che il brano sicuramente gli era noto sotto il nome di Inno nazionale dell'Italia, ma non sotto il nome dell'autore Goffredo Mameli.

Anche gli attacchi contro l'autonomia speciale dell'Alto Adige da parte di autorevoli ministri del governo Berlusconi[59] hanno contribuito a deteriorare i rapporti fra la Provincia e lo Stato centrale.

In vista delle celebrazioni 150º anniversario dell'Unità d'Italia si sono riacutizzate le tensioni tra la provincia di Bolzano e l'Italia, il 7 febbraio 2011 il governatore Luis Durnwalder ha dichiarato l'intenzione della provincia di non partecipare a nessun festeggiamento per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia in quanto "Il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare. Nel 1919 non ci è stato chiesto se volevamo fare parte dello Stato italiano e per questo non parteciperò ai festeggiamenti. Gli assessori italiani sono liberi di festeggiare l'unità d'Italia, ma non in rappresentanza della Provincia autonoma. I sudtirolesi hanno sofferto molto tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, non vedo veramente giustificazioni per festeggiare questa ricorrenza. Nel 1861 l'Alto Adige non faceva parte dell'Italia e nel 1919 non è stato chiesto alla popolazione se voleva passare dall'Austria all'Italia". Da queste dichiarazioni è scaturita una dura polemica con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.[60]

Molto probabilmente tale riacutizzazione è stata una via obbligata in vista delle prossime elezioni provinciali nel tentativo di arginare i partiti di destra germanofoni. Roberto Benigni, nel suo monologo durante il 61° festival di Sanremo, ha indirettamente citato anche questo avvenimento. "L'unità d'Italia, pensate, è talmente bella che qualcuno può permettersi la libertà di dire che non va festeggiata".

Note

  1. ^ Gleirscher 1992.
  2. ^ a b Gleirscher 1991.
  3. ^ Nat. Hist. III.133: Raetos Tuscorum prolem arbitrantur a Gallis pulsos duce Raeto "Si ritiene che i Reti siano una stirpe etrusca scacciata dai Galli (e postasi) sotto il comando di Reto".
  4. ^ Alinei 2000, p. 747-750
  5. ^ W.B. Lockwood, A Panorama of Indo-European Languages, p. 56.
  6. ^ Cfr. Josef Riedmann, Säben-Brixen als bairisches Bistum, in «Jahresberichte der Stiftung Aventinum», 5, 1990, pp. 5ss.
  7. ^ Bellabarba 1994, p. 21.
  8. ^ Bellabarba 1994, pp. 24-25.
  9. ^ Belardi 2003, pp. 9-10.
  10. ^ Billigmeier 1983, pp. 35-36.
  11. ^ Riedmann 1990, pp. 250ss.
  12. ^ A proposito Riedmann 1990, pp. 250ss.
  13. ^ Cfr. Andreas Otto Weber, Studien zum Weinbau der altbayerischen Klöster im Mittelalter. Altbayern - österreichischer Donauraum - Südtirol (Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Beiheft 141), Stoccarda, Steiner, 1999.
  14. ^ A. Sandberger, Das Hochstift Augsburg an der Brennerstraße, in «»ZBLG, 36 (1973), pp. 586-599.
  15. ^ Franz Huter, Beiträge zur Bevölkerungsgeschichte Bozens im 16.–18. Jahrhundert, Bolzano, Athesia, 1948 (con ampie statistiche sul larghissimo predominare dell'immigrazione germanica rispetto a quella italiana, durante tutto l'antico regime).
  16. ^ Cfr. Gustav Pfeifer, "Neuer" Adel im Bozen des 14. Jahrhunderts: Botsch von Florenz und Niklaus Vintler, in «Pro Civitate Austriae», Ser. NF, vol. 6, 2001, pp. 3-23.
  17. ^ Robert C. Davis, Costruttori di navi a Venezia, Vicenza 1997.
  18. ^ Ennio Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Venezia, 1984.
  19. ^ Riedmann 1994, p.53.
  20. ^ Riedmann 1994, p. 54.
  21. ^ Riedmann 1994, pp. 54-55.
  22. ^ Walter Klaassen, Michael Gaismair: Revolutionary and Reformer, Leiden, 1978.
  23. ^ Cfr. Michael Gehler, Tirol im 20. Jahrhundert. Vom Ende der Monarchie bis zur Europaregion, Innsbruck, Tyrolia, 2008, pp. 24ss. ISBN 978-3-7022-2881-1
  24. ^ Antonio Scottà, La Conferenza di pace di Parigi fra ieri e domani (1919-1920), visto su Google libri il 25 gennaio 2011
  25. ^ Bonoldi-Obermair 2006, pp. 37ss.
  26. ^ Cfr. Stefan Lechner, Die Eroberung der Fremdstämmigen: Provinzfaschismus in Südtirol 1921-1926, Bolzano, Athesia, 2003, pp. 67ss.
  27. ^ Bolzano, il vicesindaco Svp diserta il 25 aprile: "La nostra festa è l'8 settembre", Alto Adige, 23 aprile 2010
  28. ^ Antiitaliani con strane alleanze: I separati dell’Alto Adige, Corriere della Sera, 8 maggio 2009
  29. ^ Gerald Steinacher, Nazisti in fuga. Come criminali di guerra potevano fuggire via l’Italia, 2008 [1]
  30. ^ Steinacher 2008, pp. 47-49
  31. ^ Gemeinde Kurtinig (a cura di), Kurtinig – Ein Dorf an der Sprachgrenze in Vergangenheit und Gegenwart, Athesia Verlag 1998
  32. ^ Sentenza della Corte d'Assise di Milano n. 64 del 16 luglio 1964, pag. 96.
  33. ^ Cfr. Siglinde Clementi; Jens Woelk (a cura di), 1992: Ende eines Streits. Zehn Jahre Streitbeilegung im Südtirolkonflikt zwischen Italien und Österreich, Nomos, 2003. ISBN 978-3-8329-0071-7
  34. ^ Eurostat News Release 23/2007: Regional GDP per inhabitant in the EU 25 [2]
  35. ^ Astat: occupazione nel primo trimestre 2007
  36. ^ dal sito della Provincia, in tedesco
  37. ^ Thaci schließt Südtirol als Modell für Serben im Nordkosovo aus, stol.it, 13 agosto 2009
  38. ^ Italiani e tedeschi in Alto Adige: separati o insieme?, Sergio Romano ne il Corriere della Sera, 1 giugno 2005
  39. ^ L'autorevole settimanale tedesco "Der Spiegel" definì l'Alto Adige una roccaforte dell'apartheid Die Deutschen haben doch wirklich alles, 31 ottobre 1988
  40. ^ «Presidenze: più spazio agli italiani», Alto Adige, 7 ottobre 2009
  41. ^ Bolzano, riparte la campagna anti-italiani, Corriere della Sera, 7 maggio 2009
  42. ^ dal Giornale
  43. ^ Thomas Strobel, Università di Passavia, Dauerhafte und aktuelle Problemkomplexe in Südtirol/Alto Adige, pag. 22
  44. ^ Toponomastica bilingue, illegali tre cartelli su quattro, Alto Adige, 18 gennaio 2010
  45. ^ Anche Termeno mette al bando l'Alto Adige, Video Bolzano 33, 5 maggio 2009
  46. ^ a b Quando la traduzione non si fa, oppure è lacunosa, Alto Adige, 26 agosto 2009
  47. ^ I Verdi: rinominare Vetta d'Europa la Vetta d'Italia, Alto Adige, 19 febbraio 2011
  48. ^ Italiani fascisti, lo stereotipo, Alto Adige, 19 settembre 2010
  49. ^ Steurer: sul nazismo c'è l'oblio, Alto Adige, 12 dicembre 2010
  50. ^ «L'Italia ci occupa, la nostra guida è Hitler», Corriere della Sera, 28 dicembre 2005
  51. ^ Südtirol sagt Danke
  52. ^ Die Frauen der Helden, Rai, 45 min, Kamera Günther Neumair (2001)
  53. ^ Articolo dal Corriere della Sera
  54. ^ http://archiviostorico.corriere.it/2006/gennaio/25/sindaci_dell_Alto_Adige_Austria_co_9_060125041.shtml
  55. ^ Citazione da STOL - Südtirol Online
  56. ^ Programma della SVP in tedesco
  57. ^ Editoriale: sorpresa nel Proporzistan Di Norbert Dall’O – direttore del settimanale in lingua tedesca FF (20 maggio 2010)
  58. ^ Solo per citarne alcuni, si veda ad esempio: "«Inno di Mameli? Non lo conosco». Gaffe dopo il bronzo", Corriere della Sera 16-2-2006, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 21-2-2010., "BRONZO STONATO Slittino, il doppio azzurro va sul podio «L' inno? Non conosco quella canzone»", Corriere della Sera 16-2-2006, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 21-2-2010., "Non so la canzone di Mameli l' equivoco di Plankensteiner", La Repubblica 16-2-2006, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 21-2-2010., «Non conosco l’Inno ma il bronzo è per l’Italia», Il Giornale 16-2-2006, p. 39, su ilgiornale.it. URL consultato il 21-2-2010. "Curve di bronzo Plankensteiner-Haselrieder grande seconda manche L'Inno di Mameli «Non conosco le parole» Una frase fraintesa fa scoppiare un caso", La Stampa 16-2-2006, p. 22, su archivio.lastampa.it. URL consultato il 21-2-2010. "IL CASO GERHARD E MAMELI Ora l'inno è un caso politico", La Stampa 17-2-2006, p. 25, su archivio.lastampa.it. URL consultato il 21-2-2010.
  59. ^ Brunetta: «Il federalismo? C'è già. Ma è bastardo, sprecone, piagnone», Corriere della Sera, 15 marzo 2009
  60. ^ Unità d'Italia, scontro aperto tra Napolitano e Durnwalder Il presidente: devi partecipare alle celebrazioni, tu rappresenti tutti. La replica: nulla da festeggiare, Corriere della Sera, 11 febbraio 2011

Bibliografia

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