Grande Inter
La Grande Inter è il soprannome che è stato dato alla squadra di calcio dell'Internazionale in riferimento al periodo degli anni sessanta.
In quegli anni, sotto la presidenza di Angelo Moratti, con l'allenatore Helenio Herrera, la società nerazzurra aprì un ciclo di grandi successi che portò alla vittoria di tre scudetti (1963, 1965, 1966), due Coppe dei Campioni (1964, 1965), e due Coppe Intercontinentali.
Piazzamenti
Il termine di Grande Inter non si riferisce ad un periodo ben definito, ma si può all'incirca identificare con le 8 stagioni in cui alla guida della squadra nerazzurra ci fu Helenio Herrera, dal 1960 al 1968. Ecco quali furono i piazzamenti della squadra in campionato in quel periodo:
- 1960-61: 3º posto a 5 punti dalla Juventus
- 1961-62: 2º posto a 5 punti dal Milan
- 1962-63: Campione d'Italia
- 1963-64: 2º posto dopo lo spareggio col Bologna. Vince la Coppa dei Campioni
- 1964-65: Campione d'Italia, vince la Coppa Intercontinentale e la Coppa dei Campioni
- 1965-66: Campione d'Italia, vince la Coppa Intercontinentale. Arriva in Semifinale di Coppa dei Campioni, dove perde contro il Real Madrid.
- 1966-67: 2º posto ad 1 punto dalla Juventus, arriva in finale di Coppa dei Campioni, ma perde contro il Celtic
- 1967-68: 5º posto a 13 punti dal Milan
Anni di assestamento
1955-1956: terzo posto
Il 28 maggio 1955, un sabato, Angelo Moratti, che acquistò la società per 100 milioni,[senza fonte] diventò il nuovo presidente e patron dell'Inter. Mentre nelle giovanili crebbe gran parte dei campioni del futuro, Moratti allontanò Foni e puntò su Aldo Campatelli. Il campionato iniziò bene, dopo sei giornate l'Inter era in testa, ma una sequela di cinque sconfitte portò all'esonero. Fu chiamato a curare le ferite Giuseppe Meazza, che recuperò posizioni e limitò i danni chiudendo il 1955-56 al terzo posto.
1956-1957: quinto posto
L'anno successivo Moratti puntò sulla coppia Frossi-Ferrero. Il primo era un catenacciaro, il secondo un teorico dell'offensivismo puro. Una coppia in teoria complementare, in pratica inefficace. Meazza rilevò ancora una volta la guida della squadra: una iniziale serie positiva portò l'Inter al secondo posto, poi cinque sconfitte consecutive la fecero scendere di parecchio. Con la vittoria nell'ultima giornata i nerazzurri agguantarono la quinta posizione.
1957-1958: nono posto
L'arrivo del centravanti Antonio Valentin Angelillo e del quotato allenatore John Carver non portò ancora risultati: nel 1957-58 la squadra si fermò al nono posto in classifica. Il disastro della stagione appena conclusa pesa sulla società, che in estate cede Ghezzi e Lorenzi e si affida a mister Giuseppe Bigogno.
1958-1959: terzo posto, finalista di Coppa Italia e Angelillo capocannoniere
Anche nella stagione 1958-59 i risultati non furono dei migliori e a tre mesi dalla fine del campionato ritornò in panca Campatelli, con il quale l'Inter che chiuse terza e perse la finale di Coppa Italia. Si misero in luce gli attaccanti: Eddie Firmani giocò la miglior stagione della sua carriera e Angelillo realizzò 33 goal in 33 partite, record ineguagliato nella Serie A a 18 squadre, seppur segnando solo 5 volte nelle ultime 16 giornate.
1959-1960: quarto posto
Il 1959-60 fu una stagione transitoria. Partì Skoglund e in panca si sedette la coppia Campatelli-Achilli. L'andata fu ottima, ma il ritorno di campionato fu decisamente in declino e la squadra fu eliminata ai quarti in Coppa delle Fiere. Dopo una sconfitta nel derby venne esonerato Campatelli, dopo un mese toccò anche ad Achilli. Il ritorno di Giulio Cappelli permise di chiudere in quarta posizione.
1960-1961: terzo posto
Nell'estate Moratti gettò le basi di quella che sarebbe divenuta la Grande Inter: in panchina fece sedere il "Mago" Helenio Herrera, dopo esserne rimasto stregato in una partita che la stagione prima l'Inter aveva perso contro il Barcellona, allenato proprio da Herrera, per 4-0, e dietro la scrivania l'esperto uomo di calcio Italo Allodi. Herrera rivoluzionò l'Inter stravolgendo le tattiche e trasformando Armando Picchi da discreto terzino in efficace libero, ma non mancò di portare il suo estro nel calcio italiano con l'invenzione del "ritiro". Lo scudetto 1960-61 andò alla Juventus fra le polemiche: durante lo scontro diretto del 28° turno con l'Inter, seconda classificata, la partita fu interrotta da un'invasione di campo di tifosi bianconeri. L'Inter vinse 0-2 d'ufficio, ma la società bianconera (il cui presidente Umberto Agnelli era anche Presidente Federale) contestò la decisione, e la CAF deliberò che l'invasione non avrebbe condizionato lo svolgimento della gara, ordinandone la ripetizione al termine del Campionato. L'Inter, ormai fuori dai giochi per via della sconfitta contro il Catania (2-0, ricordata dal radiocronista Sandro Ciotti come Clamoroso al Cibali) rispose mandando a Torino la squadra "primavera", che perse 9-1 e chiuse al terzo posto.[2] L'unica segnatura nerazzura fu siglata su rigore dal futuro campione Sandro Mazzola, che sigillò così il suo esordio.
1961-1962: secondo posto
Durante il periodo di mercato la chiacchierata vita amorosa di Angelillo portò il severo Herrera a ordinarne la cessione alla Roma (ma con la clausola che ne precluse un'eventuale successiva vendita a Milan, Fiorentina o Juventus).[3] Il "Mago" poi chiese e ottenne, per la cifra record di 250 milioni,[senza fonte] il Pallone d'oro del Barcellona Luis Suárez, con cui aveva due campionati spagnoli e raggiunto una finale in Coppa dei Campioni contro il Benfica. Secondo l'allenatore si trattava del regista adatto ai nuovi meccanismi di gioco, ma un repentino infortunio lo costrinse a rinunciarvi nei primi due mesi del campionato 1961-62, che l'Inter chiuse in seconda posizione. La Coppa delle Fiere terminò con l'eliminazione ai quarti, in Coppa Italia addirittura agli ottavi. Si misero però in evidenza i gioielli del vivaio, su tutti Giacinto Facchetti, Gianfranco Bedin e Sandro Mazzola.
La Grande Inter
1962-1963: l'8º scudetto
Al terzo anno l'Inter parte con due nuovi acquisti: l'ala destra Jair, riserva nel Brasile di Garrincha, e Tarcisio Burgnich, che arriva dal Palermo dove la Juventus l'aveva parcheggiato come scarto. Il "Mago" Herrera azzecca gli acquisti che, uniti ai vecchi colpi di mercato, ai giovani ormai affermati e al talento di Mario Corso, dalle celebri punizioni "a foglia morta", trascinano l'Inter verso la gloria. La squadra parte lenta, ma si riprende a metà Campionato e vince quasi tutti gli scontri diretti, come nel brillante 4-0 inflitto al Bologna alla tredicesima di Andata. Dopo la vittoria nel Derby dominato da Mazzola arriva tuttavia la doccia fredda di una sconfitta a Bergamo contro l'Atalanta. Se l'allenatore non dà peso all'accaduto, Moratti raduna furioso la squadra e ordina di far giocare le riserve: in porta Bugatti, in mediana Bolchi e in attacco Maschio al posto di Buffon, Zaglio e Di Giacomo, che il "Presidentissimo" ritiene responsabili della sconfitta. La frustata scuote i ragazzi e l'Inter scavalca il Genoa 6-0. Due mesi dopo la vittoria sulla Juventus, ancora vanto di Mazzola, proietta i nerazzurri verso lo Scudetto 1962-63. La certezza matematica arriva la settimana dopo. Va meno bene la Coppa Italia: l'Inter è fuori ai Quarti.
1963-1964: la prima Coppa dei Campioni e lo spareggio col Bologna
La vittoria in Serie A qualificò l'Inter in Coppa dei Campioni, e per affrontare la fatica dei due tornei arrivarono il portiere Giuliano Sarti, il centravanti della Fiorentina Aurelio Milani e dal Catania, in mediana, il meno celebre Horst Szymaniak, ma nazionale tedesco fisso sin dai Mondiali del 1958.
Il sorteggio di Coppa non fu dei più fortunati: i nerazzurri debuttarono al "Goodison Park" di Liverpool contro l'Everton. Con una prova magistrale, l'Inter conservò lo 0-0 di partenza e passò poi il turno con una rete del brasiliano Jair a Milano. Negli ottavi la squadra di HH ebbe la meglio sui francesi dell'AS Monaco. Nei quarti il doppio confronto con il Partizan si rivelò meno ostico del previsto (2-0 e 2-1) e il visto per la semifinale venne strappato comodamente. Nel penultimo atto della competizione i nerazzurri si trovarono opposti al Borussia Dortmund. Al termine di una durissima battaglia in Germania, l'Inter strappò un preziosissimo 2-2 e a San Siro risolse tutto per il meglio: Mazzola e Jair spinsero l'Inter in finale. Ad attendere i nerazzurri al "Prater" di Vienna c'era il Real Madrid, che nonostante l'età avanzata dei suoi alfieri si era dimostrato uno schiacciasassi durante tutta la manifestazione. A Vienna il 27 maggio 1964, con 20.000 italiani al seguito protagonisti di una delle prime "migrazioni di massa" del pallone, Helenio Herrera azzeccò tutte le mosse: Tagnin su Di Stefano, alla sua ultima partita in maglia bianca, Guarneri su Puskás, Facchetti bloccò Amancio, Burgnich spense la velocità di Gento e in più Suarez arretrò occupandosi di Felo. Bloccati gli uomini chiave, non mancarono i campioni del gol: Mazzola con una doppietta e Milani con l'acuto finale suggellarono il risultato. Suarez, ex Barcellona, si prese la rivincita sui rivali di sempre, proprio come Herrera, che aveva visto la propria stella tramontare in Catalogna dopo l'eliminazione patita nel 1960 contro il Real Madrid in semifinale. L'Inter cosi vince l'ambito trofeo è diventa anche la prima squadra in Europa a vincere la coppa dei campioni senza neanche subire una sconfitta ( 7 vittorie e 2 pareggi )
Il club campione d'Europa si fece valere altrettanto in campionato, ma con esiti meno fausti. L'arrancante partenza fu compensata da una buona ripresa. La squadra si trovò prima in classifica dopo la penalizzazione inflitta al Bologna per l'uso di sostanze dopanti, ma una guerra di carte bollate e vicende poco chiare (le fialette che la giustizia sportiva intendeva usare per dimostrare il doping furono messe sotto sequestro dalla magistratura) riportarono i tre punti agli emiliani. A fine campionato Inter e Bologna sono appaiate a 54 punti, e, nonostante gli scontri diretti fossero favorevoli ai nerazzurri (0-0 e 2-0), lo scudetto dovette essere deciso sul campo neutro di Roma nell'unico spareggio per il primo posto nella storia della Serie A. Si giocò a pochi giorni dalla vittoria europea (7 giugno 1964) e non è fuori luogo affermare che - lo confesseranno gli stessi calciatori molti anni dopo[senza fonte] - non solo gli interisti erano convinti di fare un boccone del Bologna, ma che erano altresì deconcentrati e stanchi. Sta di fatto che il Bologna (che non faceva suo un campionato dal 1941) si impose per 2-0 con una delle rarissime autoreti di Facchetti e gol di Nielsen lasciando i nerazzurri a bocca asciutta.
1964-1965: il 9º scudetto, la seconda Coppa dei Campioni, la prima Coppa Intercontinentale
L'Inter si presentò con l'ossatura dell'anno precedente, arricchita dagli innesti dell'interno Peiró, del tornante Domenghini e del centromediano Malatrasi. La nuova stagione iniziò con un importante trofeo: la Coppa Intercontinentale. La sconfitta 1-0 in Argentina ad opera dell'Independiente fu compensata dalla vittoria dei nerazzurri per 2-0 a Milano. Per determinare la vincitrice fu necessario un terzo incontro, disputato il 26 settembre a Madrid, dove l'Inter batté gli avversari con un gol di "Mariolino" Corso, divenendo il primo club italiano campione del mondo.
In campionato l'inizio non fu dei migliori, tanto che a fine gennaio il Milan aveva sette punti di vantaggio. In una rimonta durata due mesi l'Inter vinse 5-2 il derby, portando il distacco a un solo punto, e operò il sorpasso battendo 2-0 la Juventus a Torino mentre i cugini persero in casa contro la Roma. Alla fine della campionato 1964-65 si aggiunsero altri due punti di distacco: il titolo di campione d'Italia così ottenuto fu per questo denominato "Scudetto con sorpasso".
Nel frattempo proseguì il cammino in Coppa dei Campioni con un doppio successo (6-0/1-0) sulla Dinamo Bucarest e un più sofferto passaggio contro i Rangers: Peiró segnò una doppietta nel 3-1 di San Siro, mentre negli altipiani le mischie prodotte dai Rangers sortirono solo una rete e gli uomini di Herrera guadagnarono l'accesso alle semifinali. Qui avvenne un'incredibile eliminazione del Liverpool, che dopo aver vinto 3-1 in Inghilterra fu travolta dai nerazzurri 3-0 a San Siro. La sfida di Milano era considerata alla vigilia quasi impossibile: la pesante sconfitta subita all'andata sul campo inglese, infatti, costringeva i nerazzurri a vincere con 3 gol di scarto (all'epoca la regola del gol fuori casa non esisteva). All'Inter bastarono invece dieci minuti per annullare lo svantaggio iniziale. Corso, all'8°, realizzava una delle sue storiche punizioni a «foglia morta» e un minuto dopo Peiró inventava una rete assolutamente originale, rubando il pallone al portiere Lawrence: il portiere inglese faceva rimbalzare il pallone a terra due volte, alla terza sbucava, da dietro, il piede sinistro di Peirò, che spostava abilmente il pallone, mettendolo fuori portata del portiere, poi, dopo due soli passi e prima che l'estremo difensore potesse tuffarsi, insaccava nella porta sguarnita con il destro. Lawrence quasi non si rese conto dell'accaduto, i suoi compagni aggredirono verbalmente l'arbitro, chiedendo l'annullamento del gol ma senza successo. La sfida, a quel punto, diventava equilibrata, con gli inglesi a tratti persino padroni del campo. Al 17' del secondo tempo, però, era Facchetti, improvvisatosi centravanti, a siglare la rete decisiva del 3-0, che dava alla squadra nerazzurra il biglietto di accesso alla finale con il Benfica. La squadra portoghese alla quarta finale negli ultimi cinque anni, nei quarti aveva annientato il Real Madrid a Lisbona per 5-1. Nella finale lo spettacolo non fu eccelso, ma l'Inter offrì una interpretazione tattica perfetta: chiuse ogni varco alle velleità offensive avversarie e ripartì con azioni in contropiede fallite da Peirò, Jair e Mazzola. Alla fine del primo tempo, un tiro di Jair ingannò il portiere Costa Pereira: il pallone gli scivolò sotto le terga regalando alla Grande Inter la seconda Coppa dei Campioni consecutiva.
Mancava un solo trofeo al grande slam: la Coppa Italia. Il 29 agosto a Roma si giocò Juventus-Inter, ma la supremazia nerazzurra dimostrata in tutti gli altri tornei non si fece vedere. Con una rete di Giampaolo Menichelli i bianconeri tolsero alla Beneamata l'ultimo trofeo.
1965-1966: il 10º scudetto e la seconda Coppa Intercontinentale
Il 1965-66 si aprì di nuovo sotto il segno di un'importante vittoria. In Coppa Intercontinentale i Campioni d'Europa affrontarono ancora una volta l'Independiente, senza però dover ricorrere allo spareggio, poiché al 3-0 siglato a Milano si aggiunse un pareggio a reti inviolate a Buenos Aires.
In campionato gli avversari furono tanti, ma nessuno si fece abbastanza valere: il Napoli degli acquisti record Sivori e Altafini perse competitività alla tredicesima giornata, il Milan, secondo di un punto a metà campionato, crollò nel ritorno e il Bologna, risorto dopo un'iniziale crisi, si giocò tutte le speranze pareggiando la penultima contro la Juventus, mentre l'Inter affondò la Lazio e guadagnò in anticipo la certezza matematica della Stella sul petto, simbolo di dieci Scudetti. Un'inaspettata nota negativa arrivò dalla Coppa dei Campioni: dopo aver eliminato la Dinamo Bucarest (1-2 e 2-0) e il Ferencvaros (4-0 e 1-1), un Real Madrid dal dente avvelenato si prese la rivincita di due anni prima, eliminò i nerazzurri (0-1 e 1-1) e si involò verso il trionfo. Negativa anche la Coppa Italia, con l'Inter fuori in semifinale.
La fine di un ciclo
1966-1967: secondo posto, finalista di Coppa dei Campioni
Nel 1967 l'Inter arrivò alla fine della stagione in testa alla classifica ed in finale di Coppa Campioni ma in tre giorni perse tutto: il trofeo continentale andò al Celtic che vince per 2-1, lo scudetto alla Juventus, dopo aver perso incredibilmente l'ultima di campionato contro il Mantova per 1-0 a causa di un clamoroso errore del portiere Sarti e delle strepitose parate del giovane portiere del Mantova, Dino Zoff.
1967-1968: quinto posto
Herrera restò un altro anno, ottenendo un anonimo quinto posto, e poi andò alla Roma, mentre Moratti decise che era ora di passare la mano e lasciò la presidenza a Ivanoe Fraizzoli nel 1968.
La formazione
Difesa
Fra i pali venne schierato, fino al 1963, Lorenzo Buffon, poi scambiato con Giuliano Sarti alla Fiorentina. Come portiere di riserva l'Inter poteva contare sull'esperto Ottavio Bugatti.
I quattro difensori arrivarono tutti quanti al successo con la maglia azzurra, in particolare i due terzini, Tarcisio Burgnich a destra, forte in marcatura, insuperabile di testa, e Giacinto Facchetti a sinistra, con le sue incursioni sulla fascia e i numerosi gol che fecero di lui il primo terzino-goleador del calcio italiano. Al centro Aristide Guarneri giocava in marcatura sul centravanti avversario mentre Armando Picchi ricopriva il ruolo di libero.
Nemmeno un grande campione come Saul Malatrasi riuscì a spezzare gli equilibri creati da questi quattro giocatori.
Altro difensore della Grande Inter fu per alcune stagioni Spartaco Landini. Ovviamente doveva accontentarsi di "tappare i buchi" lasciati da uno dei quattro. Ciononostante, fece alcuni incontri con la Nazionale e Fabbri lo portò in Inghilterra, ai mondiali, ma più per sfregio nei riguardi della difesa interista, il cui perno era Armando Picchi - che lasciò a casa - che non per pensare di utilizzarlo;[senza fonte] tant'è che non utilizzò neppure gli altri interisti in blocco, ma i "suoi" bolognesi.
Centrocampo
Faro del centrocampo della squadra fu senza dubbio Luisito Suarez, che Herrera aveva fortemente voluto con sé dopo l'esperienza al Barcellona. Alessandro Mazzola invece rimaneva il punto di riferimento per la finalizzazione della manovra, facendo da ponte fra centrocampo e attacco dopo aver cominciato la carriera come attaccante. Mancò invece una figura fissa nel ruolo di mediano, che vide alternarsi giocatori come Gianfranco Bedin, Carlo Tagnin e Franco Zaglio.
A parte vanno nominate le grandi ali che ebbe l'Inter in quel periodo: Mariolino Corso sulla fascia sinistra, Jair e Domenghini sulla fascia destra.
Attacco
La figura che mancò maggiormente alla Grande Inter fu probabilmente un grande centravanti, ma evidentemente non fu una carenza di peso. Inizialmente ricoprirono il ruolo di punta centrale l'inglese Gerry Hitchens e prima ancora il sudafricano Edwing Firmani, ma furono presto soppiantati dall'astro nascente di Mazzola. Inizialmente fu affiancato da Beniamino Di Giacomo o da Aurelio Milani, poi da Joaquín Peiró e da Angelo Domenghini che alternava il ruolo di ala e di centravanti. Angelillo avrebbe potuto essere la punta di diamante dell'attacco, ma Herrera non ebbe l'intelligenza e il coraggio di attendere che tornasse ai suoi livelli, anche perché ne temeva il carattere. Il "Mago" comunque fece due falsi tentativi in seguito, con Harald Nielsen e Luis Vinicio. Ma appunto, erano falsi: li fece acquistare per toglierli dal mercato. Pare invece che ammirasse Pedro Manfredini, nazionale argentino prima dell'esperienza alla Roma; i giallorossi però non vollero mai cederlo.
Controversie
Negli anni duemila, a seguito di alcune rivelazioni, sono sorte delle controversie circa le vittorie della Grande Inter.
Nel 2003 il quotidiano inglese The Times pubblicò un articolo dello scrittore Brian Glanville che raccontava di una confessione dell'arbitro ungherese Gyorgi Vadas, il quale affermava di aver subito un tentativo di corruzione da parte dell'allora presidente della società interista Angelo Moratti prima della gara di ritorno della semifinale della Coppa dei Campioni 1965-66 contro il Madrid CF. Glanville, che denunciò anche altri casi analoghi di corruzione arbitrale in cui sarebbero stati gravemente coinvolti alcuni membri della dirigenza del club milanese nelle due precedenti edizioni del torneo in base a un'indagine chiamata The Years of the Golden Fix, affermò che i trionfi del club durante gli anni 1960 «furono frutto di corruzione e imbrogli nei quali Angelo Moratti giocò un ruolo cruciale in un sistema messo in piedi da due uomini ora deceduti: Deszo Szolti, faccendiere ungherese, e Italo Allodi, direttore sportivo dell'Inter, il serpentino»[4][5].
Nel 2004 Ferruccio Mazzola, un ex giocatore della Grande Inter, pubblicò Il terzo incomodo, nel quale rivolgeva una serie di pesanti accuse al mondo del calcio per quanto concerne l'abuso di pratiche dopanti negli anni '60 e '70.[6] Nel mirino di Mazzola finì soprattutto il Mago Herrera, vero artefice di quella squadra e reo, secondo il suo accusatore, di distribuire a titolari e riserve delle pasticche (Mazzola, pur riconoscendo di non averne la certezza, parlò di anfetamine) capaci di aumentare le loro prestazioni atletiche.[7] La denuncia dell'ex giocatore, ribadita in un'intervista concessa all'Espresso nel 2005,[8] parve trovare conferma nei prematuri decessi di diversi membri della Grande Inter che sarebbero stati da ricondurre, a suo dire, proprio alle pratiche non ortosse dell'epoca. Le accuse rivolte all'Inter e a quel ciclo leggendario della sua storia, però, non furono mai confermate da nessun altro giocatore dell'Inter di quel periodo,anzi la società nerazzurra,che aveva come presidente Giacinto Facchetti (caduto anche lui nel mirino di Mazzola per fatti non ben precisati) querelò per diffamazione il suo ex giocatore, chiedendo 3 milioni di euro per danni morali e patrimoniali da devolvere in beneficenza.[9] Il giudice non riscontrando nulla nel libro di diffamatorio, respinse la richiesta della società, costringendola anche al pagamento delle spese processuali.[10]
Note
- ^ dal Corriere dello Sport del 1° dicembre 2010
- ^ Juventus Inter 9-1, Gloria effimera
- ^ Angelillo, il "signor record
- ^ Da La Repubblica del 11 novembre 2003 Il Times getta fango sull'Inter degli anni 60
- ^ Da The Times del 8 novembre 2003 This Football Life: Moratti in a real fix over Inter's glorious but tainted history
- ^ Le pesanti verità di Ferruccio Mazzola, su calciofans.com. URL consultato il 5-5-2011.
- ^ Ferruccio Mazzola e l'Inter di Herrera Ci dava pasticche, in La Repubblica, 7 ottobre 2005. URL consultato il 5-5-2011.
- ^ Pasticca nerazzurra, in l'Espresso. URL consultato il 5-5-2011.
- ^ L'Inter a Mazzola jr: Ci pensano gli avvocati, in La Repubblica, 7 ottobre 2005. URL consultato il 5-5-2011.
- ^ L'Inter di Herrera e il doping: persa causa contro Mazzola e Bradipolibri, tuttojuve.com, 9 febbraio 2011. URL consultato il 5-5-2011.