Morte di Benito Mussolini
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Benito Mussolini fu ucciso mediante colpi di arma da fuoco il 28 aprile 1945 nel comune di Tremezzina, oggi Mezzegra, in provincia di Como, insieme all’amante Clara Petacci. Il capo del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana si trovava in stato di arresto, catturato a Dongo il giorno precedente dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle.
In una serie di articoli de "L'Unità" del marzo 1947, il comandante partigiano Walter Audisio "Colonnello Valerio" ha dichiarato di essere stato l'unico autore dell'uccisione, nell'ambito di una missione cui avevano partecipato anche i partigiani Aldo Lampredi "Guido Conti" e Michele Moretti "Pietro Gatti" per dare esecuzione all'Ultimatum del 19 aprile 1945 ed all'articolo 5 del Decreto per l'amministrazione della giustizia, approvato a Milano il 25 aprile dal CLNAI.
Il giorno successivo all'esecuzione, il corpo dell'ex dittatore, insieme a quello di altri diciassette giustiziati, sarà inizialmente deposto su un marciapiede in Piazzale Loreto a Milano, e, dopo alcune ore, appeso un paio d'ore per i piedi alla pensilina di un distributore di carburante ivi esistente. La responsabilità dell'esecuzione sarà rivendicata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia con il Comunicato del 29 aprile 1945.
La fuga da Milano a Dongo
Questa è l'ultima foto che ritrae Mussolini vivo.
Nel tentativo di sfuggire alla disfatta definitiva della Repubblica Sociale Italiana e sperando ancora in un sussulto dei suoi con la possibilità di trattare un accordo di resa a condizione, Mussolini abbandona il 18 aprile 1945 l'isolata sede di Gargnano, sulla sponda occidentale del lago di Garda, e si trasferisce con tutto il suo governo a Milano.
Nel pomeriggio del 25 aprile, con la mediazione del cardinale di Milano Ildefonso Schuster, si svolge nell'arcivescovado un incontro decisivo tra la delegazione fascista composta da Mussolini stesso, Barracu, Cella, Bassi, Zerbino e Graziani ed una delegazione del CLN composta dal generale Cadorna, dall'avvocato democratico-cristiano Marazza e dal rappresentante del partito d'azione Riccardo Lombardi, Sandro Pertini arriverà in ritardo a riunione conclusa. A Milano è in corso lo sciopero generale e l'ordine dell'insurrezione generale è imminente. Inoltre Mussolini apprende durante l'incontro che i tedeschi avevano già avviato trattative separate con il CLN: l'unica proposta che riceve dai suoi interlocutori è quindi la "resa incondizionata". Un accordo al momento sembra possibile, ma i fascisti si riservano di dare una risposta entro un'ora. Non ritorneranno più.
Da Milano a Como
In serata, verso le ore 20, mentre i capi della resistenza, dopo aver atteso invano una risposta, danno l'ordine dell'insurrezione generale, Mussolini lascia Milano e parte in direzione di Como[1].
Durante il viaggio, il furgone di coda del convoglio, che trasportava valori e documenti riservatissimi e di particolare importanza politica e militare andò in panne nei pressi di Garbagnate. L'equipaggio, tra cui Maria Righini cameriera personale di Mussolini , raggiunse Como con mezzi di fortuna. Vani risultarono i tentativi di recupero effettuati nella notte. Il furgone fu ritrovato la mattina seguente dai partigiani[2].
Alle 21:30 il capo del fascismo raggiunge la prefettura di Como. Il giorno precedente nella città comasca era arrivata anche la moglie Rachele con i figli Romano ed Anna Maria, ma Mussolini si rifiuta di incontrarli, limitandosi ad una lettera d'addio e a una telefonata con cui raccomanda alla moglie di portare i figli in Svizzera[3]. Durante la notte, insonne, febbrili incontri con le autorità locali demoliscono la possibilità di una sosta prolungata in città, considerata indifendibile. Rodolfo Graziani consiglia di ritornare a Milano, la maggior parte, in particolar modo Guido Buffarini Guidi e Angelo Tarchi, spingono per entrare in Svizzera, anche in maniera illegale. Su indicazione del federale di Como Paolo Porta, si sceglie di proseguire verso Menaggio.
Da Como a Menaggio
Verso le quattro del mattino del 26 aprile cercando invano di eludere la sorveglianza tedesca, il convoglio fascista abbandona precipitosamente Como muovendosi verso nord, costeggiando il lato occidentale del lago di Como lungo la strada regina e giungendo a Menaggio verso le cinque e trenta senza problemi.
A Menaggio proseguono le discussioni e le riunioni sul da farsi, mentre continuano ad arrivare nel centro lariano importanti personalità fasciste e la notizia presto si diffonde. Rodolfo Graziani spinge per tornare indietro, non ascoltato si congeda e fa ritorno verso Como. Anche Alessandro Pavolini ritorna sui suoi passi, per raccogliere e far convergere su Menaggio i militari arrivati a Como, nel viaggio sarà attaccato da una formazione partigiana rimanendo lievemente ferito. Molti vogliono sconfinare in Svizzera, prendendo la via di Porlezza e di là a Lugano[4]. Si sceglie di allontanarsi da Menaggio e di temporeggiare. Alla partenza, improvvisa per cercare di liberarsi dell'oppressiva presenza della gendarmeria tedesca, il convoglio devia ad ovest in Val Menaggio, per giungere a Cardano, frazione del piccolo comune di Grandola ed Uniti, presso la caserma della Milizia Confinaria con sede all'albergo Miravalle. A Cardano Mussolini è raggiunto dall'amante Clara Petacci accompagnata dal fratello, e dalla scorta tedesca che aveva ricevuto l'ordine da Hitler di scortarlo verso la Germania. Qui apprende che a Chiavenna un aereo da trasporto sarebbe pronto al decollo per portarlo in salvo in Baviera[5]. In serata arriva la notizia che i ministri Guido Buffarini Guidi, Angelo Tarchi e il vicecommissario della prefettura di Como, Domenico Saletta, che tentavano l'espatrio forzando la dogana, sono stati arrestati proprio a Porlezza dai partigiani. Nel frattempo la radio annuncia che anche Milano è stata completamente liberata e che i responsabili della disfatta nazionale, trovati con le armi in mano saranno puniti con la pena di morte[6]. Nell'impossibilità di proseguire in quella direzione, si torna a Menaggio.
Verso l'alto Lario e la cattura
La mattina seguente, giunge a Menaggio un convoglio militare tedesco in ritirata composto da circa duecento soldati della FlaK, la contraerea tedesca, al comando del capitano Hans Fallmeyer diretto a Merano attraverso il passo dello Stelvio. Mussolini con i gerarchi fascisti e le rispettive famiglie al seguito, decide di aggregarvisi. La colonna, lunga circa un chilometro alle cinque del mattino parte da Menaggio, ma alle sette, poco oltre Musso, viene fermata ad un posto di blocco delle Brigate Garibaldi; dopo una breve sparatoria, e in seguito a trattative, i tedeschi ottengono il permesso di poter proseguire a condizione che venga effettuata un'ispezione, e che siano consegnati tutti gli italiani presenti nel convoglio, nel sospetto che vi fosse il Duce con qualche gerarca in fuga. Mussolini, su consiglio del capo della sua scorta SS, il tenente Fritz Birzer, indossa un cappotto e un elmetto da sottufficiale della Wehrmacht, si finge ubriaco e sale sul camion numero 34 della Flak, occultandosi in fondo al pianale. Verso le ore 15, durante l'ispezione in piazza a Dongo, viene però identificato dal partigiano Giuseppe Negri e prontamente arrestato dal vicecomandante di brigata Urbano Lazzaro "Bill".
Tutti gli altri componenti al seguito vengono arrestati: si tratta di più di cinquanta [7] persone, più le mogli e i figli al seguito. Tra di essi la maggior parte dei membri del governo repubblicano, più alcune personalità politiche, militari e sociali accompagnati dai loro familiari. Qualcuno si consegna spontaneamente, altri tentano di comprarsi una possibilità di fuga offrendo ingenti somme e valori alla popolazione locale, gli occupanti di un'autoblinda cercano inutilmente di resistere ingaggiando una sparatoria, dalla quale Pietro Corradori e Alessandro Pavolini se ne fuggono buttandosi nel lago ma vengono ripresi, Pavolini rimane ferito. Il giorno seguente sedici di essi tra i più in vista del regime saranno fucilati sul lungolago di Dongo, mentre gli altri restano agli arresti a Dongo e saranno trasferiti a Como dopo che una decina, in due notti seccessive, vengono prelevati e passati per le armi[8].
Dibattiti sulla finalità del viaggio
Fra gli storici non mancano posizioni discordanti circa alcuni punti della vicenda a cui si attribuiscono spiegazioni diverse; a partire dal motivo del viaggio di Mussolini sulla strada lungo il lago di Como dove fu catturato, che alcuni vogliono in fuga per la Svizzera, per altri era un semplice ripiegamento verso la Valtellina.
Como rappresentava per Mussolini una meta che offriva diverse possibilità: o punto di passaggio per raggiungere la Valtellina dove già da alcune settimane Alessandro Pavolini prospettavano di costituire un estremo baluardo di resistenza, idea che però era osteggiata oltre che dai vertici militari tedeschi, anche dal generale Niccolò Nicchiarelli comandante della GNR e dal ministro Rodolfo Graziani[9], o tentativo di rifugiarsi nella neutrale Svizzera, anche se Mussolini ha sempre detto di rifiutare questa possibilità consapevole che le autorità svizzere, fin dall'estate 1944, avrebbero rifiutato l'ingresso nel loro paese ai gerarchi fascisti ed ai loro familiari[10], sperando di riuscire a concretizzare da lì trattative con diplomatici americani, attraverso l'intermediazione del console spagnolo a Berna oppure come meta momentanea per poi raggiungere la Spagna[11], ma soprattutto costituire nella città lariana un estremo baluardo di difesa, facendo convergere su di essa tutte le forze residue, resistere a oltranza per trattare poi in extremis a condizione all'arrivo degli Alleati[12]. Infatti a Como si concentrarono numerose formazioni provenirnti dalle zone circostanti, condotte da Alessandro Pavolini, l'afflusso durò tutta notte e parte della mattinata. Si parla di quarantamila fascisti[13] che in giornata si dispersero in seguito alla partenza del Duce.
Si dice che Mussolini stesse fuggendo in Svizzera; tuttavia non è chiaro il motivo per cui Mussolini non sia entrato in territorio svizzero prima, quando era più vicino al confine elvetico, una volta giunto nei dintorni di Como o Chiasso, ma abbia invece proseguito lungo il lago finendo a Dongo. Si è ipotizzato che Mussolini intendesse tentare di raggiungere i tremila uomini del generale Onori (il quale aspettava ancora i mille uomini del maggiore Vanna) in Valtellina per un'ultima resistenza nel "Ridotto alpino repubblicano". Resta comunque accreditata da molti la tesi della fuga in Svizzera, come proverebbero le richieste di contatto, tramite l'Arcivescovado milanese, con le autorità elvetiche immediatamente prima di lasciare Milano e come ebbe modo di dichiarare il tenente Birzer. Birzer aveva ricevuto direttamente da Hitler il compito di non lasciare mai Mussolini: ne risponderà con la vita se ciò dovesse avvenire, disse Hitler a Birzer e si può ben immaginare come il tenente non volesse correre rischi. Fu lui, con i suoi uomini, a impedire all'ultimo minuto un tentativo di fuga, quando Mussolini, la Petacci ed almeno altri due gerarchi erano quasi riusciti nell'intento di attraversare il confine [14].
Ricostruzione storica della morte
La cattura
Il primo resoconto ufficiale, seppur sintetico, della morte di Mussolini comparve sul quotidiano L'Unità nella sua edizione milanese il 30 aprile 1945, ripreso il 1º maggio nell'edizione nazionale. Portava il titolo "L'esecuzione di Mussolini" e non era firmato. In esso non si fanno nomi, ma si parla genericamente di esecutori.
Dal 18 novembre al 24 dicembre 1945, sempre sullo stesso quotidiano nell'edizione romana, in ventiquattro puntate, viene presentata una relazione più dettagliata. Gli articoli non sono firmati, ma sono introdotti da una breve presentazione di Luigi Longo. Qui l'esecutore viene chiamato con il solo nome di battaglia di colonnello Valerio. Questa versione è stata parzialmente ripubblicata il 25 aprile 1995.
Solo nel 1947, in un servizio di otto puntate dal sei al sedici marzo firmato da Alberto Rossi, il quotidiano romano Il Tempo identifica nel colonnello Valerio Walter Audisio.
Il 22 marzo, la segreteria del P.C.I. confermò con un comunicato che Valerio ed Audisio erano la stessa persona.
Il giorno dopo comparve su L'Unità una biografia di Walter Audisio dal titolo "Colui che fece giustizia per tutti. L'uomo Valerio".
Un circostanziato memoriale, in cui Audisio racconta in prima persona, venne pubblicato in sei puntate da L'Unità fra il venticinque ed il ventinove marzo.
Nel 1975 Walter Audisio racconta nel libro postumo In nome del popolo italiano, curato dalla moglie Ernestina Ceriana, le vicende di cui è stato protagonista.
La relazione riservata, non destinata alla pubblicazione, che Aldo Lampredi Guido fece su invito di Armando Cossutta viene pubblicata da L'Unità il 26 gennaio 1996.
Il fermo della colonna motorizzata tedesca e il susseguente arresto di Mussolini e del suo seguito era stato effettuato dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici", comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle, nome di battaglia “Pedro”. Il suo commissario politico era Michele Moretti “Pietro Gatti”, vice commissario politico Urbano Lazzaro “Bill” e il capo di stato maggiore Luigi Canali “Capitano Neri”. Tra i gerarchi al seguito del dittatore, furono arrestati anche Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessandro Pavolini, Ministro segretario del PFR, Ferdinando Mezzasoma, Ministro della Cultura Popolare, Augusto Liverani, Ministro delle Comunicazioni, Ruggero Romano, Ministro dei Lavori Pubblici, Paolo Zerbino, Ministro dell'Interno. Fu arrestato anche Marcello Petacci, fratello di Claretta, che a bordo di un'Alfa Romeo 1500 recante bandiera spagnola, seguiva il convoglio con la convivente Zita Ritossa, i figli Benvenuto e Ferdinando e la sorella. Esibendo un falso passaporto diplomatico spagnolo si dichiarava estraneo al convoglio, spacciandosi per diplomatico spagnolo. Anche Clara era in possesso di un passaporto spagnolo intestato a Donna Carmen Sans Balsells[15]. Tra i fermati c'è anche la figlia naturale del Duce, Elena Curti[16].
In base alle clausole dell'armistizio di Cassibile, Mussolini doveva essere consegnato vivo agli Alleati[senza fonte]. In attesa di decisioni in merito, e temendo per la sua incolumità, il comandante Bellini delle Stelle, intorno alle 18.30 del 27 aprile, trasferisce l'ex duce nella caserma della Guardia di Finanza di Germasino, un paesino sopra Dongo. Alle 23.30 è condotto in cella per la notte ma, all'1.00, viene svegliato e fatto salire su una vettura, con il capo fasciato per non essere riconosciuto. Di nuovo a Dongo, Mussolini è riunito alla Petacci, su richiesta di quest'ultima; poi, i due prigionieri sono fatti salire su due vetture, con a bordo, oltre a Pedro, anche il Capitano Neri, Gatti, la staffetta Giuseppina Tuissi "Gianna" e i giovani partigiani Guglielmo Cantoni "Sandrino Menefrego" e Giuseppe Frangi "Lino"[17] e condotti verso il basso lago. Dopo alcune vicissitudini, intorno alle ore 3.00 di notte del 28 aprile, Mussolini e la Petacci sono fatti scendere ed alloggiare a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, presso una famiglia di conoscenti di lunga data del capitano Neri (casa De Maria) e di cui il capo partigiano si fida ciecamente [18]. Il piantonamento notturno è effettuato dai partigiani Cantoni e Frangi.
Decisioni del CLNAI a Milano
Nel frattempo si era sparsa velocemente la voce dell'arresto. Già nella mattina del 25 aprile il CLNAI - Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, riunitosi a Milano aveva approvato un documento organico ove, all’art. 5 si prevedeva che: “i membri del governo fascista e i gerarchi fascisti colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi meno gravi con l’ergastolo”. L’esecuzione era comunque subordinata ad una sentenza dei tribunali di guerra [19].
Tuttavia, non appena a conoscenza dell'arresto dell'ex capo del governo,[20] il comitato insurrezionale di Milano formato da Pertini, Valiani, Sereni e Luigi Longo, riunitosi alle ore 23, decide di agire senza indugio e di procedere all'esecuzione di Mussolini[21]. Walter Audisio, “colonnello Valerio”, ufficiale addetto al comando generale del CVL e Aldo Lampredi "Guido" ispettore del comando generale delle Brigate Garibaldi e uomo di fiducia di Luigi Longo vengono incaricati di eseguire la sentenza. Il generale Raffaele Cadorna, riluttante, per evitare che Mussolini cada nelle mani degli Alleati[22], firma il salvacondotto necessario[23]. Intanto alle 3 del mattino successivo, il servizio radio partigiano trasmette agli alleati un fonogramma a scopo depistaggio, nel quale si asserisce l'impossibilità della consegna di Mussolini, in quanto già processato dal Tribunale popolare e fucilato "nello stesso luogo ove precedentemente fucilati da nazifascisti quindici patrioti"[24]. Ci si riferiva alla Strage di Piazzale Loreto del 10 agosto 1944.
La missione del gruppo di Valerio fino a Dongo
Alle 7 del mattino del 28 aprile, il Valerio e Guido partono dalla scuola di Viale Romagna (Milano), con il supporto di quattordici partigiani, [25] agli ordini del comandante Alfredo Mordini "Riccardo" e di Orfeo Landini "Piero". Giunto a Como, Audisio esibisce il lasciapassare di Cadorna al nuovo prefetto Virginio Bertinelli e al colonnello Sardagna, assicurando loro che avrebbe trasferito i prigionieri a Como e, in un secondo momento, a Milano [26]. Trattenuto a Como fino alle 12.15, Audisio si sposta a Dongo, ove nel frattempo era giunto Lampredi accompagnato Mario Ferro e Giovanni Aglietto della federazione comasca del P.C.I., e vi arriva alle 14.10. Poco dopo giunsero da Como anche Oscar Sforni e il maggiore Cosimo Maria De Angelis, inviati dal CLN comasco.
A Dongo "Valerio" si incontra con il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle comunicandogli di aver avuto l'ordine di fucilare Mussolini e gli altri prigionieri. Dopo aver preso visione delle credenziali, e ritenendole sufficienti, "Pedro" gli rilascia il suo consenso[27].
La presa in consegna di Mussolini e fucilazione
Alle 15.15 Audisio si muove da Dongo con una Fiat 1100 nera verso Mezzegra, distante 21 km, più a sud, dove - in frazione Bonzanigo - l'ex dittatore è prigioniero. Sono con lui Aldo Lampredi "Guido" e Michele Moretti “Gatti”, che conosceva il luogo essendoci già stato la notte prima.
Moretti è armato di mitra francese MAS, calibro 7,65 lungo [28]; Lampredi è armato di pistola Beretta modello 1934, calibro 9 mm [29]. L’arma di Walter Audisio, un mitra Thompson, sarà successivamente riconsegnata al commissario politico della divisione partigiana dell’Oltrepò, Alberto Maria Cavallotti, senza essere stata utilizzata [30].
Poco dopo le ore 16 del 28 aprile l’ex duce e Claretta Petacci sono da lì prelevati. Mussolini e la Petacci sono fatti sedere nei sedili posteriori della vettura; questa viene fermata in un angusto vialetto, via XXIV Maggio, davanti a Villa Belmonte, un'elegante residenza in località Giulino di Mezzegra situata in posizione assai riparata. I due sono poi obbligati a scendere per essere fucilati.
In base ai particolari delle varie versioni dell’accaduto, sufficientemente non in contraddizione tra loro[senza fonte], la fucilazione si sarebbe svolta come segue. Moretti e Lampredi sono inviati a bloccare la strada nelle due direzioni. Valerio tenta di procedere nell’esecuzione ma il suo mitra si inceppa; chiama allora Moretti che, di corsa, gli porta il suo. Con tale arma il colonnello Valerio scarica una raffica mortale sull’ex capo del fascismo. A questo punto – secondo Walter Audisio - la Petacci si pone sulla traiettoria del mitra ed è colpita anch’essa per errore. Viene poi inferto un colpo di grazia sul corpo di Mussolini con la pistola (presumibilmente quella di Lampredi), almeno secondo l’ultima versione dei fatti rilasciata da Audisio [31]. Di certo, un colpo di pistola è inferto anche su Claretta Petacci, in quanto due proiettili, calibro 9 mm corto, compatibili con quelli della pistola del Lampredi, furono rinvenuti nel corpo della donna, nel corso dell'esumazione effettuata il 12 aprile 1947 [32]. Sul luogo dell’esecuzione furono poi rinvenuti proiettili calibro 7,65, compatibili con quelli del mitra francese del Moretti [32].
L'edizione locale dell'Unità, il giorno seguente, riporta il fatto con questo titolo a tutta pagina: "Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo" [33]; mentre l'edizione nazionale dell'1 maggio riporta in prima pagina un'intervista col partigiano - di cui non viene fatto il nome - che "ha giustiziato il Duce", intitolata: "Da una distanza di 3 passi sparai 5 colpi a Mussolini".
Walter Audisio
Walter Audisio era al tempo capo di un raggruppamento delle forze partigiane con funzioni di polizia. Essendo noto solo negli ambienti di militanza e non avendo mai dato modo di parlare di sé, non fu inizialmente identificato come l'uccisore di Mussolini: le cronache infatti, riferivano che l'ex duce era stato fucilato dal "colonnello Valerio", senza conoscerne l’esatta identità. La sua figura emerse direttamente, con riferimento a questi fatti, solo nel marzo 1947, quando il quotidiano "L'Unità", organo del PCI, di cui Audisio fu poi deputato, diede notizia del suo coinvolgimento.
Nel volume "In nome del popolo italiano", uscito postumo, Audisio sostenne che le decisioni prese nel primo pomeriggio del 28 aprile a Dongo, nell'incontro con il comandante della 52ª Brigata, Bellini delle Stelle, fossero equivalenti ad una sentenza emessa da un organismo regolarmente costituito ai sensi dell'art. 15 del documento del CLNAI sulla costituzione dei tribunali di guerra[34]. Ciò non corrisponde al vero in quanto, nell'occasione, mancava la presenza di un magistrato e di un commissario di guerra [35]. Dell'intera questione si occupò anche la magistratura penale ordinaria, investita dal giudice civile, cui si erano rivolti i familiari dei Petacci per risarcimento danni. Nei confronti di Audisio, all'epoca parlamentare, l'apposita Giunta concesse l'autorizzazione a procedere. Il processo si chiuse definitivamente il 7 luglio 1967, quando il giudice istruttore assolse il "colonnello Valerio" dall'accusa di omicidio volontario pluriaggravato, appropriazione indebita e vilipendio di cadavere, perché i fatti erano avvenuti nel corso di un'azione di guerra contro i tedeschi ed i fascisti loro alleati, in periodo di occupazione straniera, e come tali non furono ritenuti punibili[36].
Piazzale Loreto
Alle 17 circa Audisio è a Dongo per fucilare gli altri gerarchi. Alle 17.48, sono giustiziati tutti i 15 i soggetti che, verso le ore 15, “Valerio” stesso aveva individuato nella lista dei prigionieri della 52ª Brigata Garibaldi. Il numero dei fucilati eguaglia quello dei partigiani, che, per rappresaglia, il 10 agosto 1944, i tedeschi avevano fatto fucilare dai fascisti ed esporre al pubblico in Piazzale Loreto a Milano, ciò dimostrerebbe l'intenzione di voler vendicare quella strage. Marcello Petacci, inizialmente non compreso nell'elenco dei giustiziati, tenta la fuga a nuoto nel Lago di Como, ma è raggiunto da raffiche di mitra e muore anch’esso.
Tutti i cadaveri vengono caricati su un camion, sopra di loro viene steso un telo su cui si siederanno i partigiani durante il viaggio. Il convoglio parte per Milano verso le 18, fermandosi prima ad Azzano per recuperare anche i corpi di Mussolini e della Petacci rimasti in attesa sotto la piaggia[37]. Durante il viaggio di ritorno la colonna è costretta a fermarsi in diversi posti di blocco partigiani che creano qualche problema, in particolare in via Fabio Filzi a Milano, operato da una formazione delle Brigate Garibaldi. I partigiani a bordo del camion si rifiutano di mostrare i corpi trasportati, le due formazioni armate si fronteggiano sino all'intervento del comando generale che permette il proseguimento della colonna alla vicina destinazione finale.
Alle 3.40 di domenica 29 aprile la colonna giunge a Milano in Piazzale Loreto, meta non casuale o improvvisata, ma a lungo meditata[38] per il suo valore simbolico dove Audisio decide di scaricare i cadaveri a terra, proprio dove le vittime della strage del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia a militi fascisti, che li avevano dileggiati e lasciati esposti al sole per l'intera giornata, impedendo ai familiari di raccogliere i loro resti.
In piazzale Loreto sono portate 18 salme:
- Benito Mussolini
- Claretta Petacci
- Alessandro Pavolini, Ministro segretario del PFR
- Francesco Maria Barracu, colonnello, sottosegretario alla presidenza del Consiglio
- Ferdinando Mezzasoma, Ministro della Cultura Popolare
- Augusto Liverani, Ministro delle Comunicazioni
- Ruggero Romano, Ministro dei Lavori Pubblici
- Paolo Zerbino, Ministro dell'Interno
- Luigi Gatti, ex prefetto di Milano, segretario di Mussolini
- Paolo Porta, federale di Como
- Idreno Utimpergher, comandante della brigata nera di Empoli
- Nicola Bombacci, tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia (1921), poi aderente al fascismo
- Pietro Calistri, capitano pilota dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana
- Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna
- Ernesto Daquanno, giornalista, direttore della Agenzia Stefani
- Mario Nudi, impiegato della Confederazione fascista dell'Agricoltura e "moschettiere del Duce"
- Vito Casalinuovo, colonnello della GNR, ufficiale d'ordinanza di Mussolini
- Marcello Petacci, fratello di Claretta
Ad essi si aggiungerà in mattinata anche Achille Starace, ex segretario generale del Partito nazionale fascista, arrestato per le vie di Milano in zona ticinese, frettolosamente giudicato in un'aula del vicino Politecnico, condotto nel piazzale e fucilato [39] alla schiena sul marciapiedi a lato del distributore ove erano appesi i corpi dei suoi ex camerati.
Verso le 7 del mattino, mentre i partigiani lasciati di guardia alle salme ancora dormivano, i primi passanti si accorgono dei cadaveri. Complice un passa-parola che in un lampo attraversa tutta Milano, in poco tempo la piazza si riempie. Non era stata prevista alcuna misura di contenimento: nella calca le prime file di folla vengono spinte verso i cadaveri che li calpesta e li sfigura. Molti insultano, dileggiano, sputano e prendono a calci, si compiono gesti di bestialità. Una donna spara al cadavere di Mussolini cinque colpi di pistola per vendicare i propri cinque figli morti in guerra. Mentre sui cadaveri vengono gettati ortaggi, il misero pasto di cinque anni di guerra e a Mussolini per dileggio viene messo in mano un gagliardetto fascista, gli viene sfilata la cintura e tolto lo stivale destro (presumibilmente i due oggetti furono presi per essere conservati come ricordo del duce).[senza fonte] Qualcuno orina sul cadavere della Petacci, altri compiono gesti ancora più avvilenti.
Alle 11, quando la situazione non è più governabile, neanche con scariche di mitra, dopo che una squadra di Vigili del Fuoco giunta con un'autobotte aveva lavato abbondantemente i cadaveri imbrattati di sangue, sputi e ortaggi, gli stessi pompieri ne appendono sette per i piedi, alla pensilina del distributore di carburante Standard Oil (poi Esso), che si trovava all'angolo fra la piazza e corso Buenos Aires, secondo alcuni per fare in modo che tutti potessero vedere i cadaveri, secondo altri quasi a voler preservare i più odiati dall'oltraggio della folla[40][41]. Si tratta dei corpi di Mussolini, di Claretta Petacci la quale, essendo senza mutandine, le viene dapprima fermata la gonna con una spilla, poi il cappellano partigiano don Pollarolo si sfila la cintura e la usa fer fermare meglio la gonna[42], di Alessandro Pavolini, di Paolo Zerbino, di Ferdinando Mezzasoma, di Marcello Petacci e di Francesco Maria Barracu[43] il quale però cade subito a terra e viene sostituito da Achille Starace[44].
Nel primo pomeriggio una squadra di partigiani del distaccamento "Canevari" della brigata "Crespi", su ordine del comando, entra in piazza e depone i cadaveri[45].
Nella notte fra il 29 e 30 aprile un aereo bombarda la costa occidentale del lago di Como antistante la Tremezzina, ossia la zona ove avvenne la fucilazione di Mussolini, distruggendo a Tremezzo l'albergo Bazzoni e uccidendo sedici civili presenti nell'edificio[46]. La nazionalità del bombardiere è sconosciuta [47] al pari dello scopo di questa azione bellica a guerra conclusa, apparentemente inutile. Secondo i racconti di abitanti di Griante, paese dell'area bombardata, il bombardiere si avvalse di bengala per illuminare l'area sulla quale effettuo' due passaggi, secondo costoro si tratto' di un aereo tedesco a cui le voci del tempo aggiunsero la presenza a bordo del figlio di Mussolini [48]. L'ipotesi di un bombardamento tedesco, per rappresaglia contro l'uccisione di Mussolini è contenuta anche in un lancio di agenzia della Australian Associated Press (AAP) intitolato Germans Avenge Mussolini's Execution (I tedeschi vendicano l'uccisione di Mussolini) pubblicato il 3 maggio 1945 [49]. Secondo l'opinione di alcuni storici, sensibili alla "pista inglese", il bombardamento fu una rappresaglia degli inglesi indispettiti dal fatto che la cattura e l'esecuzione di Mussolini fosse avvenuta al di fuori del controllo delle forze alleate, causando anche il mancato recupero del presunto carteggio "Churchill Mussolini" [50].
Sepoltura e trasferimenti della salma
Il giorno seguente alle ore 7,30 presso il civico obitorio dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Milano in via Ponzio il professor Mario Cattabeni[51] sotto la sorveglianza del generale medico "Guido"[52] effettuò l'autopsia sul solo corpo di Mussolini[53]. Il riscontro diagnostico riscontrò sul cadavere sette fori di proiettile in entrata e sette fori in uscita sicuramente prodotti in vita e sei fori successivi alla morte ed individuò come causa mortis la recisione dell'aorta da parte di un proiettile. La salma di Mussolini fu seppellita anonima nel cimitero Maggiore di Milano. Il tumulo aveva il numero 384 e sebbene non vi fosse stato apposto alcun nome, proprio per evitare di far identificare il cadavere, ben presto la gente individuò il posto, che divenne meta di molti curiosi e di qualche commosso nostalgico.
La notte tra il 22 aprile e il 23 aprile 1946, all'approssimarsi del primo anniversario della morte, tre fascisti, Mauro Rana, Antonio Parozzi e Domenico Leccisi, facenti parte del Partito Democratico Fascista, trafugarono la salma. In due lettere all'Avanti! e all'Unità il gruppo comunicò che il partito fascista, non avendo ottenuto risposta alle richieste di una sepoltura di Mussolini, aveva deciso di prendere in custodia la salma. Si scatenò la caccia alla salma, che la voce popolare chiamò il salmone[54].
Si sospettò che fosse stata trafugata allo scopo di richiedere un riscatto, quantunque i familiari di Mussolini, i più probabili diretti interessati, erano, ovviamente, di impervia rintracciabilità e comunque non disponevano di agi tali da giustificare l'eventuale estorsione. Il 7 maggio, dopo varie peripezie, i trafugatori decisero di consegnarla ai frati minori dell'Angelicum di Milano nelle mani dei padri Alberto Parini ed Enrico Zucca[54].
La salma rimase nel convento per qualche tempo fino a che la polizia non venne a sapere tutta la storia dalla fidanzata di un amico di Leccisi. Padre Parini, che inizialmente aveva opposto un labile "segreto confessionale", decise infine di rivelare dove si trovava il corpo solo a patto che gli fosse garantita una sepoltura degna e occulta. Si arrivò ad una soluzione anche grazie all'interessamento di Alcide De Gasperi e del Papa: il 12 agosto 1946 il cadavere venne restituito al questore Vincenzo Agnesina[54], ma si dovette eseguire un ulteriore esame necroscopico per accertare l'identità dei resti[55]. Il 30 agosto 1957 la salma di Mussolini segretamente conservata nel convento dei Cappuccini di Cerro Maggiore viene riconsegnata alla vedova. In questa occasione anche il cervello che era stato prelevato durante l'autopsia e conservato in formalina nell'Istituto di medicina legale di Milano viene restituito[56]. Tutti i resti vengono finalmente seppelliti, secondo la volontà del Duce, nel cimitero di San Cassiano in Pennino, vicino a Predappio, dove ora si trovano.
Controversie sulla modalità della morte
Il carteggio Mussolini ovvero la pista inglese
Sono stati accertati almeno due contatti avvenuti al confine svizzero tra il duce ed emissari britannici, intorno al 1944-45 [57][58]; inoltre, il testo delle registrazioni telefoniche effettuate dai servizi segreti tedeschi a Salò, sulle conversazioni di Mussolini, dimostrano senza ombra di dubbio l'esistenza di uno scambio di lettere e di accordi segreti tra il dittatore italiano e il Primo ministro inglese Winston Churchill[59], anche se è ancora aleatorio definirne il contenuto. Il 27 aprile 1945, al momento della sua cattura, Mussolini aveva con sé due borse piene di documenti contenenti, tra l'altro, anche parte della sua corrispondenza con Churchill, come risulta dalle testimonianze di coloro che hanno dichiarato di averle ispezionate in quei giorni (partigiani, funzionari etc.)[60][61]. Nell’immediato dopoguerra, Churchill e i servizi segreti britannici si sarebbero dati da fare per recuperare tutte le copie del carteggio citato[62].
All'esistenza di tali documenti particolarmente segreti, conosciuti come il "carteggio Mussolini-Churchill", si ricollega la versione sull'uccisione del capo del fascismo di cui al memoriale dell’ex comandante della divisione partigiana formata dalla 111ª, 112ª e 113ª Brigata Garibaldi, Bruno Giovanni Lonati (“Giacomo”)[63]. In tale pubblicazione, l'autore, quasi cinquant’anni dopo i fatti (autunno 1994), dichiarava di essere stato l’autore dell’uccisione di Mussolini, il 28 aprile 1945, poco dopo le ore 11, in una stradina laterale di fronte casa De Maria, a Bonzanigo di Mezzegra, nell’ambito di una missione segreta diretta da un agente inglese. Lo scopo della missione sarebbe stato quello di impedire la diffusione del contenuto del famoso carteggio, recuperandolo e sopprimendo Mussolini e Claretta Petacci, essendo quest’ultima perfettamente informata su tali rapporti.
In base a tale versione dei fatti, Lonati sarebbe stato contattato dall’inglese il giorno precedente a Milano alle ore 16 e, per lo svolgimento della missione, avrebbe costituito una squadra composta da altri tre partigiani. Il “commando” sarebbe stato messo a conoscenza del luogo esatto ove si trovavano i prigionieri, intorno alle ore otto del mattino del giorno 28, grazie a un altro agente (detto “l’alpino”) posizionato a Tremezzo. Dopo una sparatoria per superare un posto di blocco nei pressi di Argegno (ove uno dei tre partigiani del “commando” avrebbe perso la vita), la squadra sarebbe giunta a Bonzanigo e avrebbe avuto facilmente ragione dei guardiani della coppia. L’esecuzione sarebbe stata effettuata con mitra Sten. Il carteggio Mussolini-Churchill non poté essere recuperato, ma – dopo aver effettuato alcune foto ai cadaveri - l’agente inglese avrebbe concordato il silenzio di Lonati e dei due partigiani superstiti per altri cinquant’anni. Per tale motivo Lonati avrebbe scritto il suo memoriale solo nel 1994. Nel frattempo (1982), Lonati si sarebbe recato dal console inglese a Milano, il quale gli avrebbe anche mostrato le foto scattate a suo tempo dall’agente segreto “John” e avrebbe approvato il testo di una dichiarazione[64]da spedire a Lonati allo scadere dei cinquant’anni, a conferma di tale versione dei fatti. [65]
Tale versione è stata accreditata da Peter Tompkins [66], scrittore ed ex agente segreto americano e dallo storico Luciano Garibaldi [67].
La medesima è avvalorata dalle seguenti circostanze:
- È documentato da registrazioni telefoniche e dalla corrispondenza intercorsa tra Mussolini e la Petacci, che quest’ultima era effettivamente al corrente dei contatti tra Churchill ed il capo del fascismo e del carteggio segreto [68].
- È stata individuata la presenza in loco, ai primi di maggio del 1945, di un misterioso agente in uniforme da alpino, sicuramente in contatto con spie inglesi e – probabilmente anche con la partigiana Giuseppina Tuissi “Gianna” [69], una delle poche persone a conoscenza della prigione di Mussolini e della Petacci, prima dell’esecuzione.
- È stato effettivamente testimoniato il verificarsi di una sparatoria con morti tra un posto di blocco di partigiani e una macchina, ad Argegno, la mattina del 28 aprile [70].
- L’orario antimeridiano dell’uccisione, secondo la versione Lonati, è coerente con la circostanza, rilevata in sede di autopsia, che lo stomaco di Mussolini fosse privo di resti di cibo [71].
- La testimonianza di Dorina Mazzola, che ha dichiarato che Mussolini e la Petacci furono uccisi a Bonzanigo e non a Giulino di Mezzegra in orario antimeridiano del 28 aprile 1945 è abbastanza coerente (anche se non coincide perfettamente) con quanto affermato da Lonati. La Mazzola ricordava anche un uomo che aveva a tracolla “una lussuosa macchina fotografica” [72].
Luigi Longo, comandante in capo di tutte le brigate Garibaldi – secondo Tompkins - sarebbe giunto sul posto subito dopo la duplice uccisione, e avrebbe architettata una “finta fucilazione” e la versione dell'uccisione “per errore” della Petacci, per poi legare al segreto per cinquant’anni tutti i partigiani presenti [73]. A tal proposito non si può non tener conto della ricostruzione di Urbano Lazzaro, il partigiano “Bill”, vice commissario politico della colonna partigiana autrice della cattura, nella quale si dichiara che il personaggio presentatosi a Dongo il 28 aprile 1945, con il nome di battaglia di “Colonnello Valerio” fosse proprio Luigi Longo e non Walter Audisio, come comunemente si sostiene [74].
La versione di Bruno Lonati è tuttavia contraddetta (oltre che dalla versione ufficiale dei fatti, di cui è cenno in premessa):
- Dall’autopsia effettuata a Milano il 30 aprile 1945, dal prof. Caio Mario Cattabeni, che ha rilevato almeno otto fori di entrata di proiettili sul corpo di Benito Mussolini [71], mentre Lonati ha affermato di aver sparato non più di quattro o cinque colpi[75].
- Dagli ulteriori esami effettuati dal prof. Pierluigi Baima Bollone sulle fotografie dei cadaveri sospesi al traliccio di Piazzale Loreto, che attesterebbero non solo l’esistenza di una raffica di mitra sui due corpi, ma anche l’effettuazione del colpo di grazia a mezzo pistola [76].
- Dal rilevamento di due proiettili da pistola, calibro 9 mm corto, nel corpo di Claretta Petacci, nel corso della riesumazione effettuata il 12 aprile 1947 [32], incompatibile con i proiettili del mitra Sten (calibro 9 mm lungo), che il Lonati asserisce fosse imbracciato dall’esecutore dell’omicidio [75].
- Dalla parziale divergenza degli orari dell’uccisione tra quanto dichiarato da Lonati e dalla Mazzola (vedi sopra).
- Dal parere dell’anatomopatologo Luigi Baima Bollone che non ritiene decisiva la circostanza della mancanza di cibo nello stomaco di Mussolini, in rapporto alla determinazione dell’orario dell’esecuzione [32]
- Dal silenzio dell’ambasciata britannica più volte interessata dallo stesso Lonati per la conferma della sua versione, una volta scaduti i cinquant’anni dai fatti.
- Dal rifiuto di rilasciare dichiarazioni a suo favore, da parte dell’unico partigiano del "commando", ancora vivente all’epoca della trasmissione trasmessa dal canale televisivo "Rai Tre" nel programma "Enigma", del 31 gennaio 2003.
- Dal responso negativo della “macchina della verità”, cui si è sottoposto il Lonati stesso nel corso della trasmissione suddetta.
Diverse versioni
Una delle prime versioni dei fatti, che sarebbe poi risultata leggermente difforme da quella ufficiale, fu rilasciata dal partigiano Guglielmo Cantoni (Sandrino), uno dei due militanti che avevano piantonato Mussolini e la Petacci in casa De Maria, il 28 aprile 1945. Il 22 ottobre 1945, Sandrino dichiarò al Corriere d’Informazione di aver seguito a piedi la squadra degli esecutori e delle vittime della fucilazione, e di esser giunto nei pressi di Villa Belmonte in tempo per vedere “Valerio” sparare un paio di colpi di pistola contro l’ex duce, il quale era rimasto inaspettatamente in piedi; la raffica di mitra, che – secondo l’intervistato – avrebbe investito sia Mussolini che la Petacci, sarebbe stata inflitta da Michele Moretti, intervenuto subito per risolvere l’impasse. Successivamente lo stesso Valerio avrebbe sparato altri due colpi di pistola, sul corpo dell’uomo, che si muoveva ancora [17].
Altre versioni alternative sono frutto dell’attestazione del prof. Cattabeni, in sede di necroscopia del 30 aprile 1945, relativa all’assenza di residui di cibo nello stomaco di Mussolini [71]; da ciò la deduzione che il duplice omicidio si sarebbe verificato in orario antimeridiano e l’ipotesi che poco dopo le ore 16.00 del 28 aprile si sarebbe svolta una “finta fucilazione” di due cadaveri.
Il primo studioso a delineare una simile tesi è stato Franco Bandini, nel 1978 [77]. Nel 1993, lo storico Alessandro Zanella sostenne che la duplice uccisione sia avvenuta intorno alle ore 5.30 del 28 aprile, in casa De Maria, ad opera di Luigi Canali (Neri), Michele Moretti (Gatti) e Giuseppe Frangi (Lino) [78].
Quest'ultima versione si avvale di uno studio prodotto dal dr. Aldo Alessiani, medico giudiziario della magistratura di Roma, nel quale si attesta, in base all’esame delle foto scattate (ore 11.00-14.00 circa del 29 aprile) sui cadaveri appesi al traliccio di Piazzale Loreto, che Mussolini e la Petacci fossero morti da circa trentasei ore, e cioè ben prima delle ore 16.00 del 28 aprile 1945 [79]. Anche la cosiddetta “pista inglese” di cui è cenno nella precedente sezione, presuppone un’esecuzione in orario antimeridiano, anche se intorno alle 11.00.
Successivamente si è affiancata l’ipotesi, analoga a quella del Bandini, ma più circostanziata, proposta dal giornalista ed ex senatore del MSI Giorgio Pisanò (1996), a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Dorina Mazzola (19-enne all'epoca), vicina di casa dei De Maria [80]. Quest’ultima avrebbe testimoniato di aver assistito – sia pur da distanza di circa duecento metri - ad un diverbio con urla e spari verso le 10.00-11.00 del mattino del 28 aprile, provenienti dal cortile di casa De Maria, nel quale avrebbe notato una persona calva e in maglietta che camminava a fatica nel cortile; subito dopo la Mazzola avrebbe sentito una raffica di mitra e un po’ di silenzio. Inoltre, verso le ore 12.00, la Mazzola avrebbe assistito ad una scena analoga, ove, però, l’uomo calvo era trascinato a spalla da due persone, e, contemporaneamente si sarebbe udita prima una donna in lacrime, poi un’ultima raffica di mitra [81].
Nel 2005, Pierluigi Baima Bollone, ordinario di Medicina legale nell'Università di Torino, effettuò un riesame della necroscopia del 1945 sul cadavere dell’ex duce, e uno studio computerizzato sulle fotografie e sulle riprese cinematografiche dei corpi sospesi al traliccio di Piazzale Loreto e sul tavolo dell’obitorio di Milano, sulle armi impiegate e i bossoli rinvenuti, nonché sulle cartelle cliniche di Mussolini in vita . Tale indagine ha condotto l’anatomopatologo torinese ad affermare che la circostanza della mancanza di cibo nello stomaco di Mussolini non sarebbe determinante in rapporto alla individuazione dell’orario dell’uccisione, in quanto risulta senza ombra di dubbio che il capo del fascismo fosse sofferente di ulcera ed osservava da anni una dieta tale che il suo stomaco si svuotava in un paio d’ore circa. Inoltre il docente universitario smentisce lo studio del dr. Alessiani, sostenendo che al momento dello scatto delle foto e delle riprese in Piazzale Loreto, la rigidità del corpo dell’ex duce era ancora nella fase iniziale, e ciò dimostrerebbe un orario del decesso non anteriore alle 16.00-16.30 del giorno precedente, coincidente con quello della versione ufficiale fornita da Walter Audisio. Inoltre, sulla base del posizionamento dei fori di entrata e di uscita nei due cadaveri, rilevata in base alle foto delle salme e alla necroscopia Cattabeni, il prof. Baima Bollone riterrebbe logico presumere che “l’azione determinante i due decessi sia stata effettuata da due tiratori, dei quali il primo posto frontalmente al bersaglio costituito dalla Petacci e da Mussolini, affiancati e leggermente sopravanzatisi l’una all’altro, e il secondo lateralmente”. Quest’ultima asserzione avvalorerebbe la meccanica della vicenda riportata nelle dichiarazioni del partigiano “Sandrino” al Corriere d’Informazione, nel 1945 [82].
Infine, nel 2009, i ricercatori Cavalleri, Giannantoni e Cereghino, effettuarono un attento esame dei documenti dei servizi segreti americani degli anni 1945 e 1946, desecretati dall'amministrazione Clinton. Da tale esame è emerso un rapporto datato 30 maggio 1945 dell'agente dell'OSS Valerian Lada-Mokarski, il quale, dopo aver ascoltato il resoconto di alcuni "testimoni oculari", trasmette una versione della fucilazione sostanzialmente in linea con quella fornita da Sandrino, con poche varianti. Secondo il rapporto dell'agente segreto statunitense, infatti, la fucilazione sarebbe stata condotta da tre uomini: un "capo partigiano" (verosimilmente: Lampredi), un uomo in vestito civile (l'Audisio), e un uomo in divisa da partigiano (il Moretti). I colpi sparati dal "civile" (Audisio), armato di revolver, avrebbero raggiunto obliquamente Mussolini sulla schiena e - subito dopo - l'uomo in divisa da partigiano (Moretti) gli avrebbe sparato direttamente al petto con un mitra. Poi sarebbe stata la volta della Petacci, raggiunta da diversi colpi al petto. Tuttavia il rapporto conclude che, in un secondo momento, sarebbe intervenuto un partigiano locale (che gli autori identificano in Luigi Canali, il Capitano Neri), il quale, dopo esser stato fatto avvicinare dal "capo partigiano" (Lampredi), avrebbe scaricato due ultimi colpi con la sua pistola sul corpo del duce, che era ancora vivo [83][84].
Ipotesi alternative sull'identità di "Valerio"
Alcuni autori (Bandini [85], Lazzaro [86]) hanno identificato la figura del colonnello Valerio con Luigi Longo Gallo, comandante generale delle Brigate Garibaldi e futuro segretario nazionale del PCI. In realtà la presenza di Longo a Mezzegra al momento della fucilazione di Mussolini (ore 16.00-16.30) deve escludersi, dato che, come è confermato dalle numerose fotografie dell'evento che lo ritraggono[87][88], nel corso del pomeriggio del 28 aprile 1945, il medesimo era presente in Piazza Duomo a Milano alla manifestazione conclusiva della grande sfilata, partita alle ore 15.00, dei garibaldini della Valsesia e della Valdossola guidati da Cino Moscatelli.
La sostenibilità dell'identificazione di Valerio con Longo, pertanto, è possibile solo anticipando la fucilazione nella tarda mattinata del 28 aprile e introducendo l'ulteriore tesi di una seconda fucilazione dei cadaveri nel pomeriggio; anche in tal caso, inoltre, non sarebbe chiara l'identità dell'autore della fucilazione delle 16.00-16.30 e, soprattutto, di colui che, tra le 17.00 e le 18.00 del pomeriggio medesimo si è ripresentato a Dongo, come colonnello Valerio, per fucilare i quindici prigionieri catturati insieme all'ex duce e alla Petacci. Né si comprende per quale motivo il partigiano Urbano Lazzaro Bill, colui che arrestò Mussolini il pomeriggio del 27 aprile, si sia pronunciato a favore dell'identificazione di Valerio con Longo soltanto a partire dal 1993[89] e non abbia testimoniato ciò al processo del 1957, di cui è cenno in premessa.
All'udienza del 24 maggio 1957, inoltre, i componenti del CLN Oscar Sforni e Cosimo De Angelis, hanno confermato che a Como, nella tarda mattinata del 28 aprile 1945, Audisio si era presentato a Como come colonnello Valerio, e che poi lo segirono a Dongo, dove lo raggiunsero intorno alle 14.00-14.10 [90]. Anche anticipando la fucilazione di Mussolini alla tarda mattinata di quel giorno, dunque, il colonnello Valerio, a quell'ora, non poteva stare a Mezzegra.
Infine, un'identificazione alternativa di Valerio fu proposta dal deputato comunista Massimo Caprara (che fu segretario di Togliatti) il quale sostenne essersi trattato non di Longo ma del suo "braccio destro" Aldo Lampredi ("Guido")[91].
Note
- ^ Si formò una colonna di circa trenta automobili, tre delle quali occupata da militari della gendarmeria tedesca, aperta da quattro motociclisti e scortata da un carro tedesco e da alcune autoblindo della Muti. Sulle automobili i membri del governo quasi al completo, funzionari e personalità fasciste.
- ^ Giorgio Cavalleri, cit, pag 157.
- ^ Alla frontiera le autorità svizzere negheranno l'entrata ai familiari del Duce, che faranno ritorno a villa Mantero a Como dove erano alloggiati, ed al ministro Guido Buffarini Guidi. In quei giorni altri familiari di Mussolini si trovavano a Como: a villa Mantero erano ospitate anche Gina Ruberti, moglie di Bruno con la figlia Marina; il figlio Vittorio giunto col padre da Milano si ricongiunge con la moglie Orsola Buvoli già sfollata a villa Stecchini con i figli Guido ed Adria; Vanni Teodorani, marito di Rosa, figlia di Arnaldo con Orio Ruberti, fratello di Gina, troveranno ospitalità al collegio Gallio il 27 aprile, il giorno prima vi si era già rifugiato Vittorio, resteranno tutti nascosti fino a novembre; le mogli di Vittorio e di Vanni Teodorani, oltre che di Roberto Farinacci, troveranno ospitalità presso l'istituto delle Orsoline; invece Vito, figlio di Arnaldo finirà nelle carceri di san Donnino.
- ^ La Val Managgio è l'unica possibilità, lungo la strada regina che permetta una diversione automobilistica verso la Svizzera.
- ^ Pierre Milza, Mussolini, La biblioteca di Repubblica, 1999, pag 91.
- ^ Pierre Milza, cit., pag 86.
- ^ Vittorio Roncacci, cit, pag 403.
- ^ Vittorio Roncacci, cit, pag 391.
- ^ Vittorio Roncacci, cit, pag 368.
- ^ Marino Viganò, Un'analisi accurata della presunta fuga in Svizzera, in Nuova Storia Contemporanea, n 3, 2001.
- ^ Wladimiro Settimelli, Mussolini in fuga verso la Spagna del camerata franco, in "Patria indipendente" 26 settembre 2010, pag 7.
- ^ Marino Viganò, Un'analisi accurata della presunta fuga in Svizzera, in Nuova Storia Contemporanea, n 3, 2001.
- ^ Alessandro Zanella, cit, pag 220.
- ^ Le dichiarazioni di Birzer sono citate nel libro I tedeschi in Italia, di Silvio Bertoldi, S&K editori
- ^ Alessandro Zanella, L'ora di Dongo, Rusconi, Milano, 1993, pag 380.
- ^ Alessandro Zanella, cit, pag 362.
- ^ a b Ferruccio Lanfranchi, Parla Sandrino uno dei cinque uomini che presero parte all’esecuzione di Mussolini, in: Corriere d’Informazione, 22-23 ottobre 1945
- ^ Successivamente Alice Canali, sorella del Neri, spiegò così la decisione del fratello: “Lia De Maria era nostra sorella di latte. Avevamo avuto la stessa balia. Mio fratello sapeva di potersi fidare ciecamente di lei e del marito” Cfr. Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, ARES, Milano, 2002, pag. 163
- ^ Cfr.: Gian Franco Venè, La condanna di Mussolini, Fratelli Fabbri, Milano, 1973. Il documento fu approvato “a maggioranza” da un comitato esecutivo composto da Sandro Pertini, Emilio Sereni, Leo Valiani, Achille Marazza e Giustino Arpesani
- ^ La notizia della cattura di Mussolini e degli altri gerarchi arrivò a Milano con una telefonata dalla caserma della guardia di Finanza di Germasino, confermata da una successiva telefonata da una centrale elettrica
- ^ Vittorio Roncacci, cit, pag 398.
- ^ Pierre Milza, cit, pag 131.
- ^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce,Tropea, Milano, 2001, pag. 328
- ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-46), Garzanti, Milano, 2009, pag. 51
- ^ Si tratta di partigiani provenienti dall'Oltrepò Pavese, appartenenti alle brigate "Crespi" e "Capettini" giunti a Milano la mattina del 27 aprile. Prima di essere acquartierati nella scuola di Viale Romagna questi partigiani parteciparono ad un breve comizio, tenuto dal comandante delle brigate Garibaldi della Lombardia Pietro Vergani “Fabio”, in piazzale Loreto che è poco distante da viale Romagna. Questi partigiani avevano un camion scoperto, che trasporterà il gruppo di Valerio a Dongo.Vedi Paolo Murialdi,Prima e dopo la fucilazione di Mussolini, Materiale resistente, ANPI Sezione di Voghera, Aprile 2000
- ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, cit., pag. 61
- ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, cit., pagg. 69-70
- ^ Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano, 2009, pag. 193. L’arma è attualmente conservata al Museo di Tirana.
- ^ Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 145. L’arma fu donata da Lampredi al partigiano Alfredo Mordini “Riccardo”, ed è attualmente conservata al Museo storico di Voghera.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 154
- ^ Walter Audisio, In nome del popolo italiano, Teti Stampa, Milano, 1975 (postumo)
- ^ a b c d Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 89 e succ.ve
- ^ cronologia dell'insurrezione a Milano
- ^ Walter Audisio, cit., pag. 371
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 165
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 123
- ^ Pierre Milza, cit, pag 220.
- ^ Walter Audisio, cit, pag 387.
- ^ Antonio Spinosa L'uomo che inventò lo stile fascista, Mondadori, Milano, 2002
- ^ Attilio Tamaro, "Due anni di storia, 1943-1945"
- ^ La successiva ristrutturazione della piazza, di vaste dimensioni, ha eliminato il distributore di benzina, ed oggi non vi è alcun riferimento visibile nel luogo esatto in cui avvenne il fatto.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit, pag 198
- ^ Pierre Milza, cit., pag. 929.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit, pag 198.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit, pag 200.
- ^ Alessandro Zanella, cit, pag 509.
- ^ Cfr. Pier Angelo Marengo, Marco Luppi E il «Bazzoni» fu raso al suolo in La Provincia, Como, 28 aprile 1990, citato da G. Cavalieri (2007)a pag 147
- ^ Don Fernando Nanni, Il bombardamento del '45, Il Griantino online
- ^ La notizia appare a pagina 16 del giornale The Argus di Melbourne con seguente testo: Germans Avenge Mussolini's Execution: The small Italian villages of Tremezzo, where Mussoline was arrested, and Dongo, where he was executed, were bombed in revenge on Tuesday by a single German plane, 15 villagers being killed and others wounded, reports an Exchange Telegraph correspondent from Como
- ^ Si veda pag 147 G. Cavalieri (2007) e pag 293 F. Andriola (1990)
- ^ L'istituto era diretto dal professor Antonio Cazzaniga che però era assente, venne quindi sostituito dal suo allievo Caio Mario Cattabeni.
- ^ Proprio in base ad ordine del CNL trasmesso dal prof. Pietro Bucalossi, il «partigiano Guido», non fu effettuta l'autopsia sul cadavere di Claretta Petacci. Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 214
- ^ Dell'esame necroscopico è stato redatto un verbale ufficiale portante il n° 7241 firmato dal prof. Cattabeni stesso e dai suoi collaboratori dott. Enea Scolari ed Emanuele D'Abundo e un'altro verbale non ufficiale redatto e firmato dal medico radiologo Pierluigi Cova presente all'autopsia a titolo personale.
- ^ a b c Giorgio Bocca. Storia della Repubblica Italiana. Dalla caduta del fascismo ad oggi. Rizzoli, 1982
- ^ I medici pubblicarono il seguente comunicato: Riteniamo che il cadavere esaminato sia lo stesso che fu sottoposto ad autopsia il 30 aprile 1945 come quello di Benito Mussolini dai professori Cattabeni, Scolari e D'Abundio e che fu quindi sottoposto ai rilievi antropometrici del professor Antonio Astuti. v. Pierre Milza, cit, pag 243.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit, pag 204.
- ^ Peter Tompkins, cit., pag. 317
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 84 e succ.ve
- ^ Documenti pubblicati in: Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, Milano, 1994, e in parte in: Luciano Garibaldi, cit., pagg. 68 e succ.ve
- ^ Peter Tompkins, cit., pag. 352
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 89 e succ.ve
- ^ Peter Tompkins, cit., pagg. 351 e succ.ve
- ^ Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Mursia, Milano, 1994
- ^ Riportata in bozza fotografata in: Peter Tompkins, cit., Tav. 7
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 110
- ^ Cfr: Peter Tompkins, cit.
- ^ Luciano Garibaldi, cit.,
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 67
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 115 e succ.ve
- ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 104
- ^ a b c Verbale della necroscopia n. 7241 dell’Obitorio comunale di Milano del 30 aprile 1945
- ^ Cfr.: Giorgio Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Un’inchiesta giornalistica durata quarant’anni, Il Saggiatore, Milano, 1996
- ^ Peter Tompkins, cit., pagg. 340-41
- ^ Urbano Lazzaro, Dongo, mezzo secolo di menzogne, Mondadori, Milano, 1993
- ^ a b Bruno G. Lonati, cit., pagg. 93-94
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 216
- ^ Cfr. Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, Mondadori, Milano, 1978
- ^ Alessandro Zanella, cit.
- ^ Intorno alle 5.30 di mattina. Cfr. Aldo Alessiani, Il teorema del verbale n. 7241, Roma, 1990 [1]
- ^ Cfr. : Giorgio Pisanò, cit.
- ^ [2]
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 219-20
- ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni, Mario J. Cerighino, cit., pagg. 205-210
- ^ Nell'intervista del 22 ottobre 1945, Sandrino attribuì quest'ultima operazione alla pistola impugnata da Walter Audisio; diversamente, avrebbe accusato un morto, in quanto all'atto di tali dichiarazioni il Capitano Neri era deceduto, essendo scomparso già il 7 maggio precedente
- ^ Cfr. Franco Bandini, cit.
- ^ Urbano Lazzaro, cit., pag. 145 ss.
- ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, cit., p. 95.
- ^ Per esempio in [3]
- ^ Urbano Lazzaro, cit.
- ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 157-58
- ^ Massimo Caprara, Quando le Botteghe erano Oscure, il saggiatore, 1997.
Bibliografia
- Pier Luigi Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo ultima azione, Mondadori, Milano, 1962.
- Urbano Lazzaro, Dongo: mezzo secolo di menzogne, Milano, Mondadori, 1993, ISBN 8804367628.
- Urbano Lazzaro, Il compagno Bill: diario dell'uomo che catturò Mussolini, SEI, Torino, 1989.
- Urbano Lazzaro, L'oro di Dongo: il mistero del tesoro del Duce, A. Mondadori, 1995.
- Antonio Spinosa, Mussolini, il fascino di un dittatore, A. Mondadori, 1989
- Giorgio Cavalleri, Ombre sul Lago, Varese, Arterigere, 2007 [1995], ISBN 8889666218.
- Franco Giannantoni, L'ombra degli americani sulla Resistenza al confine tra Italia e Svizzera, Mario Chiarotto Editore, 2007.
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Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- La relazione di Aldo Lampredi Guido del 1972
- memorandum segreto dell'agente OSS 441 Valerian Lada-Mocarski
- Copia integrale del Verbale 7241 autopsia Mussolini
- Audio Comunicato del CLNAI della fucilazione di Benito Mussolini; dal sito Rai Teche - formato Realmedia
- Filmati e foto d'epoca girati a Piazzale Loreto - Milano e all'obitorio
- Filmati girati il 29 aprile 1945 a Piazzale Loreto - Milano