Tantra

tradizioni esoteriche di induismo e buddhismo
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Tantra, termine sanscrito (in scrittura devanāgarī, तंत्र): "telaio", "ordito"[1]; ma tradotto anche come "principio", "essenza", "sistema", "dottrina", "tecnica"[2], per indicare sia un insieme di testi[3] dalla non univoca classificazione, sia un controverso insieme di insegnamenti spirituali e tradizioni esoteriche originatesi nelle culture religiose indiane con varianti induiste, buddhiste, giainiste e bönpo, con diramazioni diffuse in Tibet, Cina, Corea, Giappone, Indonesia e molte altre aree dell'Estremo Oriente[4]. In quest'ultima accezione, di questo insieme di tradizioni e culture è spesso adoperato come sinonimo anche il termine occidentale di tantrismo.

I termini, aspetti definitori

Tantrismo

A proposito di questo termine, "tantrismo", occorre subito chiarire due aspetti fondamentali per la comprensione dell'intero fenomeno.

Il primo è che il termine è del tutto sconosciuto alla tradizione classica indiana, non esiste in sanscrito. Esso fu infatti coniato in occidente[5][6] nel XX secolo da studiosi occidentali del mondo religioso indiano. Pare che il primo a menzionare "tantrismo" sia stato, nel 1918, l'avvocato britannico Sir John Woodroffe, che firmava con lo pseudonimo Arthur Avalon i suoi testi in qualità di orientalista.[7]

Invero, già dal secolo precedente gli orientalisti avevano individuato nel mondo hindu un insieme di fenomeni, culti e ideologie, che non riuscivano a rapportare al brahmanesimo, all'induismo classico fondato sui Veda e sulle Upaniṣad cioè. Essi riscontravano queste teorie e pratiche in testi che in buona parte adoperavano come suffisso il termine "tantra". Di qui i termini "tantrismo", "tantrico", e "tantra" nel senso di religione o setta religiosa.[7]

Il secondo aspetto è strettamente connesso col precedente: il termine "tantrismo" finì per indicare e caratterizzare un insieme di pratiche e credi ritenuti sostanzialmente differenti e scollegati da ciò che era noto delle religioni dell'India, conoscenze per lo più teoriche, fondate sullo studio dei testi. Così l'accademico francese André Padoux[8]:

«Nacque così l'idea di un complesso tantrico estraneo al pensiero e alle religioni originari dell'India [...] idea completamente sbagliata.»

Questo errore di inquadramento era però già stato messo in evidenza da alcuni studiosi, come l'indologo H. H. Wilson, che sin dal 1832 riconosceva i riti definiti poi tantrici in tutte le «categorie di hindu». Anche Arthur Avalon osservava l'induismo medioevale e moderno essere in larga parte tantrico.[7]

Pur tuttavia si fece largo la convinzione che in India esistessero due fenomeni o tradizioni religiose abbastanza distinte tra loro, pregiudizio che tutt'oggi persiste, specie al di fuori degli ambiti accademici. Così si esprime al riguardo l'accademico italiano Raffaele Torella:

«Nel tantrismo non c'è un'altra India che vene alla riscossa, ma l'unica India che, proprio all'interno della sua élite brahmanica, sente giunto il momento di riformulare se stessa per garantire la sua futura sopravvivenza.»

Idea simile era già presente nel pensiero dello storico delle religioni Mircea Eliade che, in Techinques du Yoga (1948), nega lo status di nuova religione al tantrismo. Ancor più radicale è Madeleine Biardoux che nel suo L'induismo. Antropologia di una civiltà (1981) scrive che «il tantrismo non inventa nulla».[7]

In ambito storiografico la categoria "Tantrismo" è criticata anche da altri studiosi:

  • Per Herbert Guenther il "tantrismo" rappresenta "una delle nozioni più confuse e uno dei maggiori fraintendimenti che la mente occidentale abbia sviluppato".[9]
  • Per André Padoux "non è facile fornire una valutazione obiettiva e scientifica del tantrismo, in quanto il soggetto è controverso e sconcertante. Non solo gli specialisti danno definizioni diverse del tantrismo, ma la sua stessa esistenza è stata talvolta negata."[10]
  • Per Brian K. Smith "il tantrismo si può certamente classificare come tra le categorie più problematiche nello studio della religione in generale e nello studio dell'induismo in particolare. Praticamente ogni proposizione che riguarda il tantrismo è controversa, partendo dalle sue origini e caratteristiche distintive fino alla valutazione della sua posizione nella storia delle religioni".[11]
  • Robert Brown nota comunque che il termine tantrismo, come già osservato in precedenza, sia una costruzione propria della cultura occidentale. In altre parole i tāntrika (praticanti del Tantra) non hanno mai tentato di definire il Tantra nel suo insieme come invece hanno fatto gli studiosi occidentali.[senza fonte]

Tāntrika

Come si è detto, esiste tutta una letteratura indiana, i Tantra, i cui testi in buona parte adoperano il suffisso "tantra": in queste opere si definisce tāntrika il praticante, colui cioè che segue il percorso spirituale descritto nei testi. Il termine è poi spesso adoperato, sempre nella letteratura indiana, in opposizione a vaidika, colui che segue i Veda. Già nel XV secolo il filosofo indiano Kullūka Bhaṭṭa parlava di rivelazione duplice, nei Veda e nei Tantra, e non, quindi, di due rivelazioni, e nemmeno di una ortodossia da una lato e eterodossia dall'altro.[7]

Il culto vedico originario, tranne qualche raro caso, non esiste più al giorno d'oggi in India. Continuano però ad esistere riti brahmanici la cui osservanza non è affatto respinta da chi si ritiene tāntrika. Fa notare Padoux che oggi l'ortodossia hindu riguarda più il comportamento sociale che quello religioso: non ha tanto importanza quale dio si adori e come, o quali templi si frequenti, o quali pratiche spirituali si preferisca seguire nel privato: più importanti sono sicuramente i riti sociali che segnano i passaggi importanti della vita (saṃskāra), e l'osservanza delle caste (varṇa).[7]

Tantra, i testi

 
Pārvati ascolta gli insegnamenti del suo sposo il signore Śiva. Datia (Madhya Pradesh, India), aprox. 1750. Molti testi tantra sono nella forma di dialogo fra il Dio e la Dea; negli Śaiva tantra la Dea interroga Śiva e costui risponde; negli Śakta tantra è la Dea a rispondere alle domande del Dio.

Esistono in letteratura molti testi definiti come Tantra, sia in sanscrito sia in lingue vernacolari, come il bengali e il tamil. Diverse sono anche le classsificazioni di questo insieme di testi, non sempre univoche e universalmente accettate.

La tradizione vuole che siano 92 i tantra rivelati da Śiva[12], 28 Āgama e 64 Bhairava tantra. Accanto a questi Śaiva tantra occorre poi aggiungere gli Śakta tantra, per le tradizioni religiose che invece considerano la Dea quale divinità principale; e molti altri insiemi di tantra che fanno parte di tradizioni minori.

Essendo stati questi testi trasmessi oralmente prima di darne testimonianza scritta, non è possibile fornire una datazione certa dell'origine. L'orientalista olandese Jan Gonda ritiene che essi vadano datati non prima dell'VIII secolo CE[13]; André Padoux sostiene che il Niḥśvāsatattva saṃhitā sia uno dei tantra fra i più antichi a noi pervenuti, esso risalirebbe al V-VI secolo[14].

  Lo stesso argomento in dettaglio: Tantra (testi induisti).

Tantra, il termine

Etimologicamente il termine "tantra" si ricollega alla radice verbale TAN, verbo che vuol dire "stendere", con riferimento a quanto si fa nella lavorazione dei tessuti. Il termine è perciò generalmente tradotto con "telaio", "ordito"[15], e quindi in senso lato, "opera", "testo"[16]. In letteratura esistono comunque diverse traduzioni del termine, che tendono più o meno a dare una chiave interpretativa e del termine stesso e del contesto.

Nella tabella seguente si riporta in ordine cronologico la ricorrenza del termine in letteratura e la sua traduzione o accezione. Occorre comunque e in ogni caso tenere presente, nella lettura di questa tabella, che quello che a noi lettori di oggi è accessibile, è pur sempre la traduzione del termine stesso, quindi un altro termine, o un insieme di parole, effetto di una traduzione.


CRONOLOGIA DELL'USO DEL TERMINE "TANTRA" NELLA TRADIZIONE SCRITTA[17]
Periodo Scrittura o Autore Accezione
1700–1100 a.C. Ṛgveda, X, 71.9: telaio (o dispositivo per la tessitura)[18]
1700-? a.C. Sāmaveda, Tandya Brahmana essenza (o "porzione principale", forse a denotare che rappresentava la quintessenza dei Sastras)[18]
1200-900 a.C. Atharvaveda, X, 7.42 telaio (o dispositivo per la tessitura)[18]
1400-1000 a.C. Yajurveda, Taittiriya Brahmana, 11.5.5.3 telaio (o dispositivo per la tessitura)[18]
600-500 a.C. per Pāṇini nell'Aṣṭādhyāyī tessuto preso dal telaio (con uso del termine "tantraka" come derivato da "tantra")
600-400 a.C. Kāmikāgama o Kāmikā-tantra grande conoscenza (su principi della realtà tattva e mantra)[19] e latore di liberazione[20]
600-300 a.C. Śatapatha Brāhmaṇa essenza (o "porzione principale", forse a denotare che rappresentava la quintessenza dei Sastras)[18]
350-283 a.C per Chanakya[21] nell'Arthaśāstra strategia (politica, militare ecc.)
300 d.C Īśvarakṛṣṇa autore della Samkhya Karika (kārikā 70) dottrina (identifica infatti tutto il Sāṃkhya come un "Tantra)"[22]
320 d.C Viṣṇu Purāṇa insieme di pratiche e rituali (parla della śakti di Viṣṇu e dei culti a Durga con l'uso di vino, carne, ecc.)[23]
320-400 d.C per il poeta Kālidāsa nell'Abhijñānaśākuntalam comprensione profonda o padroneggiamento di un argomento[24]
423 d.C. iscrizione su Pietra di Gangdhar in Rajasthan[25] insieme di pratiche e rituali di culto tantrico giornaliero (Tantrobhuta)[26]
500-600 d.C. Canone buddhista cinese (Vol. 18–21: Tantra (Vajrayāna) o buddismo tantrico insieme di pratiche o dottrine per l'ottenimento dell'illuminazione spirituale (incluse iconografie del corpo sottile con chakra, nadis, ed energie sottili, spiegazione di Mantra ecc)
606–647 d.C per lo studioso e poeta sanscrito Bāṇabhaṭṭa (nel Harṣacarita[27] e nel Kādambari), nel Cārudatta di Bhāsa e nel Mṛcchakatika di Śūdraka insieme di pratiche e rituali con uso di mandala e Yantra per propiziazioni di Matrika, rituali (anusthana) di cura ed altri tipicamente tantrici[28][29]
788-820 d.C per il filosofo Śankara sistema di pensiero o insieme di pratiche o dottrine[30]
1000-1100 d.C per il filosofo Abhinavagupta nel Tantrāloka insieme di pratiche o dottrine, insegnamento e/o dottrina shivaita (secondo le 3 forme: dvaita (dualista), dvaitādvaita (dualista e non-dualista insieme), ādvaita (non dualista))
1000-1100 d.C per il filosofo Bhaṭṭa Rāmakaṇṭha[31] insieme di pratiche o dottrine (divinamente rivelate) inerenti la pratica del culto spirituale[32]
1150-1200 d.C. per Jayaratha, commentatore di Abhinavagupta, nel Tantrālokavārttika insieme di pratiche o dottrine, insegnamento e/o dottrina Shivaita (come nel Tantrāloka)
1690–1785 d.C per il filosofo Bhaskararaya sistema di pensiero o insieme di pratiche o dottrine[33]


Come indicato dalla tabella cronologica il termine "tantra" : 1) è trasversalmente presente in molte delle principali e più antiche scritture presenti (non solo) nel continente indiano, 2) inizialmente tendeva a denotare un mezzo o uno strumento inteso anche soltanto come scrittura[34], per poi estendersi a significare "dottrina" (il Sāṃkhyakārikā, 300 d.C. cira, principale testo della scuola vedica Sāṃkhya, identifica il Sāṃkhya (nella kārikā 70) come un tantra)[35][36], 3) si è poi diffuso anche con il significato di "strategia", "insieme di pratiche e rituali" che sfoceranno nell'intero corpus della letteratura tantrica tradizionalmente definita tale. È pertanto riduttivo dare un significato univoco al termine. Molti autori (Sures Chandra Banerjee, Arthur Avalon ecc.) citano come definizione tradizionale di Tantra il celebre sloka del Tantra Rahasayam che identifica il Tantra come "ciò che aumenta la conoscenza" (Tanyate, vistaryate jnanam, anena iti tantram) o anche il Kamika Agama dello Shaiva Siddhanta (Tantrantara Patala) che recita: Tanoti vipulan arthan tattvamantra-samanvitan - Trananca kurute yasmat tantram ityabhidhyate ("è chiamato Tantra perchè promuove grande conoscenza su Tattva e Mantra e perchè conduce alla salvezza").[senza fonte]

Gli aspetti peculiari

 
Statua di Shiva a Rishikesh, India, mentre pratica la meditazione.
 
Lo Sri Yantra (con colori non traditionali).

Secondo l'accademico Padoux è possibile elencare una serie di caratteristiche peculiari dell'universo tantrico in sé, aspetti atti a riconoscere ciò che è "tantrico". Essi sono[37]:

  • Immanenza: l'universo e gli esseri umani sono permeati dell'energia divina, la śakti, personalizzata come una Dea.
  • Trasmissione: il tāntrika è un iniziato, il che implica la presenza di un maestro, il guru, e una trasmissione della dottrina (saṃpradāya) di maestro in maestro.
  • Segretezza: le dottrine e le pratiche hanno il carattere della segretezza.
  • Pūjā: il rituale di adorazione di una divinità è quello della pūjā, che è sempre tantrica nella sua struttura anche se rivolta a una divinità non tantrica.
  • Maṇḍala: il pantheon, sempre vasto, è organizzato in maṇḍala.
  • Mantra: l'oralità, la parola (vāc), assume un ruolo centrale in tutte le pratiche e riti, i mantra sono onnipresenti; molti di essi altro non sono che la forma fonica di divinità.
  • Yoga: esistenza di uno stretto legame con lo yoga[38].

E aggiunge: "Tuttavvia si può ammettere che il Tantrismo sia una categoria a parte e lo si può definire in generale come una via pratica ai poteri sovrannaturali e alla liberazione; consiste nell'uso di pratiche e tecniche specifiche (rituali, corporee e mentali), che sono sempre associate ad una dottrina particolare."[39]

Sulle peculiarità delle tradizioni tantriche, così altri studiosi:

  • David Gordon White suggerisce che il principio chiave del tantra risieda nel fatto che l'universo che noi sperimentiamo sia la concreta manifestazione dell'energia divina che lo crea e lo mantiene: le pratiche tantriche cercano di contattare e incanalare quell'energia all'interno del microcosmo umano.[40]

Lo stesso autore più recentemente[41] ha evidenziato come la caratteristica comune delle dottrine e delle pratiche tantriche consista nell'uso di maṇḍala, mantra e pratiche rituali allo scopo di mappare, organizzare e controllare un universo di potenze, impulsi e forze caotiche.[42]

  • Madeleine Biardeau riassume le dottrine tantriche come "un tentativo di porre kāma, il desiderio, in ogni suo significato, al servizio della liberazione."[43]
  • Prabhat Ranjan Sarkar filosofo indiano contemporaneo noto anche con il nome spirituale di Shrii Shrii Ánandamúrti, spiega così il significato del termine tantra: "Il significato del termine tantra è "liberazione dal legame". La lettera ta è il seme (suono) dell'ottusità (staticità). Ed il verbo radice trae suffissato da da diventa tra, che significa "ciò che libera" - così, quella pratica spirituale che libera l'aspirante dall'ottusità o dall'animalità della forza statica ed espande il sè spirituale dell'aspirante è il Tantra sadhana. Per questo non potrebbe esistere alcuna pratica spirituale senza Tantra.[44] Lo stesso autore, in un altro volume spiega che i praticanti del tantra più elevato dovrebbero possedere ampie visuali, rinunciando ai pensieri ristretti ed essere disposti a sacrificarsi al fine di promuovere il benessere altrui. Superando in tal modo, attraverso l'autorealizzazione ed il servizio disinteressato all'umanità, diversi ostacoli mentali.[45]

Origini e Storia

 
Il tempio dedicato alle Yogini presso Jabalpur, India. Le Yoginī sono divinità tantriche femminili secondarie (la tradizione ne enumera 64), compagne e assistenti di altri dèi, come Durga, per esempio. Il tempio risale al IX secolo e presenta, come da tradizione, 64 Yoginī.

Le origini sono tutt'oggi discusse e controverse. Da un lato diversi autori fanno notare come alcuni reperti archeologici, precedenti alla Pietra di Gangdhar in Rajasthan risalente al 424 CE e considerata la prima iscrizione epigrafica conosciuta contenente aspetti di rituali tantrici, dimostrino che culti tantrici fossero sicuramente esistenti in data antecedente al 400 CE. Ad esempio tra i reperti della Civiltà della valle dell'Indo (III millennio circa) esistono figure maschili e di divinità femminili in terraccotta, le Mātṛkā, di era quindi pre-vedica, che alcuni studiosi riconducono al culto di Śiva e Durga.[18][46] Vide Foote sostiene di aver trovato egli stesso nell'Altopiano del Deccan simboli fallici (linga) tipici della tradizione tantrica.[47]

Alcuni studiosi hanno voluto rapportare le origini del tantrismo allo sciamanesimo centroasiatico, ma tale connessione non è suffragata da alcuna prova storica, né le credenze tantriche hanno, secondo Padoux, caratteri che si possono far risalire allo sciamanesimo. È più probabile, invece, che sia stato il sud dell'India ad aver avuto un ruolo determinante. Accanto al mondo brahmanico, mondo ricordiamo elitario, è probabilmente esistito in India, sin da tempi immemori, un sostrato popolare, legato alle potenze naturali, alla terra. A questo erano associati culti popolari che si svolgevano ai margini del mondo brhamanico, in segreto, e da questi ebbe probabilmente origine il mondo tantrico.[48]

Come si è detto, i primi testi di riferimento di queste dottrine e pratiche apparvero in India tra il VI e il VII secolo CE e si baserebbero, secondo diversi autori, su tradizioni non scritte molto precedenti (come è per i Veda[49]), cosa che quindi non può necessariamente implicare che fu quello il periodo in cui le tradizioni presero inizio:

  • David Lorenzen sottolinea come ciò che viene comunemente denominato "Tantra" è considerato di origine molto antica e precedente l'espressione in scrittura formale dei primi documenti conosciuti risalenti al V o VI secolo d.C., come ad es. i testi della scuola Kapalikas.[50]
  • Anna L. Dallapiccola sostiene invece che il Tantrismo ebbe origine in India e nell'Induismo essendo da considerare il Buddhismo tantrico come successivo, anche se i due fenomeni religiosi interagirono.[51]

A partire dall'VIII secolo si può ritenere certa la presenza diffusa del fenomeno tantrico in buona parte del subcontinente indiano, in particolare nel Kashmir, zona cruciale per gli sviluppi e dell'induismo e del buddhismo. Dal Kashmir provengono filosofi come Vasugupta (VIII secolo) e Abhinavagupta (X secolo), preceduto quest'ultimo da una serie di profondi pensatori come Somānanda, Bhāskara, Bhaṭṭa Kallaṭa, eccetera; le maggiori opere religiose e filosofiche indiane vengono da questa parte dell'India, che conservò il suo primato fino al XIII secolo, periodo in cui ebbe inizio l'invasione islamica. Anche il Bengala e il sud dell'India sono da considerarsi importanti, soprattutto per l'architettura religiosa.[52]

L'espansione delle tradizioni tantriche si accompagnò con la loro evoluzione e diffusione in quegli ambiti che erano prettamente brahmanici. Secondo lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade, il tantrismo "prolunga e intensifica" quel processo di "induizzazione" già iniziato in epoca post-vedica.[53] E sulle interazioni fra brahmanesimo e tantrismo, così sintetizza André Padoux:

«Il tantrismo, «brahmanizzato», ha «tantricizzato» l'induismo diffusamente, costituendone, per certi aspetti, il fondo segreto.»

Alcune fra le maggiori tradizioni che presentano elementi tantrici sono: Aghora, Āḷvār, Gauḍīya, Kālāmukha, Kālīkula, Kāpālika, Kaula, Krama, Lākula, Nāyaṇar, Pāñcarāṭra, Pāśupata, Sahajiyā, Śaivasiddhānta, Śrīvidyā, Trika.

La Via del Tantra

(sanscrito)
«nādevo devam arcayet»
(italiano)
«Non si può venerare un dio se non si è un dio.»

Il tantrismo, nel fine che persegue in quanto insieme di dottrine, non si differenzia dagli altri movimenti religiosi hindu: è anch'esso una via per la liberazione (mokṣa) dal ciclo delle rinascite (saṃsāra), dalle sofferenza che l'essere in vita comporta. L'uomo vive in universo che è emanato e continuamente animato da Dio[54], il quale Dio può manifestare la sua potenza sia sotto forma di oscuramento (tirodhāna), essere cioè di ostacolo alla salvezza, sia concedendo la grazia (anugraha) nel mostrare le vie per la liberazione.[55]

Fra l'umano e il divino sussiste un isomorfismo per cui il corpo risulta permeato di forze sovrannaturali. Il corpo assume, nelle tradizioni tantriche, un'importanza nucleare[56] proprio per questa compenetrazione fra umano e divino, fra corpo e universo. La concezione non è certo nuova: già nei Veda è possibile rintracciare l'idea del corpo umano come microcosmo, e del macrocosmo come corpo; ma è proprio nel tantrismo che quest'aspetto si presenta come dato assolutamente caratteristico, e quasi ogni aspetto del mondo tantrico è inquadrabile in relazione al corpo.[57] Così recita una Upaniṣad dello Yoga:

«Nel corpo dell'adepto, / l'elemento Terra è situato / tra i piedi e le ginocchia; / la Terra è un quadrato / di colore giallo / e il suo mantra è LAM. / Là risiede Brahmā, / con quattro braccia, quattro volti, / splendenti come l'oro.»

Per quanto concerne il sistema in sé, la via tantrica, più che essere una dottrina coerente, è un insieme di pratiche e ideologie, caratterizzato da una grande importanza dei rituali, da pratiche per la manipolazione dell'energia (śakti), con azioni talvolta considerate "trasgressive", dall'uso del mondano per accedere al sopramondano e dall'identificazione del microcosmo con il macrocosmo.[58]

Tale correlazione consentirebbe al tāntrika (l'adepto dei Tantra) di poter accedere, mediante delle precise tecniche, all'energia cosmica presente nel proprio corpo e quindi raggiungere la liberazione con questo corpo e in questa vita (jīvanmukti).

Il tāntrika cerca di utilizzare il potere divino che scorre in tutte le manifestazioni universali al fine di ottenere i propri risultati, siano essi spirituali, materiali o entrambi.[59]

I tāntrika considerano la guida di un guru un prerequisito indispensabile[60]. Nel processo di manipolazione dell'energia il praticante ha diversi strumenti a disposizione: tra questi lo Yoga, con pratiche anche estreme che portano a un controllo pressoché completo del proprio corpo; la visualizzazione e verbalizzazione della divinità attraverso i mantra, e la meditazione su di essi; l'identificazione e internalizzazione del divino, con pratiche meditative tendenti a una totale immedesimazione con una divinità[61].

Secondo la visione del mondo hindu, l'evoluzione del mondo è ciclica, e all'interno di ogni ciclo (detto kalpa) sussistono ere (dette yuga) nelle quali la storia principia da un'età dell'oro (Satya Yuga) per giungere ad ere cosmiche di progressivo declino spirituale. L'ultima era, detta Kali Yuga (quella in cui attualmente viviamo), è caratterizzata da ignoranza spirituale, diffusione di falsi dèi o ateismo, commistione delle caste, guerre e sovvertimento dei valori del dharma.

Gli adepti del Tantra ritengono che i Veda e la tradizione brahmanica non siano più adeguate in questa nostra era: l'uomo ha perso la capacità spirituale di servirsi di quella tradizione per conseguire la liberazione. Né il rito vedico, né l'introspezione avviata nell'epoca delle Upaniṣad e nemmeno i metodi dello Yoga classico sono ritenuti sufficienti a questo scopo. In alcune tradizioni tantriche è possibile persino ravvisare un disprezzo per gli asceti: nel Kulārnava Tantra si ironizza sul fatto che questi girino nudi come gli animali, ma non per questo, come gli animali, raggiungono la liberazione.[62] Nel Guhyasamāja Tantra si può leggere:

«Nessuno riesce a ottenere la perfezione mediante operazioni difficili e noiose; ma la perfezione si può acquistare facilmente mediante la soddisfazione di tutti i desideri»

Il tantrismo ritiene che sia possibile raggiungere l'illuminazione anche nelle peggiori condizioni morali e sociali: l'età oscura in cui siamo immersi presenta innumerevoli ostacoli, che rendono difficile la maturazione spirituale. Per questo sono necessarie misure drastiche come, appunto, il metodo tantrico.[63]

Il guru

Il guru, specie nelle tradizioni tantriche, è ben più che un maestro spirituale. Egli non si limita ad impartire la dottrina al discepolo (śiṣya) come un ordinario maestro potrebbe fare, per quanto accorato e devoto: il guru è come un dio (gurudeva) che grazie alla propria potenza spirituale (śakti) "trasmette" al discepolo la dottrina e gli oggetti della tradizione. Per esempio, un mantra non può essere appreso semplicemente ascoltandolo (né tantomeno apprendendolo da un testo): deve e può solo essere passato dal guru al discepolo (guru śiṣya paramparā). Fra i due si stabilisce una relazione intima che ha i caratteri della riservatezza, della devozione e dell'obbedienza.[64]

Va detto che questo stato di cose, questo lignaggio iniziatico, non è esclusivo del tantrismo, bensì comune a tutte le scuole hindu. Nelle tradizioni tantriche alcuni caratteri risultano però ben marcati: la segretezza e la devozione. Come si è accennato, il guru è considerato manifestazione divina, a lui si deve non soltanto obbedienza ma anche devozione nel senso stretto del termine. Per esempio, la gurupādukā, l'impronta dei piedi del guru, va vista come il segno della presenza divina, e come tale adorata e omaggiata.[65]

Nelle tradizioni del Kaula ("famiglia", intesa come insieme di comunità che condividono la medesima tradizione), il rito di iniziazione del discepolo alla comunità (cakra; "cerchio", nel senso di "circolo", "setta") è una cerimonia piuttosto complessa. Il guru, quando ritiene essere giunto il momento, comunica al discepolo la decisione di introdurlo nella setta. Viene quindi organizzata una cerimonia con gli altri membri del cakra. Questa comincia con la recitazione di mantra e offerte alla Dea, quindi prosegue con la richiesta ritualizzata del guru al Signore del Cerchio (cakreśvara). Il discepolo viene interrogato e preparato, mentre prosegue l'adorazione alla Dea. L'iniziazione propriamente detta ha luogo con il posizionamento del discepolo su un maṇḍala appositamente tracciato sul suolo; un'aspersione; la trasmissione di un mantra personalizzato; l'imposizione di un nome nuovo; quindi l'iniziato offre doni agli astanti. La cerimonia prosegue con riti che includono il pasto e l'unione sessuale (maithuna).[66]

L'iniziato, il tantrikā, continuerà la sua via verso la realizzazione spirituale (sādhana) e un giorno potrà diventare guru egli stesso. Toccherà quindi a lui perpetuare (saṃpradāya) la dottrina, in quella che è una successione di maestri (guru paramparā) che così tramandano la discplina.

Il corpo yogico e la kuṇḍalinī

 
Il corpo yogico in una illustrazione da un manoscritto del XIX secolo, India. Sono ben visibili sette cakra, raffigurati come fiori di loto (padma), e nel cakra più in alto, Śiva.

L'individuo è immaginato possedere una struttura complessa che convive col corpo fisico: è questo il "corpo yogico"[67]. Tale corpo yogico è costituito di canali (nāḍī) e centri (cakra o padma)[68], e in esso gioca un ruolo determinante una potenza non umana bensì divina, la kuṇḍalinī. Lungo uno dei canali principali, la suṣumnā, quello che verticalmente collega la regione perineale con la sommità del capo, la kuṇḍalinī, che normalmente si trova allo stato latente alla base del canale stesso, può risalire, con pratiche adeguate, verso l'alto conducendo così alla liberazione.[69]

Il filosofo Kṣemarāja (X-XI secolo), discepolo di Abhinavagupta ed esponenete della scuola del Trika[70], nel commentare un passo degli Śivasūtra, così descrive la kuṇḍalinī quiescente:

«L'energia sottile e suprema è addormentata, attorcigliata come un serpente; essa racchiude in sé il bindu, e insieme l'universo intero, il sole, luna, astri e mondi. Ma essa è incosciente, come obnubilata da un veleno.»

Bindu è il seme maschile, la scintilla che può risvegliare la kuṇḍalinī. In questo caso bindu è anche simbolo di Śiva in quanto Coscienza.[71]

Il corpo yogico, fondamentale in quasi tutte le pratiche meditative e rituali, è ovviamente immateriale, è una struttura somatica inaccessibile ai sensi che l'adepto crea immaginandola, visualizzandola. Del resto molti culti tantrici sono culti visionari.

Va qui detto esplicitamente che lo Yoga cui il Tantra fa riferimento non è né il Kriyā Yoga né l'Aṣṭāṅga Yoga presentato da Patañjali nel suo basilare Yoga Sūtra (lo Yoga classico cioè), ma lo Haṭhayoga. Altrettanto esplicitamente va fatto notare che qui non si parla dello Haṭhayoga moderno (occidentale e indiano), invero versione reinterpretata di elementi tradizionali, ma dello Haṭhayoga che risulta dai testi classci, come la Gheraṇḍa Saṃhitā, la Haṭhayogapradīpkā o la Śiva Saṃhitā. Proprio per evitare questa confusione, molti autori preferiscono servirsi del termine "Kuṇḍalinī Yoga".[72]

Secondo una interpretazione classica, il termine haṭhayoga vuol dire letteralmente: unione (yoga) del sole (ha) e della luna (ṭha); e questa lettura risponde in pieno alle dottrine tantriche, per le quali la liberazione è il ricongiungimento della śakti, presente nell'individuo come kuṇḍalinī, con l'assoluto, Śiva, immaginato risiedere nell'ultimo cakra.[73]

Molte sono le tecniche che consentono il risveglio della kuṇḍalinī e la sua risalita lungo la suṣumnā[74]. Ne fa un dettagliata esposizione Abhinavagupta nel suo Tantrāloka, vasto trattato sul mondo del tantra ai suoi tempi (X secolo circa). Ecco come il filosofo descrive la risalita dell'energia:

«Quando non emette, la kuṇḍalinī assume la forma di pura energia quiescente (śaktikuṇḍalinī). In seguito diventa energia vitale o del soffio (prāṇakuṇḍalinī). Anche giunta al punto estremo dell'emissione, essa rimane la kuṇḍalinī suprema, chiamata brahman supremo, firmamento di Śiva e sede del Sé. I movimenti alterni di emanazione e riassorbimento non sono che l'emissione del Signore.»

Nella interpretazione dello shivaismo tantrico non dualista, commenta l'indologa Lilian Silburn, Śiva, Essere Supremo, è il soggetto conoscente, l'oggetto conosciuto e la conoscenza stessa, e quindi l'emissione e l'assorbimento della kuṇḍalinī restano emissioni di Śiva.

In un testo precedente (IX secolo circa), il Vijñana Bhairava Tantra[75] ("Conscenza del Tremendo"[76]), è presentato concisamente un compendio di tecniche yogiche; qui un esempio di uso del controllo della respirazione per il risveglio della kuṇḍalinī:

«Il soffio ascendente esce, il soffio discendente entra, di sua propria volontà, in forma sinuosa. La Grande Dea si estende dappertutto Suprema-Infima, supremo luogo sacro.»
  Lo stesso argomento in dettaglio: Kuṇḍalinī.

Evoluzione e involuzione

Secondo Swami Nikhilananda, esponente dell'Advaita Vedānta, nelle dottrine tantriche il Satchitananda[77] ha insieme sia il potere dell'auto-evoluzione che quello dell'auto-involuzione. La Realtà fisica (prakṛti) si evolve in una molteplicità di cose ed esseri viventi, eppure al tempo stesso resta pura coscienza, essere e beatitudine; in questo processo di evoluzione, Māyā ("illusione") nasconde la realtà e la separa in coppie di opposti, come conscio e inconscio, piacevole e spiacevole, e così via. Queste condizioni limitano o restringono l'individuo (jīva) e trasformano la sua percezione in quella di un animale.[78]

In questo mondo relativo, Śiva e Śakti sembrano separati; nel Tantra, però, anche durante l'evoluzione, la Realtà resta identica, sebbene il Tantra non neghi né l'atto né il fatto di questa evoluzione. Di fatto, il Tantra afferma che sia il processo di evoluzione universale sia quello individuale sono Realtà, prendendo le distanze sia dal puro dualismo sia dal non-dualismo del Vedānta.[78]

Comunque, l'evoluzione o "corrente di uscita" è solo una delle funzioni di Māyā; l'involuzione, o "corrente di ritorno", riporta il jiva alla sorgente o radice della Realtà, rivelando l'infinito. Si dice che il Tantra insegni il metodo per cambiare il verso della corrente, da quella di uscita a quella di ritorno. Questa idea è alla base di due proverbi tantrici: "ci si deve rialzare con quello che ci fa cadere" e "lo stesso veleno che uccide diventa l'elisir della vita se usato dal saggio".[78]

Pratiche tantriche

Il metodo tantrico consiste nel sublimare piuttosto che negare la realtà negativa; questo metodo si compone di tre fasi: purificazione, elevazione, e "riaffermazione dell'identità sul piano della pura coscienza"[78].

A causa dell'ampia varietà di comunità che fanno riferimento al termine "Tantra", è difficile descrivere le pratiche tantriche in maniera definitiva. La pratica fondamentale, la forma di venerazione induista conosciuta come puja, può comprendere uno o più dei seguenti elementi.

Maṇḍala e yantra

Il termine maṇḍala vuol dire letteralmente "cerchio", nel senso di "ciò che circonda"[79], ed è qui utilizzato per indicare un elemento caratteristico della liturgia tantrica. Esteriormente si presenta come un disegno, a volte molto complesso, altre volutamente schematico, che basandosi su simmetrie e figure geometriche quali il cerchio, il quadrato e il triangolo, spesso inserisce motivi grafici anche molto elaborati.[80] I maṇḍala non sono affatto una prerogativa del tantrismo, se ne ritrovano infatti anche in altre culture e religioni, ma è soprattutto nel buddhismo tantrico che i maṇḍala diventano opere vere e proprie, manufatti che richiedono anche mesi per poter essere realizzati.

Nel tantrismo hindu è più spesso utilizato un tipo di maṇḍala più semplice, lo yantra (letteralmente "strumento", ma anche "amuleto")[81], volutamente schematico per poter essere disegnato o inciso con faciltà.

Per i tantrikā il maṇḍala è un'immagine del cosmo e una teofania. In quanto imago mundi il suo centro è il centro del mondo (axis mundi), immaginato essere il monte Meru.

Il maṇḍala è utilizzato in diversi modi: può essere tracciato sul suolo, per lo svolgimento di alcune cerimonie che ne prevedono l'uso (come le iniziazioni); può essere disegnato su stoffa o inciso su pelle o metallo, per realizzare uno strumento di meditazione o anche di adorazione di una divinità (spesso la Dea) che vi viene fatta temporaneamente discendere.[82]

Mantra

Come in altre tradizioni yoga induiste e buddhiste, il mantra svolge un ruolo importante nel Tantra per concentrare la mente. I mantra sono spesso usati per invocare specifiche divinità induiste come Śiva e Kali. Allo stesso modo, i puja spesso comprendono la concentrazione su uno yantra o mandala associato alla stessa divinità[senza fonte].

Identificazione con la divinità

Il Tantra abbracciò tutte le divinità induiste, specialmente Śiva e Shakti, insieme alla filosofia Advaita secondo la quale ciascuna rappresenta un aspetto del Para Śiva, o Brahman. Queste divinità possono essere venerate esteriormente con fiori, incenso, e altre offerte; ma, in definitiva, esse sono un oggetto di meditazione che i praticanti visualizzano (darshan) o con cui cercano di immedesimarsi. Nel Buddhismo tantrico, questo processo è chiamato yoga della divinità[83].

Riti sessuali

 
La coppia divina di Kṛṣṇa e Rādhā, acquarello del XVII secolo. L'amore del dio con Rādhā, la sua preferita fra le pastorelle, è stato ed è tuttora soggetto d'ispirazione per una vasta letteratura religiosa, spesso dai risvolti decisamente erotici.

I riti sessuali potrebbero essere emersi agli inizi del Tantra induista anche come un metodo pratico di generare fluidi corporei trasformativi per costituire un'offerta vitale alle divinità tantriche, oppure essersi evolute da cerimonie di iniziazione dei clan che comprendevano la transazione di fluidi sessuali.[84]

Nelle tradizioni del Kaula, per esempio, l'iniziato di sesso maschile era inseminato o insanguinato con le emissioni sessuali della consorte femmina, talvolta frammiste al seme di un guru, ed era così trasformato in figlio del clan (kulaputra) per grazia della consorte; si pensava infatti che il fluido del clan (kuladravya) o nettare del clan (kulāmṛita) scorresse naturalmente dalla sua pancia. Sviluppi successivi del rito enfatizzavano l'importanza della beatitudine e dell'unione divina, che sostituirono le connotazioni più corporee delle forme più antiche. Sebbene in Occidente il Tantra sia pensato come coincidente con i riti sessuali, solo una minoranza di sette vi fa ricorso, e nel tempo per lo più questi riti hanno subito un processo di sublimazione.[84]

Non si ritrovano riti sessuali nelle tradizioni viṣṇuite del Pāñcarātra, per esempio, né nello Śaivasiddhānta, corrente religiosa śaiva (dualista e dualista/non-dualista).[85] È però possibile affermare che tratto comune di tutte le tradizioni tantriche è la piena accettazione della varietà del mondo, del piacere in generale e del desiderio sessuale o amoroso (kāma) in particolare. Del resto in India il sesso non è certo un'attività peccaminosa, anche se il perseguire il piacere, l'esserne in qualche modo dipendente cioè, continua a legare l'individuo al mondo ostacolando la liberazione.[86] Questo contrasto fra il sesso e il fine spirituale delle liberazione è risolto, in alcune tradizioni tantriche, guardando all'eros come la via maestra per accedere al divino, eros qui inteso come principio presente in diverse forme, non solo nei riti e nelle pratiche, ma anche nelle speculazioni metafisiche, nella teologia, nella mitologia, nei pantheon e nello yoga.[87]

Una caratteristica comune ai pantheon tantrici è la coppia (yamala): ogni dio è compagno di una dea, per esempio Śiva con Pārvatī, o anche con Durgā o Umā; Viṣṇu con Lakṣmī; Bhairava con Tripurasundarī; Kṛṣṇa con Rādhā; eccetera. Anche nelle tradizioni śākta, dove è la Dea a essere considerata Essere Supremo (per esempio Kālī o Kubjikā), pur se meno appariscente, è presente la divinità maschile, quasi sempre Śiva.[88]

 
Una rappresentazione moderna di Śiva e Pārvatī, Bangalore, India

La coppia divina è in realtà, specie nelle dottrine moniste del Kashimir, intesa come l'unica divinità suprema, vista nei due aspetti trascendente (il maschile) e immanente (il femminile). La Śakti, il polo femminile, altro non è se non la potenza del Dio[89], il suo aspetto immanente, la forza vivificante che opera nel mondo.[90] Śakti è presente nell'essere umano come kuṇḍalinī, energia quiescente, che l'individuo può risvegliare e utilizzare per fini spirituali. Śakti è presente in ogni donna, nel senso che ogni donna è ritenuta rappresentare e possedere naturalmente l'energia divina. Da ciò deriva il posto in un certo senso privilegiato che la donna occupa nelle tradizioni tantriche, cosa che non è possibile riscontrare nel brahmanesimo. Di più, secondo la tradizione vaiṣṇava del Sahajiyā (tuttora seguita nel Bengala presso i Bāul), e l'uomo e la donna sono ritenuti rappresentazioni concrete della coppia divina, in questo caso Kṛṣṇa e Rādhā, e l'unone sessuale ritualizzata è mezzo per il raggiungimento del samādhi.[91]

La kuṇḍalinī, forma concreta della Śakti, si trova normalmente inattiva nell'individuo, arrotolata (è questo il significato letterale del termine) nella zona perineale del corpo yogico. Secondo le dottrine yogiche del Tantra, questa kuṇḍalinī ha come meta suprema, proprio in quanto Śakti, il ricongiungimento con la controparte maschile, Śiva: è la riunione del maschile e del femminile, il ripristino dell'androginità originaria, la realizzazione nel microscosmo umano dell'Essere Supremo. Nei testi che spiegano le tecniche yogiche per la risalita della kuṇḍalinī, il linguaggio adoperato è ricco di metafore sessuali.[92]

Così si esprime Abhinavagupta a proposito dell'unione:

«La fusione, quella della coppia Śiva e Śakti, è l'energia della felicità, da cui emana tutto l'universo: realtà al di là del supremo e del non-supremo, essa è chiamata Dea, essenza e Cuore [glorioso]: è l'emissione, il Signore Supremo.»

E Jayaratha, aggiunge la Silburn, nel suo commento a questo passo[93] parla di unione della kuṇḍalinī con Śiva come sfregamento che dà reciproco godimento.

Una cerimonia tuttora in vigore nel Nepal e nel Bengala, la kumārī-pūjā ("adorazione della ragazza"), testimonia il rapporto fra la donna e la śakti. Una fanciulla vergine di circa dodici anni viene fatta sedere su un trono e tramite una funzione complessa, la ragazza viene deificata divenendo così temporaneamente personificazione della Dea stessa, e in quanto tale adorata.[94]

Il cakra-pūjā è una cerimonia religiosa di gruppo: cakra ("cerchio") indica qui il circolo di cui fanno parte i membri di una comunità tantrica. Il rito avviene di notte: attorno a un trono dedicato alla Dea, gli officianti maschi si dispongono a ferro di cavallo. Il Signore del Cerchio assegna a ogni uomo una donna (a sorte o seguendo un piano solo a lui noto), che andrà a sedersi alla sinistra del compagno. Il rito prosegue con offerte alla Dea, recitazione di mantra e meditazioni secondo un rituale complicato, al termine del quale ogni coppia si apparta.[95]

Un rito molto esplicito è la yoni-pūjā ("adorazione della vagina"). Il rito fa parte di una tradizione vaiṣṇava ed è descritto nello Yoni Tantra. Una donna, opportunamente preparata e ornata, è collocata prima su un maṇḍala e poi fatta accomodare sulla coscia sinistra dello yogin che officia il rito. Costui procede con la cerimonia facendole bere del vino, recitando mantra e massaggiandole la vagina con pasta di sandalo, quindi si unisce a lei. Le secrezioni dell'eiaculazione sono poi offerte come oblazione alla Dea. Diversi altri testi prescrivono l'unione sessuale rituale, talune molto particolari, come quella che si pratica di notte su cadaveri.[96]

L'unione sessuale e l'uso del vino per fini rituali sono pratiche ritenute non ortodosse nel brahmanesimo, anzi proibite; e proibito al brahmano è in ogni caso il consumo di bevande alcooliche, di carne e pesce, stante al Manusmṛti (la "Legge di Manu"), testo fondamentale del codice e dell'etica hindu. Nelle tradizioni tantriche cosiddette della "mano sinistra" (vāmācāra) sono invece trasgredite proprio queste raccomandazioni, e la questione è nota come le pratica delle «cinque emme»: maithuna (unione sessuale), māṃsā (carne), madya (vino), matsya (pesce), mudrā (cereali arrostiti).[97]

E a proposito del maithuna, questo Tantra della tradizione Kaula (XII secolo circa) sottolinea il significato spirituale dell'amplesso:

«Per chi non sa questo, la propria consorte a cui deve unirsi giace incosciente, ma così conosce, sa che essa è la consorte interiore, ben desta, la shakti con cui compiere la propria unione. L'effluvio di beatitudine che è prodotto dall'amplesso della coppia divina del Supremo Shiva e la Suprema Dea, questo è l'unico e vero significato dell'unione sessuale. Chi in altro modo si unisce a una donna, non è altro che un animale che copula.»

Quando eseguito in accordo al Tantra il rituale sessuale culmina in una sublime esperienza di infinita consapevolezza, per entrambi i partecipanti. I Tantra specificano che il sesso ha tre finalità ben distinte - procreazione, piacere e liberazione. Coloro che cercano la liberazione evitano l'orgasmo frizionale per una forma più alta di estasi, e la coppia che prende parte al rituale si immobilizza in un abbraccio statico; diversi rituali sessuali sono raccomandati e praticati, comprendendo riti purificatori e preparatori elaborati e meticolosi. L'atto risulta in un equilibrio delle energie che scorrono nell'ida prāṇico nel corpo yogico di entrambi i partecipanti, il suṣumnā si risveglia e la kuṇḍalinī risale dentro di esso. Questo può infine culminare nel samādhi, dove le rispettive individualità di ciascuno sono completamente dissolte nella coscienza cosmica. I praticanti interpretano l'atto su molteplici livelli; i partecipanti maschio e femmina unendosi fisicamente rappresentano il Dio e la Dea, il principio maschile e quello femminile, e al di là del corpo fisico le due energie si fondono generando un unico indistinto.[60].

Visione occidentale del Tantra

In Occidente, i primi orientalisti europei vedevano il Tantra come una forza sovversiva, antisociale, licenziosa e immorale colpevole della corruzione dell'induismo classico; molti oggi lo vedono invece come una celebrazione dell'uguaglianza sociale, della sessualità, del femminismo e della cultura del corpo[98], al punto che se ne è formata una variante occidentale (Neotantra), seppure criticata dai tantristi orientali.

Sir John Woodroffe

Il primo studioso occidentale ad affrontare seriamente lo studio del Tantra fu Sir John Woodroffe (18651936), che scrisse sul tema sotto il nome d'arte "Arthur Avalon"; è comunemente considerato il "padre fondatore degli studi tantrici"[99]. A differenza dei suoi predecessori, Woodroffe era apologetico nei confronti del Tantra, difendendolo contro le innumerevoli critiche e presentandolo come un sistema etico-filosofico compatibile con i Veda e i Vedānta[100].

Sviluppi successivi

Dopo Sir John Woodroffe, diversi studiosi cominciarono ad analizzare attivamente gli insegnamenti tantrici; tra questi esperti di religione comparativa e indologia, come Agehananda Bharati, Mircea Eliade, Julius Evola, Carl Gustav Jung, Giuseppe Tucci, e Heinrich Zimmer[101].

Secondo Hugh Urban, Zimmer, Evola, e Eliade vedevano il Tantra come «la culminazione di tutto il pensiero indiano: la forma più radicale di spiritualità e il cuore arcaico dell'India aborigena», e lo consideravano come la religione ideale dell'era moderna. Tutti e tre vedevano il Tantra come «il cammino più "trasgressivo" e "violento" verso il sacro»[102]. Zimmer elogiò il Tantra per il suo atteggiamento affermativo nei confronti del mondo:

«Nel Tantra, l'approccio non è quello del Nay (arcaismo per "No") ma dello Yea (arcaismo per "Sì") [...] l'atteggiamento verso il mondo è affermativo [...] L'uomo vi si deve avvicinare attraverso e per mezzo della natura, non con il rifiuto della natura"»

Tantra nell'Occidente contemporaneo

Dopo queste prime presentazioni positive del Tantra, altri autori molto popolari come Joseph Campbell contribuirono a importare il Tantra nell'immaginario collettivo contemporaneo; il Tantra comincia a essere visto come un "culto dell'estasi", che combina spiritualità e sessualità in modo da agire come una forza correttiva dell'atteggiamento repressivo della cultura occidentale nei confronti del sesso[103].

Nel momento in cui il Tantra è diventato popolare in Occidente, però, ha subito una significativa trasformazione, fino ad essere inglobato nella occidentalissima New Age, che ne ha prodotto una versione nota come Neotantra, molto differente dalla tradizione tantrica originale dell'India. Per molti lettori occidentali moderni, "Tantra" è diventato un sinonimo di "sesso spirituale" o "sessualità sacra", il concetto che il sesso stesso debba essere santificato in quanto capace di elevare la coppia ad un piano di spiritualità superiore[103]. Sebbene il Neotantra adotti molti dei termini e dei concetti del Tantra indiano, in esso le tradizionali fondamenta di guruparampara e delle regole di condotta rituale sono state epurate.

Secondo Hugh Urban, la maggior parte degli studiosi occidentali critica il Neotantra: «Almeno dal tempo di Agehananda Bharati, la maggior parte degli studiosi occidentali è stata fortemente critica di queste nuove forme di pop-Tantra o neo-Tantra. Questo "California Tantra" come Georg Feuerstein lo chiama, è "basato su un profondo fraintendimento del cammino tantrico. Il loro errore principale è di confondere la beatitudine tantrica [...] con l'ordinario piacere orgasmico"»[103]. Urban poi chiarisce che personalmente non considera il neo-Tantra "sbagliato" o "falso" ma piuttosto «semplicemente una diversa interpretazione di una specifica situazione storica»[103].

Shambhavi Saraswati dà una descrizione sintetica ma efficace della differenza tra Tantra e Neotantra: «Il neo-Tantra ritualizza il sesso. Il vero Tantra sessualizza il rituale»[104].

Note

  1. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary: "loom", "warp": "telaio", "ordito".
  2. ^ Vedi oltre: aspetti definitori del termine.
  3. ^ La datazione dei Tantra non può essere anteriore al 600 d.C., e la maggior parte di questi testi fu probabilmente composta a partire dall'VIII secolo. (Flood, G. 2006 p. 215).
  4. ^ White D. G. 2000, p. 7.
  5. ^ Come del resto anche il termine "induismo".
  6. ^ "La parola Tantrismo fu coniata nel secolo XIX dal sanscrito tantra che significa "trama" o "telaio" quindi una dottrina, e pertanto anche un'opera, un trattato o un manuale che insegna qualche dottrina, sebbene non necessariamente una dottrina tantrica. Ma accadde che gli studiosi occidentali scoprirono per la prima volta in opere conosciute come tantra dottrine e pratiche diverse da quelle del Brahmanesimo e dell'Induismo classico, che allora si credeva costituisse la totalità della letteratura religiosa induista. Questi testi differivano inoltre da ciò che che si conosceva del Buddhismo antico e della filosofia Mahāyāna. Così gli esperti occidentali adottarono la parola Tantrismo per quell'aspetto particolare e per loro molto peculiare, persino repellente, della religione indiana. Non c'è alcuna parola in sanscrito che designi il Tantrismo. Ci sono testi chiamati tantra; c'è il tantraśastra cioè l'insegnamento dei tantra; c'è anche l'aggettivo tāntrika (tantrico) che è usato distintamente da vaidika (vedico) per contrapporre un aspetto della tradizione induista religiosa e rituale non al Vedismo propriamente detto, ma all'Induismo non tantrico "ortodosso" che si è tramandato fino ai giorni nostri, prevalentemente nel rituale privato (contrapposto a quello del tempio), e in particolare nei "sacramenti" (saṃskāra) imposti a tutti i maschi induisti due-volti-nati (appartenenti alle classi superiori). La tradizione tantrica si presenta pertanto come una tradizione diversa da quella dei Veda e delle upaniṣad, e in particolare dotata di riti e pratiche differenti. (Tantrismo in Enciclopedia delle Religioni, vol.9 2006, pagg.377 e segg.)
  7. ^ a b c d e f André Padoux, 2011, cap. I.
  8. ^ Definito dall'accademico italiano Raffaele Torella «indiscussa autorità in campo internazionale in questo campo» (dall'introduzione a André Padoux, Tantra, Op. cit.).
  9. ^ Guenther, H., 1971.
  10. ^ Padoux, A., 2011
  11. ^ Smith, B., 2005.
  12. ^ In questo la tradizione tantrica si differenzia nettamente da quella vedica: i Veda sono eterni, non rivelati cioè, ma soltanto visti dai veggenti in epoca remota.
  13. ^ Gonda, J. 1981, p.295.
  14. ^ Padoux, A. 2011, p. 48.
  15. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary.
  16. ^ André Padoux, 2011, p. 17.
  17. ^ Le date della colonna a sx della tab. si riferiscono all'apparizione o all'origine di quella tradizione o corrente, talvolta prima ancora che venisse trascritta, secondo la datazione riconosciuta dalla maggioranza degli studiosi. Sono esclusi dalla tab. i testi tradizionalmente considerati tantrici ad eccezione del Tantrāloka.
  18. ^ a b c d e f Banerjee, S.C., 1988.
  19. ^ Wallis, C. 2012, p.26
  20. ^ Tanoti vipulan arthan tattvamantra-samanvitan - Trananca kurute yasmat tantram ityabhidhyate ("è chiamato Tantra perchè promulga grande conoscenza riguardo a Tattva e Mantra e perchè porta alla salvezza").
  21. ^ Noto anche con il nome di Kautilya, Vishnugupta, Dramila o Amgula.
  22. ^ Bagchi, P.C., 1989. p.6.
  23. ^ Banerjee, S.C., 1988, p.8
  24. ^ Sures Chandra Banerjee, che fu professore di Sanscrito per trent'anni al Department of Education of West Bengal pubblicando più quaranta opere e trattati sull'argomento guadagnandosi il Rabindra Memorial, il più alto riconoscimento lettereario assegnato dal governo del West Bengal, afferma [Banerjee, S.C., 1988]: ""Tantra" è un termine utilizzato per denotare governance. Kālidāsa nell'Abhijñānaśākuntalam usa l'espressione prajah tantrayitva (cioè "avendo governato o padroneggiato l'argomento") (tradotto dall'originale in lingua inglese).
  25. ^ Considerata fino ad oggi la prima evidenza epigrafica di un culto tantrico.
  26. ^ Joshi, M.C. in Harper, K. & Brown, R., 2002, p.48
  27. ^ "L'autore sanscrito del VII secolo Banabhatta menziona, nell'Harshacharita la propiziazione di Matrika da parte di un asceta tantrico". (Banerjee 2002, p.34, trad. dall'originale)
  28. ^ Banerjee, S.C., 2002, p.34
  29. ^ Joshi, M.C. in Harper, K. & Brown, R., 2002, p.48
  30. ^ Śankara usa il termine Kapilasya-tantra per denotare il sistema esposto da Kapila (la filosofia Sāmkhya) e il termine Vaināśikā-tantra per denotare la filosofia buddista dell'esistenza momentanea. (Ciò è in parte riferito anche in Avalon, A., 1918, p.47.)
  31. ^ Appartenente alla scuola dualista Śaiva Siddhānta.
  32. ^ Wallis, C. 2012, p.27
  33. ^ Bhaskararaya usa il termine "tantra" per definire lo Mimamsa-sastra.
  34. ^ il Tantra venne prima a significare "la scrittura dalla quale viene diffusa la conoscenza" (trad. dall'originale in lingua inglese). [Singh, N., 2004; p.5].
  35. ^ P.C. Bagchi, 1989, p.6.
  36. ^ Per questo, come osserva lo stesso Arthur Avalon, Shankara chiama il Sāṃkhya un "Tantra" (Avalon, A. 1917:1951).
  37. ^ André Padoux, 2011, p. 27-28.
  38. ^ Va precisato sin d'ora che lo Yoga tantrico non è quello classico di Patanjali, ma lo Haṭhayoga, che opera sul corpo yogico nel quale si ritiene presente una potenza umana e divina al contempo, la kuṇḍalinī.
  39. ^ Padoux, A., 2011.
  40. ^ L'autore, pur osservando la difficoltà di definire rigorosamente una pratica estremamente variegata, dà la seguente definizione operativa: "Tantra è quel corpus asiatico di credenze e pratiche che, partendo dal principio che l'universo da noi sperimentato non sia altro che la manifestazione concreta dell'energia divina che crea e mantiene quell'universo, tenta di appropriarsi e incanalare quell'energia nel microcosmo umano, con maniere creative ed emancipatorie." (White, D. G., 2000, p.9).
  41. ^ White, D. G., 2005.
  42. ^ Tali dottrine e pratiche emergono in India contestualmente al crollo della dinastia Gupta nel VI secolo, dinastia sostituita da un emergere disorganizzato di poteri non legittimati secondo le autorità dottrinali vediche e che quindi si appoggiavano, per la loro legittimazione, a culti marginali che li investivano proprio mediante l'uso di mantra alla dignità regale.
  43. ^ Biardeau, M., 1981.
  44. ^ Shrii Shrii Anandamurti, 1994.(Traduz. dall'originale in lingua inglese)
  45. ^ "Una persona che, senza considerazione di casta, credo o religione, aspiri all'espansione spirituale o faccia cose concrete è un tantrico. Il Tantra non è nè una religione nè un "ismo". Il Tantra è la scienza spirituale fondamentale. Così, ovunque vi sia una pratica spirituale, è garantito che essa sia imperniata sul culto tantrico. Dove non vi siano pratiche spirituali, quando le persone pregano Dio per la soddisfazione di ristretti desideri mondani, quando l'unico slogan è "dacci questo e poi quest'altro" soltanto qui troviamo che il tantra sia sconsigliato. Così, soltanto coloro che non comprendono il Tantra o che, dopo averlo compreso non vogliano impegnarsi in alcuna pratica spirituale, si oppongono al culto del Tantra. (Sarkar, P. R., 1959).
  46. ^ Padoux fa notare che, alla luce dei più recenti studi, non risulta affatto dimostrato il culto di divinità femminili a Mohenjodaro o Harappa (Padoux, 2011, p. 30).
  47. ^ Foote, V., 1916.
  48. ^ Padoux, 2011, pp. 29-32. L'accademico imposta la sua opera (Comprendre le tantrisme, Paris, 2010; Tantra, Torino, 2011) proprio nell'intento di dare dimostrazione di questa ipotesi.
  49. ^ "I testi vedici furono composti e trasmessi oralmente da maestro a discepolo senza l'uso della scrittura, secondo una linea ininterrotta di trasmissione formalizzata. Ciò assicurò una trasmissione testuale impeccabile, superiore ai testi classici appertenenti ad altre culture; questo metodo può essere paragonabile ad una registrazione su nastro effettuata in epoche comprese tra il 1500 ed il 500 a.C. circa. E' stato così possibile preservare fino al presente non solo le parole ma anche l'accento tonale da lungo tempo perduto (come nel caso dell'antico greco o giapponese). Da una parte i Veda sono stati trascritti soltanto durante l'inizio del secondo millennio d.C., se alcune sezioni come una collezione delle Upaniṣad, furono forse trascritte soltanto nella metà del primo millennio, alcuni tentativi precedenti senza successo (vi erano in certe Smṛti delle regole che vietavano di trascrivere i Veda) furono fatti attorno alla fine del del primo millennio a.C. Comunque, quasi tutte le edizioni stampate si basano su manoscritti tardi, difficilmente più antichi di 500 anni, piuttosto che sulla superiore tradizione orale ancora esistente. La recitazione corretta di molti testi continua in alcune aree tradizionali come il Kerala, il Tamil-Nadu del sud, nella fascia costiera dell'Andhra, Orissa, Kathiawar, a Poona o a Benares. Nei pochi decenni passati vi è stato il tentativo da parte di studiosi locali e stranieri di conservare, o almeno di registrare, la tradizione orale. Ciononostante non esiste ancora, fino ad oggi, alcuna completa registrazione audio o video di tutte le recensioni vediche (śākhā) e alcuni testi sono andati perduti persino nel corso dei pochi decenni passati. (Traduzione dall'originale in lingua inglese)(Witzel, Michael. Vedas and Upaniṣads in Flood G. 2003)
  50. ^ Lorenzen, D. N., 2002.
  51. ^ Secondo Anna L. Dallapiccola il "Tantrismo" ha invece origine nel Buddhismo e da quell'ambito confluisce nell'Induismo. (Cfr. Dallapiccola, A. L. 2005, pag. 262).
  52. ^ Padoux, 2011, p. 33.
  53. ^ Eliade 2010, p. 194.
  54. ^ Dio, l'essere supremo, è nominato con nomi differenti a seconda della tradizione tantrica: Śiva, Viṣṇu e Kālī sono le divinità delle tradizioni maggiori. Variano ovviamente, a seconda della tradizione, le caratteristiche della divinità e il suo rapporto col mondo e l'uomo.
  55. ^ Padoux, 2011, p. 65-67.
  56. ^ Sull'importanza del corpo, così lo storico delle religioni Mircea Eliade:
    «Il corpo umano acquista nel tantrismo un'importanza mai raggiunta nella storia spirituale dell'India. Certo, la salute e la forza, l'interesse per una fisiologia paragonabile al Cosmo ed implicitamente santificata, sono valori vedici, se non prevedici. Ma il tantrismo porta alle estreme conseguenze la concezione secondo la quale la santità non è realizzabile che in un "corpo divino".»
  57. ^ Padoux, 2011, p. 95-96.
  58. ^ Harper (2002), p. 2.
  59. ^ Harper (2002), p. 3.
  60. ^ a b Satyananda (2000)
  61. ^ Harper (2002), p. 3-5
  62. ^ Eliade 2010, p. 196-197.
  63. ^ Eliade 2010, p. 196-197.
  64. ^ Varenne, 2008, pp. 97-101.
  65. ^ Padoux, 2011, p. 182.
  66. ^ Varenne, 2008, pp. 109-111.
  67. ^ In letteratura "corpo yogico" è anche reso con "corpo sottile"; termine improprio, fa notare André Padoux, perché si presta a essere confuso con il corpo trasmigrante, il sukṣmaśarīra, che letteralmente sta proprio per "corpo sottile".
  68. ^ Il numero dei cakra, così come altri particolari del corpo yogico, variano da tradizione a tradizione.
  69. ^ Padoux, 2011, p. 97.
  70. ^ Torella, in Vasugupta, 1999, p. 33.
  71. ^ Cfr. Torella, in Vasugupta, 1999, p. 90, nota 134.
  72. ^ Padoux, 2011, pp. 98-100.
  73. ^ Eliade 2010, p. 218.
  74. ^ La suṣumnā è detta anche śaktimarga: via della śakti.
  75. ^ Il Vijñana Bhairava Tantra è estratto da un testo ben più ampio, lo Rūdrayāmala Tantra (in gran parte perduto), e usualmente si considera composto di 112 stanze (o numero molto vicino a questo a seconda delle edizioni). Nell'edizione citata più oltre (a cura di A. Sironi), vengono riportate ulteriori stanze successive alla 112a.
  76. ^ Nella scuola del Trika Bhairava ("terribile") è Śiva nel suo aspetto terrificante, inteso come principio immanente, vivificante dell'universo.
  77. ^ Termine composto da sat ("esistenza"), cit ("coscienza"), ānanda ("beatitudine"): tre qualità che per la filosofia dell'Advaita Vedānta rappresentano insieme l'assoluto, il Brahman.
  78. ^ a b c d Nikhilananda (1982), pp. 145-149
  79. ^ Vedi anche Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary.
  80. ^ Eliade 2010, p. 210.
  81. ^ Vedi anche Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary.
  82. ^ Eliade 2010, pp. 213-216.
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  85. ^ Padoux, 2011, p. 115.
  86. ^ Padoux, 2011, p. 115.
  87. ^ Padoux, 2011, p. 113.
  88. ^ Padoux, 2011, p. 116.
  89. ^ Etimologicamente, śakti vuol dire "energia".
  90. ^ Padoux, 2011, p. 116.
  91. ^ Flood, 2006, pp. 260-261.
  92. ^ Padoux, 2011, p. 118.
  93. ^ L'opera è il Tantrālokaviveka.
  94. ^ Flood, 2006, p. 252.
  95. ^ Varenne J., 2008, pp. 153-154.
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