Upaniṣad
Le Upaniṣad (sanscrito, sostantivo femminile, devanāgarī: उपानिषद) sono un insieme di testi religiosi e filosofici indiani composti in lingua sanscrita a partire dal IX-VIII secolo a.C. fino al IV secolo a.C. (le quattordici Upaniṣad vediche) anche se progressivamente ne furono aggiunti di minori fino al XVI secolo raggiungendo un numero complessivo di circa trecento opere aventi questo nome.
Trasmesse per via orale, furono messe per iscritto per la prima volta nel 1656 quando il sultano musulmano Dara Shikoh (1615-1659) ordinò la traduzione dal sanscrito al persiano di cinquanta di esse e quindi la loro resa in forma scritta[1].
Il termine Upaniṣad deriva dalla radice verbale sanscrita: sad (sedere) e dai prefissi upa e ni (vicino) ossia "sedersi vicino", ma più in basso (ad un guru, o maestro spirituale), suggerendo l'azione di ascolto di insegnamenti spirituali.
Questo termine richiama chiaramente, come evidenziato da Mario Piantelli[2], anche un insegnamento "esoterico". Significativo è che persino la Bhagavadgītā si qualificava come upaniṣad nel colophon dei manoscritti del Mahābhārata e che, evidenzia Piantelli ricordando le note dell'antico commentatore Bhāskara, le persone di bassa casta[3] che l'avessero ascoltata avrebbero subito la stessa sorte di coloro che avessero ascoltato le Upaniṣad senza averne la qualifica: gli sarebbe stato versato del piombo fuso nelle orecchie. Questo spiega la ragione per cui le Upaniṣad non furono mai messe per iscritto ma sempre trasmesse per via orale solo a persone che erano autorizzate a riceverne gli insegnamenti.
Le Upaniṣad sono, dunque, commentari "segreti" (rahasya) dei Veda, nonché loro 'fine', nel senso di completamento dell'insegnamento vedico; per questo motivo sono anche conosciuti come Vedānta (Fine dei Veda) e sono alla base del pensiero religioso indiano che attraverso il Brahmanesimo giungerà, nella nostra era, a costituire quel complesso di dottrine e pratiche che va sotto il nome di Induismo.
Origine e funzione delle Upaniṣad
La maggior parte degli studiosi contemporanei[4] ritiene l'avvio della loro composizione a partire dal IX-VIII secolo a.C.
Le Upaniṣad fungono da commentari o estensioni rispettivamente di ognuno dei quattro Veda (Ṛgveda, Sāmaveda, Yajurveda e Atharvaveda) e unitamente ai Veda, ai Brāhmaṇa e agli Āraṇyaka rappresentano, secondo la tradizione induista, la cosiddetta Śruti ovvero la sapienza per come è stata rivelata dall'Assoluto ai loro mistici cantori indicati come ṛṣi i quali si sarebbero limitati alla sua trasmissione orale.
La loro datazione è difficile e controversa, ma risultando opere comunque successive ai Brāhmaṇa, la somiglianza nello stile e nei contenuti di alcune di queste può far stabilire con sufficiente contezza la loro collocazione temporale. Per questa ragione le Upaniṣad più antiche vengono indicate come vediche.
Tali Upaniṣad vediche si inseriscono nella tradizione degli Āraṇyaka
Le Upaniṣad vediche
Le Upaniṣad più antiche, altrimenti dette "vediche", risultano essere quattordici[5]:
- Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad collegata al Sukla Yajurveda.
- Chāndogya Upaniṣad collegata al Sāmaveda
- Aitareya Upaniṣad collegata al Ṛgveda.
- Taittirīya Upaniṣad collegata al Kṛṣṇa Yajurveda.
- Kauṣitakī Upaniṣad collegata al Ṛgveda.
- Kena Upaniṣad collegata al Sāmaveda.
- Īṣa Upaniṣad collegata al Sukla Yajurveda.
- Kaṭha Upaniṣad o Kaṭhaka Upaniṣad collegata al Kṛṣṇa Yajurveda.
- Śvetāśvatara Upaniṣad collegata al Kṛṣṇa Yajurveda.
- Praśna Upaniṣad collegata all'Atharvaveda.
- Muṇḍaka Upaniṣad collegata all'Atharvaveda.
- Mahānārāyaṇa Upaniṣad collegata all'Atharvaveda.
- Māṇḍūkya Upaniṣad collegata all'Atharvaveda.
- Maitrī Upaniṣad o Maitrāyaṇīa Upaniṣad collegata al Kṛṣṇa Yajurveda.
Le differenti tradizione induiste forniscono elencazioni diverse che vanno da dieci a diciotto opere.
William K. Mahony[6], facendo riferimento alle analisi filologiche sui testi, evidenzia tra queste tre raggruppamenti cronologici:
- Le Upaniṣad più antiche, risalenti al IX-VII secolo a.C., risulterebbero Bṛhadāraṇyaka, Chāndogya, Aitareya, Taittirīya e Kauṣitakī, nonché le parti in prosa della Kena. Queste Upaniṣad o parti di esse sarebbero quindi precedenti alla fondazione del Buddhismo. Bṛhadāraṇyaka e Chāndogya risulterebbero inoltre le più antiche in assoluto, la Kena la più recente tra queste. Il loro stile, allegorico è simile agli Āraṇyaka e fungono da supporto teologico e filosofico delle Upaniṣad successive.
- Kaṭha, Īṣa , Śvetāśvatara, Muṇḍaka, Mahānārāyaṇa, nonché le parti metriche della Kena, sono riferibili al VI-V secolo a.C. Queste Upaniṣad iniziano a manifestare delle divisioni scolastiche e marcano un uso meno frequente delle metafore.
- Praśna, Maitrī, Māṇḍūkya, ma anche le Paiṅgala Upaniṣad e Jābāla Upaniṣad, risultano essere più tarde in quanto composte in un sanscrito che somiglia pìù al sanscrito classico che a quello vedico. È probabile che apparvero all'inizio del IV secolo a.C., anche se la loro datazione è piuttosto incerta.
Le dottrine delle Upaniṣad vediche
Le dottrine esposte nelle Upaniṣad non rappresentano un pensiero filosofico o religioso organizzato quanto piuttosto un approfondimento delle concezioni vediche.
Così, se nel Ṛgveda viene suggerita una unità sottostante alle divinità (Deva):
«Indra, Mitra, Varuṇa, Agni lo hanno chiamato e anche divino Garútman dalle meravigliose ali,
una unica Realtà i saggi in modo molteplice invocano, Agni, Yama, Mātariśvān lo hanno chiamato»
e nel Samāvidhāna Brāhmaṇa (I,1,3) tale unità è indicata nel Brahman:
«In origine vi era il Brahman soltanto; poiché il succo della sua forza si espandeva, divenne Brahmā. Brahmā meditò in silenzio con la mente e la sua mente divenne Prajāpati»
per la Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad occorre comprendere che non vi è differenza non solo tra gli Dei ma anche tra gli Dei, gli uomini e il Tutto:
«In verità all'inizio questo universo era unicamente Brahman, questi conobbe sé stesso "Io sono Brahman" ed esso era Tutto. Così gli Dei (deva) che si svegliavano a tale pensiero (pratyabudhyata) diventarono anche loro Brahman così per i ṛṣi e per gli uomini (manuṣyā). Comprendendo ciò il ṛṣi Vāmadeva affermò: "Io fui Manu io fui il Sole (Sūrya)". E colui che ancora oggi comprende: "Io sono il Brahman" costui è il Tutto e neppure gli Dei possono impedirglielo, in quanto diventa il Sè (atman) di loro stessi. Quello che venera una divinità ritenendo che essa sia altra da sé "Altri è Dio, altri sono io" quello non sa. Per gli Dei è come una bestia. Così come le bestie nutrono gli uomini, gli uomini nutrono[7] gli Dei. Come perdere un animale è cosa sgradevole, più grave è perderne molti. Per questa ragione non piace agli Dei che gli uomini conoscano questo»
Da ciò si evidenzia quello che Gianluca Magi [8]sottolinea:
Nella Chāndogya Upaniṣad con tale principio assoluto viene identificato anche ogni principio individuale, l' ātman:
«"E, dove risiederà la radice del corpo se non nell'acqua? Analogamente se riteniamo il germoglio l'acqua, figlio mio, il calore (tejas) sarà la sua radice. Se consideriamo il calore un germoglio l'essere (sat) sarà la radice. Tutti i viventi hanno le proprie radici nell'essere (sat), si basano sull'essere, si sostengono sull'essere. Ora mio caro ti è stato detto come queste tre divinità pervenute nell'uomo siano divenute triplici. Quando un uomo muore, mio caro, la parola rientra nella mente,la sua mente rientra nel soffio vitale, il soffio vitale rientra nel calore e questi rientra nella suprema divinità. Qualunque sia questa essenza sottile, tutto l'universo è costituito di essa, essa è la realtà di tutto, essa è l' Ātman. Quello sei tu (Tat tvam Asi) o Śvetaketu!". "Continua il tuo insegnamento o signore!". "Bene, mio caro" gli rispose.»
In questo brano è enunciata una delle grandi frasi (mahāvākya): Tat tvam Asi, "Quello sei Tu", Gianluca Magi[9] nota:
Altra dottrina fondamentale che emerge, per la prima volta, dalle Upaniṣad è quella del karman, la dottrina della rinascita, e della conseguente dottrina del Saṃsāra, il ciclo di vita, morte e rinascita[10]:
«Coloro che conquistano i mondi celesti con il sacrificio, l'elemosina, l'ascesi, costoro entrano nel fumo, dal fumo [passano] nella notte, dalla notte nella quindicina della luna calante, dalla quindicina della luna calante nel semestre in cui il sole si muove verso il Sud, da questo semestre nel "mondo dei Mani, dal mondo dei Mani nella luna. Giunti che siano alla luna, essi diventano nutrimento e gli dei quivi se ne cibano come si cibano della luna con le parole "Accresciti, riduciti!". Poiché questa [sosta] è per essi terminata, allora ritornano nello spazio, dallo spazio passano nel vento, dal vento nella pioggia, dalla pioggia sulla terra. Giunti che siano sulla terra, diventano cibo e di nuovo sono sacrificati in quel fuoco che è l'uomo e rinascono in quel fuoco che è la donna. Giungendo ai diversi mondi, continuano così il loro ciclo. Ma coloro che non conoscono queste due vie, rinascono come vermi, insetti e tutte le specie che mordono»
Le Upaniṣad posteriori
In aggiunta alle Upaniṣad vediche vengono elencate delle Upaniṣad considerate posteriori in quanto di epoca medievale e non riconosciute universalmente come Śruti. L'importanza di una di queste Upaniṣad posteriori è collegata direttamente alla scuola o comunità induista che se ne fa propugnatrice, prevalendo a volte in questi casi, come fondamento religioso, persino su quelle "vediche".
La maggioranza di queste Upaniṣad è composta in sanscrito classico ed è collegata all' Atharvaveda, risentendo l'influenza o della filosofia sāṃkhya, o di quella di indirizzo yogico, o delle dottrine teistiche ad esempio śivaite o viṣnuite.
William K. Mahony[11] procede a differenziarle, secondo la loro natura e secondo gli indirizzi tradizionali, in sei gruppi principali:
- Upaniṣad del Vedānta. Sono circa una trentina Upaniṣad che rispecchiano come stile e dottrine le Upaniṣad vediche, senza addentrarsi in analisi di tipo scolastico, non sono considerate "vediche" in quanto non compaiono nei commentari tradizionali. Tra queste: la Muktitka, Garba, Ātman, Ādhyatman, Brahmā, Piṇḍa.
- Upaniṣad dello Yoga. Riflettono pratiche ascetiche tipiche degli ambienti yogici dove sono state elaborate. Centrale è la pratica meditativa sulla sacra sillaba Oṁ. Tra queste: Yogattatva, Yogakuṇdalī, Amṛtabindhu, Dhyanabhindu, Sāndilya, Varāha.
- Upaniṣad Saṃnyāsa. Sono Upaniṣad dei saṃnyāsa, gli asceti rinuncianti. Hanno come obiettivo il distacco dal saṃsāra e, tra le altre, elencano: Saṃnyāsa, Aśrama, Nāradaparivrājaka, Paramahaṃsa.
- Upaniṣad Mantra. Sono Upaniṣad 'esoteriche' che hanno come oggetto le sillabe e i suoni, tra queste: Tārasāra, Kalisantāraṇa, Nārāyaṇa.
- Upaniṣad śivaite. Ispiratrice di queste Upaniṣad potrebbe essere la vedica Śvetāśvatara Upaniṣad con il ruolo importante affidato a Rudra, divinita vedica precursore di Śiva. In queste Upaniṣad Śiva viene identificato come espressione del Sé (ātman). Tra queste: Kaivalya, Nīlarudra, Kālāgnirudra.
- Upaniṣad viṣnuite. Ispiratrice, secondo la tradizione, di queste Upaniṣad è la vedica Īṣa Upaniṣad. In queste Upaniṣad Viṣṇu viene identificato come espressione del Sé (ātman). Tra queste: Maha, Nṛsimhapūrvatāpanīya, Rāmapūrvatāpanīya, Nṛsimhottarātpaīya.
Le 108 Upaniṣad elencati nella Muktikā Upaniṣad
Nei primi versi (I,30-39) di una Upaniṣad medievale, la Muktikā Upaniṣad, vengono elencate 108 ''Upaniṣad divenute 'tradizionali' secondo le scuole advaite. Esse sono tradizionalmente catalogate come:
- Genere mukhya: termine sanscrito traducibile con "inizio", "guida", "principale", indica le Upaniṣad vediche.
- Genere vedānta: termine che indica, in questo caso, l'omonima scuola filosofica e religiosa.
- Genere saṃnyāsa:
- Genere śakta:
- Genere
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Note
- ^ «The Upaniṣad were first put into written form in 1656
CE, when Sultan Dara Shakoh sponsored the translation of fifty Upaniṣad from Sanskrit into Persian.»
- ^ Cfr. Prefazione a Upaniṣad antiche e medie (a cura di Pio Filippani Ronconi). Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pagg. VIII e segg.
- ^ Gianluca Magi, Op.cit. pag. 11933, ritiene tuttavia che la segretezza di tali testi non includesse una distinzione di origine o di classe.
- ^ Cfr., tra gli altri, Gianluca Magi. Enciclopedia Filosofica vol. 12. Milano, Bompiani, 2006, pag.11935; William K. Mahony. Enciclopedia delle Religioni vol.9 Milano, Jaca Book, 2004 pag.407; Mario Piantelli. In (a cura di Giovanni Filoramo) Hinduismo. Bari, Laterza, 2002, pag. 6; Margaret Sutley e James Sutley. Dizionario dell'Induismo. Roma, Ubaldini, 1980, pag.453; Anna L. Dallapiccola. Induismo. Milano, Bompiani, 2005, pag.273.
- ^ Cfr. Gianluca Magi. Op.cit.
- ^ Op.cit.
- ^ Attraverso i sacrifici.
- ^ Op. cit. pag. 11934
- ^ Op.cit.
- ^ Cfr., tra gli altri, «The Upanisads introduced also the doctrine of the cycle of birth-death-rebirth (samsāra) and the hope of an escape from this cycle into moksa or mukti. The Bhagavadgītā attempted a synthesis of previous Vedic and Upanisadic ideas, whereas many rival systems of thought flourished at the same time. Of these latter, the two most durable have proved to be Buddhism and Jainism»
- ^ Op.cit.
Bibliografia
- Upaniṣad (a cura di Carlo Della Casa). Torino, UTET, 1976 ISBN 88-02-02305-0
- Upaniṣad Vediche (a cura di Carlo Della Casa). Milano, TEA, 2000 ISBN 88-781-8810-7
- Cinque Upaniṣad (a cura di Raphael). Roma, Edizioni Asram Vidya 2000.
- Upaniṣad antiche e medie (a cura di Pio Filippani Ronconi). Torino, Bollati Boringhieri, 2007 ISBN 978-88-339-1797-9
- Upaniṣad (a cura di Raphael). Milano, Bompiani, 2010. (testo sanscrito a fronte).