Obelerio
Obelerio, cui cronache posteriori assegnano il cognome Antenoreo o Anafesto[1] (... – 832 circa), figlio di Encagilio, fu il nono doge della Repubblica di Venezia, secondo la tradizione.
Obelerio | |
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Doge di Venezia | |
In carica | 803 - 811 |
Predecessore | Giovanni Galbaio |
Successore | Angelo Partecipazio |
Morte | 832 |
Esponente di spicco del partito filo-franco, Obelerio venne eletto tribuno di Metamauco, finendo – verso la fine del dogado di Giovanni Galbaio – per essere coinvolto nel tentativo insurrezionale guidato dal patriarca di Grado Fortunato. Scoperta la cospirazione, fu costretto a fuggire a Treviso assieme agli altri congiurati, ponendosi sotto la protezione dei Franchi. Dall'esilio Obelerio continuò a tramare contro il doge, istigando infine la rivolta che ne portò alla deposizione, rientrando quindi a Metamauco.
Il dogado
Venne eletto doge a Metamauco nell'80w. Esponente del partito filo-franco, poco dopo la sua elezione si associò come co-Dux il fratello Beato, più orientato verso le posizioni bizantine.
Le continue tensioni politiche tra le due fazioni erano frattanto sfociate in un conflitto armato tra le città di Eraclea, antica capitale ducale e di orientamento filo-bizantino, ed Equilio, filo-franca. Gli eracleani avevano infatti occupato le terre sottomesse all'autorità del patriarca di Grado, esiliato esponente di spicco del partito filo-franco, provocando la reazione della città rivale.
Di fronte alla guerra intestina Obelerio e Beato reagirono con estrema durezza: Eraclea venne distrutta e i maggiorenti delle due città furono deportati a Metamauco. Il patriarca Fortunato venne reintegrato nella sua sede di Grado, ma i territori in passato sottoposti alla sua autorità passarono sotto il diretto controllo ducale, affidati all'autorità di gastaldi. Soffocata l'opposizione filo-bizantina, Obelerio nell'805 si affrettò a porsi sotto la protezione di Carlo Magno, imitato in questo dalle città greche della Dalmazia.
La reazione dei bizantini, però, non tardò a presentarsi quando, nella primavera successiva una flotta imperiale, al comando del patrizio Niceta, entrò nell'Adriatico riconquistando la Dalmazia e schierandosi all'ingresso delle lagune. Dinnanzi all'immediato pericolo, il patriarca fuggì e i due dogi si affrettarono a proclamare la loro sottomissione al Basileus dei Romani, inviando a Niceforo I (802-811) come ostaggi i capi del partito filofranco, tra cui il vescovo di Olivolo. Obelerio ottenne il titolo di protospatario, ma Beato fu costretto a seguire l'ammiraglio Niceta a Costantinopoli per presentarsi al cospetto dell'imperatore. Questi lo accolse favorevolmente, insignendolo il co-dux del titolo di Ipato e consentendogli di rientrare in patria. Obelerio e Beato associarono quindi al dogado un altro loro fratello, Valentino.
L'invasione franca e la deposizione
Nell'809 una nuova flotta bizantina, guidata dal patrizio Paolo, giunse nella Venezia, col duplice scopo di utilizzare Metamauco come base per la conquista di Comacchio e di intavolare trattative col nuovo Re d'Italia Pipino. Fallite sia la spedizione militare che l'iniziativa dipolomatica e ripartita la flotta greca, Pipino decise a quel punto di invadere il ducato.
Radunata una potente flotta da Ravenna, Comacchio, Rimini e Ferrara, i Franchi attaccarono le lagune dal mare, mentre un'armata di terra conquistava Grado. Ben presto Caorle, Equilio, Eraclea e gli altri centri costieri caddero, uno dopo l'altro, di fronte alla potenza militare del nemico. Abbandonate quindi le zone più esposte alla minaccia proveniente da terra e dal mare, la difesa si concentrò mano a mano sulla capitale e sui centri più interni delle lagune, protetti da un intrico di barene e bassi fondali, la conformazione dei cui canali, una volta rimossi i pali di delimitazione, poteva essere nota solo ai Venetici.
Su consiglio del patrizio Angelo Partecipazio, Obelerio e i suoi fratelli trasferirono temporaneamente lo stesso governo nella più sicura città di Rivoalto, mentre i Franchi conquistavano Albiola, centro vicinissimo a Metamauco, utilizzandola come base per l'assedio della città. L'assedio si protrasse a lungo, fino a quando, con l'arrivo dell'estate giunse l'aria malsana e la notizia dell'approssimarsi della flotta bizantina al comando del duca di Cefalonia, Paolo. I Franchi tentarono quindi l'assalto finale, ma, sconfitti, furono costretti a ritirarsi, rivolgendosi contro la Dalmazia, ma dovettero abbandonare anche quell'impresa all'arrivo dei bizantini.
La guerra ed il pericolo corso avevano ovviamente reso il partito filo-greco più intenzionato che mai a liberarsi della fazione rivale. Alla fine dell'anno 810 il doge Obelerio, le cui simpatie franche erano note, venne deposto e consegnato ad Arsacio, inviato dell'imperatore Niceforo. Assieme a lui venne deposto anche il fratello Valentino, mentre Beato, che era sempre rimasto alleato dei greci, venne confinato a Zara, rimanendo però doge sino alla morte, l'anno successivo.
L'esilio e il tentativo di tornare al potere
Una volta deposto e consegnato ad Arsacio, Obelerio venne condotto in esilio a Costantinopoli, mentre veniva acclamato nuovo doge Angelo Partecipazio. L'ormai ex-doge rimase nella capitale dell'impero orientale vent'anni, durante i quali nella Venezia la capitale venne definitivamente trasferita da Metamauco a Rivoalto.
Nell'831 Obelerio riuscì a fuggire da Costantinopoli e ad imbarcarsi per l'Italia. Sbarcato a Vigilia, nei pressi di Metamauco, iniziò subito a radunare attorno a sé i propri sostenitori per reclamare il trono. Il nuovo doge, Giovanni Partecipazio, gli inviò immediatamente contro truppe da Metamauco, ma queste disertarono, sottomettendosi a Obelerio. In breve sia Vigilia che Metamauco si schierarono in favore di Obelerio.
La reazione di Giovanni fu terribile: le due città vennero date alle fiamme. Obelerio, catturato, venne ucciso e decapitato. La testa rimase esposta come monito a future rivolte e quindi piantata su un palo sul limite lagunare di Campalto, al confine col territorio appartenente all'imperatore Lotario, che forse aveva favorito la fuga e la tentata rivolta di Obelerio.
Note
- ^ Andrea Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze, Giunti Martello, 1983, p. 8.