Teramene
Teramene | |
---|---|
Nascita | Coo, 450 a.C. circa |
Morte | Atene, 404 a.C. |
Cause della morte | Suicidio obbligato |
Dati militari | |
Paese servito | Atene |
Grado | Generale (Strategos), trierarca |
Guerre | Guerra del Peloponneso |
Battaglie | Battaglia di Cizico (410) Assedio di Bisanzio (408) Battaglia delle Arginuse (406) |
Altre cariche | Politico |
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Teramene (in greco antico: Θηραμένης?, Theraménes, da θήρα, "caccia" e μένος, "forza vitale"; Coo, 450 a.C. circa – Atene, 404 a.C.) è stato un politico, oratore e militare ateniese.
Nato nell'isola di Coo da Agnone[1] ma cittadino ateniese, Teramene fu uno dei fautori del colpo di stato oligarchico ateniese del 411 a.C., che portò al governo la Boulé dei Quattrocento.[2] Successivamente, si oppose a tale regime, favorendo la restaurazione democratica dell'assemblea dei Cinquemila.[3]
Dopo aver ricoperto la carica di stratego, fu trierarca durante la battaglia delle Arginuse del 406 a.C., combattuta tra Atene e Sparta nelle fasi finali della guerra del Peloponneso. Nel conseguente processo, fu accusato assieme agli altri ufficiali di aver abbandonato i naufraghi al loro destino.[4] Teramene fu assolto a scapito degli strateghi suoi superiori che furono invece condannati a morte.[5]
Dopo la sconfitta ateniese nella battaglia di Egospotami (405 a.C.), fu inviato a Sparta come ambasciatore per trattare la resa di Atene.[6] Tornato in patria, convinse l'assemblea ad accettare le condizioni degli Spartani, che implicavano la demolizione delle Lunghe Mura.
Dopo la costituzione del regime oligarchico filo-spartano dei Trenta tiranni, del quale fece parte, venne in contrasto con Crizia, il capo dei Trenta, per il suo governo repressivo e sanguinario e fu da questi costretto al suicidio (404 a.C.).[7]
Senofonte[8] tramanda che fu soprannominato dai contemporanei "Coturno" per il suo trasformismo politico nel passare con disinvoltura dalla fazione oligarchica a quella democratica e viceversa: il coturno, infatti, era un calzare utilizzato dagli attori di teatro che poteva essere indifferentemente indossato sia al piede destro che a quello sinistro.
Plutarco[9] testimonia invece come Giulio Cesare espresse nei suoi scritti la sua stima verso Teramene, paragonandolo a Pericle e a Cicerone, mentre secondo Aristotele,[10] Teramene fu, assieme a Nicia e a Tucidide, uno dei tre soli ateniesi di nobili origini che abbiano nutrito affetto e benevolenza verso il popolo.
Biografia
Origini
Le fonti antiche non hanno riportato molto sulle origini di Teramene. Plutarco[1] tramanda che nacque nell'isola di Coo e sappiamo che era cittadino ateniese del demo di Stiria[11] e figlio di Agnone, il capo del gruppo di coloni che nel 437-436 a.C. fondarono Anfipoli.[12] Sappiamo da Tucidide[13][14][15] che Agnone militò nell'esercito ateniese come generale e che fu tra i firmatari della pace di Nicia.[16]
Secondo quanto riporta Lisia[17], la carriera politica di Agnone si incrociò con quella del figlio quando nel 411 a.C., assieme ad altri nove commissari, fu incaricato dal governo oligarchico dei Quattrocento, del quale Teramene faceva parte, di redigere la nuova costituzione ateniese.
Il colpo di stato oligarchico del 411 a.C.
Teramene iniziò la carriera politica nel 411 a.C. quando fu tra i fautori del colpo di stato che portò alla temporanea soppressione della democrazia ateniese a scapito di un governo oligarchico, la cosiddetta Boulé dei Quattrocento.
I motivi di questo cambiamento politico ad Atene sono da ricercarsi da una parte nell'esilio di Alcibiade (415 a.C.), dall'altra nella clamorosa disfatta nella spedizione in Sicilia (413 a.C.), che portò alla perdita quasi completa della flotta e dell'esercito ateniese.
Alcibiade, infatti, secondo quanto riporta Tucidide[18], persuase alcuni triearchi della flotta ateniese di stanza a Samo ed alcuni politici, tra i quali Pisandro e Teramene, a convincere l'assemblea dei cittadini a rinunciare al governo democratico, con la promessa che sarebbe riuscito a spingere il satrapo Tissaferne, al cui seguito si trovava, a garantire l'appoggio persiano ad Atene nella guerra contro Sparta. Tissaferne, infatti, non avrebbe mai accettato, secondo Alcibiade, di allearsi con Atene se la città non avesse rinunciato al regime democratico.
Pisandro convinse quindi l'Ecclesia ad accettare la proposta, e fu inviato un emissario ad Alcibiade, per comunicargli che gli venivano attribuiti, nonostante si trovasse in esilio, i pieni poteri per le trattative con Tissaferne.[19]
Alcibiade, tuttavia, non riuscì a persuadere il satrapo, ma Pisandro e i suoi compagni, tra i quali Teramene,[20] ormai determinati al cambiamento istituzionale, si recarano a Samo[21], dove si assicurarono l'appoggio della flotta ed incoraggiarono alcuni cittadini dell'isola a rovesciare il governo locale e ad instaurarvi un regime oligarchico.[22]
Nel frattempo, ad Atene, alcuni giovani aristocratici, cavalcando il malcontento generale per la sconfitta in Sicilia, presero il potere attraverso l'intimidazione e la forza, uccidendo chi si opponeva al colpo di stato[23] e preparando il ritorno da Samo di Pisandro e degli altri politici, tra i quali Teramene, che avevano appoggiato la rivolta.[20]
Pisandro e i suoi compagni convocarono l'assemblea ed annunciarono una serie di misure, tra le quali la formale abolizione della democrazia, che sarebbe stata sostituita dalla Boulé dei Quattrocento,[2] composta da quattrocento ateniesi scelti da una lista più ampia di cinquemila cittadini. Successivamente, abrogarono le leggi in vigore e promulgarono una nuova costituzione di stampo oligarchico.[24]
La restaurazione democratica
Il governo oligarchico non durò però a lungo. Innanzitutto, il colpo di stato a Samo fallì[25] e l'esercito di stanza nell'isola, una volta giunte le notizie, forse esagerate, delle intimidazioni e degli eccidi che venivano perpetrati ad Atene, giurò fedeltà alla democrazia.[26]
Nel frattempo, ad Atene, il governo si divise tra i radicali, tra i quali Pisandro, Frinico ed Antifonte di Ramnunte, che spingevano per la pace con Sparta ad ogni costo, e i moderati, tra i quali Teramene ed Aristocrate, figlio di Scelia, che intendevano invece allargare il potere ad una assemblea di cinquemila cittadini,[27] anche se quest'ultima ipotesi fu considerata da Tucidide pura propaganda.[28]
La fazione radicale della Boulé dei Quattrocento iniziò quindi a costruire una fortificazione sulla Eezioneia, il molo posto all'ingresso del Pireo, in modo che potesse affrontare un attacco sia dal mare che da terra. Gli oligarchi ammassarono inoltre all'interno della fortificazione grandi derrate alimentari.[29]
Teramene protestò veementemente contro la costruzione di questa fortificazione, adducendo che era stata preparata per essere consegnata agli Spartani e ai loro alleati quando avessero attaccato il porto.[30]
La situazione precipitò quando una flotta peloponnesiaca si avvicinò al Pireo,[31] e Frinico, uno dei capi della fazione radicale dei Quattrocento, fu assassinato senza che si riuscissero ad identificare i mandanti dell'omicidio.
A quel punto Aristocrate, il comandante di un reggimento di opliti al Pireo, arrestò Alessicle, un generale fedele alla fazione radicale e Teramene, a sorpresa, si offrì volontario per guidare un gruppo di militari al Pireo per liberare il generale. Teramene, giunto al porto, ordinò ai soldati di liberare Alessicle ma, quando gli opliti gli chiesero se la costruzione della fortificazione di Eezioneia fosse una mossa giusta, rispose che abbatterla sarebbe stata una buona idea, e quindi esortò i militari a farlo.[32]
Qualche giorno dopo, la flotta peloponnesiaca arrivò davanti al Pireo ma, trovando la fortificazione dell'Eezioneia distrutta e il porto ben difeso, ripiegò verso l'Eubea[33] (410 a.C.).
Nei giorni successivi, la Boulé dei Quattrocento fu formalmente sciolta e fu istituito un nuovo governo sostenuto dai moderati e guidato da un'assemblea di cinquemila cittadini,[3] scelti tra coloro che avevano abbastanza denaro da "giovare alla città sia coi cavalli sia cogli scudi", cioè tra gli opliti: questo, infatti, era l'ideale di Teramene (un governo che, pur non essendo composto solo da pochi, cioè un'oligarchia, escludesse comunque i nullatenenti dalle cariche pubbliche).[34]
Teramene stratego
Teramene fu nominato stratego dall'assemblea dei Cinquemila[35] e gli fu dato il comando di una flotta che operava nel Mare Egeo e nell'Ellesponto.
Dopo la vittoria ateniese nella battaglia di Abido (410 a.C.) Teramene, al comando della sua flotta, attaccò i ribelli dell'Eubea, soppresse alcune oligarchie che si erano formate nelle isole dell'Egeo e raccolse fondi per la madrepatria da diverse città costiere.[36]
Si diresse quindi verso le coste della Macedonia, dove aiutò Archelao I nell'assedio di Pidna e raggiunse infine in Tracia la flotta del collega Trasibulo.[37]
Successivamente, partecipò alla battaglia navale di Cizico (410 a.C.) agli ordini di Alcibiade, che era stato nel frattempo fatto rientrare dall'esilio. In quell'occasione, l'ammiraglio ateniese ebbe la meglio sulla flotta spartana, che, attirata in mare aperto, fu accerchiata dalle flotte di Teramene e di Trasibulo, che tagliarono ai Lacedemoni la possibilità di ripiegare verso la terraferma. Tutte le navi spartane furono distrutte o catturate e la vittoria ateniese fu completa.[38][39]
Dopo questa battaglia, gli ateniesi costruirono a Cizico una fortificazione che controllava lo stretto del Bosforo e dalla quale veniva richiesto a tutte le navi mercantili in transito di pagare un dazio del valore della decima parte del carico. Teramene rimase con trenta navi a Cizico per controllare la riscossione del tributo[40] mentre nel frattempo ad Atene il governo dei Cinquemila veniva consensualmente destituito e ritornava la democrazia tradizionale.
Nel 408 a.C. Teramene partecipò, ancora al comando di Alcibiade, all'assedio di Bisanzio,[41] vincendo l'esercito peloponnesiaco di Beoti e Megarasi di stanza nella città, comandato da Clearco. Teramene guidò l'ala sinistra dell'esercito ateniese, mentre Alcibiade comandava quella destra.[42]
La battaglia delle Arginuse e il conseguente processo
Nel 406 a.C. Teramene partecipò come trierarca alla battaglia delle Arginuse, nella quale la flotta ateniese sconfisse quella spartana al prezzo di gravi perdite. Circa venticinque triremi ateniesi, infatti, affondarono o non erano in grado di navigare dopo la battaglia navale, e Teramene e il suo collega Trasibulo furono incaricati dagli strateghi (che nel frattempo stavano inseguendo la flotta nemica) di soccorrere i naufraghi. I due trierarchi furono però impossibilitati al salvataggio dei concittadini a causa di una forte tempesta che era nel frattempo sopraggiunta ed un numero imprecisato di naufraghi, probabilmente superiore al migliaio[43], morirono annegati.
Ad Atene si istituì quindi un processo contro gli otto strateghi che erano al comando della flotta per omesso soccorso.[4][44] Gli strateghi accusarono invece i loro sottoposti Teramene e Trasibulo di non aver eseguito i loro ordini, il che fu, secondo Diodoro,[45] un errore molto grave, in quanto in questo modo si inimicavano due personaggi molto abili nell'arte oratoria, con molti sostenitori ad Atene, e che avevano direttamente partecipato alle fasi cruciali della battaglia navale.
Senofonte tramanda che Teramene, in particolare, fece partecipare all'assemblea numerosi cittadini che avevano capelli rasati ed erano vestiti di nero, come se fossero tutti parenti delle vittime, mentre invece erano abbigliati in quel modo per la festa delle Apaturie che era in corso in quei giorni. Inoltre, Teramene convinse a sostenere l'accusa contro gli strateghi il politico Callisseno, che pretese ed ottenne la votazione per la pena di morte per gli imputati con scrutinio palese e non segreto, come era da procedura in questi casi.[46]
Teramene e Trasibulo furono assolti, mentre gli otto strateghi, nonostante l'opposizione di Socrate, che in quell'occasione era stato sorteggiato come epistate, furono tutti condannati a morte e alla confisca dei beni; i sei strateghi presenti (due, infatti, non si erano recati ad Atene, sparendo nel nulla) furono giustiziati subito dopo.[5]
La resa di Atene
Nel 405 a.C., ad Egospotami, la flotta ateniese fu duramente sconfitta e definitivamente distrutta dalla flotta peloponnesiaca, guidata dall'ammiraglio spartano Lisandro.
Gli Ateniesi, privati della flotta e con gli Spartani accampati alle porte della città pronti all'assedio, mandarono ambasciatori prima al re lacedemone Agide II, che si trovava nell'accampamento, e poi direttamente a Sparta dagli efori, offrendo la resa della città in cambio del mantenimento del Pireo e delle Lunghe Mura. Gli Spartani rifiutarono però l'offerta.[47]
Teramene chiese ed ottenne dall'assemblea di essere inviato come ambasciatore da Lisandro, dove restò per tre mesi a "spiare il momento in cui gli Ateniesi, totalmente privi di grano, avrebbero accettato qualunque proposta".[48] Il quarto mese tornò, dicendo che era stato trattenuto da Lisandro e che questi gli aveva detto di andare a Sparta a parlare cogli efori: per questa missione l'assemblea conferì eccezionalmente a Teramene pieni poteri di trattativa, tanto che lo Stiriense non rivelò ai concittadini il contenuto della proposta che intendeva offrire agli Spartani, e lo mandò dagli efori con altri nove ambasciatori a trattare la pace.[49] Il cosiddetto Papiro di Teramene,[50] di recente scoperta, motiva questa segretezza con la volontà di evitare fughe di notizie prima dell'arrivo dell'ambasceria a Sparta.[51]
Teramene negoziò la resa di Atene alle seguenti condizioni: abbattimento delle Lunghe Mura, limitazione del numero di triremi che potevano essere ricostruite e consegna di quelle rimaste (tranne 12), amnistia per gli ateniesi in esilio, che avrebbero potuto quindi tornare in città, e subordinazione di Atene a Sparta per ogni decisione riguardante la politica estera.[47] In cambio, Teramene ottenne che la città fosse risparmiata, e che potesse mantenere la costituzione democratica.[6]
Teramene tornò ad Atene esponendo le condizioni della resa, e Plutarco racconta che quando il demagogo Cleomene gli rimproverò che stava consegnando ai Lacedomoni le mura che Temistocle aveva eretto per difendere la città dei Lacedomoni stessi, Teramene rispose:
«Ma io non faccio nulla che contrasti con l'opera di Temistocle: quelle stesse mura che egli eresse per la salvezza dei cittadini, per la loro salvezza noi le abbatteremo. Se poi fossero le mura a rendere prospera una città, Sparta dovrebbe essere la più malmessa di tutte, visto che non ha mura.»
Messe ai voti le condizioni di resa, l'assemblea accettò e le Lunghe Mura furono abbattute. La guerra del Peloponneso era dunque terminata con la vittoria di Sparta (404 a.C.).[52]
I Trenta tiranni
Pur mantenendo formalmente la costituzione democratica, i politici ateniesi fautori del'oligarchia, tornati ad Atene dall'esilio ed appoggiati dagli Spartani, imposero alla città un governo nel quale il potere era esercitato esclusivamente da trenta magistrati, detti i "Trenta tiranni". Teramene inizialmente aveva avversato questa decisione,[4] ma poi fu convinto da Lisandro. Secondo Lisia dieci dei Trenta tiranni furono scelti dai fautori dell'oligarchia, dieci direttamente da Lisandro e dieci da Teramene, che incluse se stesso nel gruppo;[53] secondo lo storico Luciano Canfora, comunque, questa suddivisione è inverosimile.[54]
Ben presto Teramene si scontrò con la politica repressiva ed autoritaria dei suoi colleghi, in particolare di Crizia, capo indiscusso del gruppo,[55] che instaurò un vero e proprio regime di terrore, mandando a morte parecchi cittadini col solo motivo di essere stati popolari durante il periodo democratico.[56]
Teramene, visto che non poteva opporsi a Crizia con la forza, tentò di allargare il potere decisionale ad una cerchia più ampia di cittadini.[57] Crizia, col timore che lo Stiriense si guadagnasse il consenso popolare, lo prevenne scegliendo tremila ateniesi che furono associati al governo. Teramene obiettò che questo numero era troppo eseguo e Crizia, per tutta risposta, fece confiscare le armi di tutti gli ateniesi che non facevano parte di questa lista.[58]
Successivamente, i Trenta decisero di arrestare e far uccidere altrettanti meteci, scelti tra i più facoltosi, al solo scopo di confiscare loro i beni. Teramene si oppose e si rifiutò di eseguire l'ordine.[59]
Crizia allora intuì che lo Stiriense era troppo pericoloso e decise di eliminarlo. Fattolo condurre davanti all'assemblea dei Tremila, lo accusò pubblicamente di seguire la fazione politica che gli convenisse a seconda delle circostanze,[60] ricordando, come testimonia Senofonte,[8] il suo soprannome "Coturno", il calzare degli attori di teatro che può essere indossato indifferentemente sia al piede destro che a quello sinistro.
Nella sua replica, giudicata in ogni caso inverosimile dal filologo Luciano Canfora (che presume sia stata inventata da Senofonte stesso nel tentativo di contribuire alla creazione di un'immagine positiva dello Stiriense, che inevitabilmente avrebbe giovato anche a lui, cavaliere dei Trenta, sottolineando come una parte dei magistrati, guidata da Teramene, avesse in realtà avuto delle buone intenzioni),[61] Teramene ribatté che si era sempre comportato da politico moderato, cercando di conciliare le tradizioni democratiche con una forma di governo che includesse nel potere decisionale solo i cittadini ateniesi che avessero almeno il grado militare di oplita. Il discorso di Teramene fece presa sull'assemblea e, secondo quanto riporta Senofonte,[62] Crizia intuì che, se si fosse andati al voto, lo Stiriense sarebbe stato assolto. Il capo dei Trenta Tiranni fece quindi schierare dei soldati armati davanti all'assemblea, impedendo quindi ai cittadini di intervenire, e, dopo aver formalmente destituito Teramene dai Trenta, ordinò agli Undici, gli ufficiali addetti alle condanne a morte, di arrestarlo, negandogli la possibilità di difendersi in un regolare processo.[63]
Senofonte testimonia che Teramene invocò gli dei a testimonianza del crimine che veniva commesso e, quando Satiro, uno dei collaboratori degli Undici, gli intimò che, se non fosse stato zitto, gli sarebbe capitato qualcosa di male, lo Stiriense, mantenendo un certo senso dell'umorismo, rispose:
«E se invece starò zitto, andrà tutto bene?»
Fu quindi costretto a bere la cicuta. Senofonte racconta che, dopo aver vuotato quasi completamente la tazza, ebbe la presenza di spirito, negli attimi prima di morire, di parodiare il gesto del gioco del cottabo, secondo il quale si doveva centrare un piatto con le gocce di vino rimaste nel bicchiere, e lanciò le ultime gocce del veleno a terra esclamando:
«Alla salute del bel Crizia!»
Storiografia
Fonti antiche
Le fonti antiche che descrivono nel dettaglio la personalità e l'operato politico di Teramene sono le Elleniche di Senofonte[64] e l'orazione Contro Eratostene di Lisia.[65]
Senofonte fa un ritratto apologetico di Teramene, evidenziando la sua ribellione alla tirannide di Crizia e l'eroica difesa nel processo da questi intentato nei suoi confronti. Secondo il filologo Luciano Canfora, però, si nota una netta differenza tra il I e il II libro di Senofonte: mentre nel I si evidenziano chiaramente le sue responsabilità nell'ingiusto processo delle Arginuse, nel II si fanno notare tutte le sue qualità positive; Canfora conclude, perciò, che il I libro è probabilmente fondato su un lascito di Tucidide, che, come dimostrato nell'VIII libro della Guerra del Peloponneso (dove si contrappone, nell'ambito della Boulé dei Quattrocento, il voltafaccia di Teramene alla lealtà di Frinico), è ostile a Teramene quanto Lisia.[66]
Lisia gli attribuisce, in quanto membro effettivo dei Trenta, la responsabilità condivisa delle atrocità perpetrate durante il periodo della tirannide, motivando la sua versatilità politica con la sete di potere che lo spinse a schierarsi prima con gli oligarchi, poi coi democratici, poi coi Tiranni, per rinnegarli infine nell'ultimo periodo della sua vita.
Secondo l'oratore ateniese, infatti, la scelta di schierarsi contro i Quattrocento, dei quali inizialmente era stato un fautore e uno dei principali artefici, era motivata dal fatto che costoro l'avevano relegato ad un ruolo di secondo piano nel governo della città,[67] mentre il voltafaccia nei confronti di Crizia non sarebbe stato motivato dalla lealtà nei confronti dei cittadini dopo la svolta autoritaria del regime, bensì dalla sete di potere che avrebbe spinto lo Stiriense a cercare una posizione di leadership nei gruppo, cercando di nuovo il consenso popolare.[68]
Lisia insiste inoltre sulle responsabilità di Teramene nell'instaurazione del governo dei Trenta, evitando però accuratamente di dilungarsi sull'opposizione dello Stiriense a Crizia, ma soprattutto lo incolpa di aver tradito Atene in occasione della fine della Guerra del Peloponneso, costringendo i cittadini ad accettare le durissime condizioni di resa dei Lacedemoni, che prevedevano la demolizione delle mura e la perdita della flotta. A questo proposito, Lisia lo accosta in maniera negativa a Temistocle, che aveva invece eretto le mura a difesa della città ingannando gli Spartani.[69]
L'ostilità di Lisia nei confronti di Atene è facilmente spiegabile dal contesto dell'orazione che, formulata dall'oratore come accusa nel processo intentato, dopo la restaurazione democratica, contro Eratostene, un membro dei Trenta che era stato direttamente responsabile dell'uccisione di Polemarco, fratello di Lisia stesso. Eratostene apparteneva infatti allo schieramento moderato dei Trenta, che aveva Teramene come leader e Lisia, per cercare di aggravare le responsabilità dell'accusato, cerca in tutti i modi di screditare l'operato della fazione politica dello Stiriense, evidenziando come i Trenta Tiranni fossero tutti responsabili delle atrocità commesse durante il regime, nonostante le opposizioni interne al gruppo.[69]
La tradizione ostile dovuta all'orazione di Lisia non ha però impedito a Teramene di essere preso come esempio positivo dagli scrittori degli anni successivi: Aristotele[10] lo definisce un moderato e un cittadino modello[70] e lo associa a Nicia e a Tucidide come esempio di ateniese di nobili origini che abbia nutrito benevolenza ed affetto verso il popolo, mentre Plutarco[9] testimonia come Giulio Cesare espresse nei suoi scritti la sua stima verso lo Stiriense, paragonandolo a Pericle e a Cicerone. Secondo Luciano Canfora, anche la storiografia romana riguardante l'epoca di Teramene è stata influenzata dal giudizio positivo del II libro di Senofonte.[71]
Storiografia moderna
La storiografia moderna del diciannovesimo secolo, seguendo la tradizione ostile di Lisia, considera Teramene un voltagabbana e un traditore,[72][73] soprattutto per il suo atteggiamento nel processo delle Arginuse. La scoperta della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele nel 1890 consentì però una rivalutazione storica del personaggio perché, come abbiamo visto, il filosofo di Stagira presenta lo Stiriense come un cittadino moderato ed esemplare.[72]
Secondo il filologo e storico Luciano Canfora, Aristotele si rifece prevalentemente ad Eforo di Cuma, che a sua volta era stato fortemente influenzato da Isocrate, sostenitore della teoria secondo la quale è dovere del bravo cittadino saper fare politico in ogni sistema politico, purché non deviante.[74]
I lavori recenti accettano in genere l'immagine moderata di Teramene, fautore di un'idea di democrazia dove le decisioni debbano essere prese dai cittadini che siano almeno della condizione di oplita,[75] in contrasto quindi sia agli estremismi dell'oligarchia autoritaria che a quelli della demagogia populista.
In conclusione, l'immagine di Teramene è stata sia idealizzata che disprezzata a partire dalla storiografia antica fino a quella moderna. La figura complessa di questo personaggio emerge in ogni caso come protagonista dei maggiori punti di controversia degli ultimi anni del V secolo a.C., dall'esperimento oligarchico della Boulé dei Quattrocento al processo delle Arginuse, dalla resa di Atene fino alla tirannide dei Trenta, dando adito alle più svariate interpretazioni sulla sua breve ed intensa carriera politica.
Cronologia degli eventi
- 450 a.C. circa Teramene nasce nell'isola di Coo da Agnone. È un cittadino ateniese del demo di Stiria.
- 411 a.C. Teramene partecipa al colpo di stato oligarchico della Boulé dei Quattrocento.
- 410 a.C. Teramene fa demolire la fortificazione della Eezioneia fatta erigere dalla Buolé dei Quattrocento, che viene successivamente sciolta. Teramene viene eletto stratego e partecipa, alla guida di una flotta, alla Battaglia navale di Cizico.
- 408 a.C. Teramene guida l'ala sinistra dell'esercito ateniese durante l'Assedio di Bisanzio.
- 406 a.C. Teramene partecipa come trierarca alla battaglia delle Arginuse. Nel conseguente processo, viene assolto mentre i suoi superiori vengono condannati a morte.
- 404 a.C. Teramene viene inviato a Sparta come ambasciatore plenipotenziario per trattare la resa. Ad Atene viene instaurato il regime oligarchico dei Trenta Tiranni del quale Teramene fa parte. Venuto in contrasto con Crizia, il capo dei Trenta, viene da questi costretto al suicidio.
Note
- ^ a b Plutarco, 2.
- ^ a b Tucidide, VIII, 67
- ^ a b Tucidide, VIII, 97-98.
- ^ a b c Diodoro, XIII, 98-100. Errore nelle note: Tag
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non valido; il nome "Diodoro-13-98-100" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ a b Senofonte, I, 7,1-34.
- ^ a b Diodoro, XIV, 3.
- ^ Senofonte, II, 3,56.
- ^ a b Senofonte, II, 3,31.
- ^ a b Plutarco, 39.
- ^ a b Aristotele, 28, 5.
- ^ (EN) William Smith (a cura di), Theramenes, in Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, 1870..
- ^ Tucidide, IV, 106.
- ^ Tucidide, I, 117.
- ^ Tucidide, II, 58.
- ^ Tucidide, II, 95.
- ^ Tucidide, V, 19.
- ^ Lisia, 65.
- ^ Tucidide, VIII, 47-48.
- ^ Tucidide, VIII, 53-54.
- ^ a b Tucidide, VIII, 68.
- ^ Tucidide, VIII, 56.
- ^ Tucidide, VIII, 63.
- ^ Tucidide, VIII, 65-66.
- ^ Tucidide, VIII, 69-70.
- ^ Tucidide, VIII, 73.
- ^ Tucidide, VIII, 74-76.
- ^ Aristotele, 29.
- ^ Tucidide, VIII, 89.
- ^ Tucidide, VIII, 90.
- ^ Tucidide, VIII, 90-91.
- ^ Tucidide, VIII, 91.
- ^ Tucidide, VIII, 92.
- ^ Tucidide, VIII, 94.
- ^ Senofonte, II, 3,48.
- ^ Senofonte, I, 7,5.
- ^ Diodoro, XIII, 47.
- ^ Diodoro, XIII, 49.
- ^ Diodoro, XIII, 50-51.
- ^ Senofonte, I, 1,11-18.
- ^ Senofonte, I, 1,19-22.
- ^ Diodoro, XIII, 66.
- ^ Plutarco, 31.
- ^ Kagan, p. 459.
- ^ Senofonte, I, 6,29-35.
- ^ Diodoro, XIII, 101.
- ^ Senofonte, I, 7,8-9.
- ^ a b Senofonte, II, 2,1-14.
- ^ Senofonte, II, 2,16.
- ^ Natalicchio, pag. 23
- ^ Merkelbach
- ^ Natalicchio, pag. 30
- ^ Senofonte, II, 2,21-23.
- ^ Lisia, 6.
- ^ Canfora 2, p. 69.
- ^ Senofonte, II, 3,11-14.
- ^ Senofonte, II, 3,15.
- ^ Aristotele, 36.
- ^ Senofonte, II, 3,17-20.
- ^ Senofonte, II, 3,21-22.
- ^ Senofonte, II, 3,23-24.
- ^ Canfora, pp. 386-387.
- ^ Senofonte, II, 3,35-49.
- ^ Senofonte, II, 3,50-56.
- ^ Natalicchio, pag. 43-47.
- ^ Natalicchio, pag. 20-25.
- ^ Canfora, pp. 382-383.
- ^ Natalicchio, pag. 22.
- ^ Natalicchio, pag. 24.
- ^ a b Natalicchio, pag. 21.
- ^ Perrin, pag. 668–689
- ^ Canfora, p. 383.
- ^ a b Harding, pag. 101
- ^ Andrewes, pag. 112
- ^ Canfora, p. 376.
- ^ Kagan, pag. 379
Bibliografia
- Fonti antiche
- Aristotele, Costituzione degli Ateniesi.
- Diodoro Siculo, Bibliotheca historica.
- Lisia, Contro Eratostene.
- Plutarco, Vite Parallele: Alcibiade, Cicerone e Nicia.
- Senofonte, Elleniche.
- Tucidide, La Guerra del Peloponneso.
- Fonti moderne
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