Annibale Carracci

pittore italiano del XVI secolo

Annibale Carracci (Bologna, 3 novembre 1560Roma, 15 luglio 1609) è stato un pittore italiano.

Annibale Carracci, Autoritratto sul cavalletto, 1604 ca. Olio su tavola, 36.5 x 29.8 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi, inventario n. 1774
«[L’]ignorante Vasari [n]on s’accorge che gl’[a]ntichi buoni maestri [h]anno cavate le cose [l]oro dal vivo, et vuol [p]iù tosto che sia buono [r]itrar dalle seconde [c]he son l’antiche, che [d]a le prime e princi[p]alissime che sono le vive, le quali si debbono [s]empre immitare. [M]a costui non intese [q]uest’arte[1]

In antitesi con gli esiti ormai sterili del tardomanierismo, si propose il recupero della grande tradizione della pittura italiana del primo Cinquecento, riuscendo in un’originale sintesi delle molteplici scuole del nostro rinascimento maturo: Raffaello, Michelangelo, Parmigianino, Correggio, Tiziano e il Veronese sono tutti autori che ebbero notevole influsso sull’opera del Carracci. La riproposizione e, al tempo stesso la modernizzazione, di questa grande tradizione, unitamente al ritorno dell’imitazione del vero, sono i fondamenti della sua arte. Con Caravaggio, pose le basi per la nascita della pittura barocca italiana, di cui fu uno dei padri nobili[2].

Di fondamentale importanza nello sviluppo della sua carriera furono i rapporti con il cugino Ludovico e il fratello Agostino – entrambi dotatissimi pittori – con i quali, agli esordi, tenne bottega comune e con cui collaborò, a più riprese, anche in seguito.

Biografia

 
Annibale Carracci, Crocifissione, 1583. Olio su tela, 305 x 210 cm. Bologna, Chiesa di Santa Maria della Carità.

Gli esordi bolognesi

Nulla è noto circa la formazione iniziale di Annibale Carracci, anche se è possibile che essa sia avvenuta al di fuori della cerchia familiare[3]. Infatti, l’avvio della collaborazione con il cugino Ludovico (e il fratello Agostino), risale all’inizio degli anni Ottanta del Cinquecento mentre la prima opera di data certa di Annibale è del 1583. Periodo, quindi, in cui egli è già più che ventenne. Appare allora ipotizzabile che - prima di metter su bottega con il cugino e il fratello - egli possa aver compiuto il suo primo apprendistato presso altri maestri, ma questa ipotesi, ad oggi, non è comprovata da alcun documento.

Altra ipotesi avanzata sugli anni iniziali di Annibale è che egli (non oltre i primissimi anni Ottanta del XVI secolo) possa aver compiuto dei viaggi di studio in altre città italiane ed in particolare a Venezia [4]. Ma, se è documentalmente provata la permanenza di Annibale a Venezia allo scadere degli anni Ottanta del Cinquecento, le prove di un soggiorno in laguna antecedente alle sue opere di esordio, sono del tutto assenti. Ciò però non esclude che egli vi si possa essere effettivamente recato, poiché echi della pittura di Tiziano e di Veronese sembrano percepibili già in alcune delle sue prime opere[4].

La prima opera certa di Annibale Carracci è una pala d'altare raffigurante la Crocifissione dipinta per la chiesa bolognese di San Niccolò (e attualmente nella chiesa di Santa Maria della Carità), e risale, per l’appunto, al 1583. Probabilmente non è la sua prima opera in assoluto[5] e fu oggetto di vivaci critiche da parte dell’ambiente artistico bolognese soprattutto per la composizione nel suo insieme, ritenuta squilibrata: infatti, i santi Bernardino, Francesco e Petronio dominano la tela in termini spaziali, relegando le altre figure in secondo piano. L'evangelista Giovanni in particolare - all'estremità destra del dipinto - sembra doversi sporgere per rendersi visibile. Anche la stesura del colore e il realismo con cui Annibale ha raffigurato il Cristo furono oggetto di giudizi negativi[6].

 
Annibale Carracci,Grande Macelleria, 1580 circa. Olio su tela, 185 x 266 cm. Oxford, Christ Church Picture Gallery.

La storiografia moderna[7], invece, osserva in questa prima opera pubblica di Annibale, la tendenza antimanierista del giovane pittore e un primo tentativo di ritorno al vero (elementi, questi, particolarmente visibili nella figura del Cristo, di prefette proporzioni anatomiche[8]). Sembrano cogliersi, in questa opera d'esordio, anche rimandi alla pittura veneta di qualche decennio prima.

A questa prima attività di Annibale risalgono alcuni dipinti di genere[9], come la Grande macelleria, oggi nella Christ Church Picture Gallery. La tematica non è, di per sé, una novità: opere di soggetto analogo sono infatti presenti sia in dipinti di scuola fiamminga (come, ad esempio, in quelli di Joachim Beuckelaer), sia in dipinti di scuola italiana, come in quelli di Bartolomeo Passerotti (bolognese come Annibale).

La novità della Grande macelleria di Annibale risiede, invece, nella sobria raffigurazione del lavoro di una bottega. Contrariamente a quanto avveniva in molte opere fiamminghe e italiane più o meno coeve e di soggetto analogo, Annibale non ha dipinto i personaggi con fattezze grottesche e in pose triviali, egli ha preferito raffigurare la dignità dei lavoratori di questa macelleria, mostrando tra l'altro un particolare interesse per il dato naturale[10].

A questo periodo[11], forse appartiene anche un altro dipinto di genere: il celebre Mangiafagioli (Roma, Palazzo Colonna) che, forse, raffigura Zanni, nota maschera della Commedia dell'arte[12].

Il sodalizio con Ludovico e Agostino e l'Accademia degli Incamminati

 
Scuola Bolognese, Annibale, Ludovico e Agostino Carracci, XVII secolo, collezione privata

L’esordio di Annibale Carracci sulla scena artistica è strettamente connesso all'attività del fratello Agostino e del cugino Ludovico. Insieme, nei primi anni Ottanta del Cinquecento, i tre cugini diedero vita ad una scuola chiamata dapprima Accademia dei Desiderosi e successivamente Accademia degli Incamminati[13].

L’"accademia" dei tre giovani cugini, allora ancora agli inizi delle rispettive carriere, non va paragonata alle accademie ufficiali, come ad esempio la celebre Accademia del Disegno a Firenze. Si trattava piuttosto di una scuola/bottega privata, verosimilmente guidata da Ludovico, il più anziano dei Carracci, dove – diversamente da quanto avveniva nelle vere e proprie accademie, allora legate ai canoni pittorici tardomanieristi[14] – si promuoveva l'imitazione della realtà e gli allievi erano incoraggiati ad osservare e studiare le opere dei grandi del Rinascimento in modo nuovo, senza la ripetizione di formule di maniera ormai prive di potenzialità creative.

L’Accademia degli Incamminati fu peraltro una rilevantissima fucina di talenti: alcuni dei migliori pittori italiani del primo Seicento vantarono un apprendistato presso i cugini Carracci.

La carriera di Annibale Carracci fu significativamente legata al rapporto con il fratello e il cugino. Infatti, oltre alla produzione artistica personale, Annibale collaborò, a più riprese, con i parenti in opere collettive. La prima di queste, nel 1584, è la decorazione ad affresco di Palazzo Fava, a Bologna. Secondo quanto riferito dalle fonti - e in particolare da Carlo Cesare Malvasia nel suo libro Felsina Pittrice - questa committenza sarebbe stata affidata ai tre Carracci grazie all'intermediazione del padre di Annibale e Agostino, che era uomo di fiducia di Filippo Fava, il proprietario della dimora.

A Palazzo Fava, i cugini Carracci decorarono tre ambienti raffigurando le Storie di Giove ed Europa, le Storie di Giasone e Medea e le Storie di Enea.
Nonostante gli sforzi degli studiosi, ad oggi è pressoché impossibile distinguere con certezza le mani dei tre in questo ciclo pittorico. L'attribuzione certa di ogni scena alla mano di Annibale, o Agostino o Ludovico è tuttora oggetto di studio e di dibattito critico[15].

L’affermazione di Annibale in Emilia

 
Annibale Carracci, Battesimo di Cristo (particolare), 1585, Bologna, Chiesa di San Gregorio

Gli anni Ottanta del Cinquecento sono, per Annibale, anche anni di viaggio e saranno soprattutto due i soggiorni che ne segneranno i futuri sviluppi artistici. Parma, dove il Carracci perfeziona la sua conoscenza della pittura del Correggio (e dove eseguirà delle opere) e Venezia, dove il giovane pittore resta ammirato dai capolavori dei grandi maestri veneziani del secolo che sta per chiudersi[16].

Correggio e il Veronese saranno, negli anni emiliani, i maggiori punti di riferimento per Annibale Carracci[17].

Lo si avverte già nel Battesimo di Cristo, del 1585, realizzato per la chiesa di San Gregorio a Bologna, nel quale, per la grazia delle figure, si inizia ad avvertire l’influenza dell’Allegri, mentre il forte colorismo dell'opera, e alcuni aspetti compositivi, rimandano al Veronese[18].

Evidente omaggio al Correggio - ed in particolare al Compianto Del Bono - è la Deposizione con la Vergine e santi[19], realizzata da Annibale nel 1585 per la chiesa dei Cappuccini di Parma (ed ora nella Galleria nazionale della stessa città).

 
Annibale Carracci, Allegoria della Verità e del Tempo, 1585 ca., Royal Collection, Hampton Court

Negli stessi anni Annibale si afferma anche in commissioni diverse da quelle ecclesiastiche, come dimostra un’opera bellissima, raffigurante l’Allegoria della Verità e del Tempo[20] (1585 ca.). Nel dipinto, il Tempo tira fuori da un pozzo la figura alata della Verità che si guarda in uno specchio e calpesta l’Inganno. Ai lati della composizione due figure, identificate nell’Abbondanza, a sinistra – con una cornucopia e un caduceo - e, a destra, nel Buon Evento, sottolineano l’esito felice, propiziato dal Tempo, della lotta tra Verità ed Inganno. Stilisticamente, l’opera, specie nelle figure centrali, si rifà ancora una volta al Correggio, ma, nella composizione, è percepibile il richiamo al capolavoro di Tiziano Amor sacro e Amor profano, in particolare per la corrispondenza della vera da pozzo del dipinto di Annibale con il sarcofago istoriato di bassorilievi e riadattato a fontana che compare nel quadro di Tiziano[21].

Poco dopo, il Carracci ottiene importanti incarichi anche a Reggio Emilia, dove esegue, nel 1587, per la confraternita di San Rocco, una grande pala raffigurante l’Assunzione della Vergine[22]. Opera dove, nuovamente all’influsso di Correggio si aggiunge l’omaggio al Veronese.

Il contatto con Reggio Emilia, dove Annibale realizzerà più opere, è di capitale importanza per gli sviluppi futuri della sua vicenda artistica. È a Reggio, infatti, che Annibale entra in rapporti con Gabriele Bombasi, uomo legato alla corte di Ranuccio I Farnese, duca di Parma, del quale era stato precettore. Si crea probabilmente così il legame con i Farnese che determinerà, di lì a non molti anni dopo, la chiamata di Annibale a Roma[23].

 
Romolo e Remo nutriti dalla lupa, 1589-1592, Affreschi di Palazzo Magnani, Bologna

Tra il 1589 e il 1592, Annibale torna a lavoro con il fratello e il cugino per gli affreschi di Palazzo Magnani, a Bologna, ove i tre realizzano un fregio con le Storie della fondazione di Roma. Come nel precedente di Palazzo Fava, l’opera presenta, nei vari riquadri in cui si articola, una sostanziale unità stilistica e di conseguenza, anche in questo caso, l’attribuzione delle varie scene all’uno o all’altro dei Carracci non è oggetto di visioni condivise.

Nel 1593, il pittore realizza una pala d'altare, la Madonna col Bambino, san Giovannino e i santi Giovanni e Caterina, lavorando assieme a Lucio Massari. Dello stesso anno è la Resurrezione di Cristo.

Verosimilmente tra il 1593 e 1594 si colloca una nuova impresa con Ludovico e Agostino: la decorazione, ancora a Bologna, di Palazzo Sampieri. Questa volta però, a differenza che nei casi precedenti, il lavoro dei tre Carracci non è collettivo. Gli ambienti da decorare sono infatti tre e il committente dispone che ognuno dei cugini affreschi di sua mano il singolo ambiente che gli è affidato[24], dipingendo, in particolare, una scena sul soffitto di ogni stanza ed una sulla fuga del camino.

 
Annibale Carracci, Samaritana al pozzo, 1593-1594 ca., Pinacoteca di Brera, Milano

La commissione, oltre alla decorazione parietale, comprende la realizzazione di tre gradi tele – ed anche in questo caso ognuno dei Carracci deve realizzarne singolarmente una - da utilizzare come sovrapporta, in ciascuna delle stanze oggetto della campagna decorativa.

Proprio nel sovrapporta, Annibale realizza un'opera mirabile quale la Samaritana al pozzo (oggi nella Pinacoteca di Brera) che è un evidente, ulteriore, tributo al genio del Veronese.
Quanto agli affreschi, complessivamente dedicati alle storie di Ercole, sono di mano di Annibale la scena di Ercole guidato dalla Virtù (soffitto) e quella dove Ercole punisce Caco (sul camino)[25].

Opera di chiusura del periodo emiliano, capolavoro di questa fase dell’attività di Annibale Carracci, e l’Elemosina di san Rocco[26][27].

Il dipinto, completato da Annibale nel 1595 (benché commissionato molto tempo prima), fu realizzato di nuovo per la confraternita di San Rocco di Reggio Emilia (oggi è custodito presso la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda). È il dipinto (affreschi a parte) più grande del pittore (misura, infatti, 331 cm x 477 cm) e nella monumentale composizione una turba di umanità bisognosa e derelitta si approssima al santo che si spoglia di tutti i suoi averi[28]. Secondo Denis Mahon l’Elemosina di san Rocco è un testo di capitale importanza per la nascente pittura barocca e dovette colpire profondamente i pittori dell’epoca come testimonia l’alto numero di incisioni che da questo quadro sono state tratte[26].

Annibale a Roma

 
Odoardo Farnese[29]

Gli affreschi monumentali di Bologna e le altre opere emiliane diedero grande notorietà ad Annibale, tanto che il cardinale Odoardo Farnese, forse dietro consiglio del letterato reggiano Gabriele Bombasi che da anni conosceva bene il pittore, lo incaricò, con suo fratello Agostino, di decorare il piano nobile di Palazzo Farnese, a Roma.

A Roma, Annibale ebbe un primo breve soggiorno nel 1594, forse per perfezionare gli accordi con il cardinal Farnese e farsi un'idea del luogo in cui avrebbe dovuto operare. Fece quindi ritorno in Emilia per concludere le incombenze rimaste in sospeso e (insieme al fratello) si trasferì stabilmente a Roma tra la fine del 1595 e l'inizio del 1596.

La fama di Annibale in città cominciò a diffondersi grazie ad una commissione dello stesso Bombasi (affidatagli durante la prima campagna decorativa di Palazzo Farnese), relativa a una tela raffigurante Santa Margherita e collocata nella chiesa di santa Caterina dei Funari. Si tratta della prima opera pubblica romana di Annibale Carracci e, secondo Bellori, il dipinto riscosse anche l’ammirazione di Caravaggio che, «dopo essersi fermato lungamente a riguardarlo, si risolse, e disse: mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore»[30].

La decorazione di Palazzo Farnese

 
Annibale Carracci, Ercole al Bivio, 1596 circa Museo di Capodimonte, Napoli

Il programma originario per la decorazione del palazzo dei Farnese, come ci informa una lettera del cardinale Odoardo a suo fratello Ranuccio, duca di Parma, avrebbe dovuto riguardare la celebrazione del valore militare di Alessandro Farnese, padre di entrambi e valente condottiero, copertosi di gloria nelle Fiandre alla guida delle armate imperiali. Programma, quindi, in linea di continuità con la celebrazione dei fasti della casata, avviata dal Salviati e completata da Taddeo Zuccari nel sesto decennio del XVI secolo[31]. Per ragioni non note questo progetto venne abbandonato e la campagna decorativa del palazzo ebbe avvio, verosimilmente alla fine del 1595 o all’inizio dell’anno successivo, partendo - secondo la prospettazione più comune, ma non unanimemente condivisa - dal camerino, in cui Annibale ed Agostino raffigurarono, ad affresco, le storie di Ercole.

Mirabile, nel camerino, come già rilevò il Baglione, è la decorazione monocroma a finto stucco[32] che richiama il capolavoro di Correggio della Camera di san Paolo, a Parma, e di cui i fratelli Carracci invertirono le proporzioni: mentre a Parma è la parte policroma dell’affresco dell’Allegri a inglobare i monocromi, nel camerino di Odoardo Farnese avviene il contrario[33][34].

Oltre alla decorazione ad affresco, ancora per il camerino del cardinale Farnese, Annibale realizzò una grande tela raffigurante Ercole al bivio[35], incastonata nel soffitto dell’ambiente, dove la figura dell’eroe rimanda alla celebre statua dell’Ercole Farnese[36], allora ancora a palazzo (il dipinto venne poi rimosso dalla sua collocazione originaria e si trova oggi nel Museo di Capodimonte a Napoli).

Nello stesso Palazzo Farnese, Annibale, ancora coadiuvato da Agostino e probabilmente con l’intervento di alcuni aiuti (tra i quali si ipotizza anche il Domenichino[4]), pose poi mano alla decorazione della Galleria. Il tema di questo celeberrimo ciclo di affreschi - culminante nella scena raffigurante il Trionfo di Bacco e Arianna al centro del soffitto - è Gli Amori degli Dei e secondo una seguita ipotesi esso venne realizzato per celebrare le nozze tra il duca di Parma Ranuccio Farnese, fratello del cardinale Odoardo, e Margherita Aldobrandini, nipote di Clemente VIII[37].

 
Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna, 1597-1601, Palazzo Farnese, Roma

La fonte iconografica utilizzata è, almeno in parte, da rintracciarsi nelle Metamorfosi di Ovidio[38], ma il compiuto significato allegorico del ciclo non è ancora del tutto svelato se non per la generale celebrazione della forza dell’amore che tutto condiziona (l’amor vincit omnia virgiliano), compreso il destino degli dei[39][40].

La decorazione della Galleria è quanto mai ricca e si compendia in un articolato dialogo tra pittura, scultura ed architettura, in un complesso gioco di rimandi tra illusione e realtà: le immaginarie sculture dipinte dai Carracci erano infatti in rapporto con alcune delle celebri statue antiche della collezione Farnese[41], allora nella Galleria ed oggi non più in loco[37].

Telamoni, ignudi e finti bronzi della decorazione pittorica sono citazioni della michelangiolesca volta sistina. Ed anche la scelta di ambientare le scene mitologiche in quadri riportati - cioè creando l’illusione che la scene dipinte siano state stese su una tela poi applicata al muro, e non direttamente affrescate sulla parete, come in realtà è – guarda ancora alla volta di Michelangelo che usò lo stesso espediente per le Storie della Genesi della stessa volta[37].

Ulteriori riferimenti seguiti da Annibale nell’impresa della Galleria farnesiana sono costituiti dagli affreschi di Raffello (e della sua équipe) della Loggia di Psiche, realizzati per la villa sul Tevere di Agostino Chigi[42], e dalle tele di Tiziano dedicate al dio Bacco[43], dipinte dal maestro di Pieve di Cadore per i camerini estensi ferraresi. Le tele tizianesche, infatti, furono parte del ricco bottino che il cardinale Pietro Aldobrandini (conosciuto dal Carracci) portò con sé a Roma da Ferrara, allorché la città, nel 1598, passò dal dominio estense a quello pontificio.

Della campagna per la volta della Galleria di Palazzo Farnese, conclusasi orientativamente nel 1601[44], ci restano anche moltissimi disegni e schizzi preparatori di mano di Annibale (di cui parte cospicua si trova al Louvre).

Gli affreschi farnesiani ispireranno successivamente altri grandi artisti, quali Lanfranco, Pietro da Cortona, e successivamente ancora Andrea Pozzo e Giovan Battista Gaulli, autori tutti di spettacolari volte affrescate - in chiese e palazzi - che sono tra le più mirabili produzioni della pittura barocca.

Altre opere per i Farnese

 
Annibale Carracci, Pietà, 1598-1603, Museo di Capodimonte, Napoli

Come attesta una lettera di un allievo di Annibale[45], il suo rapporto con i Farnese non si limitò alla sola decorazione del palazzo, ma fu assai simile a quello di un pittore di corte. Annibale, infatti, stipendiato dal cardinale Farnese (pare in modo assai modesto, come si desume dalla stessa lettera) si occupava di tutte le “esigenze figurative” della casata, realizzando quadri, progettando apparati effimeri per le feste, finanche disegnando le suppellettili usate a palazzo.

Rimarchevole a questo rigurado è la realizzazione da parte di Annibale dei disegni[46] per una coppa d'argento che riscosse notevole ammirazione, ovvero la stesura da parte sua dei disegni utilizzati per la tessitura di paramenti sacri utilizzati dal cardinale Odoardo.

Tra le opere pittoriche realizzate per i Farnese nell'ambito di questo rapporto, particolare menzione deve essere fatta di una splendida Pietà[47], collocabile in un periodo che oscilla tra il 1598 e 1603. L’opera è unanimemente considerata uno dei capolavori maggiori del Carracci e venne verosimilmente eseguita per un cappella privata dei Farnese, forse nello stesso palazzo romano, forse per una delle diverse dimore periferiche della casata (ora la tela è nel Museo di Capodimonte).

In questo magistrale dipinto Annibale fonde l’eredità correggesca, richiamando nuovamente il Compianto Del Bono, con un vigore dei corpi e un nitore di disegno prettamente romani. Evidente, inoltre, è l’omaggio alla Pietà vaticana di Michelangelo, di cui Annibale riprende la composizione piramidale del gruppo e la posa della Vergine[48].

Oltre a soddisfare le esigenze celebrative di Odorado, con la decorazione del palazzo, e quelle devozionali, con le opere di carattere religioso, Annibale attese ad esaudirne anche i desideri figurativi più strettamente privati. È il caso della sensualissima Venere dormiente con amorini, ora al Museo Condé di Chantilly, opera elogiatissima da Giovanni Battista Agucchi, prelato e amatore d’arte bolognese al servizio di Pietro Aldobrandini, e della tela con Rinaldo e Armida (ora a Capodimonte), rimarchevole anche in quanto è una della prime rappresentazioni pittoriche tratte dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.

Annibale, infine, dovette prestare il suo pennello anche alle ambizioni politiche più alte del cardinal Farnese. Nel Cristo in gloria con santi ed Odoardo Farnese[49] (Galleria Palatina), sant’Edoardo, patrono e primo re d'Inghilterra, presenta il Farnese al Redentore. Secondo un’interpretazione della composizione, essa alluderebbe al desiderio di Odoardo Farnese di ottenere (forte della sua discendenza, per parte materna, dai Lancaster) l’investitura a re d'Inghilterra[50]. Ambizione frustrata da Clemente VIII che si limitò a nominarlo solo protettore di quel regno.

Altre committenze romane

 
Annibale Carracci, Assunzione della Vergine (1600-1601), Basilica di Santa Maria del Popolo, Roma

Il rapporto con i Farnese non fu però esclusivo, come dimostra l'allogazione ad Annibale, contemporaneamente alla decorazione della Galleria Farnese o subito dopo la sua conclusione, della pala d’altare della cappella funeraria di Tiberio Cerasi, cardinale e tesoriere della Camera apostolica, sita nella basilica di Santa Maria del Popolo[51].

La pala raffigura l’Assunzione della Vergine e presenta affinità sia con la celeberrima tela di Tiziano, di identico tema, della basilica veneziana dei Frari[52] sia con la non meno celebre Trasigurazione di Raffaello.

Questa tavola[53] del Carracci è famosa anche perché “dialoga” con gli ancor più noti laterali di Caravaggio, siti nella stessa cappella, raffiguranti la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo.

Altro importante rapporto di committenza romano, diverso dai Farnese, fu quello con gli Aldobrandini, per i quali Annibale dipinse diverse opere come una Incoronazione della Vergine[54] (1600 ca.), ora Metropolitan Museum of Art, di New York - dipinto che nella composizione su due livelli e nella disposizione semicircolare della schiera angelica cita la raffaellesca Disputa del Sacramento - e il Domine, quo vadis?[55] (1601), ora alla National Gallery di Londra.

Tavola, quest'ultima, che per il forte aggetto prospettico della figura di Cristo (nella posa del braccio destro, nella croce, nell’incedere del passo) - che occupa scultoreamente lo spazio pittorico -, è probabilmente frutto di una riflessione del Carracci sulle tele di Caravaggio della Cappella Cerasi, nelle quali il Merisi eccelse anche nella resa tridimensionale degli episodi raffigurati[56]. Il dipinto suscitò l’entusiasmo del committente Pietro Aldobrandini che compensò riccamente il pittore.

Sempre per gli Aldobrandini, si impegnò a decorarne la cappella privata di palazzo (opera poi completata dagli allievi).

Ulteriore rilevante commissione romana, non proveniente dai Farnese, è l’allogazione della decorazione ad affresco della cappella Herrera, presso la chiesa (oggi non più esistente) di San Giacomo degli Spagnoli. Impresa che in verità, più che da Annibale, fu portata a compimento dall'allievo Francesco Albani[57].

I paesaggi

 
Annibale Carracci, Paesaggio con la fuga in Egitto, 1604 ca., Galleria Doria Pamphilj, Roma

Già il Bellori, nelle sue Vite (1672), considerava che Annibale Carracci nel raffigurare i paesaggi «ha superato ogn’altro eccettuando Tiziano». A partire da questa annotazione dello storico romano, l’attribuzione ad Annibale Carracci della rifondazione della pittura di paesaggio diviene un vero e proprio topos storiografico di cui si ha piena conferma ne "Il Cicerone" del Burckhardt che attribuisce senz’altro al Carracci l’invenzione del paesaggio moderno, perfezionato, poi, da Domenichino, Nicolas Poussin e Claude Lorrain[4].

Alcuni storici moderni[57]sembrano voler, almeno in parte, ridimensionare questa visione, evidenziando che, quantunque il Carracci abbia dipinto anche bellissimi paesaggi, egli non può essere considerato uno specialista del genere, essendo, in effetti, poche le sue prove da paesaggista.

Tra queste, in ogni caso, l’opera più nota è il Paesaggio con la fuga in Egitto, tela del 1604 realizzata per la cappella di Palazzo Aldobrandini, nella quale l’episodio sacro quasi scompare nell’amplissimo paesaggio che lo avvolge.

La ritrattistica

 
Annibale Carracci, Ritratto di vecchio, 1590-92, Galleria Palatina, Firenze

Parte significativa dell’attività ritrattistica di Annibale Carracci è costituita da autoritratti dello stesso artista. Annibale, infatti, fu tra i pittori che maggiormente si autoritrasse, quasi consentendoci di assistere all’evoluzione della sua vita, non solo per l’aspetto strettamente fisionomico, ma anche per i mutamenti emotivi che negli autoritratti delle diversi fasi della sua esistenza si colgono. E in questo anticipò Rembrandt, che anch’egli ci ha lasciato innumerevoli autoritratti[58].

I ritratti veri e propri di Annibale sono caratterizzati il più delle volte da un tono informale. Sono quasi assenti nel catalogo dell’artista ritratti ufficiali di alti prelati, condottieri, aristocratici (che tanta parte sono della ritrattistica rinascimentale prima e barocca poi), ma al contrario, nella maggior parte dei casi, i soggetti effigiati sono persone comuni, giovani e vecchi, cui, spesso, è impossibile dare un nome[59].

L’attività ritrattistica di Annibale è strettamente associata alla sua continua ricerca del vero: l’intento dell’artista fu quello di restituire la reale fisionomia della persona effigiata, senza alcun abbellimento o enfatizzazione del ruolo sociale di questa. Ne è prova anche la tecnica di molti dei suoi ritratti: spesso si tratta di disegni (di un grado di finitezza tale da lasciar presumere che non si tratti solo di preparativi) o di olii su carta, supporto che facilita una più fluida riproduzione dell’essenza fisionomica della persona ritratta[59].

A questo aspetto si collega anche un’altra caratteristica della ritrattistica di Annibale, costituita dal fatto che alcune delle sue prove in questo genere sembrano molto vicine a degli studi di espressione[60]. Tra queste, particolarmente suggestivi sono due ritratti di donne cieche (dei primi anni Novanta del Cinquecento), verosimilmente dipinti per una pia istituzione bolognese, dedita all’assistenza dei non vedenti, fondata dal cardinale Gabriele Paleotti. Si tratta di due rilevanti esempi dell’approccio naturalistico al ritratto di Annibale Carracci[61][62].

Tra le ultime possibili acquisizioni al catalogo ritrattistico di Annibale, si segnala un ritratto di Giovanni Battista Agucchi (York Art Gallery), prelato e amatore d’arte bolognese. Per il dipinto, a lungo ritenuto del Domenichino, è stata autorevolmente proposta l’autografia di Annibale, sia per ragioni stilistiche, sia cronologiche[63].

Le incisioni

 
Annibale Carracci, Maddalena nel deserto, acquaforte e bulino, 1591, Gabinetto delle stampe della Pinacoteca nazionale di Bologna

Annibale Carracci eccelse anche come incisore, attività che esercitò, sia pure con delle interruzioni, sostanzialmente lungo tutto l’arco della sua vicenda artistica[64], in questo forse spinto anche dall’esempio del fratello Agostino, valente e prolifico incisore a sua volta.

In questo campo predilesse, anche se non in via esclusiva, una tecnica mista ad acquaforte e bulino. Le sue stampe si segnalano, oltre che per bellezza, anche perché Annibale fu tra i pochi, al suo tempo, a produrre quasi esclusivamente incisioni originali, cioè basate su composizioni create ad hoc, mentre la prevalente attività incisoria contemporanea era, al contrario, di gran lunga dedicata ad una pratica di traduzione, cioè a produrre incisioni tratte da preesistenti dipinti[65], per lo più celebri[66].

Tra le incisioni più belle e apprezzate del Carracci, forse quella più nota, si segnala la Pietà di Caprarola (1597)[67], così definita perché il nome del borgo della Tuscia compare (a partire dal secondo stadio) affianco alla firma di Annibale e dove potrebbe essere stata eseguita durante un probabile soggiorno presso la celebre dimora estiva dei Farnese. L'incisone è un ulteriore esempio delle riflessioni di Annibale sul tema della Pietà e del suo legame col Crorreggio anche negli anni romani. Ne esistono varie versioni, ciascuna corrispondente ai diversi stadi di lavorazione; tra queste, di significativo pregio è quella che si trova nel museo dell’Ermitage[68].

Secondo alcuni autori[69], alcune delle creazioni grafiche di Annibale Carracci avrebbero influenzato anche Rembrandt che fu, tra l’altro, uno dei massimi incisori del Seicento. Influenza che si coglie, in particolare, nella Sacra Famiglia[70] del Van Rijn (1632), ispirata, secondo questa prospettazione, dall’incisone con la Sacra Famiglia e san Giovannino[71], realizzata da Annibale nel 1590, altro suo celebrato capolavoro in ambito grafico. Nella composizione, probabilmente a sua volta derivata dalla Madonna del sacco di Andrea del Sarto, Annibale cala nell’episodio sacro anche un momento di tenera umanità.

Proprio all’arte incisoria, il Carracci dedicò alcune delle poche opere certamente collocabili durante il periodo della sua infermità (dal 1605 in poi). Tra queste si annovera la Madonna della scodella[72] (del 1606) che, per l’ampio numero di copie note e per la circostanza che il Sassoferrato, ancora a distanza di decenni dalla realizzazione dell'incisione, la riprodusse un dipinto (Glasgow Museums), dovette riscuotere notevole apprezzamento.

I disegni

 
Annibale Carracci, Testa di donna, gessetto nero su carta, Orléans, Musée des Beaux-Arts

Il più giovane dei Carracci praticò il disegno sia come esercizio, disegnando dal vero o copiando opere antiche, sia come mezzo di studio e preparazione di dipinti o incisioni – molteplici ad esempio sono i disegni preparatori della Galleria Farnese –, ma anche come opera finita in sé. A questo ultimo proposito si segnalano in particolare diversi ritratti.

Tra i disegni tratti dall’antico, particolare menzione meritano la raffigurazione di un satiro derivata dalla statua di Pan e Dafni (o Olimpo) di proprietà dei Farnese[73] e la bellissima riproduzione della testa della statua di Niobe[74], del gruppo dei Niobidi, un tempo a Villa Medici, sul Pincio, e ora agli Uffizi. Quest’ultima è l’evidente modello seguito da Guido Reni per il volto della madre in fuga (sulla destra del dipinto) nella sua Strage degli innocenti.

Impresa disegnativa di Annibale particolarmente conosciuta è quella de Le Arti di Bologna – realizzata a Roma nelle pause dei lavori per Palazzo Farnese – per la quale Annibale creò una serie di disegni dedicati a descrivere il lavoro per strada degli artigiani e dei venditori ambulanti della sua città natale[75].

L’opera ci è nota quasi per intero tramite le incisioni che ne trasse l’incisore parigino Simon Guillain (1618 - 1658), edite in volume nel 1646[76]. Nella serie, a una forte espressività delle figure dei diversi mestieri si associano accenti caricaturali e satirici. Grande fu il successo dell'opera, come dimostra il numero di edizioni succedutesi nel tempo.

La grande versatilità di Annibale nel disegno è dimostrata anche dalla molteplicità di tecniche utilizzate. Matita, penna, carboncino, gessetto, sanguigna, lumeggiature in biacca, acquerellatura sono tutte tecniche di disegno da lui padroneggiate.

L’apprezzamento dei disegni di Annibale fu costante presso collezionisti ed intenditori. Anche nei periodi in cui la fortuna critica del Carracci, tra Settecento ed Ottocento, scemò grandemente, i suoi disegni fecero eccezione e continuarono a riscuotere generale ammirazione[77].

La malattia e la morte di Annibale

 
Annibale Carracci, Cristo Deriso, 1596 ca., Pinacoteca nazionale di Bologna

Come risulta dalla corrispondenza di Odoardo Farnese, Annibale Carracci cadde, a partire dal 1605, in uno stato di profonda prostrazione che Giulio Mancini descriverà come «estrema malinconia accompagnata da una fatuità di mente e di memoria che non parlava né si ricordava». Stato mentale che in termini moderni ha fatto pensare ad una grave sindrome depressiva[78].

Le fonti sono discordi sulle cause di questo malessere: secondo alcuni autori la depressione di Annibale sarebbe stata causata dall’irriconoscenza di Odoardo Farnese per il suo lavoro, altri alludono a non meglio specificati disordini amorosi[78].

Quali che fossero le ragioni della melanconia di Annibale, questo stato patologico influì sulla sua ultima produzione che si fece più rara e, in alcuni casi più modesta, per il frequente ricorso ad aiuti, anche se, più complessivamente, l’esatta cronologia delle ultime opere del Carracci è ancora oggetto di molti dubbi ed incertezze[78].

La profonda afflizione degli ultimi anni lo accompagnò sino alla morte, pare senza remissioni significative. Annibale Carracci si spense il 15 luglio 1609. Sul catafalco funebre fu appoggiato il Cristo deriso del maestro, realizzato per i Farnese nel 1596 circa (ora nella Pinacoteca di Bologna). Fu sepolto, come da sua volontà, nel Pantheon, a fianco alla tomba di Raffaello.

La fortuna critica

 
Giovan Pietro Bellori (ritratto da Carlo Maratta, 1672 ca.). La sua visione dell’opera di Annibale Carracci ha influenzato profondamente il successivo giudizio critico sul pittore bolognese.

La fortuna critica di Annibale Carracci fu ampia presso i suoi contemporanei, a partire dal giudizio di Giovanni Pietro Bellori che, nella sua prolusione all’Accademia di San Luca, raccolta nello scritto «L'idea del pittore, dello scultore, e dell'architetto»[79] (1664), indicò in Annibale il miglior interprete dell’ideale di bellezza che è compito degli artisti perseguire. Bellezza che, nella visione del Bellori (ma che in verità rimanda a concetti molto più risalenti), deve sì partire dalla natura, ma deve elevarsi ad essa, non potendo l’artista, secondo questa impostazione, limitarsi alla sola riproduzione del reale quale esso appare agli occhi[80].

Per il Bellori, per l’appunto, l’opera del più giovane dei Carracci, ed in particolare la sua produzione romana, è l’esempio da seguire per raggiungere questo obiettivo.

Elevato, così, a campione del bello ideale, il Carracci divenne il Nuovo Raffaello, cioè l’acme della pittura del suo tempo. Di pari passo, la sua opera e, in particolare gli affreschi della Galleria Farnese assursero a testo imprescindibile nella formazione del gusto pittorico barocco[80].

Questo giudizio entrò in profonda crisi alla fine del Settecento e quasi per tutto l’Ottocento. In questo torno di tempo, Annibale Carracci divenne il caposcuola di quello che fu definito, a partire dal Winckelmann, eclettismo, concetto che assumerà sempre più valenza negativa. In sostanza, questo punto di vista degradò l’opera del Carracci alla sola fusione di stili diversi, negandogli vera capacità creativa[80].

Nel Novecento si assiste ad un lento e parziale recupero del valore di Annibale Carracci. Aprì questa rivalutazione Hans Tietze, storico di formazione viennese, che nel 1906 dedicò un saggio[81] alla decorazione della Galleria Farnese, interrompendo così un lunghissimo silenzio critico sull’opera del maestro bolognese. Tappa ancor più significativa fu la pubblicazione da parte di Denis Mahon dei suoi Studies in Seicento Art and Theory (1947)[80].

Se questi studi ebbero il merito di riaccendere l’attenzione sull’arte del Carracci (ormai quasi dimenticata), essi, tuttavia, ne fornirono una visione in una certa misura deformante. Infatti, ponendosi in linea di continuità con l’antica visione belloriana, questo primo processo di rivalutazione individuò nell'Annibale Carracci "romano" il capofila della corrente classicista della pittura barocca italiana, antitetica alla corrente verista, il cui fondatore è Caravaggio. In tal modo, però, si obliterava la forte tensione al vivo da cui, a Bologna, anche Annibale era partito e che egli perseguì con decisione, specie negli anni antecedenti al suo trasferimento a Roma[80].

Si creò, così, una visione dicotomica della parabola artistica di Annibale Carracci, che scisse in termini piuttosto netti il periodo romano e classicista, determinato dall'assimilazione di Michelangelo, di Raffaello e dell’antico, dagli anni bolognesi – tanto influenzati dalla pittura padana e veneziana e animati da una forte tensione verista - che vennero sostanzialmente minimizzati come esperienze giovanili, superate, poi, dall'artista una volta giunto a Roma[80].

La mostra sui Carracci, tenutasi a Bologna nel 1956 presso il palazzo dell'Archiginnasio, favorì un primo recupero critico anche dell’attività pre-romana di Annibale, ma rimase fermo il topos storiografico che vedeva nella sua vicenda creativa una drastica soluzione di continuità – da verista “lombardo” a classicista raffaellesco – conseguente al suo approdo sulle sponde del Tevere[80]. Anche la fondamentale monografia di Donald Posner (1971), benché testo per molti versi ancora imprescindibile per lo studio di Annibale Carracci, avallò (e consolidò) questa concezione[82].

Solo in tempi relativamente vicini, anche riprendendo un'intuizione di Roberto Longhi formulata già nel 1934[83], si è andata delineando una valutazione critica più matura dell’opera del più giovane dei Carracci. Giudizio che coglie la sua grandezza nell’aver Annibale saputo inventare uno stile propriamente italiano, armonizzando le tante strade indicate dalle scuole locali che lo hanno preceduto e riuscendo, al tempo stesso, ad evitare che questo programma artistico si risolvesse in una sterile riproposizione del passato[84]. Anzi, aprendo le porte ad una nuova era della storia dell'arte: il barocco.

In questa chiave, benché il lungo, definitivo, soggiorno a Roma ne abbia naturalmente influenzato ed arricchito lo stile, minor credito ha l'idea di una drastica cesura tra Bologna e Roma, anche perché, come gli studi più recenti stanno acquisendo, il trasferimento nella città dei papi non significò affatto l’abbandono, da parte di Annibale, dei suoi modelli settentrionali, né, almeno in parte, della sua ricerca realista.

In questa stessa chiave, anche il luogo comune di un Annibale Carracci in tutto antitetico all’altro gigante della pittura italiana del primo Seicento, Michelangelo Merisi, inizia ad essere oggetto di rivisitazione critica, cogliendosi tra i due maestri, pur tra le evidenti e profonde differenze di stile e di interessi artisitici, anche punti di contatto e reciproche influenze, percepibli soprattutto durante l'iniziale soggiorno romano di entrambi che fu quasi contemporaneo[85]. Anni durante i quali, a Roma, opere come gli affreschi della Galleria Farnese o il Ciclo di san Matteo della Cappella Contarelli segneranno per i secoli a venire la pittura di Italia e d'Europa.

Opere

Periodo emiliano (primi anni Ottanta del XVI secolo - 1595)

 
Annibale Carracci, Il Mangiafagioli, primi anni Ottanta del XVI sec., Roma, Galleria Colonna
 
Annibale Carracci, Cristo coronato di spine sorretto dagli angeli, 1585-1587, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister
 
Annibale Carracci, Matrimonio mistico di santa Caterina, 1585-1587, Napoli, Museo di Capodimonte
 
Annibale Carracci, Madonna col Bambino in trono e i santi Francesco, Matteo e Giovanni Battista (Madonna di san Matteo), 1588, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister
 
Annibale Carracci, La Vergine appare a san Luca e santa Caterina (Madonna di san Luca) , 1592, Parigi, Museo del Louvre

Periodo romano (fine 1595, inizio 1596 - 1609)

 
Annibale Carracci, Santa Margherita, 1597-1599, Roma, Chiesa di Santa Caterina dei Funari
 
Annibale Carracci, Incoronazione della Vergine, 1600 ca., New York, Metropolitan Museum
 
Annibale Carracci, Le pie donne al Sepolcro, 1600ca., San Pietroburgo, Ermitage
 
Annibale Carracci, Venere dormiente con amorini, 1602-1603, Chantilly, Museo Condé
 
Annibale Carracci, Compianto su Cristo morto, 1604-1606, Londra, National Gallery

Note

  1. ^ Si tratta di una delle postille di Annibale Carracci vergate a margine di una copia delle Vite del Vasari, in possesso dello stesso pittore (ora nella Biblioteca comunale di Bologna). L’annotazione commenta un passo vasariano, relativo al Giambellino e ai coevi pittori veneziani, in cui lo storico aretino considera un limite della pittura veneziana del tempo la pratica di ritrarre dal vivo, dovuta all’assenza, a Venezia, di opere antiche da utilizzare come modello e canone. Considerazione che suscita la ripulsa di Annibale, viceversa convinto fautore della necessità, per un pittore, di immitare il vivo. Le postille sono una fonte di grandissimo interesse storico perché consentono, pur nella loro sinteticità, di entrare in diretto contatto con gli ideali di Annibale Carracci in materia di pittura. Anche da questa fonte emerge con chiarezza la polemica antimanierista di Annibale e spesso i suoi commenti alle affermazioni del Vasari, come nel passo citato, sono impietosi. Sulle postille si veda: Mario Fanti, Le postille carraccesche alle 'Vite' del Vasari: il testo originale, in «Il Carrobbio», 1979, V, pp. 148-164.
  2. ^ Tomaso Montanari, Il Barocco, 2012, Einaudi, pp. 33 e seguenti.
  3. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 12.
  4. ^ a b c d Donald Posner, voce Annibale Carracci, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 20, Treccani, 1971.
  5. ^ Daniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 90.
  6. ^ Le critiche al dipinto di Annibale mosse dai pittori bolognesi contemporanei sono riferire da Giulio Cesare Malvasia nella sua Felsina pittrice, del 1678.
  7. ^ Sulla Crocifissione di Santa Maria della Carità, Daniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 136.
  8. ^ Marinella Pigozzi, Arte e scienza a Bologna da papa Gregorio XIII a papa Clemente VIII (1572-1605). I Carracci. Dal confronto con la natura all'ideale classico, in Rappresentare il corpo. Arte e Anatomia da Leonardo all'Illuminismo, Bononia University Press, Bologna, 2004, pp. 136-137.
  9. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 13.
  10. ^ Daniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 90.
  11. ^ Di quest’opera, tuttavia, manca ogni elemento che ne consenta una datazione anche solo di massima e alcuni storici – in particolare Silvia Ginzburg – ipotizzano che l’opera possa appartenere ad una fase più matura di Annibale Carracci.
  12. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, p. 26.
  13. ^ Sull'Accademia degli Incamminati, Daniele Benati, Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, p. 126.
  14. ^ Per questi aspetti dell’accademismo cinquecentesco si veda Rudolf e Margot Wittkower, Nati sotto Saturno. La figura dell'artista dall'antichità alla Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 2005, pp. 250-275.
  15. ^ Sugli affreschi di Palazzo Fava, Anna Stanzani, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 431.
  16. ^ Una lettera di Agostino Carracci, in laguna già da qualche tempo, ci informa che il fratello Annibale, a Venezia, «vedute le immense macchine di tanti valentuomoni è rimasto attonito e stordito […]. Di Paolo [Veronese] poi confessa essere il primo del mondo […] perché è più animoso e più inventore». La lettera non ha data certa ed è collocata tra il 1583 e il 1587.
  17. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 12.
  18. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 13.
  19. ^ Scheda del dipinto sul sito della Galleria nazionale di Parma
  20. ^ Scheda del dipinto sul sito delle Royal Collection
  21. ^ Sull’Allegoria di Hampton Court, Daniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 164.
  22. ^ Scheda del dipinto sul sito della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda
  23. ^ Alessandro Brogi, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 234.
  24. ^ Eugenio Riccomini, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 45.
  25. ^ Anna Satanzani, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 442.
  26. ^ a b Ulrich Pfisterer, L' Elemosina di san Rocco di Annibale Carracci e l'innovazione della historia cristiana, in Hochmann, Michel (Hrsg.): Programme et invention dans l'art de la Renaissance, Roma 2008, pp. 247-269.
  27. ^ Scheda del dipinto sul sito della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda
  28. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 29.
  29. ^ Anonimo, dettaglio del Doppio ritratto dei cardinali Alessandro e Odoardo Farnese come fondatori della Chiesa del Gesù e della Casa Professa, Chiesa del Gesù, Roma.
  30. ^ Giovanni Pietro Bellori, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni, Roma: Mascardi, 1672, p. 32.
  31. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 35.
  32. ^ Così, nelle sue Vite, il Baglione descrive questa decorazione: «vi sono alcuni scompartimenti da lui [Annibale] finti di stucco, che sono tanto belli che paiono rilievi».
  33. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, p. 93.
  34. ^ Scheda e galleria fotografica del Camerino di Odoardo Farnese sul Sito dell’Ambasciata di Francia in Italia (che ha sede in Palazzo Farnese)
  35. ^ Scheda del dipinto sul sito del Museo di Capodimonte di Napoli
  36. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 32.
  37. ^ a b c Tomaso Montanari, Il Barocco, Milano, 2012, p. 19.
  38. ^ Silvia Ginzburg, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 452.
  39. ^ Per un’ipotesi interpretativa più approfondita del significato allegorico del ciclo si veda Silvia Ginzburg in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, pp. 451-457. Per la studiosa gli affreschi della Galleria raffigurano l’antagonismo tra l’amore spirituale e l’amore sensuale a loro volta rispettivamente simboleggiati dalla Venere celeste – l’Arianna del corteo bacchico al centro del soffitto – e la Venere terrena, da individuarsi nella figura femminile sdraiata, in basso a destra, nello stesso quadro riportato.
  40. ^ Scheda e galleria fotografica della Galleria Farnese sul Sito dell’Ambasciata di Francia in Italia (che ha sede in Palazzo Farnese)
  41. ^ Citazione delle antiche sculture farnesiane che si coglie anche in alcune scene narrative. Ad esempio, il riquadro con Diana e Pan è in rapporto con il gruppo scultoreo di Pan e Dafni (ora all’Archeologico di Napoli). Anche nel camerino, del resto, ricorre questo tipo di citazione: oltre al già evidenziato rimando all’Ercole Farnese della tela dell’Ercole al Bivio, la scena con Ercole che porta il Globo è collegabile al celebre Atlante Farnese (anch’esso oggi nel museo di Napoli).
  42. ^ Giulio Carlo Argan, Storia dell'arte italiana, Firenze, 1979, Vol. II, p. 146.
  43. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, p. 83.
  44. ^ La restante decorazione dell’ambiente e in particolare quella delle pareti è più tarda, collocandosi, orientativamente, tra il 1602 e il 1606, ed è dovuta prevalentemente alla bottega di Annibale.
  45. ^ Si tratta di Giovanni Paolo Bonconti, discepolo di Annibale oggi quasi dimenticato; la lettera è dell’agosto 1599.
  46. ^ Scheda del disegno sul sito del Metropolitan Museum of Art di New York
  47. ^ Scheda del dipinto sul sito del Museo di Capodimonte di Napoli
  48. ^ Sulla Pietà di Capodimonte, Carel van Tuyll, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 376.
  49. ^ Scheda del dipinto sul sito del Polo Museale Fiorentino
  50. ^ Caudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 43.
  51. ^ Sull'opera, Silvia Ginzburg, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 380.
  52. ^ Tomaso Montanari, Il Barocco, 2012, Einaudi, p. 34.
  53. ^ La scelta della tavola, supporto ormai poco usato al tempo in cui il dipinto fu realizzato, in luogo della tela, fu espressamente imposta dalla committenza. Anche Caravaggio, uniformandosi a questa indicazione, eseguì le prime versioni della Crocifissione di Pietro e della Conversione di Saulo su tavola. Per motivi non noti questi due dipinti vennero sostituti dagli attuali che sono invece sulla più consueta tela.
  54. ^ Scheda del dipinto sul sito Metropolitan Museum of Art di New York
  55. ^ Scheda del dipinto sul sito della National Gallery di Londra
  56. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, pp. 111-115.
  57. ^ a b Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 46.
  58. ^ Daniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, pp. 70-85.
  59. ^ a b Alessandro Brogi, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Milano, 2006, p. 220.
  60. ^ Molte sono le teste di carattere o le caricature dipinte o disegnate da Annibale. Flavio Caroli, in La storia dell'arte raccontata da Flavio Caroli (Milano, 2011), pp. 19-20, mette quest’attività del Carracci in linea di continuità con gli studi di fisiognomica di Leonardo da Vinci.
  61. ^ Ritratto di donna cieca rivolta verso sinistra; Scheda del dipinto sul sito del Sistema museale del Comune di Bologna
  62. ^ Ritratto di donna cieca rivolta verso destra; Scheda del dipinto sul sito del Sistema museale del Comune di Bologna.
  63. ^ Silvia Ginzburg, The Portrait of Agucchi at York Reconsidered, in «The Burlington Magazine», Vol. 136, N. 1090, 1994, pp. 4-14.
  64. ^ Sull’attività incisoria di Annibale Carracci, Maurizio Calvesi e Vittorio Casale, Le incisioni dei Carracci, Roma, 1965.
  65. ^ Solo agli esordi della sua carriera, nei primissimi anni Ottanta, è registrata un’attività di traduzione anche da parte di Annibale che in quegli anni ha trasposto in incisione una pala d’altare realizzata a Bologna da Lorenzo Sabbatini e Denijs Calvaert.
  66. ^ È un buon esempio di questa pratica proprio l’attività incisoria di Agostino Carracci che ha tradotto in stampe numerosi capolavori di Tiziano, del Veronese e del Tintoretto.
  67. ^ Claudio Strinati, Annibale Carracci, Firenze, 2001, p. 31.
  68. ^ Scheda dell’incisione sul sito del Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo.
  69. ^ Ludwig Münz, Rembrandt's Etchings, Londra, 1952, Vol. I, p. 40.
  70. ^ Scheda dell’incisione sul sito del British Museum di Londra
  71. ^ Scheda dell’incisione sul sito del Sistema museale del Comune di Bologna
  72. ^ Scheda dell’incisione sul sito del Sistema museale del Comune di Bologna
  73. ^ Scheda del disegno sul sito della National Gallery di Londra
  74. ^ Scheda del disegno sul sito della Royal Collection Trust del Windsor Castle
  75. ^ Daniele Benati, Annibale Carracci e il vero, Milano, 2007, pp. 22-23.
  76. ^ Scheda di una delle incisioni di Guillain (il “Padellaro”) dai disegni di Annibale Carracci per Le Arti di Bologna sul sito del British Museum di Londra
  77. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, p. 20.
  78. ^ a b c Sulla patologia di Annibale Carracci si veda Rudolf e Margot Wittkower, op. cit., p. 128.
  79. ^ Utilizzato poi come prologo delle sue fortunatissime Vite del 1672.
  80. ^ a b c d e f g Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, pp. 3-33.
  81. ^ Hans Tietze, Annibale Carraccis Galerie im Palazzo Farnese und seine römische Werkstatte, in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen», XXVI (1906-1907), pp. 49-182.
  82. ^ Secondo Posner gli ultimi influssi padani, e correggeschi in particolare, si coglirebbero solo nelle opere eseguite nei primissimi tempi del soggiorno romano e segnatamente nel camerino Farnese. Cfr. Donald Posner, Annibale Carracci: A Study in the reform of Italian Painting around 1590, Londra, 1971, pp. 83-87.
  83. ^ Roberto Longhi Momenti della pittura bolognese, in «L'Archiginnasio», XXX, 1934.
  84. ^ Tomaso Montanari, Il Barocco, Milano, 2012, pp. 39-40.
  85. ^ Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Roma, 2000, pp. 94-117.

Fonti

Bibliografia essenziale

  • Henry Keazor, Il vero modo. Die Malereireform der Carracci, 2007, Gebrueder Mann Verlag, 2007.
  • Daniele Benati (a cura di), Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, Mondadori Electa, Milano, 2006.
  • Caudio Strinati, Annibale Carracci, Giunti, Firenze, 2001.
  • Silvia Ginzburg Carignani, Annibale Carracci a Roma, Donzelli, Roma, 2000.
  • Roberto Zapperi, Annibale Carracci, Einaudi, Torino, 1988.
  • Giuliano Briganti, André Chastel, Roberto Zapperi (a cura di), Gli amori degli dei: nuove indagini sulla Galleria Farnese, Edizioni dell'Elefante, Roma, 1987.
  • Malafarina Gianfranco, L'opera completa di Annibale Carracci, con prefazione di Patrick J. Cooney, Rizzoli Editore, Milano, 1976.
  • Anton W. A. Boschloo, Annibale Carracci in Bologna: visible reality in art after the Council of Trent, Government Pub. Office, New York, 1974.
  • Donald Posner, Annibale Carracci: A Study in the reform of Italian Painting around 1590, Phaidon Press, Londra, 1971.
  • Denis Mahon, Mostra dei Carracci, 1 settembre-25 novembre 1956, Bologna. Palazzo dell'Archiginnasio; catalogo critico dei disegni, Edizioni Alfa, Bologna, 1956.

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