Utente:L'inesprimibile nulla/Sandbox 2

Prime sedi
Paolo Lucio Anafesto fu il primo doge della repubblica: la sua sede, della quale non rimangono resti, fu posta ad Eraclea: era ben diversa da quella attuale.[1][2] Causa continue lotte intestine e l'uccisione di Orso Ipato, le funzioni dogali furono delegate per breve tempo a un magistrato eletto annualmente.[2] Poiché Teodato Ipato accusava gli abitanti di Eraclea di aver ucciso suo padre, trasferì la propria sede nella fiorente cittadina di Malamocco.[2] La nuova casa dogale fu abbandonata nel 812 per ordine di Angelo Partecipazio, che decise di trasferire la sede ducale a Rivoalto, luogo più sicuro,[3] edificandola su un terreno di sua proprietà.[4] L'edificio, completato sotto Pietro IV Candiano, aveva l'aspetto di un castello:[5][4] si può affermare ciò con certezza perché riuscì a resistere a una rivolta popolare del 976[6] e dovevasi trattare di una struttura molto resistente.[7]
Ottone III, Enrico IV e Enrico V a Venezia
Ventidue anni dopo il sopraccitato incendio, Ottone III decise di venire a Venezia per incontrare Pietro II Orseolo, figlio del precedente.[8] Il doge gli preparò un appartamento nella torre orientale.[9] Considerato il soffermarsi degli autori dell'epoca su quest'ultimo dettaglio, possiamo dedurre che il palazzo fosse dotato di almeno due torri, una occidentale e una orientale, poste alle due estremità della facciata rivolta verso la laguna.[9] Le cronache dell'epoca si soffermano anche sul descrivere l'apprezzamento dell'imperatore per i decori interni del palazzo, pari forse solo a quelli delle dimore imperiali, che erano stati perfezionati dall'allora doge Pietro II Orseolo.[9][10]
Dal 998, anno in cui Ottone III fu ospite a Palazzo Ducale, al 1105 non sono presenti fonti che diano informazioni precise sulle ristrutturazioni subite dalla fabbrica dell'edificio.[11] È tuttavia probabile che Domenico Selvo, doge tra il 1071 e il 1084, abbia curato la decorazione del palazzo in quanto egli stesso diede un forte impulso a quella della chiesa attigua.[12] Tuttavia tutti questi decori vennero distrutti nei successivi restauri e in particolare dall'incendio del 1574: come ricorda Francesco Sansovino, furono distrutte "le porte di marmo pario colonnate e figurate con gran maestria" che erano presenti nella sala delle Quattro Porte.[12] Il successivo doge Vitale Falier ebbe modo di ospitare a palazzo l'imperatore Enrico IV di Franconia che, essendo devotissimo, ebbe modo di venire in città in quanto ivi si trovava il corpo dell'evangelista Marco.[13] Sotto il dogato di Ordelaffo Falier avvennero, alla distanza di due mesi, approssimativamente attorno all'anno 1105, due incendi, che distrussero vari edifici cittadini.[13] Il più tragico dei due fu probabilmente il secondo, scoppiato a causa di un fulmine e diffusosi a causa del forte vento.[13] I danni che tale incendio provocò alla basilica e al palazzo sono solo accennati dagli storici dell'epoca,[14] che non descrivono neppure la ristrutturazione curata dal doge, conclusasi prima del 1116, anno in cui ospitò Enrico V di Franconia.[14]
Ampliamenti
Le colonne di Piazza San Marco
I dogi che governarono tra il 1117 e il 1172 secondo le cronache d'epoca non effettuarono ristrutturazioni.[15] Secondo le cronache, risale a quell'epoca la posa delle due colonne che caratterizzano la piazzetta antistante il palazzo. Secondo molte fonti, esse giunsero da Costantinopoli nel 1172, cioè appena dopo la morte di Vitale II Michiel. Tuttavia, la data dell'arrivo delle colonne va fatta risalire al dogato di Domenico Michiel: sarebbe stato l'appartenere alla stessa famiglia dei due dogi a trarre in inganno gli scrittori dell'epoca.[15] Questa seconda teoria è supportata dai seguenti elementi: in primo luogo il dogato di Vitale II Michiel fu caratterizzato dallo scoppiare di forti contrasti tra veneziani e turchi, e questi ultimi non avrebbero mai concesso l'asportazione delle colonne;[16] in secondo luogo, Francesco Foscari, affermando che "quelle colonne stettero per molti anni in terra, non si trovando persona cui bastasse l'animo di levarle in piedi", ci suggerisce che doveva essere passato un discreto lasso di tempo tra l'arrivo delle colonne e il loro innalzamento. Ciò significa che, se il loro arrivo risalisse alla fine del dogato di Vitale II Michiel o all'inizio di quello di Sebastiano Ziani, non si comprenderebbe come avessero potuto giacere in terra per molti anni.[16] L'innalzamento delle colonne deve essere quindi avvenuto attorno all'anno 1130.[16]
Sebastiano Ziani
Il complesso subì una prima grande ristrutturazione, che trasformò la fortezza originaria in un elegante palazzo privo di fortificazioni, nel XII secolo, durante il dogado di Sebastiano Ziani, eletto doge nel 1172. Infatti questa volta l'edificio venne realizzato secondo gli stilemi dell'arte veneto-bizantina, in conformità con le principali architetture ad esso contemporanee.[4] È probabile che nella realizzazione abbia avuto un ruolo primario Nicolò Barattiero, colui che eresse le due colonne e realizzò in una primaria forma il Ponte di Rialto.[17] In particolare, è probabile che lo stile presentasse anche elementi riconducibili alla tradizione lombarda, essendo Barattiero nato in lombardia.[17] Tuttavia questo doge fu responsabile anche di altre grandi operazioni urbanistiche ed edilizie: fece ingrandire Piazza e Piazzetta San Marco, le fece circondare da edifici lussuosi, fece demolire la muraglia merlata che le circondava e fece ristrutturare Palazzo Ducale e la chiesa attigua.[16] Il fatto che mura merlate, edificate nel IX secolo per proteggere la città dalle invasioni, circondassero la piazza non è ricordato dagli storici delle epoche successive, ma è attestato da una piantina di Venezia risalente al XII secolo.[18] Il fatto che le colonne furono erette durante questo dogato è quindi attestato anche dal fatto che prima le mura stesse fossero d'impedimento per la realizzazione della suddetta opera.[18]
L'ampliamento degli spazi era legato alla necessità di dare una sede ai molti organi ed uffici che stavano sorgendo in quel periodo.[4] In merito a tale operazione, Francesco Sansovino ricorda che "non solamente averlo esso Ziani rinovato, eziandio ingrandito per ogni verso".[18] Tuttavia il resoconto che viene fatto dagli storici in relazione a quest'opera di ristrutturazione non è affatto preciso. È probabile che, considerato che le mura suddette costeggiavano pure il canale posto oggi lungo la facciata orientale del palazzo, vi fosse tra l'antico muro del palazzo e il muro di difesa affacciato sul canale uno spazio atto a far entrare la luce all'interno delle finestre del palazzo: con l'abbattimento del muro, fu possibile quindi occupare quello spazio.[19] I lavori si protrassero dal 1173 al 1177.[20] Per realizzare ulteriori ampliamenti furono acquistati terreni facenti capo alle monache della chiesa di San Zaccaria, che si estendevano fino alla chiesa di Santa Maria in Broglio.[19] Per realizzare l'espansione, furono abbattute varie ali della prima fabbrica, quelle rivolte verso il canale, la laguna e la piazzetta. Non fu invece abbattuta l'ala prospiciente la chiesa, in quanto lì si trovavano le stanze dogali e nello stesso tempo non sarebbe stato possibile realizzare nuove stanze in quella zona.[19] È probabile che l'ampliamento fu così sostanzioso che la piazzetta rivolta alla laguna, in precedenza più ampia, venne ridotta a una semplice fondamenta collegata alla seguente da un ponte. Un cronachista appuntò nel 1285 che era stata "fatta aggrandare dal doge Dandolo la piazza verso la laguna, che prima non vi era se non un poco di fondamenta, ov'era un ponte". Appena dopo la conclusione del cantiere albergarono a Venezia papa Alessandro III e l'imperatore Federico Barbarossa, che avevano raggiunto una pacificazione grazie all'intermediazione dogale. In particolare, sappiamo che l'imperatore restò a Venezia due mesi, soggiornando a Palazzo.[20]
Enrico Dandolo, Pietro Ziani, Jacopo Tiepolo
Dopo Orio Mastropiero salì al trono Enrico Dandolo, il quale, audace condottiero, aveva promesso come voto l'erezione di una cappella in onore di San Nicolò, affinché questo lo proteggesse nella sua guerra contro i turchi.[21] La cappella venne edificata sotto il dogato di Pietro Ziani: si pensò a lungo che la cappella fosse stata eretta per volontà di quest'ultimo, ma, considerato che le pareti raffigurano la conquista di Costantinopoli, è più probabile si tratti del tardivo adempimento del voto del precedente doge.[21] Erede politico di Ziani fu Jacopo Tiepolo, autore secondo Gerolamo de Bardi di una decorazione della Sala del Maggior Consiglio che prevedeva la descrizione della vita di Alessandro III.[22] A proposito dell'esistenza o meno di questa decorazione esistono alcuni elementi: in primo luogo, non conosciamo dove si riunisse il Maggior Consiglio prima del 1309 (anche se si può ipotizzare con una buona approssimazione che fosse dove si sarebbe riunito dopo il 1423)[23], anno in cui si stabilì nella Sala dei Pregadi per rimanere in quella sede sino al 1423; in secondo luogo, è impossibile che le decorazioni dell'epoca si fossero conservate fino agli anni del Bardi in quanto quella sala venne ridecorata per un decreto del 1340.[22] È quindi probabile che i dipinti osservati dal Bardi siano stati realizzati nel 1365.[24] Durante il dogato del Tiepolo si ebbe un incendio (o nel 1230 o nel 1231) ma, al contrario di ciò che è attestato da molte fonti d'epoca, è possibile affermare con certezza che Palazzo Ducale non subì danni.[24]
Renier Zen, Lorenzo Tiepolo, Giovanni Dandolo
Fino al 1301 non è riportato in alcuna cronaca se il palazzo fu oggetto di altri lavori, ma ciò non significa che in quel lasso di tempo non vi fu cantiere alcuno in Palazzo Ducale;[25] nel 1232 Federico II di Svevia venne ospitato nel palazzo.[26]
Sotto il dogato di Renier Zen la piazza venne selciata.[27] Si racconta inoltre che appena dopo la nomina a doge di Lorenzo Tiepolo rimase su pianerottolo della scala principale del palazzo, sita ove oggi si trova la Scala dei Giganti e di fronte a quello che era l'ingresso principale del palazzo, per ascoltare le lodi che gli erano rivolte: tale uso, forse anteriore al Tiepolo, venne mantenuto anche in seguito, solo che con qualche variazione.[28]
Tale evento ha però anche un'importanza storica ulteriore: sotto Giovanni Dandolo venne infatti eretta una loggia che, nonostante alcune testimonianze che la collocherebbero presso la chiesa di San Basso, si trovava probabilmente ove oggi ve ne è una ai piedi del campanile.[28] Dato che probabilmente essa si trovava in linea con la porta principale del palazzo e quindi con la suddetta scala, possiamo affermare che la prima porta si trovava ove poscia fu eretta la Porta della Carta.[29] Il doge che eresse questa loggetta fu pure colui che ordinò l'ampliamento della piazza rivolta verso la laguna.
Il Maggior Consiglio nella Sala del Senato
Dopo Francesco Dandolo salì al trono Pietro Gradenigo, autore di una serie di leggi meglio note col nome di Serrata del Maggior Consiglio, operazione volta a consentire l'accesso al Maggior Consiglio solo a coloro che fossero stati in grado di dimostrare che i loro antenati avevano già avuto modo di partecipare al detto consiglio.[30] Data questa definizione, e analizzato quale fosse il fine di tale legge, il nome di serrata non corrisponde a una riduzione del numero di coloro che erano ammessi al consiglio stesso. Si ebbe dunque un accrescimento del numero dei consiglieri,[31] che rese necessario un ampliamento dei locali volti ad ospitare il consiglio stesso, i cui membri erano passati da 317 nel 1264 a 900 nel 1310 e a 1017 l'anno successivo. Alcune cronache[32] riportano che nel 1301 "fu preso parte di fare una Sala grande per la riduzione del gran Consiglio, et fu fatta quella che ora si chiama dello scrutinio": i lavori secondo Francesco Sansovino si conclusero nel 1309 e il Maggior Consiglio continuò a riunirsi in quella sala fino al 1423.[33][30] I locali ospitanti i servizi e gli organi connessi al Maggior Consiglio furono trasferiti in un luogo limitrofo alla suddetta Sala di Pregadi.
La datazione di tale cantiere non può essere però data con estrema precisione (nonostante grosso modo il periodo sia abbastanza sicuro), in quanto altre fonti, e in particolare le opere di Marin Sanudo il Giovane, riportano a volte come data il 1305, altre volte il 1310.[34] Non è noto chi fu il responsabile di tale opera, dove si riunisse il consiglio prima della stessa e quale fosse l'apparato decorativo della sala ospitante il consiglio. Nonostante ciò, è possibile giungere a delle conclusioni analizzando la critica moderna: secondo quanto da questa dedotto, verso la piazzetta sorgeva il palazzo di giustizia, caratterizzato da un ampio porticato al piano terra, da una loggia scoperta al primo piano e dagli uffici al secondo, mentre verso il molo sorgeva il palazzo per le assemblee, che si estendeva dalla piazzetta all'attuale Ponte della Paglia.[4][34] Di quest'ultimo edificio rimangono ancora oggi delle tracce: dei frammenti di basamento in pietra d'Istria e alcune pavimentazioni in cotto a spina di pesce. È quindi probabile che prima della Serrata il consiglio si riunisse nel medesimo luogo di dove si sarebbe riunito in un secondo momento, dopo che detto locale fosse stato debitamente ampliato.
Se si vuole individuare un autore dell'opera di ristrutturazione, lo si può ricercare in Pietro Basejo, citato sì in un documento del 1361, ma morto nel 1354.[35][34] Essendo le notizie biografiche relative a Basejo piuttosto scarse, non si può attestare che età avesse nel 1301 in quanto non se ne conosce la data di nascita.[36] Un altro filone di ricerche ha individuato come autore di queste opere di ristrutturazione l'architetto Montagnana, citato dal Sansovino[37] quale autore della ristrutturazione del campanile e secondo il Temanza potenzialmente anche proto di Palazzo Ducale.[38][36] Accenni a quale fosse la decorazione della sala ci vengono forniti dal Sanuto nei suoi diari, alla data del 5 giugno 1525: afferma che erano presenti riquadri raffiguranti alberi grandi e piccoli, con una funzione allegorica. È tuttavia probabile che vi fossero pure raffigurazioni cartografiche dei possedimenti della Serenissima e un'Incoronazione della Vergine in corrispondenza del trono.[39] Nel 1525, anno in cui venne deliberata la ricostruzione della sala, il Sanudo si lamentava del fatto che un locale così pregevole non potesse essere distrutto, pena la perdita dei capolavori al suo interno contenuti.
Cantieri nell'ala meridionale
La sala entrò in attività nel 1309, e divenne di fatto la seconda sede del Maggior Consiglio, ma si rese subito necessario cambiare la sede dell'organo ospitato a causa di un grande aumento del numero di coloro che erano ammessi a farne parte, tra il 1301, anno di inizio dei lavori per il Sansovino, e il 1309, anno della conclusione degli stessi, aumentato di un terzo.[39][40] La necessità di trovare nuovi spazi per un così numeroso organo rese necessaria l'apertura di cantieri nell'ala meridionale del palazzo, datata dal Sansovino al 1309.[41] Riguardo l'edificazione di questa nuova ala si è presentato il contrasto tra le differenti fonti che, affermando dati differenti, rendono difficile la ricostruzione della cronologia relativa a tale opera. In primo luogo, è necessario affermare che tale cantiere venne aperto per la semplice necessità di edificare la Sala del Maggior Consiglio e non per altri fini.
Sono vari gli elementi che supportano la tesi secondo la quale la costruzione della nuova sala iniziò subito dopo la conclusione dei precedenti lavori: in primo luogo, la necessità impellente di trovare un nuovo sito per il Maggior Consiglio; in secondo luogo, l'accuratezza delle fonti storiche usate dal Sansovino, molto spesso redatte da contemporanei delle opere trattate e in grado quindi di registrare i dati con minuzia estrema e in ultima analisi la presenza di un documento ritrovato sì dall'abate Cadorin, ma da questi erroneamente interpretato: in esso si afferma che nel 1340, anno da molti individuato come quello della costruzione della sala, questa era già stata eretta come pure l'ala che l'ospitava e necessitava non tanto quindi d'esser costruita, ma semmai ampliata, ospitando già vari organi amministrativi.[42] La nuova sala venne eletta sopra la preesistente Sala dei Signori di Notte, che ricalcò per larghezza; inoltre, vennero edificate nella suddetta sala alcune colonne per reggere il pavimento del sovrastante locale, secondo il consiglio di alcuni esperti mastri. Nel 1309 iniziarono quindi i lavori, consistenti nell'atterramento del lato meridionale prospiciente il mare, ala dove già prima si riuniva il Maggior Consiglio, poi provvisoriamente trasferito nella Sala del Senato o dei Pregadi.
L'abbattimento della detta ala è testimoniato dal fatto che, in un decreto del 28 dicembre 1340, si parla del primo piano come già in attività; tale operazione venne effettuata in modo radicale in quanto in caso opposto le due logge, ancora oggi esistenti, sarebbero state realizzate in un tempo precedente, sotto il ducato dello Ziani, e ciò è impossibile poiché se così fosse sarebbero state realizzate in uno stile più arcaico.[43] L'opera di ricostruzione venne fortemente promossa da Giovanni Soranzo, che seppe realizzare anche altre opere che promossero lo sviluppo urbanistico della Serenissima, parallelamente accompagnato anche dall'edificazione di numerose dimore private. Il fatto che la realizzazione di tali lavori venne effettuata sotto il suddetto doge è testimoniato dalla presenza di un documento ufficiale, riguardante i finanziamenti delle opere pubbliche, dal quale si può dedurre che nel 1323 la costruzione dell'ala era giunta al primo piano e che si stava provvedendo in alcune aree alla copertura della sale appena edificate, in altre alla riparazione dei soffitti.[44]
Riguardo a chi fosse l'architetto responsabile di questo cantiere, avviato nel 1309, Giovanni Battista Egnazio, al secolo Cipelli, lo identifica con Filippo Calendario.[45] Tale ricostruzione deve però confrontarsi con un documento risalente al 23 settembre 1361, riportato testualmente nelle cronache del Cadorin e costituente una delle principali fonti biografiche relative a Pietro Basejo, in esso identificato come proto in un'epoca antecedente all'attività del Calendario:
Cum lutia, zaninus, et catarutia filli q. et heredes petri baseio olim magistri prothi palalii nostri novi, exponant quod philippus Calendarius fiuit comisarius patris eorum, et intromisit dictam comisariam in tantum quod de bonis spectantibus diete comisarie exegit, dv quadam navi, ubi dictus pater eorum partem habebat libras quatuor, solidos Ires et denariis sex grossorum sicut apparet per scriptum manu dicti philippi, et per qualernos suos existentes penes ofificium racionum qui se concordarli cum dieta scripta manu ipsius philippi, et propterea petant ipsam quantitatem pecunie eis dare, vadit pars, habita responsione officialium racionum et advocatorum communis dicentium, quod ex aminato fi ac lo inveniunt verum esse, ut supra continetur. Quod sicut est jus et justum dieta pecunia restituatur dictis heredibus dicti q. petri baseio.»
Di conseguenza, si può affermare che l'edificazione dell'ala verso il mare fino al primo piano sia stata opera di Basejo,[44] anche se il nome del Calendario, comunque non estraneo al cantiere, non si perse come quello dell'altro nell'oblio del tempo in virtù del fatto che il secondo disponeva di grande prestigio tra il popolo e fu tra i congiurati del colpo di stato ordito da Marin Falier nel 1355.[46] La partecipazione del Calendario nel cantiere è comunque molto probabile, ma probabilmente il suo intervento avvenne in un secondo momento e sempre parallelamente all'attività del primo, col quale sarebbe poi entrato in un rapporto di amicizia tale da dare la propria figlia Caterina in sposa al figlio del collega.[46]
Altri lavori tra il 1309 e il 1340
Contestualmente a questi lavori, venne ampliata e decorata con le storie di Alessandro III la chiesa di San Nicolò.[46] Pur non conoscendosi l'autore di tale decorazione, il Cadorin propone due ipotesi: secondo le sue ricostruzioni, l'artefice potrebbe essere o il Guariento, o un non meglio precisato maestro Paolo, autore di una tavola sacra realizzata attorno al 1346 e anche quella sita nel palazzo.[47] L'opera di questo pittore è attestata da cronache d'epoca,[46] mentre il Guariento all'epoca doveva essere molto giovane, essendo fiorito ben più tardi.
Contestualmente, venne pure realizzata sotto il porticato di Palazzo Ducale una gabbia atta ad ospitare una coppia di leoni, che diedero come prole tre cuccioli, un maschio e due femmine, una delle quali fu mandata a Verona in dono ai Cangrande della Scala.[46] L'importanza di quest'ultima gabbia è quella di provare l'esistenza di un loggiato nell'edificio edificato dal doge Ziani, poi non riprodotto nella successiva edificazione, risalente al 1424.[48]
Alla fine dell'anno 1326 venne allargata la sede delle carceri site al piano terra, con un ampliamento che rese necessario il trasferimento della sede dei castaldi di palazzo. Considerata quale fosse la sede dei castaldi di palazzo, possiamo affermare che prima di allora le prigioni di palazzo avevano occupato solo il lato meridionale del palazzo e parte di quello orientale.[48]
Nel 1332 un nuovo cantiere interessò i pozzi del palazzo: venne riparato quello più importante, sito al centro del cortile, e ne venne costruito uno più piccolo in una piccola corte confinante con la Basilica.[49] Un terzo pozzo venne aggiunto nel 1405.
Notizia rilevante è che nel 1335 vennero contattati lapicidi per la realizzazione di un leone in marmo da porsi sopra l'accesso principale del palazzo, corrispondente alla sala principale. La doratura di tale opera risale al 1344, come attestato da un documento ufficiale che ci dà anche importanti informazioni relative alla collocazione dello stesso:[49]
Tale notizia ci consente di affermare che l'antica porta interna e l'antica scala ad essa antistante altro non fossero se non il surrogato delle attuali strutture (la porta metteva in comunicazione la piazzetta con la corte e si trovava sulla retta congiungente la Loggetta del Sansovino e l'antica scala, sita dove oggi si trova quella dei Giganti; tali opere vennero però sostituite da strutture più moderne pochi anni dopo): questo ci consente di affermare che nella ricostruzione del prospetto interno del corpo orientale venne rispettato il prefissato schema, e che in particolare la Scala dei Giganti corrispondesse all'antico scalone, come la Porta della Carta all'antico arco.[49] Tale leone sarebbe stato più precisamente posizionato sulla porta della scala che congiungeva alla corte il lato orientale della Sala del Maggior Consiglio allora in funzione (riguardo la cui collocazione si è detto in precedenza), scala commissionata nel 1340 e terminata quattro anni dopo.
Ampliamento del 1340
Riedificato già per intero il primo piano dell'ala australe del palazzo, nel 1340 venne decretata una serie di altri lavori da compiersi nel palazzo, non consistenti in una vera e propria edificazione ma semmai in un ampliamento. Tali lavori consistevano nel costruire o risistemare il secondo piano, nel completare la Sala del Maggior Consiglio (si ricordi che come detto in precedenza tale organo sino al 1423 continuò a riunirsi nella Sala del Senato), nel ristrutturare per i nuovi fini ai quali erano destinate alcune stanze adiacenti a quella che sarebbe stata del Maggior Consiglio, nell'erigere una scala comunicante con la Sala del Maggior Consiglio: il costo preventivato per la loro realizzazione fu di lire 950 per i lavori d'architettura e di lire 200 per le decorazioni, il che adduce un altro valido sostegno per la tesi che non vede questo lavoro come una riedificazione, ma solo come un ampliamento consistente nella sistemazione del secondo piano, in quanto se fosse stato necessario provvedere alla ricostruzione le spese sarebbero state ben maggiori.[50][51]
Dopo quindici mesi dall'apertura di questo cantiere, fu decretata la necessità di altri lavori, in quanto la sala doveva diventare più ampia del previsto: il fatto che il 10 marzo 1342 i piani sottostanti la Sala del Maggior Consiglio fossero già stati ultimati testimonia che i lavori di ricostruzione non erano ricominciati nel dicembre 1340 (anno del suddetto decreto), ma già nel 1309, come testimoniato dal Sansovino.[50] Completata alla fine del 1344 la parte di sala prospiciente la laguna, dieci periti furono chiamati sotto decreto del 30 dicembre 1344 per esaminare se le muraglie guardanti il cortile fossero idonee a sostenere il peso del muro che avrebbe cinto la sala su quel lato:[50]
Infatti, il muro del piano terra, che cingeva le prigioni, reggeva solo il loggiato del primo piano e non si sapeva se avrebbe retto ulteriori sollecitazioni. Anche questo elemento contribuisce a pensare che la fabbrica del primo e del secondo piano siano avvenute in tempi differenti.[50] Ricevuto il parere positivo da parte dei periti, si procedette coll'edificazione della scala e della relativa porta. Il lavoro venne interrotto a causa della Peste scoppiata nel 1348, e ripreso il 24 febbraio 1350.[52]
Sappiamo che furono impiegati come direttori dei lavori Filippo Calendario tajapiera e Pietro Basejo magister prothus, oltre a un grandissimo numero di manovali, scultori ed esperti lapicidi.[53] Nonostante in un primo momento il direttore dei lavori fosse il Basejo, il Calendario subentrò alla sua morte.[54] Quest'ultima affermazione è suggerita dal fatto che attorno al 1350 il Calendario fu incaricato di compiere una serie di viaggi per conto della Serenissima, e sempre in quel periodo si impegnò in alcune campagne militari: ciò testimonia che non aveva un impegno fisso al cantiere.[54] Il Calendario venne nel 1355 condannato a morte per impiccagione in quanto orditore della congiura che venne promossa dal doge Marin Falier. Si tramanda che la sua condanna venne effettuata congiuntamente a quella del genero e usando le celebri colonne rosse della balconata di palazzo, la cui collocazione venne però alterata nel tempo.[54] Avendo visto la congiura una estesa partecipazione degli scalpellini di Palazzo Ducale, il lavoro rimase sospeso.[55] Il cantiere rimase per vario tempo in sospeso a causa di eventi bellici e di una seconda peste.[55] Nel 1362 il palazzo era in rovina. A causa della volontà di Lorenzo Celsi di concludere i lavori, essi si poterono dire conclusi nel 1365. Tuttavia il Celsi, odiato per il suo comportamento arrogante, morì in modo misterioso e si ipotizzò fosse stato avvelenato. Dopo la sua morte, si decretò che "il doge non potesse in avvenire impiegare danaro pubblico in spese di fabbriche nel palazzo, senza il consenso dei sei consiglieri, di tre quarti della Quarantia e di due terzi del Maggior Consiglio.".[55] Si può dire che Palazzo Ducale, dopo tutti questi lavori, non presentasse una forma molto differente da quella a noi contemporanea.[53]
Salito al trono Marco Corner, egli ordinò che la sala fosse decorata con pitture: fu contattato tra gli altri artisti Guariento di Arpo, al quale venne commissionata la decorazione della parete orientale della sala con il tema del Paradiso, e più precisamente dell'incoronazione della Vergine in mezzo alla gloria di questo.[56] In seguito il medesimo artista si dedicò alla decorazione delle altre pareti, illustrandovi la venuta a Venezia di Alessandro III e la Guerra di Spoleto, come ricordano alcune fonti.[40][57] Anche il Pisanello lavorò in questo cantiere, secondo le ricostruzioni di Scipione Maffei,[58]: il Sansovino affermò che nel quadro, raffigurante l'Imperatore Ottone che si dirige dal padre dopo essere stato liberato dalla Serenissima, era presente il ritratto di Andrea Vendramino, detto da molti il giovane veneziano più bello della sua epoca: asserendo ciò il grande storico commette un errore in quanto a quell'epoca il Vendramino non era nemmeno nato; altro errore commesso dal Sansovino fu quello di affermare che la sala era già stata precedentemente decorata.[56]
Tra gli altri, si può ipotizzare che anche Niccolò Semitecolo e Lorenzo Veneziano abbiano preso parte all'attività decorativa.[56] Durante quell'opera decorativa venne creato per la prima volta il fregio raffigurante i volti dei dogi a partire da Obelerio, poi riprodotto dopo che era stato distrutto dall'incendio del 1577. Il Sanudo afferma che le iscrizioni illustranti le opere pittoriche furono prodotte da Francesco Petrarca, il che non è impossibile.[56][59] A cause di guerre, i lavori di decorazione (che ormai volgevano al termine) vennero interrotti. Dopo un periodo di guerre continue (1368-1381) Venezia si trovava in difficili condizioni politiche ed economiche, il che impedì ancora la prosecuzione dei lavori.[60] Dopo che era stato di ridipingere la cappella palatina le cui decorazioni erano in rovina,[61] fu Michele Sten a favorire il completamento dell'opera decorativa della sala.[60] Il soffitto fu fatto a cassettoni decorati con stelle, che forse alludevano allo stemma del doge.[62] Il Sanudo afferma che quest'opera rimase per lungo tempo incompiuta e venne conclusa solo nel 1406.[63]
Venne sempre in quegli anni costruito un grande balcone nella parte centrale della facciata prospiciente il mare, nel 1404 secondo quanto riportato sullo stesso, nell'anno successivo secondo il Sansovino.[62][60] Qualunque delle due date sia presa come vera, è comunque errato ciò che sostenne Tommaso Temanza nell'attribuire al Calendario la decorazione di questa opera, in quanto lo scultore era morto già da mezzo secolo (nel 1355).[60][64] Altro errore commise Pietro Selvatico, che data tutto il fronte meridionale al 1424, rendendolo contemporaneo a quello innalzato sotto Francesco Foscari.[60][65]
Tale errore era dovuto a una cattiva interpretazione di quanto scritto sulla Cronaca Zancarola, e venne segnalato da Dall'Acqua, che ne comprese le cause e lo motivò dicendo che il cronachista scrivendo ciò che aveva riportato parlava al plurale di facciate del lato occidentale riferendosi a quell'esterna e a quell'interna.[66] Altresì bisogna notare che la data stessa riportata sulla finestra (1404) è indicativa del fatto che tale facciata al tempo dovesse essere già stata realizzata e che vi sono sostanziali differenze nello stile dei due fronti.[67]
Ristrutturazione del 1424
Dopo le suddette opere di ristrutturazione e in seguito alle molte guerre combattute dalla Serenissima, le casse dello stato versavano realmente in pessime condizioni[68] e venne quindi deliberato di non ristrutturare più la facciata prospiciente la Piazzetta, pena una multa.[69] Tra il 1404 e il 1422 tale promulgazione venne rispettata, e a parte piccoli lavori di rifacimento (ampliamento dell'ufficio degli Auditori vecchi[70] e costruzione di una scala in pietra collegata alla Sala del Maggior Consiglio[71]) nessun'altra opera fu compiuta. Tommaso Mocenigo propose però di ristrutturare la facciata vincolata, rischiando sì un'ammenda di 1000 ducati, ma riuscendo a convincere il Maggior Consiglio argomentando che tale ristrutturazione risultasse necessaria per il decoro della città, essendo quell'ala molto antica.[69] Dopo che il doge ebbe pagato l'ammenda, il 27 settembre 1422 venne deciso nel Maggior Consiglio di ristrutturare l'ala più antica.[72]
Alcune fonti ipotizzarono che tale opera di ristrutturazione fosse stata resa necessaria per via di un incendio scoppiato il 7 marzo 1419 e che l'intero palazzo ne fosse stato coinvolto secondo un progetto approvato dal doge stesso,[73][74] ma ciò è falso poiché l'incendio aveva solo arrecato danni alla Basilica senza danneggiare il palazzo[75] e l'ala già esistente era stata presa come modello di quella da costruirsi.[73] Per una serie di motivi, tra i quali una peste scoppiata nel 1423, i lavori non poterono avviarsi prima del 1424.[76] La prima riunione del Maggior Consiglio nella nuova sua sede avvenne il 23 aprile 1423,[77] secondo deliberazione del neo-eletto doge Francesco Foscari. La vecchia sede venne lasciata al Senato (che prima si riuniva nell'ala verso la Piazzetta)[33] e prese così il nome di Sala dei Pregadi, in quanto i senatori erano pregati dal doge di accettare la loro funzione.[78] L'abbattimento dell'ala verso la Piazzetta avvenne il 27 marzo 1424.[79][80]
Gli autori della ristrutturazione furono alcuni membri della famiglia Bon: Bartolomeo, Pantaleone e Giovanni. Dopo che si ebbe lavorato per la ricostruzione dell'ala abbattuta fino al novembre del 1438, si decise di erigere entro diciotto mesi la porta che avrebbe rappresentato l'ingresso principale del palazzo mediante un accordo del 10 novembre, stretto tra architetti e provveditori.[81][53] I tempi stabiliti per la realizzazione dell'opera non furono però rispettati, e il cantiere, avviato il 9 gennaio 1439, si concluse in quaranta mesi[82] dopo varie sollecitazione da parte dei funzionari responsabili[81] e dopo che era stato stipulato un secondo accordo nel quale gli scultori si impegnavano di portare a termine l'opera entro il 1442 pena una multa di dieci ducati, anche questo non completamente rispettato.[83] Si deduce dalla presenza del solo nome di Bartolomeo sull'architrave che l'altorilievo sovrastante la porta era opera di lui solo, ma ciò non significa che gli altri membri della famiglia non parteciparono al cantiere,[83] contrariamente da quanto sostenuto dal Cadorin. La porta, che nel corso delle epoche cambiò più volte nome, era detta della Carta: l'origine di questo può essere dovuta a diverse leggende: la prima afferma che nei pressi della stessa vi fossero grandi riserve di carta per i limitrofi uffici, la seconda che vi passavano attraverso molti documenti,[83] la terza che vi si affollassero attorno gli scrivani pubblici.[84]
Il nuovo edificio presentava al piano terra un porticato, al primo logge scoperte e al livello della Sala del Maggior Consiglio un grande salone detto al tempo della Libreria, poi mutato nella Sala dello Scrutinio.[53] Il prospetto di questo nuovo corpo edilizio venne completato con decorazioni molto simili a quelle della facciata sul molo: presenta infatti un coronamento a pinnacoli e ampi finestroni.
Cantieri dopo il 1441
Nonostante il Cadorin affermò che nel 1441 tutti i lavori di ristrutturazione si potessero dire conclusi[85] in quanto nel palazzo veniva accolto Francesco Bussone (ma egli si ingannò in quanto il conte venne fatto accedere dalla parte del palazzo prospiciente il mare[86]), il cantiere non si poteva dire chiuso nel 1452, in quanto venne ospitato a palazzo Federico III d'Asburgo e per questa occasione vennero asportate da Piazza San Marco le pietre che servivano per il cantiere di Palazzo Ducale.[87] Il 30 maggio fu fatta una festa in onore dell'imperatore,[87] ma il primato dei ricevimenti in quella sala spetta a quello per le nozze di Jacopo Foscari, figlio del doge.[88]
Secondo Sanudo Pasquale Malipiero diede ordine di costruire l'arco di fronte alla Scala dei Giganti, dove avrebbe fatto porre il proprio stemma,[89] ma tale notizia è errata poiché lo stemma è del doge Foscari e quell'arco fu eretto in un altro anno.[90] I lavori che vennero realizzati durante il dogato del Malipiro furono altri: venne completato il fronte esterno verso la Piazzetta (ciò è testimoniato dall'impiccagione di Girolamo Valaresso mediante l'uso delle colonne rosse[91]) e fu dato ordine di realizzare opere pittoriche quali quella narrante la sconfitta di Pipino sul Canal Orfano e quella raffigurante un mappamondo.[92][93] Autori di queste opere avrebbero potuto essere Antonio o Luigi Vivarini.[92]
Sotto il dogato di Cristoforo Moro, in data 6 settembre 1463, venne promulgato un documento relativo alla costruzione dell'arco prospiciente la Scala dei Giganti, o Arco Foscari. Ancora una volta, fu stretto con Pantaleone e Bartolomeo Bon un accordo per la realizzazione di tale opera, per il cui ritardo la multa sarebbe stata di duecento ducati, ma non rimane traccia di sollecitazioni da parte degli amministratori statali e si può dire che tale opera fu conclusa sotto il dogato del Moro, essendo lo stemma di questi quattro volte rappresentato sull'opera.[92] La sala che poi sarebbe stata detta dello Scrutinio venne destinata dal 1468 per decreto del Senato ad accogliere i volumi donati allo stato dal cardinal Bessarione.[92] Nel 1471, salito al trono Nicolò Tron, venne imbandita in quella sala una festa per celebrare l'ingresso nel palazzo di Dea Morosini, moglie del doge.[94] Nel 1473 fu decretato di sostituire alcune delle opere presenti nella Sala del Maggior Consiglio, poiché si erano rovinate in seguito alle infiltrazioni. Giovanni e Gentile Bellini furono chiamati per rifare l'opera raffigurante la battaglia contro Federico Barbarossa.[95] In quelle opere di rifacimento, protrattesi sino al 1495, furono impegnati pure Luigi Vivarini, Cristoforo da Parma, Lattanzio da Rimini, Vincenzo da Treviso, Marco Marziale, Francesco Bissolo;[95] in un secondo momento verranno chiamati per operare nella sala pure Giorgione, Tiziano, Tinoretto e Paolo Veronese.[95]
I tre incendi
L'incendio del 1483
La notte del 14 settembre 1483 (ma secondo altre fonti nell'anno 1479[96]) scoppiò negli ambienti prospicienti il Rio di Palazzo, e più precisamente nella cappella palatina, un disastroso incendio che distrusse i locali adiacente e varie opere d'arte.[97] Domenico Malipiero, cronachista, testimonia che il suddetto incendio scoppiò quando una candela diede fuoco a una tavola dipinta sita nei pressi dell'altare su cui era posta, che a sua volta prese fuoco.[98] Dopo che alcune persone abitanti dall'altra parte del canale avvertirono il doge Giovanni Mocenigo, pure questi trovò rifugio sull'altra sponda. La sede dogale fu trasferita in una privata abitazione appartenente alla famiglia Duodo, messa in comunicazione col palazzo del doge.
Dopo il grande incendio si resero necessari degli interventi di ricostruzione, per i quali si pensò inizialmente di stanziare solo 6000 ducati, e solo in un secondo momento 500 ducati al mese.[96][99] Nicolò Trevisan, dalla cui casa era stato scorto l'incendio, propose l'acquisto di molte case affacciate sul Rio di Palazzo per edificare in quei lotti un palazzo con giardino che poi sarebbe stato collegato alla Sala del Collegio con un ponte in pietra, ma questa proposta fu rifiutata e i lavori vennero affidati all'architetto Antonio Rizzo, stipendiato 100 ducati all'anno (anche se in un secondo momento il suo salario passò a 125 ducati[100]).[99] Appena il Rizzo si prese incarico del lavoro, vennero demolite le sezioni di palazzo che sarebbero state poi ricostruite e si incaricavano alcuni addetti di procurare le pietre necessarie alla fabbrica, consegnate l'8 dicembre 1484. I collaboratori di Rizzo per questo cantiere furono secondo il Cadorin Michele Bertucci, Giovanni da Spalatro, Michele Naranza, Alvise Bianco, Alvise Pantaleone, mastro Domenico, Stefano Tagliapietra ed i Lombardi.[101]
Dopo aver demolito la parte dell'ala orientale compresa tra la basilica e l'attuale Scala d'Oro, il Rizzo fece innalzare i primi pilastri del porticato, la cui datazione è possibile in quanto nel capitello del primo e del terzo appaiono in uno un ritratto del doge Mocenigo, nell'altro lo stemma di Marco Barbarigo. Sotto Agostino Barbarigo venne costruita ex novo la Scala dei Giganti,[53] mentre di alcuni ambienti, tra i quali la Sala del Senato, venne conservato quanto più si poteva delle vecchie strutture.[102] La nuova conformazione strutturale diede al Rizzo l'opportunità di edificare i vari piani costruendo i loro pavimenti alla medesima altezza di quelli dei piani nobili dell'ali meridionale e occidentale.[102] Alcuni autori, tra i quali il Sansovino, identificarono la facciata prospiciente il cortile interno, che mostra nei loggiati il nascere del gusto rinascimentale, come opera di Antonio Bregno, ma si tratta di un errore.[102] Il Rizzo continuò a lavorare esclusivamente nella fabbrica stipendiato 125 ducati fino al'ottobre 1491, quando richiese che gli fosse ulteriormente aumentato il salario.[102] Il Senato ordinò che i Provveditori del Sale si accordassero coll'artista, e fu raggiunto un accordo secondo il quale quest'ultimo sarebbe stato pagato annualmente 200 ducati.[103] Il 19 marzo 1492 il doge poté tornare nelle sue stanze, e da ciò si deduce che essere a quel tempo erano state ultimate.[103]
Dopo una breve interruzione dovuta ad alcune grandi spese della Serenissima, l'11 settembre 1493 il Consiglio dei Dieci comandò che l'opera fosse ripresa.[104] Il Rizzo rimase impegnato nella fabbrica fino al 1498, quando Francesco Foscari e Girolamo Cappello, provveditori responsabili del lavoro, scoprirono che dei novantasettemila ducati sino ad allora spesi diecimila erano stati presi indebitamente dal progettista, il quale fuggì verso Ancona.[103] Anche un altro lapicida, Simone Fasan, fu accusato di aver sottratto denaro pubblico.[105]
I lavori vennero affidati ad interim a Pietro Lombardo, confermato in pianta stabile il 14 marzo 1499 e retribuito con 220 ducati annui a partire dal 16 del mese[106] fino al 1510.[107] Egli assunse sì il controllo del cantiere, ma questo era già piuttosto progredito, in quanto troviamo nelle decorazioni del secondo piano lo stemma di Agostino Barbarigo, morto dopo solo tre anni e cinque mesi che il Lombardo aveva acquisito la direzione.[105] Nel 1503 venne procurato il piombo per la copertura del tetto.[104] Venne poi realizzata la facciata sul Cortile dei Senatori, iniziata contemporaneamente a quella principale e conclusa sotto Leonardo Loredan, trovandosi scudi di questo e del Mocenigo nella decorazione di quella facciata e essendo presente un capitello di congiunzione tra i due fronti.[108] Commise quindi un errore il Cicognara a dire che la facciata sulla corte fosse per intero opera compiuta sotto il Loredan da Guglielmo Bergamasco,[109] in quanto si trovano stemmi del precedente doge e lo stile è il medesimo di quello della principale, opera del Rizzo.[107] Alcuni dettagli sono inoltre attribuibili allo stile della famiglia Lombardo,[110] e non è possibile escludere la partecipazione di Giorgio Spavento.[111]
Tra la conclusione del lavoro sulle facciate e la morte del doge (22 giugno 1522) vennero compiute poche altre opere a causa della difficile situazione economica del governo, che si trovò a combattere contro la Lega di Cambrai tra il 1509 e il 1517.[112] In primo luogo, vennero realizzati dei camini nell'Appartamento ducale; attorno al 1505 vennero dorate le cornici di alcune tele;[113] a partire dal 1507 lo Spavento lavorò nella Sala dell'Udienza e nella cancelleria;[114] nel 1509 fu ristrutturata da Bartolomeo Bon la torre d'avvistamento (e questo Bon non fu tra quelli che operò nella fabbrica della Porta della Carta);[115] tra il 1509 e il 1510 Pietro Lombardo operò nella Sala del Consiglio dei Dieci e in quella dell'Avogaria del Comune;[112] nel 1515 fu posto un leone su una scala poi demolita[116] e furono sollecitati i pittori responsabili della decorazione della Sala del Maggior Consiglio e fu stretto un nuovo accordo con Tiziano.[117]
Contemporaneamente all'erezione delle facciate sul cortile, si stava lavorando anche alla sistemazione di quella sul canale, e ciò lo testimonia la presenza degli stemmi di Giovanni Mocenigo, Marco Barbarigo ed Agostino Barbarigo su quella.[118] Alla morte del Loredan era compiuta la parte fino al primo ingresso del vestibolo del pianterreno, corrispondente al punto ove varia l'altezza degli ambienti del piano terzo.[118] Dopo il breve dogato di Antonio Grimani, si proseguì nel perfezionamento della fabbrica, ma a ritmo più lento poiché erano aperti anche altri importanti cantieri (Ponte di Rialto, Arsenale di Venezia, Zecca, Libreria Marciana). Antonio Grimani fu il primo doge a far uso della Scala dei Giganti, ormai ultimata, per recarsi nella Basilica con la sua signora il dì 14 luglio 1521.[119] Sotto Andrea Gritti, dato che nella ricostruzione del palazzo gli ambienti interni non avevano subito ristrutturazioni strutturali, minacciò di crollare un muro della Sala dei Pregadi: ivi subito si recò il doge con Antonio Abbondi, proto di palazzo,[120] e altri periti, i quali decretarono la necessità di intervenire.[121] Il danno era dovuto ad infiltrazioni.[122] Si pensò di trasferire il Senato nella Sala dello Scrutinio, usata come Libreria,[123] ma questa proposta non si rivelò adatta.[124] Il lavoro rimase però fermo per due anni, anche se si spostarono i banchi che occupavano il locale.[125]
Frattanto, venendo completata da Tiziano[126] nel 1523 la decorazione della cappella di San Nicolò ed entrando questa in funzione, veniva stabilito di abbattersi la cappellina palatina sita nei pressi della Scala d'Oro, in quanto nell'ala da ristrutturarsi:[127] il 15 febbraio 1524 gli uffici degli Avogadori di Comun vennero trasferiti poiché lì vicino siti.[128] Nel 1525 il Consiglio dei Dieci decretava di iniziare i lavori nella Sala dei Pregadi, fermi dal 1523, e di costruire un corridoio col quale i Senatori e il doge potessero accedere alla Sala del Maggior Consiglio:[129] il cantiere fu aperto in ottobre[130] e il Senato trovò nuova collocazione in quella che oggi è nota come Sala dell'Anticollegio, ma un tempo era detta Sala d'Oro.[131]
Nel frattempo, procedeva il cantiere relativo alla ricostruzione delle facciate dell'ala orientale, venivano sgomberati tutti gli uffici lì collocati,[132][133] venivano riparate le prigioni dalle quali per due volte i detenuti erano riusciti a fuggire[134][135] e venivano utilizzate per muoversi nel palazzo due scale, l'una portante nella sala dell'Udienza[136] e l'altra in quella del Maggior Consiglio.[137] Il 26 aprile 1531 si deliberava dopo alcuni contrasti da parte del Consiglio dei Dieci di spartire la Sala della Libreria in due ambienti, l'uno destinato a cancelleria ducale e l'altro a sala per gli scrutini del Maggior Consiglio.[138] La storica collezione di libri ivi collocata era quindi traslata nella Libreria Marciana[139] e le due porte che mettevano in comunicazione la Sala dello Scrutinio e quella del Maggior Consiglio furono ampliate.[140][141]
Venne quindi costruito da Raffaele Penzono nella parete compresa tra la Sala del'Anticollegio e quella del Senato un grande orologio:[142] oggi ve ne è un altro, costruito dopo il 1574, che però si trova tra Senato e Collegio, sempre sulla stessa parete.[143] Dato che i lavori nell'ala orientale non si erano conclusi, fu necessario che il Consiglio dei Dieci nuovamente deliberasse e stanziasse per quell'opera 400 ducati mensili,[144] ma anche ciò non ebbe effetto anche a causa del fatto che fosse già attivo il cantiere della Sala dello Scrutinio[145][146] (sala usata solo nel 1532[147] e completata in seguito[148]): sarà il Senato a tornare sul tema un anno dopo. Il 28 maggio 1532 venne deliberato il disfacimento dell'antica torricella, poi non più ricostruita,[149] a quel tempo ancora usata ma già interessata da un incendio pochi mesi prima.[150]
Considerato che l'operare fuori sede arrecava disagi vari alle varie cariche,[151][152][153] il 27 marzo 1533 riprese la discussione in Senato relativa alla precedente proposta del Consiglio dei Dieci di portare a termine l'opera di riedifica,[154] che nel 1538 non aveva visto però progressi. Durante il dogato di Pietro Lando ci si limitò a proseguire la decorazione delle sale di rappresentanza: operarono durante questo periodo Tiziano,[155] Paolo Veronese e il Tintoretto.[156]
Solo sotto Francesco Donà, complici la pace e la prosperità che si ebbero nel suo dogato, il cantiere ricevette una decisiva svolta, sotto la direzione di Antonio Abbondi.[157] Il cantiere dell'ala orientale si concluse definitivamente solo nel settembre 1550.[157] Poco dopo la fine dei lavori, ma prima della conclusione del ducato di Donà, vennero realizzati i due balconi della Sala del Maggior Consiglio che, affacciati sulla corte interna, ne permettono l'areazione: tale opera fu completata solo nel 1554.[158]
In seguito, fino al 1574, vennero realizzate nel palazzo a cura del Pordenone, del Tintoretto, di Paolo Veronese, di Alessandro Vittoria, di Jacopo Sansovino e di Battista Franco varie opere di mera decorazione nella nuova ala, nella Scala d'Oro, nella Sala dello Scrutinio e nella Sala del Maggior Consiglio,[158] ma molte di queste saranno distrutte nei due successivi incendi. L'ultimo atto della ricostruzione si ebbe nel 1566: fu la posa in cima alla Scala dei Giganti di due celebri statue realizzate da Jacopo Sansovino, raffiguranti Marte e Nettuno.[159]
L'incendio del 1574
L'11 maggio 1574, a causa della noncuranza con cui veniva sorvegliato il fuoco durante la festa per l'anniversario della salita al potere di Alvise Mocenigo, negli appartamenti ducali scoppiò un grande incendio:[160] il doge e i senatori si salvarono, ma il fuoco divampò nelle sale dei Pregadi e del Collegio, dell'Anticollegio e delle Quattro Porte, distruggendo, tra le altre cose, dipinti di Tiziano e altre decorazioni delle sale.[161] Fortunatamente degli impiegati del palazzo, degli avvocati e dei semplici cittadini rimossero dagli ambienti vicini al fuoco delle carte molto importanti di processi, evitando che l'incendio intaccasse la sala dei Capi del Consiglio dei Dieci e quella del Maggior Consiglio; a causa di un forte vento, però, il fuoco si diffuse su alcune cupole della basilica di san Marco e del Battistero,[162] che Francesco Molino e il Sansovino sostengono non siano stati danneggiati in alcun modo dall'incendio.[163][164] Alcune fonti ritengono che le fiamme abbiano raggiunto addirittura gli intavolati vicini alle campane del campanile di san Marco, ma questa tesi è smentita da altri, tra cui Zanotto, che sostiene l'impossibilità per il fuoco di raggiungere tale altezza.[161]
Per estinguere l'incendio accorsero alcuni soldati della marina, che il giorno seguente rifiutarono la ricompensa di cinquecento ducati offerta loro dal Senato, e tutti i magistrati di Venezia, che oltre a spegnere il fuoco si adoperavano per mantenere l'ordine nella città, agitata dalla notizia dell'incendio.[165] Il doge si trasferì a vivere da suo fratello Giovanni, a Palazzo Mocenigo.[165]
Spente le fiamme, i senatori elessero tre uomini per curare la ricostruzione delle sale danneggiate: Andrea Badoaro,[166] Vincenzo Morosini e Pietro Foscari, i quali incaricarono Antonio da Ponte come direttore dei lavori.[165] Con da Ponte lavorarono anche Cristoforo Sorte, che si occupò della sala dei Pregadi, Andrea Palladio, che decorò la sala delle Quattro Porte e Vincenzo Scamozzi, che curò la sala dell'Anticollegio.[165][167]
I lavori proseguirono per tre anni, fino al seguente incendio, e videro un gran lusso che dimostrava la ricchezza della Repubblica di Venezia, attraverso l'utilizzo di marmi pregiati, di capitelli, di quadri e di sculture senza badare a spese.[168][169] La ricostruzione delle sale si protrasse anche dopo il secondo incendio, infatti a cavallo tra gli anni '70 e '80 del Cinquecento alcuni documenti attestano che si stesse lavorando ancora alla sala dei Pregadi. Dall'osservazione dei dipinti delle nuove stanze, inoltre, si nota che vi sono raffigurati dogi che governarono dal 1577 al 1605, il che dimostra che i lavori si conclusero solo nel XVII secolo; questi ritardi, probabilmente, furono dovuti all'epidemia di peste che falciò circa 51 000 abitanti a Venezia dal 1575 al 1577.[169][170]
L'incendio del 1577
Il 20 dicembre 1577 (anche se molti scrittori affermano, erroneamente, che si trattasse del 13 gennaio 1578) scoppiò un nuovo incendio, presso la sala dello Scrutinio, nelle vicinanze della porta della Carta, dovuto all'accensione di un vigoroso fuoco da parte dei guardiani del palazzo in un camino contenente vecchia fuliggine, la quale diede origine alle fiamme.[171] Il tetto della sala, costituito da lastre di piombo, cominciò a gocciolare per il calore del fuoco, impedendo l'accesso a quello ed ad altri ambienti vicini e la rimozione delle opere d'arte lì collocate. Il Sansovino, in questo punto, sostiene sbagliando che il tetto fosse di rame,[172] mentre sia il Cerimoniale che Molino affermano che la copertura in rame venne fatta solo dopo l'incendio del 1577.[173] Nonostante l'accorrere di maestranze per arginare l'incendio, i soffitti delle sale dello Scrutinio e del Maggior Consiglio crollarono, distruggendo preziose opere d'arte di Carpaccio, Bellini, Tiziano, Tintoretto e altri.[171]
L'incendio fu isolato con grande fatica dalle maestranze dell'Arsenale, che, calandosi con corde, riuscirono a schiacciarlo incontro ad una parete portante: l'operazione si concluse verso l'ora terza[174] o sesta[175][176] Si temette che l'incendio fosse stato appiccato da nemici della Repubblica, così molti senatori vegliarono armati in piazza san Marco tutta la notte.[176]
Per sicurezza le armi contenute nella sala dei Dieci furono trasportate nella basilica di san Marco, mentre i documenti dell'archivio vennero collocati nell'abitazione del gran Cancelliere, nella sagrestia della basilica, nelle stanze ducali e nella loggia sotto al Campanile; tuttavia molti oggetti preziosi e carte importanti vennero perduti.[177]
Il doge Sebastiano Venier rimase nei suoi appartamenti, dimostrando grande coraggio, mentre il senatore Luigi Michiel protesse la Libreria e la Zecca dalle fiamme bagnandone i tetti.[177] Il giorno seguente le maestranze dell'Arsenale rifiutarono il compenso a loro assegnato dal Senato per aver salvato il palazzo, così come avevano fatto nel 1574.[177]
Poiché la sala del Maggior Consiglio era inagibile, il Senato prese a radunarsi nel circuito della basilica di san Marco, dopo aver preso in considerazione altri luoghi;[178] gli architetti, tra cui da Ponte e Palladio, decretarono che erano necessari tre mesi per accomodarlo a sede del Maggior Consiglio: durante quel periodo il Senato si radunò all'interno della basilica.[179][178]
Ma, a causa degli impedimenti costituiti dalle celebrazioni per la Quaresima, il Consiglio si spostò nelle due sale dei Remi, all'Arsenale;[178] vennero costruite nuove entrate che permettessero ai nobili di accedervi senza passare per il cantiere.[178] Il 18 gennaio 1578 vennero eletti Luigi Zorzi, Jacopo Foscarini e Pietro Foscari come procuratori alla ricostruzione delle sale danneggiate del palazzo Ducale.[178]
Per la ricostruzione del palazzo si interpellarono quindici architetti: Giovanni Antonio Rusconi, abile nell'idraulica; Guglielmo de Grandi, esperto della laguna veneta; Paolo da Ponte; Andrea da Valle; Andrea Palladio,[167] che già si occupava della sala delle Quattro Porte; Angelo Marcò; Francesco Sansovino; Francesco Malacreda, importante architetto militare; Jacopo Bozzetto, esperto di architettura; Jacopo Guberni, addetto al magistrato delle Acque; Simone Sorella; Antonio Paliari, abile nell'arte muraria; Francesco Zamberlan, famoso architetto, meccanico ed inventore; Cristoforo Sorte, ingegnere, architetto, coreografo e scrittore; Antonio da Ponte, proto del palazzo.[180][181]
Agli architetti venne chiesto in quale stato fossero i muri del palazzo; se potessero questi sostenere un nuovo tetto e come; se invece le crepe ne minassero la stabilità e quali rimedi si sarebbero potuti prendere; se i travi e i capitelli rimasti potessero essere tenuti; se i muri avessero bisogno di essere rafforzati; se si potesse ritenere il palazzo stabile; quanto tempo ci volesse per riparare le aree danneggiate; quali accortezze bisognasse osservare se si volesse togliere le prigioni dal piano terra del palazzo.[182]
Le risposte degli architetti a questi otto quesiti furono contrastanti; a lungo si ritenne, erroneamente, che il Palladio volesse radere al suolo l'intero palazzo e ricostruirlo secondo un suo disegno.[182] Il Sansovino, come anche il Rusconi, il Paliari e il Sorella, erano fermamente convinti a non toccare la struttura originaria del palazzo, ritenuta molto solida.[183] Favorevoli a piccole modifiche strutturali erano il Malacreda, il Guberni, il Bozzetto, il Marcò e il Zamberlan, che avrebbero desiderato aggiungere pilastri e volti.[183] Da Ponte e dalla Valle, invece, erano fortemente contrari al palazzo, giudicandolo insicuro a causa della sua costruzione, che vedeva "il pieno sopra il vodo, il largo et grave sopra il debole et stretto".[183] Anche il Sorte era scettico nei confronti della cantonata verso il ponte della Paglia, che riteneva insicura;[184] il de Grandi immaginava una facciata ornata da vari ordini di colonne di diversi stili.[184][180]
Al contrario di quello che si suol dire, Palladio e da Ponte non si contesero affatto il progetto per il palazzo, anzi, si accordavano sul tenere la struttura originaria, applicando solo piccole modifiche tra cui l'inserimento di pilastri per rafforzare le pareti danneggiate.[184][185] La ristrutturazione sarebbe durata quattro anni, e avrebbe previsto la costruzione di quattordici volti per ciascuna delle due facciate, la sostituzione delle pietre rovinate e la posa di una nuova travatura, la riparazione dei muri danneggiati dal fuoco, la collocazione di catene per sostenere la parete verso il ponte della Paglia e il rimpiazzo dei capitelli crepati.[185] L'ideatore del progetto, da Ponte, venne scelto in quanto il meno invasivo tra quelli proposti dagli altri architetti, e il 21 febbraio 1578 il da Ponte iniziò a lavorare assistito dagli altri.[185]
La prima attività dell'architetto fu quella di asportare dalle sale dello Scrutinio e del Maggior Consiglio i ruderi, che furono poi venduti al prezzo di quattrocento ducati.[186] In seguito, egli si interessò della difficile questione strutturale relativa all'angolo vicino al Ponte della Paglia: i muri erano sbilanciati verso il Rio.[187] Della serie di arcate antistante le prigioni vennero murate le prime due e la quinta, e le prigioni lì poste vennero trasformate in uffici. Poi l'architetto sostituì le travature danneggiate e riparò i capitelli della loggia, anziché sostituirli, cingendoli con cerchi di ferro;[187] quindi coprì con un nuovo tetto formato da travi di larice la sala dello Scrutinio e quella del Maggior Consiglio, impiegando solo due mesi.[187] I tetti vennero coperti con lamiere di rame, e non di piombo, poiché quest'ultimo si scioglieva, e quindi provocava maggiori danni, più facilmente.[188] Dopo si passò al restauro degli interni, delle finestre (che privò delle trifore per fornire più luce all'interno),[188] dei muri e del pavimento, così celermente che la sala del Maggior Consiglio fu pronta per essere usata già il 30 settembre 1578.[188] In tale occasione la nuova sala ospitò una processione.[189]
I progetti dei soffitti delle sale del Consiglio e dello Scrutinio furono rispettivamente assegnati a Cristoforo Sorte e a Antonio da Ponte, che già si era incaricato di quello per la Sala del Senato.[191] Il Sorte, insoddisfatto di come fosse stato eseguito il progetto da lui elaborato, protestò (documenti che attestano questa protesta risalgono all'11 agosto 1579.): si può ipotizzare la riduzione dell'originale progetto sia collegata alla volontà di Antonio da Ponte.[191] I lavori si protrassero a lungo, anche oltre l'anno 1582.[191] Il progetto delle pitture che avrebbero dovuto decorare le pareti fu affidato a Jacopo Contarini, Jacopo Marcello e Gerolamo de Bardi. Opera fondamentale per la comprensione di questo lavoro è la Dichiaratione di tutte le istorie che si contengono nei quadri posti novamente nelle sale dello Scrutinio et del gran Consiglio del Palagio Ducale della Serenissima Republica di Vinegia, nella quale si ha piena intelligenza delle più segnalate vittorie, conseguite di varie nationi del mondo dai Vinitiani del Bardi medesimo.[192] Le prime decisioni prese dai tre furono quelle di arricchire la sala colle raffigurazioni della venuta di Alessandro III a Venezia e della pace da lui stretta con Federico Barbarossa; loro pure la paternità della proposta di raffigurare appena sotto il fregio i volti e gli stemmi dei dogi che fino ad allora avevano regnato.[191]
Per quanto concerneva la decorazione dei soffitti, vennero sfruttati vari temi (vittorie militari, gesta dei cittadini, allegorie), per ognuno dei quali vennero individuati spazi specifici: rispettivamente nella Sala dello Scrutinio e in quella del Maggior Consiglio al primo te,a furono dedicate le sezioni prima ed seconda, al secondo quelle seconda ed ultima , al terzo quelle ultima ed prima.[193] Considerato che gran parte dei quadri era di tema storico, venne istituita una rigorosa successione cronologica non solo tra le tele delle singole stanze, ma andando a creare un sistema che coinvolgeva entrambi i locali; per rendere più chiara la lettura delle singole opere, esse furono dipinte usando tinte differenti: nel complesso i cicli decorativi dei due ambienti sembrano quindi concatenarsi.[193] Gli artisti che furono designati per la realizzazione di questo apparato decorativo furono: Paolo e Benedetto Caliari, Jacopo e Domenico Robusti, Jacopo Palma il Giovane, Francesco Bassano, Antonio Aliense, Francesco Montemezzano, Giulio Del Moro, Andrea Vicentino, Marco Vecellio, Leonardo Corona, Girolamo Gambarato, Pietro Longo, Girolamo Padovano, Federico Zuccaro, Camillo Ballini, Tiburzio Bolognese, Paolo Fiammingo e Francesco Terzo: non tutti però operarono nel cantiere, causa morte o impossibilità.[194]
Ultimi cantieri nel palazzo
Fine del XVI secolo e inizio del XVII
Il lavoro di ammodernamento delle facciate si concluse tra il 1571 e il 1579 quando, per celebrare una grandiosa vittoria veneziana sugli Ottomani, i balconi affacciati sulla piazza e sul molo vennero rispettivamente decorati alle loro sommità con statue allegoriche di Venezia e della Giustizia.[194] Entro il 1597 fu ultimata la sostituzione del rame costituente il tetto con una copertura di piombo, causa infiltrazioni nelle Sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio.[194] La conclusione del XVI secolo fu segnata dalla chiusura di alcuni piccoli cantieri avviati tempo prima negli ambienti colpiti dall'incendio del 1574.[194]
Gli anni a cavallo tra XVI e XVII secolo furono segnati dal nascere nel Senato della volontà di trasferire le carceri, allora site al pianterreno del palazzo, accennata per la prima volta nel domandare un parere a proposito ai molti periti che intervennero nel restauro.[195] Elementi che di sicuro rallentarono l'avvio di detto cantiere furono il disaccordo tra architetti e il costo del fondo posto al di là del Rio di Palazzo.[195] Il primo decreto, promulgato nel 1587, vide i suoi effetti nel 1589.[195] Una pianta del pianterreno del palazzo venne realizzata nel 1580 da un non meglio precisato Gianmaria dei Piombi: riscoperta da Giovanni Lorenzi, coadiutore della Biblioteca Marciana, è fondamentale in primo luogo per la comprensione della storia dell'edificio, raffigurando la sua pianta e gli edifici posti al di là del Rio, destinati ad essere acquisiti per l'edificazione delle Prigioni,[196] e in secondo perché rende possibile una lettura critica delle molte opere che, scritte in differenti epoche storiche, ebbero come loro fine la descrizione dell'edificio, e in particolare di quella redatta da Pietro Bettio:[195] in essa, denominata Del Palazzo Ducale in Venezia. Lettera discorsiva, riproponendosi di definire la struttura della Scala Foscara (una scala poi demolita, che collegava primo piano del palazzo e corte facendo coppia colla Scala di Pietra, sulla quale fu eseguita la condanna a morte di Marin Falier, contrariamente a quanto raffigurato da Francesco Hayez[197]), egli inserisce un prospetto e una pianta di questa, sfruttando l'opera Degli abiti antichi e moderni di Cesare Vecellio:[195] alterando i dati fornitigli dalla sua fonte, modificò la pianta e, sbagliando, definì contemporanea la scala alla loggia limitrofa.[198] Sempre da questa pianta si evince che prima della ristrutturazione dell'inizio del XVII secolo fossero presenti quattro ambienti adiacenti la piazzetta, usati come scuderie dogali.[199]
Il cantiere delle Prigioni Nuove fu condotto dapprima da Antonio da Ponte, alla morte del quale, avvenuta nel 1597, subentrò alla direzione Antonio Contin, che completò l'opera nel 1602: dopo il trasferimento dei detenuti nella loro nuova sede venne riadattata la pianta del pianterreno del palazzo, in gran parte secondo il progetto di Andrea Palladio.[200] Le Prigioni Nuove, sede dei Signori della Notte, magistrati incaricati di prevenire e reprimere reati penali, venne collegato al Palazzo tramite il Ponte dei Sospiri, percorso dai condannati tradotti dal Palazzo, sede dei tribunali, alle prigioni.[201]
Lo spazio lasciato libero dalle prigioni venne ristrutturato ad opera del proto Bartolomeo Manopola, subentrato a tale carica dopo la morte del da Ponte, ma quasi dimenticato dalla storiografia artistica, non citato né da Francesco Milizia, né da Filippo De Boni, né da Giuseppe Cadorin, solo accennato da Giannantonio Moschini, da Leopoldo Cicognara e da Pietro Selvatico.[202] La sua opera nel palazzo è stata trattata con errori ed imprecisioni dai vari storici, e in particolare dal Cicognara. Difatti non demolì per prima la Scala Foscara, ma fece realizzare al posto del muro portante che sorreggeva l'ala meridionale del palazzo (e quindi anche la Sala del Maggior Consiglio) un portico, similare a quello progettato dal Rizzo; la conclusione di tali opere è databile al dogato di Leonardo Donà e più precisamente al 1607 per via della presenza di stemmi e per quanto detto dalle cronache.[202] Sempre dallo studio dei decori dei capitelli di questo portico, si può affermare essere stati i provveditori incaricati della supervisione dell'opera Domenico Dolfin, Benedetto Moro e Antonio Priuli, poi doge, e non essere iniziata l'opera prima del 1606, poiché il Dolfin e il Moro assursero a tale carica solo in quell'anno.[203]
Concluso questo primo lavoro, si cominciò ad operare lungo il fronte occidentale della corte, abbattendo la Scala Foscara, le abitazioni degli scudieri e quindi la muraglia sottostante la Sala dello Scrutinio, prontamente sostituita da arcate, in conformità colle altre facciate.[203] Anche nella descrizione di questa fase dei lavori si incontra un'errore del Cicognara, che affermò essersi sostituiti con archi a tutto sesto degli ipotetici preesistenti loggiati a sesto acuto, mai esistiti.[203] Questi lavori si conclusero entro il 1610. Sbagliò quindi Pietro Bettio nell'affermare che per un certo periodo di tempo coesistettero scala e portico, in quanto secondo lui questi lavori d'abbattimento non si compirono prima del 1618: ciò perché sul porticato è presente lo stemma di Leonardo Donà, dogante nel 1610, e non di Nicolò Donà, dogante negli anni al quale il Bettio faceva risalire l'opera.[203] Negli spazi liberati vennero creati uffici per le magistrature dei cinque Savi e del Magistrato delle Acque e le abitazioni degli scudieri furono ristrutturate: tutti questi lavori si conclusero entro il 1612.[204]
Concluso il cantiere che aveva coinvolto la facciata occidentale e abbattuta la Scala Foscara, rimaneva il breve fronte settentrionale che, in virtù delle recenti ristrutturazioni che avevano coinvolto gli altri prospetti, pareva ora piuttosto spoglio:[204] nello spazio che collega la facciata dell'Arco Foscari sul cortile e l'angolo del palazzo, fu innalzato un prospetto aperto da una grande arcata al pianterreno (che in base a quanto ordinato dal Manopola doveva stilisticamente ricalcare i loggiati preesistenti[204]).[201] In seguito a quanto ordinato dal Manopola, dovendosi il loggiato del pianterreno adattare agli stretti spazi e confare agli archi presenti nell'adiacente atrio (conducente dalla Piazzetta al Cortile), fu necessario costruire tre soli archi per livello, a tutto sesto quelli inferiori e a sesto acuto quelli superiori: considerato che erano presenti ampi spazi tra i vari archi, vennero costruite delle nicchie, arricchite colle statue offerte da Federico Contarini.[205] L'opera venne ulteriormente decorata colla realizzazione di un fregio che si rifaceva a quello del fronte orientale:[205] questa prima fase del cantiere si poteva dir conclusa nel 1615, poiché al centro del fregio fu scritto MARCO ANT. MEMMO DVCE ANNO DNI MDCXV.[205] Sbaglia quindi il Bettio, seguito da altri storici, ad affermare che l'orologio fu compiuto entro il 1615 e con esso tale scritta fosse posta alla sua sommità: tale opera fu completata solo sotto Giovanni Bembo, successore di Marcantonio Memmo.[206]
Il cantiere che aveva visto la demolizione della Scala Foscara rivelò che la parte destra dell'Arco Foscari, realizzato sotto i dogati di Francesco Foscari e Cristoforo Moro e contemporaneamente alla scala predetta, mancava di decori, poiché coperta dalla scalinata.[205] L'aggiunta si distingue chiaramente dal resto dell'arco poiché presenta uno stile differente, oltre che per il fatto di non essere stata raffigurata da Cesare Vecellio: comprendeva la realizzazione di una nicchia contenete una statua femminile, che venne realizzata scolpendo la figura di Minerva, poi sostituita da un simulacro di Ulpia Marciana.[205] Sotto Giovanni Bembo venne completato il cantiere relativo alla decorazione di quel fronte con la realizzazione del celebre orologio: tale opera, dapprima fatta risalire dal Bettio e dal Cicognara ai dogati del Memmo o a quello di Nicolò Donà, è però da attribuirsi a quest'ultimo periodo per via della presenza di uno stemma del predetto doge.[205]
XVII secolo
Il dogato di Antonio Priuli si aprì colla ristrutturazione dell'Appartamento dogale, e più precisamente colla realizzazione di un ambiente dedicato ai tradizionali banchetti che il doge offriva alle massime cariche statali nella casa dei Canonici dell'attigua basilica.[207] Tale ambiente venne collegato dal Manopola con un volto teso tra la Sala degli Stucchi o Sala Priuli e l'edificio sopra accennato: dopo pochi anni, colla demolizione di questo ponticello, i due edifici furono definitivamente separati.[207] Dopo la realizzazione di questo ambiente, avendo Francesco Maria II Della Rovere donato alla Serenissima una statua del suo avo Francesco Maria I Della Rovere, questa fu posta nel cortile:[208] dopo quest'opera, risalente al 1625, nessun'altra ne fu compiuta di grande importanza nel palazzo.[209] Venne abbellito con un altarino dedicato alla Vergine e con due tele, raffiguranti Il flagello della Peste e I santi Marco, Rocco, Teodoro e Sebastiano, opera la prima probabilmente di Daniel van den Dyck, la seconda di Baldassare d'Anna, l'atrio della Porta del Frumento;[209] venne decorato sotto Francesco Erizzo, tra il 1631 e il 1645, un ambiente dell'appartamento dogale poi noto come Sala Erizzo;[209] venne realizzato, forse da Andrea Tirali, un arco trionfale dedicato a Francesco Morosini, decorato da Gregorio Lazzarini con sei dipinti, sito nella Sala dello Scrutinio e riportante l'iscrizione FRANCESCO MAVROCENO PELOPONNESIACO SENATUS ANNO MDCVIC.[210]
XVIII secolo
Pure nel XVIII secolo non fu realizzata alcuna opera degna di particolare nota: nel 1728, sotto Alvise III Sebastiano Mocenigo, fu restaurata la Scala dei Giganti, con particolare cura ai basamenti delle statue di Marte e Nettuno, sui quali furono scritti data del restauro e committente;[210] l'8 gennaio 1737 un incendio colpì il palazzo, e l'ampliamento effettuato durante la ristrutturazione che a ciò seguì fu abbattuto;[211] nel 1741 si provvide alla decorazione della Sala Priuli con quadri contornati da stucchi, eponimi da allora di quel locale;[211] pressappoco nel 1752 i cinque finestroni archiacuti dei fronti meridionale e occidentale prospicienti il cortile, due nella Sala dello Scrutinio, due in quella del Maggior Consiglio e uno nell'andito che le congiungeva, furono sostituiti, con danno estetico per il complesso;[211] nel 1761 furono sostituite due delle mappe della Sala dello Scudo, che si erano rovinate, e questo locale fu separato dalla Sala dei Filosofi; sotto Alvise Mocenigo fu ristrutturata la Sala dei Banchetti edificata nel precedente secolo ma poi abbattuta;[212] nel 1793 Pietro Antonio Novelli curò il restauro di alcuni dei dipinti adornanti la Scala d'Oro.[212]
Dopo la caduta della Serenissima
XIX secolo
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, la cui fine fu decretata nella seduta del Maggior Consiglio del 12 maggio 1797, il Palazzo non venne più utilizzato come sede del principe e delle magistrature, ma fu adibito a sede di uffici amministrativi degli imperi napoleonico e asburgico.[201] Durante questo lasso di tempo, sotto la direzione di Giuseppe Borsato, Giuseppe Salvadori e Lorenzo Santi, vennero asportati vari leoni di San Marco, tra i quali quello che decorava la Porta della Carta,[213] furono scentrate le prigioni dei Pozzi e dei Piombi,[213] furono asportati quadri ed arredi,[213] gli affreschi presenti nella chiesetta palatina furono imbiancati,[214] vennero riservati degli ambienti per la Camera di Commercio.[214] Nel 1807 divenne sede del Tribunale d'appello, mentre nel 1811 vennero elette a sede della Libreria Marciana prima la Sala del Maggior consiglio e poi quelle costituenti l'Appartamento Ducale.[201] In quegli anni venne lì trasferito pure lo statuario archeologico.[201]
Nel 1821, in seguito a un incendio e per volontà di Francesco II d'Asburgo-Lorena, tutti gli uffici saranno costretti a trovare una nuova sistemazione: vi rimasero solo biblioteca e museo,[215] la cui collocazione venne modificata solo molto tempo dopo, quando nel 1904 la libreria trovò la sua attuale collocazione e nel 1918 quando stessa sorte toccò al Museo Archeologico.[201] Pure i pompieri trovarono sede nell'edificio, venendo collocati nell'atrio della Porta del Frumento, dal quale tutte le opere d'arte furono asportate;[215] nel 1841 fu ristrutturato il grande orologio sito nel cortile;[215] nel 1844, poiché nell'edificio aveva trovato sede l'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, si ristrutturarono i tetti dell'intero complesso;[215] Antonio Zambler ristrutturò nel frattempo i dipinti della Sala del Maggior Consiglio;[216] tra il 1847 e il 1849 si restaurarono i loggiati del primo piano per porvi busti di illustri cittadini veneti;[216] tra il 1852 e il 1854 tutti i grandi balconi delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio e la Porta della Carta furono profondamente ristrutturati sotto il controllo di Gaspare Biondetti e di Vincenzo Fadiga;[216] furono abbattuti alcuni ambienti annessi all'Appartamento dogale, da poco costruiti, col fine di rendere uguale l'altezza di tutte le facciate prospicienti il cortile centrale: in essi era stato rinchiuso Silvio Pellico, che però li confuse con i Piombi, già distrutti nel 1797.[217]
XX secolo
Con l'annessione di Venezia al Regno d'Italia il Palazzo subì cospicui restauri, mostrando i segni del tempo e del degrado:[218] i capitelli dei porticati prospicienti il Molo e la Piazzetta furono asportati e sostituiti, andando a costituire il Museo dell'Opera; tutti i pubblici uffici che vi avevano sede furono trasferiti in altri luoghi, fatta eccezione per l'Ufficio statale per la tutela dei monumenti, che vi risiede come Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Venezia e Laguna.[218] Nel dicembre 1923 lo Stato italiano, proprietario del complesso, ne affidò la gestione al Comune di Venezia, che lo trasformò nel museo attivo tuttora e parte della Fondazione Musei Civici Venezia dal 1996.[218]
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