Voce principale: Storia di Siracusa.

Template:StoriaSiciliana La fondazione di Siracusa viene fissata secondo il Marmor Parium nell'anno 758 a.C.; secondo Tucidide - che rappresenta la versione più accreditata dagli storici - nell'anno 733 a.C. La storiografia moderna la pone nell'anno 734 a.C.; un anno dopo la collocazione tucididea. Non vi è comunque certezza sull'esatta cronologia.

Il Marmor Parium ritrovato sull'isola di Paros nelle Cicladi, l'anno 1897. Sulla pietra è scolpita la presunta data della fondazione di Siracusa.

L'etimologia arcaica di Siracusa risulta essere complessa: l'appellativo di Ortigia, già esistente, si sostiene potesse significare quaglia; mentre l'appellativo di Siracusa, acqua salata, e derivare dal siculo: Syraka; nome di un'antica palude del posto.

I luoghi siracusani sono stati interessati fin dai tempi più arcaici da insediamenti abitativi: lo dimostrano i numerosi resti archeologici ritrovati sul territorio. Tali luoghi vengono citati anche nei poemi epici. La leggenda fondativa narra di diversi popoli ellenici giunti sulle sponde aretusee: etoli ed elidi furono i primi; poi arrivarono i corinzi con Archia, mitico fondatore della polis. In breve tempo Siracusa crebbe, fondando essa stessa delle colonie. Fu il principio della sua storia.

Cronologia della fondazione

StrabonePausania il PeriegetaEusebio di CesareaTucidideSan GerolamoFilisto

 
L'area fisica siciliana dove nacque Siracusa; carta disegnata da Charles Rollin.
 
Altra mappatura fisica dell'area ad opera di Claude Louis Chatelet e Pierre-Adrien Pâris.

La data più alta risalente alla fondazione di Siracusa, è l'anno 758 a.C., attestato nelle cronache del marmor Parium (marmo di Paro). Esso proviene dall'isola greca delle Cicladi, Paros - nota appunto per il suo pregiato marmo scultoreo - l'iscrizione greca risale al III sec. a.C.; il suo autore è ignoto. Nel marmo si colloca la data citata quando ad Atene era Arconte eponimo Eschilo, nel 21° anno della sua reggenza, e vigeva il 3° anno della V Olimpiade, in questo tempo partì la spedizione della apoikia corinzia per la fondazione di Siracusa[1][2][3]. Altra data prossima al 758 è quella di Filisto, storico siracusano del IV sec. a.C., che fissa la fondazione nell'anno 756-5 a.C., seguendo il calcolo degli Arconti e delle Olimpiadi, ma egli dice che siamo sotto la VI Olimpiade[4], mentre altri studiosi moderni informano che la narrazione filistea - incompleta - pone questa data in riferimento ad un evento ignoto[5]. Altro dato interessante risulta essere la contemporaneità attestata da Eforo - e divulgata da Strabone[6] - tra la fondazione di Corcira (odierna Corfù) e Siracusa; attestata 600 anni dopo la presa di Troia - avvenuta nel 1334-3 secondo Duride di Samo - giungendo quindi all'anno 734 a.C.[7].

Ma la fondazione di Siracusa risulta essere contemporanea anche a quella di Megara Iblea - riferitaci da Strabone[8] - il che abbasserebbe di molto la data stabilita precedentemente, portandola intorno agli '20 del 700 a.C., poiché secondo Tucidide Megara sorse nel 728 a.C. - data megarase comunque ritenuta incerta dagli storici moderni[9] - in contrasto con quanto afferma Antioco che pone la fondazione aretusea molto antecedente a quella megarese[10].

Pausania e Strabone attestano inoltre che Siracusa venne fondata nel medesimo tempo del sorgere di Crotone e Sibari; l'anno di fondazione sibarese risulta essere il 709 a.C., secondo Eusebio, e il 720 a.C., secondo Scimno di Chio[11]. Più complicata è la datazione di Crotone, in quanto alcune fonti primarie come Dionigi di Alicarnasso e Girolamo affermano la contemporaneità della nascita sibarese e crotoniana (709-708 a.C.)[12] - contraddetta invece da Antioco che accorda le parole tardive di Scimno ponendo Sibari fondata antecedentemente a Crotone - per cui sarebbe smentita la contemporaneità delle fondazioni Siracusa-Sibari-Crotone narrate da Pausania e Strabone. Ma è pur certo che i due fondatori di Siracusa e Crotone - rispettivamente Archia e Miscello - fossero giunti insieme dall'Oracolo di Delfi - memoria conservata presso la maggior parte delle fonti primarie - ciò che non è invece certo è il proseguire dei due fondatori; se realmente Archia e Miscello fondarono nello stesso anno Siracua e Crotone, sarebbero smentiti la maggioranza degli storici antichi che pongono in data parecchio antecedente la fondazione siracusana. Altrimenti bisognerebbe considerare l'ipotesi che Strabone e Pausania volessero innalzare al 733 la data crotoniana; ma così si andrebbe contro le date - tutte relativamente basse - che i restanti storici attribuiscono a Crotone. Per risolvere dunque la questione della contemporaneità attestata tra la nascita delle due polis, si è ipotizzato che Miscello, prima della fondazione vera e propria, abbia compiuto diversi viaggi esplorativi nell'Italia antica, staccandosi così da Archia[13].

La data più avvalorata è quella di Tucidide - che a sua volta avrebbe tratto l'informazione da Antioco - e attesta la fondazione di Siracusa nel 733 a.C.[14]; ponendola 1 anno dopo la fondazione di Naxos; la colonia greca più antica di Sicilia. La data tucididea è stata abbracciata dalla maggior parte della critica moderna, ed stata accordata con quella di Eusebio[15]. Tuttavia alcuni storici moderni hanno posto il dubbio sulle parole tucididee, domandandosi se lo scrittore ateniese, posticipando la data della fondazione di Siracusa di un solo anno rispetto a Naxos - riconosciuta, pare senza alcun dubbio, come la più arcaica dell'isola - non volesse in realtà stabilire, o confermare, l'anzianità della polis aretusea rispetto a tutte le altre colonie siciliane[16]. Interrogativo questo che farebbe propendere per una data più bassa relativa alla fondazione.

Parte della storiografia moderna si trova concorde nel sostenere l'anno 734 a.C. o 733 - tenendo sempre fede all'autorità di Tucidide - mentre sono pochi coloro che si fidano della data segnata nei marmi di Paros; poiché tali marmi sono considerati mutevoli negli anni della loro formazione, per cui poco attendibili[17]. Ciononostante la data di Paros - molto prossima a quella di Filisto - viene accettata da studiosi come Letronne, Johnson, la Miller, Bres[18] e diversi altri. Scrive a tal proposito il noto archeologo francese Letronne:

(francese)
«Entre toutes les colonies sorties de la Grèce, Syracuse est sans contredit celle qui a joué le plus grand role. Fondée par les Corinthens 757 ans avant Jésus-Christ, elle éclipsa bientôt les établissemens grecs de l'Italie ed de la Sicile.»
(italiano)
«Tra tutte le colonie esterne della Grecia, Siracusa è senza dubbio quella che ha giocato il ruolo più importante. Fondata dai Corinzi 757 anni prima di Cristo, ella supera presto per importanza gli altri insediamenti greci dell'Italia e della Sicilia.»

Analizzando dunque tutte le date secondo le quali viene attestata la fondazione di Siracusa, si può dedurre che non sia possibile datare con estrema precisione l'anno esatto in cui la città venne fondata dai greci. Poiché attestazioni di contemporaneità nella fondazione con altri siti geografici e diverse fonti primarie non concordi, ne rendono complessa l'origine[20].

Etimologia

Homothermon, l'Ortigia d'Etolia e Nasos

L'isola di Ortigia è molto importante per comprendere le origini dell'intera Siracusa, poiché le fonti attestano che nell'isolotto separato dalla terreferma sorse il primo nucleo abitativo siracusano.

Secondo la fonte dello scoliasta di Apollonio Rodio, Nicandro di Colofone, il nome più arcaico attribuito all'abitato siracusano fu Homothermon[21] (italianizzato in Omotermon), il quale indicava la futura Ortigia, Omo-termon: «eguale-i bagno-i» è l'unica traduzione fornitaci dal Fazello[22] e dal Mirabella[23], riguardo all'antico passaggio del poeta ionico in Aitolika. Sempre secondo lo scoliasta, la narrazione nicandrea avrebbe attestato un primario popolamento del sito da parte degli etoli dell'Etolia - presunta fondazione etolica della quale si discuterà nei successivi capitoli - e poiché in patria lasciarono la loro terra chiamata appunto Ortigia - spiegazione del termine nel sottostante capitolo - decisero di dare questo nome anche alla futura isola siciliana[24]. Ma, posteriormente, gli abitanti continuarono ancora a chiamare il sito Nasos, dal dialetto dorico, ovvero Isola[25].

Ὀρτυγία, la quaglia, la coturnice

 
La Quaglia comune, in gergo la Coturnix coturnix; l'esemplare di volatile dal quale deriverebbe il nome di Ortigia.

Il suo nome è attestato nelle fonti fin dall'epoca greca: Ὀρτυγία (in greco antico Ortyx), in latino Coturnix, termine che italianizzato porterebbe a Coturnice - specie di uccello diffuso nel Mediterraneo e nell'Asia Minore - anche se si pensa alla comune e più antica Coturnix coturnix; ovvero la quaglia, la specie che vive un po' ovunque in quello che al tempo dei greci era il mondo conosciuto. Il termine citato dai greci, secondo il lessicografo Esichio di Alessandria, originariamente possedeva una ϝ collocata all'inizio: γόρτυξ, e può derivare dal Sanscrito vedico[26] - i Veda tra i più antichi testi sacri dell'India - dalla parola sancrita Vártikā, molto somigliante con Wachtel (che significa quaglia in lingua tedesca), e la derivata Ortika dalla radice indoeuropea Vart, Vartukas[27] (rotondo), e il derivato latino Vèrt-ere (girare), volatile così detto perché ha l'abitudine di girare quando si trova per terra[28].

Il termine latino riferito alla quaglia, coturnix, sembrerebbe poter trarre origine dal verso che generalmente questo uccello emette: un'onomatopeia individuata in kwok; o ancora nella lingua sanscrita il termine katu (penetrante, rana, grido). Infine l'ipotesi del termine di orgine egiziano: πι.ορτ(υξ) che significa quaglia[26].

Ma il termine latino vertere, girare, potrebbe comunque non essere riferito al girare dell'animale, piuttosto potrebbe essere riferito al ritorno del sole, il suo sorgere; poiché la parola originaria vedica assumeva il significato di emblema del sole[27], il rinnovarsi, il solstizio del sole. È la quaglia; uno dei primi uccelli che annunciano la primavera[29], che ritornano, il vertere, sulle coste vicino al mare, e il loro stridere, il loro grido, potrebbe essere associato ai riti religiosi greci che si compievano ad esempio a Delos - isola del mare Egeo che, vedremo più avanti, ha parecchie analogie mitologiche con la storia siracusana - nella quale si rievocava il ritorno del sole, tramite il ritorno delle quaglie[27]. Delos - termine che significa la Manifesta - prima si chiamava Ortigia, e ancor prima Asteria[30], che significa Astro o Stella, da Asteria, la dea delle stelle; anch'essa legata alla mitologia aretusea.

Vi sono diverse località geografiche che portano il nome di Ortigia - come l'Ortigia dell'Etolia - la più antica, secondo alcune versioni, si dice essere quella di Efeso nella Ionia[31], la quale avrebbe poi passato il suo nome a Delos[32], isola delle Cicladi. Secondo altri tale nome si diffuse prima da Delos a tutte le colonie da essa partite. Ma poiché la fondazione di Siracusa è storicamente e solidamente attribuita ai corinzi, non risulta possibile tale appellaivo derivante da un legame politico-fraterno con Delos.

Συράκουσαι, Sùraka, l'acqua salata

File:Il Fiume Ciane.jpg
Un tratto del Fiume Ciane - colmo di leggenda ai tempi dei greci - si accorda ai tanti corsi d'acqua dolce e salata che circondano Siracusa e dal cui insieme potrebbe derivare il suo nome.

L'origine del termine Siracusa - Συράκουσαι (Syrakousai) in greco antico e Syracusæ in latino - è per detta stessa degli studiosi di difficile analisi[33]. Si è ipotizzato che esso derivi da Sur-aku che significa Acqua salata; parola indoeuropea composta dalla radice derivato sūro - amaro e salato. Dalla lingua celtica con la radice Sura, che in tedesco diviene Sauer più aku o aka[33].

Sempre all'acqua sarebbe legato il significato del termine secondo un'origine sicula[34]; da Sùraka, per la presenza di vari corsi d'acqua - i fiumi siracusani - per cui il termine assumerebbe il significato di Abbondanza d'acqua[35]. O per la presenza di una palude dalle acque salmastre vicino alle coste del territorio (oggi identificabile nella zona dei Pantanelli, così chiamati per la presenza di pantani che richiamano l'antica paludosità del sito) chiamata per l'appunto Sùraka o Siraka (Siraca) - dagli abitanti detta il Pantano[36] - la sua presenza è ricordata da varie fonti, come il geografo greco antico Marciano di Eraclea, le cui parole sono citate da diversi autori d'epoca moderna:

«La palude Siraca è quella, che secondo Marciano d'Heraclea ha dato il nome alla città di Siracusa. Nella descrizione del Mondo egli con tali versi risuona:

...Hos Archias assumens Corinthius cum Dioriensihus condiditeas,
Que ab contermino Stagno accepere nomen:
Nuncque Syracusa ipsis dicuntur.[37]»

Ne fa menzione anche lo scrittore romano Vibio Sequestre, nel suo De stagnis et paludibus[38], e la nomina come Tyraca Syracusis. Di essa ne è conservata memoria anche tramite le parole di Teocrito (Idillio XVI); del geografo Stefano di Bisanzio e del suo collega tedesco Filippo Cluverio. Inoltre, se pur intrecciata con la storia di un'altra palude scomparsa siracusana - la Lisimelia posta «tra Napoli e l'Anapo»[39][37] - essa sta negli scritti di Tucidide e Plutarco, dove viene nominata come posto pieno di anguille ove i soldati siracusani e ateniesi andavano a pescare durante le ore di riposo[40].

Si è presa in esame inoltre l'ipotesi di una radice orientale, facente sempre riferimento alle acque salmastre del tempo, ma stavolta con palesata origine punica, fenicia. Secondo lo studioso religioso francese Samuel Bochart, nella sua Geographia Sacra, il termine Siracusa deriverebbe dal punico Sor-Cosia che egli traduce in Syrach: «Et Syraco vox Phoenecia»[41]. Tale nome fenicio può avere due significati il puzzare o l' essere abbondante di qualcosa. Il significato che sceglie il Bochart non è certo gratificante, poiché esso dice che la parola conduce a Fetore; derivato probabilmente dalle acque palustri. Ma tale significato non ha trovato riscontri nella restante storiografia, la quale definisce il termine come salato, amaro o abbondante, ma non oltre. Ed anzi, le parole del Bochart sono state sentitamente criticate dal filologo e storico olandese Jacques Philippe D'Orville, il quale rammenta che avendo il vocabolo fenicio due significati, lo storico non può eleggerne uno ed uno soltanto ignorando l'altra possibilità[42].

Secondo altre ipotesi il termine Syraka sarebbe effettivamente orientale. Lo storico Adolf Holm rende al nome anch'egli un'etimologia fenicia, ma esclude totalmente l'ipotesi che esso debba riferisi al nome di un'antica palude. Piuttosto dice l'Holm, significa Luogo Orientale[43][44].

Il Fazello sostiene che furono i siculi a dare il nome alla città e la chiamarono Siracosion che in latino assume il significato di: Io volo verso la quiete[45]. Anche il Mirabella afferma che il nome di Siracusa vuol dire Portare alla quiete[46].

Nella numismatica la memoria antica

La moneta di Syra, dell'astro

  Lo stesso argomento in dettaglio: [[[[Monetazione di Siracusa#Le monete dionigiane: l'emissioni di ΣΥΡΑ e dell'Ippocampo|Monetazione di Siracusa § Le monete dionigiane: l'emissioni di ΣΥΡΑ e dell'Ippocampo.
Dracma
 
Testa di Atena con elmo corinzio decorato da corona. In alto a sinistra la scritta ΣΥΡΑ Stella marina (o Sole a otto raggi) tra due delfini
Dracma, ca. 380 a.C. Emissione attribuita al tiranno Dionisio I di Siracusa (405-367 a.C.)

Il poeta latino Livio Andronico[47] traduce il termine Moneta con la parola greca Mnemosyne, la quale significa Memoria: «Usus me genuit, mater peperit Memoria. Sophiam vocant me Graii, vos Sapientiam[48]». Secondo diversi studiosi infatti vi è un nesso tra le rappresentazioni monetali e la storia delle città che le coniavano[49][50][51]. Per quanto concerne Siracusa, interessanti studi sono stati svolti sul periodo dionigiano e la relazione del tiranno con l'emissione di monete riportanti nel dritto la figura di Atena con la scritta ΣΥΡΑ e nel rovescio la figura di una stella a otto raggi. In un'altra emissione di monete dionigiane vi era anche la scritta ΣΥΡΑΣΩΣΙΑ; da dividere in ΣΥΡΑ e in ΣΩΣΙΑ, la quale avrebbe significato la personificazione di una dea protettrice di Siracusa: Sosia da Soteira; antroponimo attestato in Sicilia e nella stessa Siracusa durante il periodo agatocleo. Emblematico è capire se Dionisio volesse richiamare l'attenzione sulla potenza bellica e culturale che aveva raggiunto (si noti ad esempio l'elmo posto su quella che dovrebbe essere la protettrice di Siracusa: ovvero Syra) o se in quelle coniazioni possa rivedersi un tentativo di riecheggiare le arcaiche origini siracusane. La manovra dell'esaltazione dionisiana sembrerebbe prevalere, poiché va ricordato che Dionisio I di Siracusa è considerato come colui che diede una grande spinta in avanti alla formazione del culto del capo nell'antica Grecia[52][53], a una sorta di divinizazzione della figura tirannica, che sarebbe poi stata ripresa e amplificata da altri celebri personaggi dell'epoca[54].

E la figura dell'Astro fa la sua comparsa nelle monete siracusane proprio nel periodo post-ateniese, ovvero quando Ermocrate prende consapevolezza del ruolo siracusano come guida di una Sicilia indipendente dalla madrepatria greca[55]. Dionisio, definito come erede ermocrateo, mette in pratica un progetto ambizioso nelle emissioni monetali, puntando con la figura dell'astro e la scritta Syra, ad una forte propaganda della sua era. La stella nell'antichità rappresentava infatti un simbolo di buon auspicio e di potenza.

Nello stesso tempo in cui la zecca siracusana emette questo tipo di monete, anche la città elima di Erice (unica in Sicilia oltre a Siracusa) emette dei tipi monetali raffiguranti la dea Afrodite sul dritto e sul rovescio un astro al di sopra di un cane. Data la somiglianza attestata con i tipi monetali aretusei[56][54], e poiché studiosi come Holm, Pace e Schilling hanno evidenziato caratteristiche comuni con il culto della dea orientale Astarte[54] - al quale si deve aggiungere una scritta fenicia ritrovata e poi smarrita ad Erice, che conteneva una dedica ad Astarte[57] - viene piuttosto spontaneo dedurre che quell'astro e quel cane si riferissero alla stella Syrio; ben nota agli antichi anche con il nome di Canicola; in quanto la stella più luminosa fa parte della costellazione del Cane Maggiore[54]. E tale Syrio era identificata nell'antichità con la dea delle stelle; la dea Madre del culto orientale: dunque tra le altre la Sopedet egizia e l'Atargatis siriaca - anche detta dea Syria - il cui culto è stato attestato a Siracusa[58]. In base a questi legami, la studiosa Caltabiano sostiene che la scritta ΣΥΡΑ ovvero Syra, sia da indentificare con la divinità orientale Syria (l'equivalenza tra la forma lessicale Syria e Syra è stata attestata dagli antichi scoliasti[59]), associata alla stella Syrio, chiamata pure Sothis; dunque l'incisione monetale Syrasosia deriverebbe il suo nome da questa divinità orientale, la quale avrebbe avuto il compito di proteggere la polis aretusea[54][60]. Tuttavia risulta complesso capire se Ermocrate, e ancora maggiormente Dionisio I, volessero con queste emissioni monetali lanciare un messaggio strettamente politico-religioso, ovvero l'inizio di una nuova era sotto l'auspicio bene augurante della dea protettrice/salvatrice Syra, o se nelle loro intenzioni vi fosse anche un voler mettere in luce, per motivi d'orgoglio indipendente, le lontani origini arcaiche, così come sembrerebbe anche dalla ripresa di un'altra emissione monetale raffigurante sul retro un astro racchiuso dentro un quadrato incuso; il quale farebbe risalire alle emissioni più arcaiche delle polis[54][61][62]. Detta spiegazione potrebbe però rimanere solo un'affascinante ipotesi arcaica; Dionisio I infatti scolpì l'astro non solo accompagnato da questa ipotetica divinità femminile, ma lo fece incidere anche accanto a figure maschili, come l'Eracle, senza il nome di Syra. Gli studiosi sostengono che ciò stesse a significare la sua personificazione come personaggio pubblico da venerare; accompagnato dal simbolo religioso della stella[63][64].

Ma il culto che Dionisio I formerà accanto alla sua persona con queste emissioni, non oscura comunque un richiamo ben più antico alle origini siracusane; è bene ricordare infatti che anche in altri ambiti si sentirà parlare ancora dell'appellativo Syra accomunato ad Ortigia, e della divinità Astarte il cui nome, oltre che ad essere matrice di quello di Artemide (dea per eccellenza di Siracusa), sembrerebbe essere inoltre legato anche a quello della terra dalla quale provenirono i primi coloni siracusani: la Tenea corinzia.

Tra l'Odissea e l'Eneide

Negli omerici racconti

  Lo stesso argomento in dettaglio: Studi omerici su Siracusa.
 
Busto di Omero.

Nonostante il nome di Siracusa non venga mai citato espressamente nei testi di Omero - come del resto avviene per qualsiasi altra località omerica - gli storici hanno svolto diversi studi sulle frasi dell'Odissea, poiché sostengono che alcune espressioni geografiche e alcuni rimandi culturali, siano da attribuire ai luoghi siracusani[65].

Inoltre, poiché Omero è considerato il più arcaico dei grandi poeti greci, le sue citazioni risultano molto importanti per poter venire a conoscenza dell'assetto pre-ellenico e pre-corinziano di Siracusa. Il poeta greco antico Esiodo nomina, in un frammento di papiro, tra i luoghi omerici Ortigia e l'Etna[66], e sostiene che la rotta omerica sia da indentificare con quella dei marinai dell'Eubea; i primi a esplorare i confini occidentali[67][68][69].

È stato ipotizzato che fosse questa la prima patria dei Feaci e dei Lestrigoni, mitiche popolazioni siciliane; il Martorelli ha invece sostenuto nei suoi scritti che la Trinacria omerica non fosse la Sicilia, ma Ortigia; spiegando il tutto con un'ampia bibliografia volta a sostenere la sua interessante tesi. Ma il passaggio omerico più importante, e più studiato, per un'ipotetica arcaica Siracusa, è senz'altro quello del libro XV dove i personaggi omerici narrano l'esistenza di un luogo appellato Syra che sta al di sopra di Ortigia; luogo legato - come spesso accade quando si nomina Oritgia - alla nascita o al tramontare del sole, poiché caro ai gemelli degli astri, Apollo e Artemide, in quanto l'Ortigia (ovvero la Quaglia) era la loro terra natia.

(greco antico)
«τοῦτο δέ τοι ἐρέω, ὅ μ' ἀνείρεαι ἠδὲ μεταλλᾷς.νῆσός τις Συρίη κικλήσκεται, εἴ που ἀκούεις, Ὀρτυγίης καθύπερθεν, ὅθι τροπαὶ ἠελίοιο,»
(italiano)
«Eccoci or dunque a dirti quello, di che m'interroghi e cerchi. Evvi c'ert'isola, Siria nomata, se forse l'udisti, al di sopra di Ortigia, dove si volta il sole;[70]»

Passo molo discusso dagli studiosi, non si è fino ad ora trovato consenso sulla sua collocazione; si è persino ipotizzato che tale luogo non esista e che si tratti di omerica invenzione geografica[71]. Tra le analogie vi è anche un'omerica fonte Aretusa situata a Itaca, la patria di Ulisse[72]. Tra gli altri, lo scrittore inglese, Samuel Butler, ha valutato la possibilità di una Siracusa preistorica già esistente ai tempi di Omero:

(inglese)
«The names Syra and Ortygia, on which island a great part of the Doric Syracuse was originally built, suggest that even in Odyssean times there was a prehistoric Syracuse, the existence of which was Known to the writer of the poem.»
(italiano)
«I nomi Syra e Ortigia, sulla cui isola era stata costruita grande parte della Dorica Siracusa, suggeriscono che anche ai tempi dell'Odissea vi era una preistorica Siracusa, la cui esistenza era nota allo scrittore del poema.»

Il passo di Virgilio

 
I luoghi siciliani descritti da Virgilio nell'Eneide. Nel lato dove sarebbe sorta Siracusa vi sono evidenziati: Pantagias; Thapsus; Syracusae (ma l'Eneide nomina l'Ortygiam); Plemmyrium; Hylorus; Pachynum, per poi girare verso Camarina e proseguire il suo tragitto.

Scrive il poeta latino Publio Virgilio Marone nel libro III dell'Eneide:

(latino)
«Ecce autem Boreas angusta ab sede Pelori
Missus adest. Vivo praetervehor ostia saxo
Pantagiae, Megarosque sinusm Thapsumque jacentem.
Talia monstrabat relegens errata retrorsum
Littora Achemenides, comes infelicis Ulixi.
Sicanio praetenda sinu jacet insula contra
Plemmyrium undosum: nomen dixere priores
Ortygiam. Alpheum fama est huc Elidis amnem
Occultas egisse vias subter mare: qui nunc
Ore, Arethusa, tuo Siculis confunditur undis.
Jussi numina magna loci veneramur ; et inde
Exsupero praepingue solum stagnantis Helori.
Hinc altas cautes projectaque saxa Pachyni Radimus;[73]
»
(italiano)
«Allor che Borea da lo stretto a l'uopo
Di Peloro spirò. Varco le alpestri
Foci repente di Pantaia, i seni
Megaresi, ed in fin l'umile Tapso.
Questi lidi passò co l'infelice
Ulisse il Greco, ed or me li apprendea.
Contro a Plemmirio un'isoletta è posta
Che Ortigia si nomò. Narra la fama,
Per vie secrete Alfeo d'Elide l'acque
A le Sicule unir teco, Aretusa.
Ne venero gli Dii; trapasso i pingui
Campi d'Eloro e di Pachino i sassi.[74]
»

L'Eneide narra le vicissitudini dell'eroe troiano Enea, leggendario fondatore di Roma. Il suo autore, Virgilio, è nato molti secoli dopo rispetto a Omero. Quando egli pubblica il racconto delle origini romane, Siracusa e le sue sponde rappresentano un nome ormai ben noto al mondo greco-romano. Analizzando dunque i versi della sua epica narrazione, ambientata in tempo arcaico, bisogna comunque tenere conto del contesto storico; molto più avanzato di quello omerico, il quale poteva dirsi ancora in parte sconosciuto.

Virgilio non nomina Siracusa, poiché ai tempi dell'eroe troiano non era ancora giunto il fondatore Archia sulle sicule coste[75]. Ma nomina però molti dei luoghi che la circondano e che, stando alla tramandata testimonianza, esistevano già all'epoca della fine della guerra di Troia.

Enea - già noto ai miti dei greci - secondo Omero fondò un grande regno nella Troade, mentre secondo la versione più conclamata, ovvero quella virgiliana, fuggì via mare dall'Asia Minore per giungere infine nelle coste italiche del Lazio. Durante il suo tragitto costeggiò la Sicilia; ed è qui che la tradizione arcaica virgiliana nomina le future località siracusane. Enea, con i suoi compagni, presso l'Etna incontrò Achemenide - un compagno di Ulisse - che esortò i troinai a fuggire dalla terra dei Ciclopi e supplocandoli di portarlo in salvo con loro[76]. Achemenide condusse così i troiani nei nascenti luoghi siracusani, poiché sostenne di conoscerli, in quanto già una volta fece quel percorso marinaro con Ulisse di Itaca.

 
Visuale del litorale ovest del Plemmirio; nei tempi descritti da Virgilio qui doveva sorgere un insediamento pre-corinzio.

La compagnia partendo dunque dal fiume Pantagias, ovvero il golfo di Augusta, dove si trovava il seno megarese - il cui nome deriva da Megara Iblea, polis che sarebbe sorta all'incirca nel medesimo periodo della nascita eretusea - proseguì poi per Thapsos - definita nel poema virgiliano come umile, perché si sollevava di poco dal livello del mare (conformazione geografica che tale penisola ha tutt'oggi mantenuto) - località che in tempi arcaici rappresentava un importante villaggio preistorico. Il passo virgiliano cita poi il Plemmirio e lo definisce ondoso, perché è un promontorio che viene toccato dal mare[77]; anche se se qualcuno ha ipotizzato, erroneamente, che volesse riferirsi con questo aggettivo alla piena di un fiume siracuano; dalla voce plemmiria che in greco vuol dire inondazione[78]. Il termine Sicanio praetenda sinu sarebbe da tradurre con Siculo, poiché si sostiene che Virgilio si sia confuso con i nomi degli antichi popoli siciliani; unendo due stirpi invece separate[79][80], o facendole consanguinee[81][82] Giunsero quindi all'isola di Ortigia, e qui scesero a terra. Nota ai troiani era la leggenda di Aretusa e Alfeo. Essi infatti, presso la mitica fonte, sacrificarono agli dei, e solo dopo tale gesto si rimisero in viaggio. Lo scrittore e storico Antonio Spinosa ha così immaginato il passo virgiliano nella nascitura Siracusa:

«La flotta iliaca costeggiava infine l'isoletta di Ortigia nel tratto di mare in cui, alcuni secoli più tardi, Archia, un nobile di Cortinto, si sarebbe posto alla testa di un gruppo di valorosi e avrebbe fondato la potente città di Siracusa. Soltanto la nave di Enea si avvicinava alla costa per approvvigionarsi di acqua, e difatti proprio su quell'isola sgorgava una limpida e fresca sorgente. Ascanio scendeva a terra con il padre e con il nonno, seguiti da alcuni uomini armati, essendo il pericolo ognora in agguato[83]

La leggenda sulla fondazione

  Lo stesso argomento in dettaglio: [[Leggenda sulla fondazione di Siracusa]] e [[[[Archia (mitologia)#Mito|Archia (mitologia) § Mito.
 
Artemide, poi Diana; la dea delle Ortigie - poiché nell'Egeo vi erano altre isole così denominate - cui la leggenda etolica fa riferimento, e alla quale sarebbe legata l'origine elida aretusea.
«Circa l'anno del mondo 2920, Corinto aveva acquistata una gran potenza sul mare. La navigazione perfezionandosi conduce a fare delle scoperte, accresce il commercio e fa stabilire le colonie. Ciò avvenne a' Corinti. Appena conobbero la Sicilia, che nutrirono il progetto di popolarla con gli abitanti del Peloponneso. Archia, discendente di Ercole, vi fu spedito con una flotta fornita di tutto quello che bisognava per una tale impresa. Egli costrusse e popolò Siracusa, che per la sua fertilità e per la sicurezza del suo porto divenne presto la città più florida della Sicilia.»

Ancor prima di Archia, si narra che vi giunsero gli etoli dall'Etolia[85], e poi ancora gli elidi da Olimpia[86], i quali portarono in questa terra il famoso mito della dea Artemide e della ninfa Aretusa. Poi, in un tempo di incerta datazione, vi guinse il corinzio Bacchiade-Eraclide, proveniente da Corinto. Egli dopo essere stato espulso dalla sua patria a causa dell'uccisione di Attenone, e dopo aver consultato l'oracolo di Delfi, venne a sapere di dover fondare una città «là dove la bocca si spande dell'Alfeo, che unisce le acque alla sorgente di Aretusa amena[87]» ovvero presso Ortigia. Vi approdò con i suoi coloni, i quali provenivano in maggior parte da Tenea, borgo della regione corinzia che Aristotele[88] e Pausania il Periegeta[89] fanno risalire a origini troiane, in quanto i suoi abitanti erano discendenti dei prigionieri di Troia catturati da Agamennone e trasferiti nei pressi di Corinto.

Nacque quindi Siracusa, e da subito si erse in potenza e ricchezza, poiché secondo Strabone, la sibilla delfica aveva domandato ad Archia cosa di più egli desiderasse per la futura colonia: ricchezza o salute, e il corinzio scelse la ricchezza[90]. La leggenda sulla fondazione a questo punto si divide in varie versioni: secondo lo scoliasta di Pindaro, Archia aveva già trovato edificate le città-quartiere di Neapolis, Acradina, Tiche ed Epipoli, oltre all'appena conquistata Ortigia; dalla loro sottomissione e dalla loro unione sarebbe nata la polis di Siracusa, nome che le comprendeva tutte nel suo nucleo: sia la terraferma che l'isola.[91]. Interessante è la versione dello storico bizantino Giuseppe Genesio, secondo la quale Archia avrebbe svolto solamente il ruolo di conquistatore, mentre l'atto della fondazione sarebbe dovuto alle sue due figlie che egli ebbe nella nuova colonia: Syra e Akousa, le due fondatrici, dalle quali scaturì il nome di Siracusa[92][93].

La ktisis di Siracusa

Dati archeologici del territorio

  Lo stesso argomento in dettaglio: [[Periodo protostorico del territorio (Siracusa).
La Penisola di Magnisi - vista dall'alto e dal lato frontale - chiamata anche Thapsos; posta a nord di Siracusa. Essa è una delle testimonianze più importanti del periodo pre-greco siciliano.

Prima dell'invio di contingenti greci nell'isola di Sicilia, è opinione diffusa tra gli studiosi il ritenere che vi fu un intenso rapporto commerciale, esplorativo e di analisi del territorio, per poi stabilire quando e se fosse il caso di colonizzare la terra di cui si era sentito parlare o che si era già veduta precedentemente. Tale teoria è supportata dall'archeologia che ha rinvenuto sul posto materiali d'origine greca in età arcaica.

Prova di presenza greca pre-corinzia a Siracusa la si è trovata presso la Necropoli del Fusco (territorio urbano) dove è stato rinvenuto un ampio cratere - che ha dato il nome alla bottega detta «dei crateri del Fusco» - risalente alla prima metà del VII sec. a.C. e proveniente con molta probabilità da Argo[94]. E sempre nella medesima è stata ritrovata una delle due anfore d'origine greca, definite come le più antiche del Meditteraneo centrale; di provenienza cicladica[95][96][97]. Alla base di queste frequentazioni ci sarebbero gli eubei; i primi popoli egei a varcare il confine occidentale. E vi sono testimonianze archeologiche della loro presenza sul territorio aretuseo: si pensi ad esempio all'importante ceramica ritrovata nell'entroterra siracusano a Castelluccio, tra Noto e Palazzolo Acreide[98]. E una precoce presenza euboica a Siracusa spiegherebbe, secondo diversi storici, l'anomalia dei nomi siracusani come Ortigia e Aretusa, e alfabeto arcaico, che non mostrano affinità con i corinzi ma piuttosto con quella sfera orientale ionico-euboica[98].

Oltre la testimonianza archeologica di un approccio pre-coloniale dei greci verso il territorio, bisogna comunque tenere presente che l'intera area di Siracusa, in maniera sparsa, era già da tempo abitata dalle popolazioni dette native del posto; località poste al sud come la Necropoli del Plemmirio[99], e Ognina, nella quale si è ritrovato - con gli scavi di Bernabò Brea - un raro esempio di tomba dell'età del Bronzo che collega la cultura siracusana a quella maltese[100], e località poste al nord come Thapsos, dove venne rinvenuta una notevole quantità di reperti d'origine micenea[101], e dove si attestò una cultura - detta di Thapsos - che si scoprì presente in vasta parte della Sicilia, facendo pensare alla possibilità di una colonia mista tra siciliani e micenei[101]. Ma ancora numerosi siti proprio all'interno dell'area urbana siracusana[102][103], passando ai più vasti, posti in zona extra-urbana, ma pur sempre nelle vicinanze del territorio come la Necropoli di Cassibile - la quale ebbe un tale sviluppo che passò in proverbio tra gli archeologi per determinare un periodo cronologico: facies di Cassibile, e il sito pre-greco più vasto di tutti: Pantalica, la cui estensione archeologica l'ha portata ad essere considerata come "la Necropoli più grande d'Europa"[104][105]. La maggior parte di questi siti risale al tempo in cui i siculi - popolo d'incerta origine - vi vennero ad abitare stabilmente, all'incirca dal XV secolo a.C.. E fondando numerosi centri poterono diffondere la loro cultura, la quale divenne egemone per l'isola; al punto tale che la storiografia narra di un mitico re Hyblone che concesse ai primi coloni greci giunti da Megara, la fondazione di una colonia sul suo terriotorio[106]:

 
Pantalica; la Necropoli più vasta del continente europeo - dichiarata dall'Unesco Patrimonio dell'umanità - posta sulla Valle dell'Anapo, con le sue 5.000 tombe e il cosiddetto Palazzo del principe (Anaktoron), rappresenta ancor oggi una grande fonte di notizie sul periodo pre-greco siciliano, e al contempo si lega agli inizi della storia siracusana, poiché la sua fine coincide con l'approdo dei coloni provenienti da Corinto[107].
«cæteri vero Thapso expulsi, duce Hyblone Rege Siculo, qui regionem prodiderat, Megara, quae Hyblæa vocabantur, condiderunt.»

All'alba della colonizzazione, e prossima fondazione, la situazione di Siracusa appariva dunque complessa, poiché i greci non andavano a trovare certamente un luogo non interessato da attività socio-culturale pre-ellenica, di grande rilevanza sul territorio.

L'incontro tra greci e siculi

Tra le discordanti date che vedono la fondazione di Siracusa, presumendo quella tardiva, che pone l'arrivo greco in loco dopo la fondazione di Nasso e Megara, una spiegazione può essere colta dalle parole di Strabone, quando il geografo spiega che prima di Teocle - mitico fondatore di Nasso - nessun greco aveva osato venire in Sicilia a fondare colonie a causa delle pericolosità del tragitto, dovuto all'incognita dei pirati del Tirreno, e a causa della crudeltà dei barbari dell'isola[108][109]. A ciò doveva aggiungersi il fatto che i greci colonizzatori preferivano trovare un luogo disabitato al loro arrivo, per evitare probabili scontri con la popolazione locale[110]. Tutto questo avrebbe potuto dunque allontanare in un primo momento il desiderio dei greci per la costa siracusana, poiché essa - pur avendo in sé tutte le caratteristiche primarie adatte alla fondazione - era però ben circondata da insediamenti abitativi già esistenti.

Un preludio che troverebbe conferma nei passi di Strabone e Tucidide. Il geografo di Amasya asserisce:

«Porro Archiam, quum in Siciliam navigaret, Cliersicratcm ex Heraclidis ortum ducentem cum exercitus parte reliquisse»

Egli informa dunque che un esercito, posto agli ordini di Archia, stava navigando diretto in Sicilia, a parte i coloni. E le intenzioni, o il preavviso, bellico viene confermato da Tucidide, il quale riferisce:

(inglese)
«Syracuse was founded the year afterwards by Archias, one of the Heraclids from Corinth, who began by driving out the Sicels from the island upon which the inner city now stands, though it is no longer surrounded by water [...]»
(italiano)
«Siracusa venne fondata un anno dopo [di Naxos] da Archia, uno degli Eraclidi provenienti da Corinto, il quale cacciò prima i Siculi da quell'isola [Ortigia] che, oggi non più cinta dal mare, forma l'interno della città.»

Il mitico fondatore Archia trovò quindi le resistenze degli abitanti locali che non volevano cedere all'egemonia greca, la quale adesso pretendeva il controllo del luogo. Tralascinado la leggenda dell'esilio dell'ecista corinzio, è autorevole parere degli storici Manfredi e Braccesi, il ritenere che quando un capo della spedizione si recasse presso il Santuario di Apollo a Delfi, lo facesse dietro esplicito consenso della propria città. Dunque Corinto sapeva della prossima spedizione siracusana, e fornì i coloni di tutto il necessario per affrontare una simile impresa, da cui anche l'armamento bellico. Inoltre, lo stesso Santuario dove le sibille avevano le visioni, sarebbe stato in realtà un luogo di grande conoscenza e sapienza, poiché il sito sacro al dio del sole, raccoglieva una vasta quantità di informazioni provenienti dall'estero; geografia, società e cultura dei luoghi dove poi sarebbero stati mandati i coloni sotto esplicita richiesta dell'oracolo delfico, il quale in questo modo si assicurava il rispetto dei viandanti:

«Tali interpretazioni dovevano quindi basarsi, oltre che sul timore reverenziale dei postulanti anche su notizie precise e documentate delle situazioni dei territori verso i quali si indirizzava la migrazione di un gruppo.»
 
Un vaso della facies di Pantalica; conservato presso il Museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa, rappresenta la fase finale di Pantalica (bronzo recente). In seguito gli indigeni siculi sarebbero stati influenzati nell'arte dai nuovi coloni greci.

Il caso di Siracusa è dunque uno di quelli dove avvenne uno scontro bellico per poter entrare in una terra nuova e portarla sotto il proprio controllo. Siculi e nuovi coloni siracusani dorico-corinzi non ebbero un approccio pacifico composto da alleanze terriere. Strabone[111] riferisce che i nuovi coloni deportarono i siculi, o li scacciarono, verso l'entroterra, non permettendo loro di restare in maniera egemone sulla costa.

Del difficile rapporto tra i due popoli parlerà anche Alcibiade, il quale - riferisce Tucidide[112] - durante la guerra del Peloponneso, cercando alleanze contro Siracusa, era convinto di ricevere il favore dei siculi, poiché questi mal sopportavano il controllo siracusano:

«Tale è dunque la situazione della Sicilia, sulla base di quanto mi viene detto, e diverrà sempre più favorevole, che avremo anche molti barbari i quali, per odio verso i Siracusani, collaboreranno al nostro attacco contro di loro.[113]»

All'ateniese si oppone Ermocrate, il quale cerca invece di unire i popoli della Sicilia sotto un'unica bandiera contro le mire espansionistiche di Atene, e per far ciò ricorda al Consiglio dei popoli riunitosi a Gela (anno 424 a.C.) che essi non erano di sola stirpe greca, ma bensì erano il frutto di unioni tra popolazione autoctona e coloni dell'Egeo: «noi non siamo né dori e né ioni, ma sicelioti» dirà il generale siracusano sancendo per la prima volta quel termine e rivendicando così autonomia culturale dalla madrepatria[114].

La frase ermocratea trarrebbe le sue radici proprio all'inizio della colonizzazione greca, quando le culture indigene e coloniali si incontrarono. La maggior parte degli studiosi afferma infatti che un'unione tra essi doveva essere necessaria ad assicurare un futuro alla nuova colonia. La spedizione dei greci - tranne rare eccezioni - era totalmente composta da uomini, dunque il problema della presenza femminile andava risolto sulla nuova terra[115]. Il contatto tra i due popoli poteva avvenire in due diverse modalità: vi era la maniera pacifica, con scambi, doni, proposte di matrimonio tra influenti mebri locali, che generalmente sancivano poi una convivenza tranquilla tra la colonia greca e l'elemento autoctono; oppure vi era la maniera conflittuale, ovvero i coloni greci rapivano contro la volontà dei locali le donne portandole nella colonia[116]. Siracusa, stando alle fonti antiche, rientrerebbe nel secondo caso[115].

Gli storici ritengono infatti attestata la consuetudine dei matrimoni misti[115]; poiché nonostante posteriormente i greci avessero effettuato una chiusura all'elemento autoctono, prediligendo l'unione solo tra di essi per preservare la grecità, ciò non avvenne all'inizio della vita coloniale quando, per la sopravvivenza, dovettero assicurarsi la presenza di donne, anche se non erano greche[117]. Presenza sicula femminile nella Siracusa greca è stata trovata ad esempio nella necropoli del Fusco, la quale ha restituito oggetti e ornamenti indigeni databili intorno alla metà del VII sec. a.C.[118][119]. Purtroppo le fonti greche tacciono questo importante aspetto sulla nascita delle colonie, per cui ben poco si conosce del periodo che s'interpose tra la fondazione e le prime notizie storiche[120].

La fondazione e l'espansione

  Lo stesso argomento in dettaglio: Syrakousai e Prima tirannide siracusana.
 
Il Teatro Greco di Siracusa; tra i più vasti dell'antichità nel mondo greco occidentale, scavato quasi interamente sulla nuda roccia calcarea - nota come pietra bianca di Siracusa[121] - con la quale venne costruita grande parte della città[122]:
«...la pietra calcarea (soprattutto il calcare tenero, dal caratteristico colore bianco tendente al giallognolo, proveniente dalle cave del siracusano[123]»
 
Una strada greca ad Akrai; storicamente attestata come la più antica colonia siracusana. Sita nell'entroterra ibleo-orientale, essa probabilmente stabiliva uno dei confini della Chora siracusana. Il sito ha restituito importanti reperti archeologici d'epoca greca.

La fondazione di Siracusa, com'è noto, si perde tra la leggenda: il mitico ecista Archia giunse sulla costa, battagliò con i nativi e s'impadronì del luogo. Tuttavia diversi storici ritengono che nelle parole del mito vi si celi della verità, poiché esso sarebbe divenuto tale solo in seguito, quando venne arricchito di particolari mitici, consoni all'importanza acquisita e alla tradizione del tempo[124]. Per cui vi è chi pensa che personaggi come Archia siano esistiti realmente e abbiano giocato un ruolo storico importante per la futura polis; probabilmente si trattava di navigatori esperti, dei guerrieri, capitani della marineria euboica o corinzia, le quali in quel tempo detenevano il primato sui mari[125].

Gli storici, tralasciando la leggenda, sostengono che chiunque abbia fondato questa colonia, lo abbia fatto spostandosi poco alla volta sulla terraferma; dunque dopo l'avvenuta conquista di Ortigia, i coloni pensarono a conquistare ed edificare la terraferma.

Per muoversi dal mare di Ortigia alla costa siracusana, i nuovi coloni costruirono un argine di pietre, divenuto in seguito un vero e proprio ponte che portò l'isola a non essere più cinta ovunque dal mare, come informa Tucidide[126].

Popolarono inizialmente l'Acradina, detta terra dei peri selvatici, che divenne in breve tempo la parte più ampia della nuova polis. In base ai sepolcri di periodo greco ritrovati sull'adiacente terreno dell'Acradina, si è inoltre ipotizzato che il primo abitato di Siracusa terminasse lì e non oltre, poiché i greci erano soliti edificare l'area sepolcrare fuori dalla zona urbana[127].

Sulla zona del Temeno (futura Neapolis), a quei tempi ancora disabitata, sulla sommità del colle detto Temenites (luogo sacro), sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, e gli studiosi sostengono che esso fosse stato eretto dai primi coloni - analoga situzione di Naxos - che dedicarono un'enorme statua all'Apollo Archegeta, il protettore dei colonizzatori[127]. Area sacra (o Bosco sacro) dedicato ad Apollo, della quale riferià in futuro anche Cicerone: «Apollinis, qui Temenites vocatur, pulcherrimum et maximum»[127]

In base agli studi archeologici condotti, sappiamo che le case dei primi coloni siracusani erano composte da un solo vano[128], da ciò gli studiosi deducono che esse non fossero state costruite per ospitare un'intera famiglia, ma bensì singoli individui; dato che consisterebbe in un chiaro indizio per constatare che alla nuova polis mancavano ancora le donne e gli schiavi[128]. La prima popolazione siracusana sarebbe stata composta da coloni provenienti per la maggior parte da Tenea - così come informa Strabone[129], tralasciando la componente mitica della loro origine - ed essendo quella località un vasto borgo rurale della regione corinzia, essi, sapienti contadini, portarono il loro mestiere sulle fertili terre aretusee e qui si dedicarono all'agricoltura[130], facendo prosperare in breve tempo l'economia siracusana, favorendone dunque l'espansione, la quale portò ad una trasformazione della società. Venne integrata sempre più la monodopera degli schiavi. Essi infatti fluivano nella chora siracusana provenendo dai villaggi dei barbari, ovvero delle popolazioni autoctone sconfitte in battaglia[131]. Più grande diveniva il confine siracusano, più ondate di coloni giungevano nella polis, e dunque maggiore diveniva l'importo della schiavitù.

Secondo diversi storici Siracusa rappresentò uno degli esempi più antichi dello sfruttamento di schiavi, perpetrato dai coloni a danno delle popolazioni indigene[132], le quali non avendo la moderna conoscenza della guerra, così come l'avevano acquisita i greci, dovettero soggiacere ad essi, e l'impatto tra una realtà relativamente pacifica come quella locale, e la venuta di una società articolata e schiavista come quella greca, fu probabilmente devastante[133]. Grazie agli scritti di Aristotele conosciamo alcuni dettagli della società arcaica siracusana (della quale però rimangono solo pochi frammenti); nella politeia - divulgata attraverso Erodoto[134] - si parla infatti del conflitto interno tra i Gamoroi e Killichirioi; costoro erano il frutto del primo periodo di vita della polis: tra le fila dei primi si contavano i proprietari terrieri che si facevano discendere dai coloni corinzi; tra le file dei secondi vi era invece la popolazione asservita, e si facevano discendere dai siculi. Nulla sappiamo inoltre della forma di governo che vi era inizialmente nella polis: alcuni hanno ipotizzato che il suo fondatore, Archia, vi introdusse l'oligarchia, che vigeva nel medesimo periodo anche in Corinto[135][136]. Pindaro si limita a dire che fosse governata da leggi doriche.

File:Sicilia sud orientale citta' V sec ac.jpg
Le colonie greche sono raffigurate di colore rosso. Le sub-colonie fondate dai siracusani sono: Eloro, d'incerta data d'origine[137]; Acre, fondata nel 663 a.C.[138][139]; Casmene, fondata nel 643 a.C.[140][139]; Kamarina, fondata nel 599-598 a.C.[141], la quale chiude la prima fase storica dell'espansione aretusea.
«Tuttavia assomigliandosi gl'istituti delle colonie a quelli della metropoli, e ritenendo sempre i posteri gli studj e le arti de' maggiori, assai ne gioverebbe il conoscere quali veramente si fossero le condizioni delle repubbliche di Cortinto, di Siracusa, d'Epidamno, di Leucade e d'Apollonia, moderate tutte da leggi doriche, e unite, per la comuni origine, di consanguinità a quella dei Corciresi.»

Gli stessi interrogativi del Mustoxidi se li sono posti molti altri studiosi del periodo, come il de Pastoret, il quale attinge nella leggenda e si rammarica che debbano passare ben due secoli prima che le fonti greche rischiarino concretamente le vicende siracusane più arcaiche[142].

«I Corintii che seguirono Archia si sottomisero forse alla sua autorità? ebb'egli figliuoli ai quali la trasmise? come fu governata codesta nascente colonia? L'ignoriamo.
Più di due secoli scorrono prima che barlumi meno incerti splendano sulla storia di Siracusa, e, cosa affliggente a pensarlo, tosto che l'oscurità sparisce, quasi sempre si scorgono le fazioni e la tirannia.»

Con il passare del tempo, a causa dell'espansione militare greca, sull'isola scomparvero improvvisamente molti floridi centri indigeni; esempio di violenta scomparsa nel siracusano - VII sec. a.C. - è rappresentato dalla necropoli del Finocchito, posta in territorio netino, distrutta dai siracusani durante la loro risalita del fiume Anapo[143][144]. Più misteriosa risulta invece essere la fine di Pantalica, definita la capitale dei siculi.

Anche il primo periodo siracusano risulta essere del resto abbastanza misterioso; rare sono le fonti antiche che si sono concentrate sulle prime manovre socio-politiche di Siracusa. Ciò ha dato avvio a diverse congetture riguardo alla nascita delle prime sub-colonie aretusee: Eloro, Acre, Casmene, Kamarina. Alcuni storici si domandano ad esempio come sia stato possibile che una colonia sorta solamente nella seconda metà del secolo 700 avesse fondato, pochi decenni dopo, già due o tre colonie, e lo avesse fatto immettendosi senza indugiare nell'area maggiormente popolata dai nativi dell'isola; sintomo di vasta espansione interna ed esterna[145]. Costoro ipotizzano dunque che la data di fondazione presunta non corrispondesse al vero, e che in realtà lo sviluppo siracusano partì in tempo molto più antecedente di quello riportato dalle fonti storiche:

 
I Santoni di Akrai, figure rocciose raffiguranti la Magna Mater, ovvero la Grande Madre; la dea Cibele, il cui culto pervenne in Sicilia attraverso l'Asia Minore, da Troia, e trasmesso dai siracusani ad Akrai, dove sorse il più grande complesso sacro dedicato a tale culto[146].
 
La Kore in trono con colomba proveniente dal Monte Casale ove sorse Casmene, la seconda più arcaica colonia dei siracusani in ordine di datazione storiografica; edificata sulla pietra lavica del monte, fungeva da postazione di controllo tra le due valli degli iblei: Anapo ed Irminio[147].
«... se Archia fu il fondatore di Siracusa, come fu possibile, che la Città di là a settant'anni fosse stata bastante a fare due Città in un istesso anno, l'una ventiquattro miglia discosta, l'altra più di settanta miglia, e poi nel centro dell'isola? ... benche intorno a cento trentacinque anni dopo l'abitazione di Siracusa, massivimente ritrovandosi all'hora in Sicilia reliquie di Sicani, Fenici, Siculi e d'altre nationi barbare, e discordanti? Non è simile al vero, che una Città dal principio della sua fondazione in così breve spazio di tempo crescesse in tanta grandezza, e potenza [... ]bisogna dire che il suo nascimento non cominciò da Archia, ma molte centinaia d'anni prima [...][145]»

Ma per altri studiosi vi sarebbe invece una concreta spiegazione a queste precoci fondazioni da parte di Siracusa tutt'intorno ad essa; fu per necessità di difesa il suo avanzare velocemente verso i territori dell'entroterra siciliano, e scelse le alture, come Akrai, per poter avere una visuale completa di ciò che vi era oltre quelli che lei definì come suoi confini[148][149]. Tale difesa non sarebbe stata rivolta solo alle popolazioni indigene, quali siculi o sicani, che ancora numerosi minacciavano l'egemonia della neonata colonia, ma anche a frenare l'espansione di altre realtà greche, vicine per posizione geografica a Siracusa; come Gela. Ciò sarebbe testimoniato dalla fondazione dell'Eloro, presso il fiume Tellaro, nel tavolato a sud di Siracusa, i cui moderni studi potrebbero dimostrare l'edificazione di tale colonia come avamposto siracusano già dall'VIII sec. a.C.[150][151] Tale data, oltre ad alzare la fondazione della polis, farebbe supporre diversi motivi, non solamente militari, che portarono i siracusani alla fondazione, quasi contemporanea a quella della madrapatria, della subcolonia elorina. Vi è chi ha ipotizzato che la fretta degli eretusei fosse dovuta al timore che, data la fertile zona, altri coloni elleni vi potessero giungere per primi, circondando pericolosamente le vicine mura di Siracusa[152]. Ovviamente non essendovi antiche fonti che spiegassero le motivazioni e le modalità che portarono alla fondazione di quella che venne definita come la vasta Chora siracusana, si può solo ipotizzare, trovando numi nei reperti archeologici del periodo. Appare comunque evidente, dai medesimi reperti, che tali subcolonie non ebbero un'unica funzione militare, poiché furono abitate stabilmente e accrebbero una società dedita anche all'arte, come ci rendono testimonianza i numerosi resti culturali da esse provenienti. Non dotate di autonomia politica, esse accolsero larghi numeri di coloni siracusani[153] e popolazione servile autoctona. Rappresentando l'inizio della storia egemone di Siracusa. Più avanti sarebbero sorte le prime ribellioni, come quella di Kamarina, divenuta troppo fiera per accettare il controllo aretuseo; vi sarebbe stato l'avvento della Tirannia con l'antica casata dei Dinomenidi; sarebbe sorto il conflitto, destinato a durare per molti secoli, tra le due forze maggiori della Sicilia: Siracusa contro Cartagine, la capitale fenicia che controllava la parte occidentale della Sicilia. Uno scontro bellico che avrebbe coinvolto l'intera isola[154].

Aneddoti sul periodo arcaico

L'Archia argivo e il borgo di Tenea

Storici come Eugenio Manni[155], considerando la non indifferente quantità di indizi che collegano in un modo o nell'altro (attraverso l'archeologia e attraverso le fonti antiche) Argo a Siracusa, hanno ipotizzato che la leggenda che vuole Archia un corinzio di nascita e dunque un Bacchiade-Eraclide, fosse in realtà da rivedere in chiave argiva. Per questo motivo, alcuni sostengono che il Marmor Parium si fosse equivocato stabilendo che Archia era un Bacchiade di Corinto, mentre in realtà egli era solamente in stretti rapporti con tale nobile famiglia; ciò spiegherebbe anche l'anomalia del comportamento di Melisso, padre di Atteone, che non aveva voluto concedere suo figlio ad un nome tanto importante come quello degli Eraclidi. Il borgo di Tenea - il più esteso delle regione corinzia - sarebbe stato in origine appartenente all'Argolide, e solo dopo la sconfitta del re argivo Fidone, sarebbe passato alle insegne corinzie[155][156]. Dunque Archia, che avrebbe risieduto in Tenea - dal quale preleverà il maggior numero dei suoi coloni[155] - era un argivo e come lui lo erano tutti i teneati che, proprio a causa della sconfitta di Fidone e dell'annessione della loto terra a Corinto, furono costretti all'esilio. Col passare del tempo la situazione politica corinzia si stabilizzò, ed essendo la metropoli divenuta ben più nota del suo borgo, i coloni di Siracusa si dissero solamente corinzi, così come solamente corinzia si disse la sua origine[156]; dimenticando l'importante componente argiva che l'aveva fondata. Ciò rimane ovviamente solo una delle tante ipotesi che girano intorno al periodo meno noto e più arcaico di Siracusa.

I compagni di Archia

«Non erano meno formidabili i Corinti venuti con Archia, giacchè oltre la vaga e general fama che si avea del valore dei Greci, e principalmente degli abitanti di Corinto, una delle più antiche e più importanti città della Grecia, Archia per sè stesso, e i suoi nobili compagni Teleso, Ezioco, Melituto, Etiope e Bellerofonte, erano tanti prodi campioni, che sapeano ben menare le mani, e sostenere la virtù greca.»
 
Rappresentazione attica dell'eroe Bellerofonte che cavalca Pegaso e attacca la Chimera. Il cavallo alato venne poi scolpito nelle monete di Corinto, e in quanto sua discendente, in quelle di Siracusa:  
 
Campo di grano a Siracusa.
Per alcuni storici l'aneddoto di Etiopo che baratta il suo lotto di terra in cambio di un dolce al miele, è prova che la colonia siracusana fosse inizialmente una società fortemente agricola; poiché i suoi coloni provenivano da Tenea, il quale era un villaggio rurale e non una metropoli, e questi vollero riprodurre la società agricola nelle terre aretusee, incominciando dall'assegnazione dei terreni[157].

Secondo la leggenda, con Archia viaggiarono altri suoi compagni corinzi che lo seguirono fino a Siracusa: Teleso, Ezioco, Melituto, Etiope e Bellerofonte. Di costoro, solamente su uno non ci perviene alcuna notizia; Ezioco, che viene citato solo come nobile compagno corinzio. Dei restanti quattro giunge invece per ciascuno un diverso aneddoto. E infine, pur non essendo menzionato tra i compagni viaggiatori di Archia, le fonti sostengono che tra loro vi fosse anche il poeta corinzio Eumelo.

Bellerofonte e Pegaso

(francese)
«Commande à ceux qui t’appartiennent,
Et non à des Syracusaines. Sache que nous sommes Corinthiennes d’origine,
comme Bellérophôn lui-même. Nous parlons
Péloponésien. Il est permis, je pense,
Aux Doriens de parler dorien.»
(italiano)
«Ma tu, perchè lo sappi, il tuo comando
Volgi a Siracusane. Abbiam la nostra
Radice antica da Corinto, ond'era
Bellerofonte ancor. Usiam favella
Peloponnesia, e lice, parmi, ai Dori
In dorico parlar.»

Bellerofonte era un eroe di Corinto; egli aveva preso questo nome perché aveva ucciso il tiranno corinzio, Bellero. Divenne leggendario affrontando la Chimera, che egli sconfisse con l'aiuto del cavallo alato Pegaso, il quale venne da lui domato presso la fonte corinzia del Pirene. I siracusani, in quanto discendenti dei corinzi, mostrarono nelle loro monete il Pegaso alato, si pensa in memoria di Bellerofonte[160]. L'eroe viene nominato anche da Teocrito in uno dei suoi idilli, e viene posto come motivo d'orgoglio per le origini delle siracusane, protagoniste del dialogo. Oltre la possibile lettura numismatica, la leggenda narra poi che Bellerofonte fosse proprio venuto a Siracusa in compagnia di Archia[161][162], così come dice il Fazello:

«L'interprete di Teocrito nell'Edilia scrive, che Bellorofonte con tutta la stirpe degli Eraclidi venne con Archia da Corinto in Siracusa, e che l'abbitarono di compagnia.[163]»

Etiopo, Melituto e il baratto del miele

«Quel briccone di Melituto avaro quanto un fenicio vedendomi mal ridotto mi disse: Tu soffri o povero Etiopo: Se vuoi, mi disse, io ti offro il mio pranzo a condizione che tu mi ceda quella porzione di beni che ti toccheranno nella divisione delle terre che andiamo a conquistare nella Sicilia [...]»

Ateneo dice che dal poeta Archiloco[164] attinse l'aneddoto su tale Etiopo (o Etiope) che viaggiava con Archia, e che durante il viaggio verso Siracusa fu colto da fame e da ingordigia al punto tale che decise di barattare con l'altro compagno corinzio, Melituto, il lotto di terra che gli sarebbe spettato - dopo averlo estratto a sorte - giunto a Siracusa, in cambio di un pasticcio al miele[157][165].

Telefo e l'uccisione di Archia

Di Telefo sappiamo che fu l'assassino di Archia, in quanto nominato capitano delle sue navi, giunse in terra siracusana e dopo la fondazione della colonia, lo tradì e lo uccise. Pare per motivi di vendetta, poiché, narra Plutarco[166], Telefo fu da giovane cinedo di Archia, e nell'uccisione di Atteone aveva rivisto le sue pene, dunque cercò vendetta contro la prepotenza di Archia[167].

Eumelo il poeta

Di Eumelo di Corinto, bacchiade anch'esso, è lo scrittore greco antico Clemente Alessandrino a darne notizia come fonte primaria[168]. Tuttavia risulta di difficile interpretazione il passo alessandrino[169]; si pensa infatti ad un ambiguo significato da risolvere per quanto concerne il termine che vuole Eumelo "compagno di Archia"; potrebbe significare che Eumelo fosse contemporaneo di Archia, o ancora suo compagno di viaggio, o addirittura ecista nell'atto di fondazione[170][171][172]. Gli studiosi comunque concordano che se mai Eumelo ebbe compito a Siracusa, fu sicuramente quello di divulgare il sapere della sua patria corinzia in quella nuova siracusana. Negli studi di Manfredi e Braccesi, egli rappresenta infatti per i coloni l'elemento fisico da portare con sé come custode del sapere patrio:

«[...] forse proprio l'inviio delle prime spedizioni coloniare e la necessità per gli emigrati di portare con sé le proprie tradizioi culturali provocarono la prima messa per iscritto dei poemi omerici [...] Questo avrebbe evitato di trasportare materialmente al di là del mare il poeta in carne e ossa [...] sappiamo comunque che ciò avvenne, almeno in un caso documentato dalla tradizione, quando i Corinzi, guidati da Archia, portarono con sé il poeta ciclico Eumelo, membro dell'aristocrazia cittadina (Pausania, Periegesi della Grecia, II, 1, 1,) diretti in Sicilia per fondare Siracusa.»

Il Re Pollio

 
 
Per ben due volte l'uva, il vino, sono protagonisti delle leggende sull'origine siracusana; il vino importato dall'argivo Pollis, dal quale poi prese il suo mitico nome, e la vite importata dall'imperatore Probo, il Syrah, che secondo l'aneddoto diede il nome alla città.
«A Siracusa c'era il Pollio, che aveva preso il nome da un re del posto[173]»

Pollio era il nome di un antico vino siracusano che Claudio Eliano nomina tra i vini più apprezzati dai greci[174][175]. Egli dice inoltre che questa produzione prese il nome da un arcaico re di Siracusa, tale Pollio, o Pollis o ancora Pollide[176][177]. Da un frammento di Ippi di Reggio[178], citato da Ateneo, sappiamo che Pollide era nativo di Argo. Questo mitico re, che per la sua datazione sarebbe dunque il primo dei sovrani aretusei, introdusse, viaggiando dall'Italia in questa terra, la vite eileos (che si attorciglia), detta biblia, la medesima del Pollio, e da questa sostiene Ateneo sarebbe nato il più antico dei vini siciliani ed italici, il Biblio[173][179].

Eliano definisce l'argivo basileus enchorios, e tale ruolo di comando sarebbe stato confermato anche da Giulio Polluce nel suo Onomasticon, il quale attribuisce ad Aristotele[180] la notizia di questo mitico sovrano, non definendolo però argivo; poiché egli specifica che il nome del vino (il quale sembrerebbe dare origine al basileus e non viceversa[181]) potrebbe trarre le sue radici o da un Pollis di Argo o da quel Pollis re dei siracusani[181]. Mentre l'Etymologicum Magnum, redatto a Costantinopoli nel 1150 d.C., definisce questo Pollis come tiranno dei siracusani. Altro su di lui non dicono le fonti antiche.

La vite del Syrach e il nome di Siracusa

Vi è una curiosità che concerne l'ipotesi del termine Syrach, il quale attraverso la storia di un vigneto - precisamente quello del Syrah - spiegherebbe l'origine del nome di Siracusa. Pare infatti che l'imperatore romano, Marco Aurelio Probo, con le sue legioni, importando dall'Egitto questa vite - per trasportarla in Gallia - giunse nel territorio siracusano e da quella qualità di vino sarebbe scaturito il nome di Syrah - o Shiraz - esteso in seguito a tutta la città. Ma poiché le innumerevoli fonti greche attestano la già esistenza del toponimo siracusano molto prima del tempo di Roma, è chiaro che si tratti quindi di una leggenda che ambisce a narrare le origini della contesa vite del Syrah[182][183].

Note

  1. ^ Felix Jacoby, 1980, pag. 160-62.
  2. ^ Miller, 1970, pag. 88
  3. ^ Scipione, 1828, pag. 17.
  4. ^ Federica Cordano, Antiche fondazioni greche: Sicilia e Italia meridionale, 1986, pag. 41
  5. ^ Gabba, Vallet 1980, pag. 93.
  6. ^ Strabone, VI 2, 4 .269.
  7. ^ Luca Antonelli, Kerkyraiká: ricerche su Corcira alto-arcaica tra Ionio e Adriatico, 2000, pag. 59-60.
  8. ^ Megaresi che per Strabone parteciparono alla fondazione di Siracusa, dunque presenti già all'epoca della nascita aretusea: Strabone, VI, 2, 4.; fonte bibliografica moderna:Cordano, Di Salvatore, 2002, pag. 127.
  9. ^ Alessi, 1843, pag. 321
  10. ^ Braccesi, 1998, pag. 11.
  11. ^ Braccesi, 1998, pag. 10.
  12. ^ Archivio storico di Crotone, su archiviostoricocrotone.it. URL consultato il 26 agosto 2014.
  13. ^ Braccesi, 1998, pag. 10-11.
  14. ^ Tucidide, VI, 3, 1.
  15. ^ Eusebio, II, pag. 117.
  16. ^ Gabba, Vallet 1980, pag. 92.
  17. ^ Capozzo, 1840.
  18. ^ Bres, Ruga, Gaucher, 1816, pag. 182 nata n° 3.
  19. ^ Letronne, 1812, pag. 1.
  20. ^ Archivio storico siracusano, 1967, pag. 250.
  21. ^ Raleigh, Birch, Oldys, 1829, pag. 32.
  22. ^ Fazello (Nannini), 1573, pag. 116 in Libro Quarto - cap. I - Della città di Siracusa.
  23. ^ Mirabella, 1717, pag. 4.
  24. ^ Ciaceri, 1914, pag. 1.
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  37. ^ a b Delle antiche Siracuse..., pag. 137.
  38. ^ De fluminibus fontibus lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras libellus, cap. VI
  39. ^ Capodieci, 1816.
  40. ^ Si vedano Delle Antiche Siracuse, il Capodieci e il Gargallo.
  41. ^ Bochart, 1646, pag. 594-95.
  42. ^ D'Orville citato in Opere, raccolte e pubbl. dal professore F. Mocchetti, a cura di Carlo Castone G. Rezzonico (conte della Torre di Rezzonico.), 1817, pag. 336.
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  62. ^ La moneta in questione risalente all'epoca ermocratea e dionigiana:  .
  63. ^ Bonacasa, Braccesi, De Miro, 2002, pag. 45.
  64. ^ Per apprfondire la figura mschile con l'astro sulle monete, si vesa il capitolo Syra: l’astro e la regalità maschile in Moneta docet. SYRA o dell’Astro, su academia.edu. (Academia.edu) a cura di Maria Caccamo Caltabiano.
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  77. ^ Fazello (Nannini), 1573, pag. 288.
  78. ^ Visione non accettata dagli studiosi, in quanto già Tucidide prima di Virgilio aveva descritto il promontorio del Plemmirio, per cui sarebbe improbabile che il passo virgiliano non tenesse conto dei precedenti geografici già conclamati. Per un approfondimento sull'analisi di questo termine virgiliano, si veda I due libri della Siracusa illustrata, a cura di G. Bonanni, e Colonna, 1717, pag. 188 (Plemmirio Promontorio) e Dizionario topografico della Sicilia, Volume 2 , a cura di Vito Maria Amico, 1856, pag. 375.
  79. ^ Antonio Nibby, Roma nell'anno MDCCCXXXVIII [i.e. Milleotto-cento-trentotto], Volume 4, 1838, pag. 68.
  80. ^ P. V. Cova, Il libro terzo dell'Eneide, 1998, pag. 135.
  81. ^ Cesare Balbo, Clotilde Capparelli, Meditazioni storiche di Cesare Balbo, 1855, pag. 454, nota n° 1.
  82. ^ Interessante potrebbe risultare a tal proposito, la spiegazione della studiosa Alessandra Coppola (A. Coppola, 1995, pag. 103) su analoga vicenda tra siculi e sicani svolta nel Lazio di Virgilio, dove si dice che il poeta latino preferisca consapevolmente nominare i sicani e non i siculi, poiché i primi sono meno pericolosi politicamente dei secondi; troppo legati alle manovre siracusane del IV sec. a.C. sulle coste italiche.
  83. ^ Antonio Spinosa, La grande storia dell'Eneide, 2010, pag. 64-65.
  84. ^ Oliver Goldsmith, Compendio della storia greca ... fino alla riduzione della Grecia in provincia romana, versione dall'inglese, Volume 1, 1812, pag. 140.
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  106. ^ Per approfondire la storia di Megara Iblea vedi: Elio Miccichè, Megara Iblea: alla riscoperta dell'antica colonia greca : guida confidenziale, 2000.
  107. ^ Cordano, Di Salvatore, 2002, pag. 64.
  108. ^ Strabo 6, 2, 2 C 267 = Ephor. FGrHist 70 F 137a. Vd. anche [Scymn.] 264 = FGrHist 70 F 137b.
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  114. ^ Tucidide, VI, 77.
  115. ^ a b c Sulla questione dei rapporti sociali tra indigeni e coloni greci si vedano: Luigi Gallo, Colonizzazione, demografia e strutture di parentela, 1983 pp. 703-728; Manfredi, Braccesi, I greci d'Occidente, 1996, cap. I, II, III; Federica Cordano, Massimo Di Salvatore, Il Guerriero di Castiglione di Ragusa: greci e siculi nella Sicilia sud-orientale: atti del Seminario, Milano, 15 maggio 2000, 2002; Francesca Berlinzani, Convivenze etniche, scontri e contatti di culture in Sicilia e Magna Grecia, 2012, e l'ampia bibliografia annessa.
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  120. ^ Sull'interesse degli scrittori antichi greci per il rapporto sociale tra indigeni e coloni, si veda L'elemento indigeno nella tradizione letteraria sulle ktiseis a cura di Mauro Moggi, Persée, 1993, pp. 979-1004.
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Voci correlate

Collegamenti esterni