Utente:L'inesprimibile nulla/Sandbox 2

Aristide, figlio di Lisimaco, detto "il Giusto" (in greco antico: Ἀριστείδης?, Aristèides, in latino Aristides; Atene, 540 a.C. circa – Atene, prima del 462 a.C.), è stato un politico e militare ateniese, celebre avversario di Temistocle. Esistono due biografie antiche della sua persona, l'una redatta in latino da Cornelio Nepote, l'altra, ben più estesa ed affidabile, composta in greco da Plutarco, che attinsero a fonti più o meno affidabili per tracciarne un accurato ritratto.[1]
Biografia
Primi anni
Figlio dell'ateniese Lisimaco, la sua famiglia, di cui faceva parte a titolo di cugino anche Callia, politico ed atleta olimpionico, era antica e nobile.[2]
Battaglia di Maratona
L'opposizione a Temistocle, che segnò la sua ascesa politica, era dovuta non solo a convinzioni personali, ma anche al fatto che egli fosse sul piano politico un seguace di Clistene:[3] la prima fonte storica che affianca i due prestigiosi contemporanei è Erodoto, che afferma che combatterono assieme durante la battaglia di Maratona, Aristide come condottiero della tribù Antiochide e l'avversario a capo della Leontide, che vennero schierate su quattro ranghi invece che su otto.[4][5] Alla fine dello scontro, il solo Aristide, cui erano stati affidati il bottino e i prigionieri,[6] rimase sul campo dello scontro: secondo la tradizione storiografica, che a livello di questo passo viene contestata,[7] Milziade si era invece precipitato ad Atene per proteggere la propria città da una manovra d'aggiramento da parte dei nemici. Secondo Peter Krentz Aristide, rimasto sul campo di battaglia con le proprie truppe, ordinò di cominciare i preparativi per la cremazione delle salme degli Ateniesi dopo la partenza del resto dell'esercito: il luogo prescelto venne contrassegnato con uno strato di sabbia e di terra verdastra, sopra vi fu costruito un basamento in mattoni per la cremazione, largo circa 1 metro e lungo 5, che sostenne la pira. In quel luogo fu poi costruito il tumulo che divenne noto come "Soros", sulla cui cima furono apposte delle lapidi che riportavano i nomi dei 192 caduti divisi per tribù di appartenenza.[8]
Scontro con Temistocle
L'anno successivo, nel 489 a.C., forse in conseguenza del suo ruolo non secondario durante lo scontro, venne fatto arconte eponimo, come attestato dal Marmor Parium, stele che permette la ricostruzione dei più importanti eventi dell'antichità, in quanto riporta il ciclo delle Olimpiadi e il nome degli arconti ad Atene.[9] Secondo Plutarco nel 483 o nel 482 a.C., secondo Cornelio Nepote attorno al 486 a.C., subì l'ostracismo. Secondo una prima versione, a permettere questa procedura furono i suoi influenti nemici, che si era addotto semplicemente per la sua scrupolosa onestà e per la sua rigida opposizione alla corruzione. Secondo una seconda interpretazione, nel contesto delle concause avrebbe maggior rilievo l'opposizione che egli aveva opposto alla politica marittima e democratica del rivale.
[Guarda il testo di storia, per integrare col giudizio storiografico]
Secondo la tradizione, scrisse il proprio nome su uno degli ostraka, sotto la richiesta di un contadino analfabeta, ritenendo quest'ultimo, pur non sapendo chi fosse Aristide, che fosse inopportuno che un cittadino pretendesse di essere chiamato "Giusto" da parte dei compatrioti, dal momento che, secondo gli storici antichi, Temistocle aveva aizzato contro di lui la folla, inducendola a pensare che quell'appellativo fosse stato preteso da lui stesso. Come commenta Nepote, la pena non venne scontata per intero, nonostante le fonti antiche attestino che nel 480 a.C. la sentenza non fosse stata ancora revocata.[10][11] Secondo Erodoto, fu invece richiamato in patria per volontà della lega panellenica all'indomani della guerra.
[Guarda Erodoto per la sua versione]
Ostracismo e reintegro
Secondo Plutarco nel 483 o nel 482 a.C., secondo Cornelio Nepote attorno al 486 a.C., subì l'ostracismo. Secondo una prima versione, a permettere questa procedura furono i suoi influenti nemici, che si era addotto semplicemente per la sua scrupolosa onestà e per la sua rigida opposizione alla corruzione. Secondo una seconda interpretazione, nel contesto delle concause avrebbe maggior rilievo l'opposizione che egli aveva opposto alla politica marittima e democratica del rivale.
[Guarda il testo di storia, per integrare col giudizio storiografico]
Secondo la tradizione, scrisse il proprio nome su uno degli ostraka, sotto la richiesta di un contadino analfabeta, ritenendo quest'ultimo, pur non sapendo chi fosse Aristide, che fosse inopportuno che un cittadino pretendesse di essere chiamato "Giusto" da parte dei compatrioti, dal momento che, secondo gli storici antichi, Temistocle aveva aizzato contro di lui la folla, inducendola a pensare che quell'appellativo fosse stato preteso da lui stesso. Come commenta Nepote, la pena non venne scontata per intero, nonostante le fonti antiche attestino che nel 480 a.C. la sentenza non fosse stata ancora revocata.[12][13] Secondo Erodoto, fu invece richiamato in patria per volontà della lega panellenica all'indomani della guerra.
[Guarda Erodoto per la sua versione]
Seconda guerra persiana
Ultimi anni
Attestazioni minori
- Negli scritti erodotei viene descritto come il più virtuoso e più corretto tra i suoi compatrioti, ma anche come l'asperrimo nemico di Temistocle, che riuscì a farlo ostracizzare, come un uomo coraggioso e generoso laddove si parla della battaglia di Salamina,[14] e come l'oculato condottiero che permise la vittoria greca durante la battaglia di Platea.[15]
- Tucidide, che tuttavia dedica la sua opera massima a un periodo ben differente, quello della Guerra del Peloponneso, lo nomina in due occasioni, definendolo la prima come coambasciatore a Sparta assieme a Temistocle,[16] la seconda nell'espressione "la tassazione sotto Aristide" (in greco antico: τὸν ἐπ̓ Ἀριστείδου φόρον?).[17]
- Nel suo dialogo Gorgia, Platone lo addita quale esempio di una coppia di virtù secondo lui estremamente rara per i politici, quella composta da virtù e giustizia, e afferma che egli, agendo in questo modo, divenne estremamente famoso, non solo localmente, ma nell'intera Grecia.[18]
- Negli scritti di Demostene, e più precisamente nell'opera Contro Aristocrate, dove l'autore sostiene delle misure per ridurre la corruzione,[19] egli viene descritto come assessore ai tributi (in greco antico: φόρος?, phónos).[20]
- Eschine attesta in più punti, nelle opere Contro Timarco[21] e Contro Ctesifonte,[22] il fatto che fosse noto con il soprannome di "Giusto".
Materiale
Nonostante fosse ancora in esilio, è attestato che nel 480 a.C. andò da Egina, dove si trovava, a Salamina per avvertire Temistocle a riguardo degli spostamenti della flotta persiana, facendo appello a lui per la riconciliazione: secondo quanto da lui riportato, la flotta persiana era già entrata nello stretto la sera prima del combattimento.
Mentre i generali del Re cercavano di incalzare la flotta avversaria, gli ignari comandanti greci continuavano, invece, la loro riunione.[23] Aristide, generale ostracizzato dal popolo ma richiamato ai primi sentori della guerra, si recò da Temistocle e, chiamatolo in disparte, lo informò dell'assedio persiano, dicendo che neanche se i suoi uomini avessero voluto avrebbero potuto ritirarsi.[24] Dopo aver specificato come l'assedio persiano fosse stato favorito dalle scelte fallaci di Temistocle, questo invitò Aristide a riferire lui stesso la notizia ai generali, affinché quelli non credessero che stesse mentendo per interesse.[25] Riferita a tutto l'esercito l'evoluzione della situazione,[26] i generali greci si interessarono più che altro a una trireme che solo allora era arrivata da Tenea dopo aver disertato dall'esercito persiano.[27]
Trattandosi di una battaglia navale, quella di Salamina non vide grandi azioni campali, eccezion fatta per la piccola manovra condotta da Aristide sull'isoletta di Psittalia, che portò all'uccisione dei Persiani lì appostati.[28]
In the battle itself he did good service by dislodging the enemy, with a band raised and armed by himself, from the islet of Psyttaleia. In 479 he was strategus, the chief, it would seem, but not the sole (Plut. Arist. 11, but comp. 16 and 20, and Herod. ix.), and to him no doubt belongs much of the glory due to the conduct of the Athenians, in war and policy, during this, the most perilous year of the contest. Their replies to the proffers of Persia and the fears of Sparta Plutarch ascribes to him expressly, and seems to speak of an extant ψήφισμα Ἀριστείδου embracing them. (100.16.) So, too, their treatment of the claims of Tegea, and the arrangements of Pausanias with regard to their post in battle. He gives him further the suppression of a Persian plot among the aristocratical Athenians, and the settlement of a quarrel for the ἀριστεῖα by conceding them to Plataea (comp. however on this second point Hdt. 9.71); finally, with better reason, the consecration of Plataea and establishment of the Eleutheria, or Feast of Freedom. On the return to Athens, Aristeides seems to have acted in cheerful concert with Themistocles, as directing the restoration of the city (Heracl. Pont. 1); as his colleague in the embassy to Sparta, that secured for it its walls; as proposing, in accordance with his policy, perhaps also in consequence of changes in property produced by the war, the measure which threw open the archonship and areiopagus to all citizens alike. In 477, as joint-commander of the Athenian contingent under Pausanias, by his own conduct and that of his colleague and disciple, Cimon, he had the glory of obtaining for Athens the command of the maritime confederacy: and to him was by general consent entrusted the task of drawing up its laws and fixing its assessments. This first φόρος of 460 talents, paid into a common treasury at Delos, bore his name, and was regarded by the allies in after times, as marking their Saturnian age. It is, unless the change in the constitution followed it, his last recorded act. He lived, Theophrastus related, to see the treasury removed to Athens, and declared it (for the bearing of the words see Thirlwall's Greece, iii. p. 47) a measure unjust and expedient. During most of this period he was, we may suppose, as Cimon's coadjutor at home, the chief political leader of Athens. He died, according to some, in Pontus, more probably, however, at home, certainly after 471, the year of the ostracism of Themistocles, and very likely, as Nepos states, in 468. (See Clinton, F. H. in the years 469, 468.)
A tomb was shewn in Plutarch's time at Phalerum, as erected to him at the public expense. That he did not leave enough behind him to pay for his funeral, is perhaps a piece of rhetoric. We may believe, however, that his daughters were portioned by the state, as it appears certain (Plut. 27; comp. Dem. c. Lept. 491. 25), that his son Lysimachus received lands and money by a decree of Alcibiades; and that assistance was given to his grand-daughter, and even to remote descendants, in the time of Demetrius Phalereus. He must, so far as we know, have been in 489, as archon eponymus, among the pentacosiomedimni : the wars may have destroyed his property; we can hardly question the story from Aeschines, the disciple of Socrates, that when his poverty was made a reproach in a court of justice to Callias, his cousin, he bore witness that he had received and declined offers of his assistance; that he died poor is certain. This of itself would prove him possessed of an honesty rare in those times; and in the higher points of integrity, though Theophrastus said, and it may be true, that he at times sacrificed it to his country's interest, no case whatever can be adduced in proof, and he certainly displays a sense, very unusual, of the duties of nation to nation.
1 * Plutarch in his Aristeides refers to the authority of Herodotus, Aeschines the Socratic, Callisthenes, Idomeneus, Demetrius Phalereus, who wrote an Ἀριστέιδης (D. L. 5.80, 81), Ariston Chius, Panaetius, and Craterus : he had also before him here, probably, as in his Themistocles (see 100.27), the standard historian, Ephorus, Charon Lampsacenus, a contemporary writer (504 to 464, B. C.), and Stesimbrotus Thasius, Deinon, Heracleides Ponticus, and Neanthes; perhaps also the Atthides of Hellanicus and Philochorus, and the Chia of Ion."
http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide/
http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide_(Dizionario-di-Storia)/
- libretto
Note
- ^ Smith.
- ^ Fink, pp. 11-13, 192-193 (fonti).
- ^ Plutarco, 2.
- ^ Erodoto, VI, 111.
- ^ Plutarco, V, 3.
- ^ Plutarco, V, 4-5.
- ^ Fink, pp. 175, 178-181, 215-216 (fonti).
- ^ Pausania, I, 32, 3.
- ^ 50, in Marmor Parium.
- ^ Erodoto, VIII, 79.
- ^ Demostene, DCCCII, 1, 16, in Seconda contro Aristogitone.
- ^ Erodoto, VIII, 79.
- ^ Demostene, DCCCII, 1, 16, in Seconda contro Aristogitone.
- ^ Erodoto, VIII, 79, 82, 95.
- ^ Erodoto, IX, 28
- ^ Tucidide, I, 91.
- ^ Tucidide, V, 18.
- ^ Platone, 526a, b, in Gorigia.
- ^ Ernst Badian, Demosthenes: Statesman and Orator, The Road to Prominence, Worthington, Gennaio 2002, pp. 29-30, ISBN 0-203-18769-5.
- ^ Demostene, 689-690, in Contro Aristocrate.
- ^ Eschine, IV, 1, 23, in Contro Timarco.
- ^ Eschine, LXXIX, 1, 38; XC, 11, 18-20, in Contro Ctesifonte.
- ^ Erodoto, VIII, 78.
- ^ Erodoto, VIII, 79.
- ^ Erodoto, VIII, 80.
- ^ Erodoto, VIII, 81.
- ^ Erodoto, VIII, 82.
- ^ Erodoto, VIII, 95.
Bibliografia
- Fonti primarie
- Erodoto, Le Storie.
- Plutarco, Vite Parallele: Aristide.
- Pausania il Periegeta, Periegesi della Grecia.
- Fonti secondarie
- (EN) William Smith (a cura di), Aristeides, in Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, 1870.
- (EN) Dennis L. Fink, The Battle of Marathon in Scholarship, McFarland, 2014, ISBN 978-0-7864-7973-3.
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