Età dionigiana

termine usato per descrivere l'influenza dei tiranni di Siracusa Dionisio I e Dionisio II su Sicilia e Magna Grecia durante il IV secolo a.C.
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Con il termine età dionigiana (o anche epoca dionisiana) viene designato l'arco di tempo che visse la civiltà mediterranea, in particolar modo la Magna Grecia e la Sicilia, durante il IV secolo a.C., sotto l'influenza e l'operato dei due tiranni di Siracusa: Dionisio I e Dionisio II.

Dionisio e la Spada di Damocle: la storiografia si divide nello stabilire a quale dei due Dionigi la leggenda si riferisse
«Dionisio creò il più grande dominio d'Europa prima di quello macedone, e quindi una delle tappe miliari nello sviluppo dell'idea stessa di Stato territoriale nel mondo greco.»

Questo arco di tempo viene spesso considerato di fondamentale importanza per comprendere alcuni dei principi dell'epoca ellenistica, che si sarebbe affermata nel mondo antico pochi anni dopo la caduta della tirannide dionigiana.[N 1]

L'apertura verso l'elemento barbarico; il concetto, in forma embrionale, di «Stato territoriale» in sostituzione della classica polis; l'acceso dibattito politico-filosofico tra i due tiranni e personalità del calibro di Platone; le violente guerre civili e sociali che ne seguirono, composero le principali importanti caratteristiche dell'età dionigiana.

Ritorna la Tirannide: Dionisio I (405–367 a.C.)

Dionisio I di Siracusa, detto anche Dionigi e Dionisio il Grande e il Vecchio, prese il potere della città a 25 anni di età, e questo fa di lui uno dei più giovani tiranni che Siracusa ebbe. Inoltre il suo regno, durato quasi 40 anni, si colloca tra i primi posti per duratura, poiché nessuna tirannide, prima di lui, restò al potere così a lungo.
Estremamente complesso è descrivere questo personaggio che così tanto rappresentò per Siracusa. Ancora oggi, in età contemporanea, si sente nominare il suo nome che è stato impresso nei monumenti, nelle strade, nella storia.
Dante Alighieri lo collocherà all'inferno insieme ad Alessandro Magno detto Alessandro il Grande. Caravaggio gli dedicherà l'appartenenza ad uno dei monumenti più noti di Siracusa "l'Orecchio di Dionisio". Platone cercherà fortemente di convertirlo alla sua idea di Repubblica filosofica.

Ma per capire bene chi fu realmente, e che ruolo ebbe nella storia di Siracusa, questo personaggio che tanto di sé fece parlare, bisogna partire dal principio del suo periodo, ovvero dalla sua ascesa al potere come nuovo tiranno siracusano.

Dionisio: da capo dell'esercito a tiranno

Il nuovo tiranno

Degli albori della vita di Dionisio sappiamo che era nato a Siracusa ed era figlio e allievo del militare Ermocrate. Sposò la figlia di un altro Ermacrate, la quale però si suicidò dopo aver subito delle violenze da parte dei nemici politici di Dionisio.
Nel romanzo storico che su di lui ha scritto Valerio Massimo Manfredi, Dionisio viene descritto come un vero guerriero i cui equilibri andarono rotti dopo la tragica perdita della prima moglie, da quel momento, secondo Manfredi, Dionisio diventa crudele, chiuso e scontroso.
Definito abile condottiero, a lui sono attribuite le invenzioni della navi da guerra quadrireme (evoluzione del trireme) e quinquereme (evoluzione del quadrireme), le quali saranno in seguito usate da tutti i greci, poi dai cartaginesi e infine dai romani. La sua figura diventa importante quando la minaccia cartaginese si fece pesante. Egli riuscì a farsi eleggere comandante supremo e unico dell'esercito siracusano. Questa esigenza di Siracusa di avere una qualche abile guida, nasceva dal fatto che la situazione militare con Cartagine era ormai divenuta critica; la città punica aveva già conquistato Akragas e fatto terra bruciata dietro di sé, adesso, tutti lo sapevano, il suo prossimo o ultimo obiettivo sarebbe stata la città di Siracusa.
I cartaginesi puntarono su Gela, e qui avvenne, nel 405 a.C., una battaglia complessa. Dionisio mise insieme un numeroso esercito formato da italici, siciliani e mercenari che contavano 30.000 opliti, 4.000 cavalieri e una flotta di 50 triremi. La battaglia per l'esercito di Dionisio non incominciò nemmeno, poiché, a causa di scordinamenti dei piani militari, si ritrovarono assediati all'interno della città di Gela senza avere iniziato a combattere. Dionisio, forse memore delle atrocità compiute dai cartaginesi a Imera e Selinunte, stavolta fece evacuare l'intera popolazione portandola dietro al suo esercito e facendo trovare al comandante di Cartagine, Imilcone, una città deserta. Caduta Gela diresse l'esercito verso Camarina, anche qui fece evacuare la popolazione e la portò con sé, ma i profughi di Gela e Camarina, non fidandosi di questo nuovo personaggio siracusano, preferirono rifugiarsi a Leontinoi e così non andarono a vivere a Siracusa. Nel frattempo, nella capitale, la situazione era ansiosa e i politici erano agitati. Dionisio aveva preso i pieni poteri e ormai era chiaro un ritorno verso la tirannia, alcuni rivali convinti democratici tentarono di bloccargli il ritorno in città sbarrandogli le porte, ma le loro azioni furono vane. Dionisio, dopo avere ucciso la maggior parte dei ribelli, sventò il colpo di Stato e proclamò maggiormente la sua autorità; era divenuto il nuovo tiranno di Siracusa.
I cartaginesi invece di porre l'assedio a Siracusa, come molti si aspettavano, stranamente decisero di far ritorno in patria e vollero stipulare un nuovo trattato di pace con i siracusani. Il sospetto di alcuni fu che Dionisio e Imilcone si fossero segretamente messi d'accordo per non combattere, inoltre nell'accampamento cartaginese era scoppiata un'epidemia che fece perdere al loro comandante la metà dei suoi uomini, dunque Imilcone, probabilmente non se la sentì di mettere l'assedio a Siracusa (città molto più impegnativa e vasta da conquistare) con le sue forze decimate, quindi preferì la pace. Il trattato, fatto nell'anno 404 a.C., prevedeva delle condizioni tutte favorevoli a Cartagine, la quale in sostanza manteneva e rafforzava le sue postazioni sull'isola.
Dionisio dopo avere accettato le condizioni cartaginesi tornò ad occuparsi della sua nuova posizione politica, mentre Imilcone tornò trionfalmente in Africa e sciolse il suo esercito[1].

Siracusa al tempo di Dionisio: nasce il quartiere dell'Epipoli e le Mura Dionigiane

  Lo stesso argomento in dettaglio: Mura dionigiane e Castello Eurialo.
I resti che oggi rimangono visibili delle Mura Dionigiane, nei pressi del Monte Epipoli, nella frazione di Belvedere

Dopo la partenza dei Cartaginesi Dionisio prova a recuperare le forze e aspettandosi ben presto un nuovo attacco della capitale fenicia rivolto a Siracusa, stavolta decise che la città non si sarebbe fatta trovare impreparata e per questo la fortificò rendendola quasi inespugnabile.
Anzitutto espulse tutti i cittadini del quartiere di Ortigia e fece dell'isola la sua fortezza. Poi fondò il quinto quartiere, ma che poteva benissimo chiamarsi quinta città, dato che la grandezza di Siracusa trasformava il suo nome appunto in quello di una "pentapoli" (5 città unite); lo chiamò Epipoli che in greco significa "città che sta sopra", vista la sua altura.
Poi qui, sull'Epipoli, costruì un castello che sarebbe passato alla storia, poiché sarebbe divenuto (al tempo di Archimede) la costruzione di difesa più sofisticata mai vista nel mondo greco, e già ai tempi di Dionisio il castello appariva maestoso con la posizione visibile da tutta la città; lo chiamò Castello Eurialo (Euryalos) che significa "Testa di chiodo", per via della sua forma allungata e conica.[2]
Ma l'opera monumentale per la quale Dionisio sarà maggiormente ricordato, sono le sue mura. Egli infatti fece cingere l'intera Siracusa da grandi e spesse mura che si guadagnarono presto la fama di essere "ottime per la difesa" al punto tale che, un secolo più tardi, gli stessi romani chiederanno il supporto delle maestranze siracusane per fortificare le loro Mura Serviane, dato che l'eco delle forti Mura dionigiane era giunto fin lì.
Queste mura le aveva fatte costruire in tempo record (dal 402 a.C. al 397 a.C.), erano lunghe 27 km (attraversavano tutte e cinque i quartieri) e andavano a ricongiungersi tra le mura del Castello Eurialo. Anche i numeri della lavorazione fecero impressione: vi lavorarono 70.000 schiavi e 6.000 buoi divisi in squadre di 200, con un ritmo di riempimento di 300 tonnellate al giorno di blocchi.[3]

Nel frattempo, anche la vita sentimentale del tiranno va avanti; egli fece la insolita mossa di sposare due donne contemporaneamente, cosicché si ritrovò con due mogli: una calabrese di Locri Epizefiri (città a quel tempo alleata e controllata da Siracusa), Doride di Locri, e una siracusana, Aristomache, figlia del nobile Ipparino e sorella di Dione. Entrambe facevano parte dell'aristocrazia cittadina, particolare questo che fa capire come Dionisio stesse pensando a portare dalla sua parte i favori della nobiltà, elemento importante per lui poiché essi rappresentavano una parte influente della politica.[4] Ebbe diversi figli, sappiamo che Ipparino ha come madre Aristomache e così anche una sua figlia femmina, Sofrosine. Mentre pare che Dionisio II sia figlio di Doride di Locri.[5]

Da sottolineare anche il carattere fortemente sospetto di Dionisio, egli infatti non si fidava di nessuno, aveva una guardia del corpo con sé e dormiva in una stanza che aveva fatto separare con un fossato e un ponte levatoio dal resto della sua reggia, in quel che veniva chiamato in Ortigia il palazzo del tiranno.

Dionisio riforma l'esercito, arruola i mercenari e amplia la flotta

 
Moneta di Siracusa, età di Dionisio I. Raffigurante la testa della dea della guerra o della saggezza, Athena

Secondo Lisia, Dionisio fece della flotta navale siracusana una potenza che per numero eguagliava quella del Gran Re[6] (non specifica quale Gran Re ma è probabile che dati i ricordi dei tumulti che segnarono l'immaginazione storiografica dell'epoca di Serse, fosse proprio al sovrano di Persia che egli si riferisse). Probabilmente il paragone di Lisia è esagerato ma è pur vero che un altro storico, Diodoro Siculo, dà conferma di numeri molto alti:

«dopo aver raccolto una quantità sufficiente di legname, Dionisio cominciò a costruire contemporaneamente più di duecento navi»

Diede ordine di costruire i due nuovi tipi di nave da guerra precedentemente elencati: il quadrireme e il quinquireme. In ogni nave vi erano 200 rematori. Riordinò gli arsenali e il porto piccolo “Lakkios”.
Altra novità apportata dal tiranno siracusano fu l'introduzione di nuovi cavalieri per sostituire quelli che gli si erano ribellati dopo la battaglia di Gela, ed inoltre introdusse tra le file dell'esercito siracusano la novità dei mercenari. Dionisio aveva visto come molte potenze, tra cui la Persia, utilizzassero grandi numeri di mercenari per vincere facilmente le loro battaglie, così decise di arruolare anch'egli un numero elevato di questi guerrieri e di fare lo stesso gioco di Cartagine che precedentemente ne aveva arruolato dalla Spagna e dalla Campania.
I mercenari di Dionisio provenivano da luoghi diversi: Peloponnesiaci, Siculi, Sicani, esuli Messeni, Iberici, Italioti, Campani e anche molti Celti. I Campani saranno tra i primi ad arruolarsi nell'esercito siracusano sotto il nome di xenoi (stranieri).[7] Strinse rapporti con i Lucani, che se pur si definivano non-mercenari, stettero e combatterono comunque dalla parte di Dionisio.[8]
Anche i Galli fecero parte del nuovo esercito mercenario di Dionisio. Da notare come il tiranno siracusano riuscisse ad attrarre anche popoli parecchio distanti da Siracusa come Galli e Celti; i primi stanziati maggiormente dall'arcipelago delle Isole britanniche fino al bacino del Danubio e i secondi si trovavano tra la Francia, il Belgio, la Svizzera e i paesi limitrofi. Quindi colpisce e sorprende questa loro volontà di unirsi all'esercito siracusano e fa ben capire quanta influenza e possibilità economica dovesse avere all'epoca la Siracusa di Dionisio per far udire il suo nome a così tanta distanza.
Particolare da non sottovalutare è anche l'attribuzione che si fa a Dionisio I di essere stato lui il primo a pianificare la venuta in Italia dei Celti (il popolo che in seguito darà parecchio filo da torcere ai romani), perché voleva servirsene contro le mire espansioniste di cartaginesi ed etruschi che da tempo controllavano il mar Tirreno. Ad ogni modo Dionisio farà molto affidamento sui suoi mercenari, al punto tale che, qualche anno dopo, spedirà proprio i suoi Celti in aiuto di Sparta nella battaglia che questa intraprenderà contro Tebe.
Nell'insieme quindi Dionisio riuscì a formare un grande esercito, con numeri elevati: Plutarco parla di 10.000 soldati stanziati in maniera fissa nella città; 100.000 opliti reclutabili (1/3 dei quali mercenari); 9.000/10.000 cavalieri e 400 navi da guerra, che collocavano la flotta siracusana tra le due più potenti del Mediterraneo insieme a quella cartaginese.[9]
Ma dovendo sostenere tutto questo armamento bellico, soldati compresi, le casse della città entrarono presto in crisi economica e il tiranno si ritroverà a dover escogitare non pochi espedienti per trovare il denaro sufficiente per mantenere un esercito di simili proporzioni.
Inoltre va considerato anche il poco gradimento che ebbe sui siracusani l'iniziativa dionigiana di assumere un numero così elevato di mercenari; essi infatti videro il loro esercito trasformarsi in un mescolamento di numerose stirpe tutte diverse che, a detta loro, non combattevano per Siracusa ma erano invece stati assoldati da Dionisio con il compito di tenere i siracusani in ostaggio del potere del tiranno. Come si apprende dalle parole di Diodoro Siculo in un'assemblea tenuta nel 396 a.C. da Teodoro:

«Ma noi cittadini, oltre alla guerra con i Fenici dobbiamo mettere anche fine alla tirannide all’ interno delle mura. Infatti l’acropoli, che è difesa dalle armi di schiavi, è diventata un baluardo contro la città e i numerosi mercenari sono stati reclutati per tenere schiavi i Siracusani.»

A parte questo scontento, i siracusani contro la tirannide dovettero comunque sottostare alle imposizioni di Dionisio, poiché si trovavano in uno stato di guerra con Cartagine decisa ad assediare e conquistare Siracusa.[11]

Dionisio muove l'attacco, Cartagine pone l'assedio

Siracusa e l'isola fiorente dei cartaginesi: Mozia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio e caduta di Mozia e Assedio di Siracusa (397 a.C.).

Nel 397 a.C.[12] Dionisio, avendo terminato i lavori difensivi della città, decide di muovere guerra a Cartagine, non volendo sottostare al trattato di pace stipulato qualche anno prima e che imponeva a Siracusa di non avvicinarsi alle città siciliane poste sotto la protezione cartaginese. Manda così un ambasciatore in Africa a chiedere ai cartaginesi di rinunciare a tutte le città siceliote che essi avevano in Sicilia, altrimenti Dionisio avrebbe mosso loro guerra. Ma senza aspettare una risposta, il tiranno siracusano e i suoi alleati, attaccarono direttamente le postazioni puniche. Attaccarono l'isola di Mozia, da sempre fortezza fenicia, lì dove i siracusani non erano mai riusciti ad imporre il loto dominio.

 
L'isola di Mozia espugnata e distrutta da Dionisio I

Dionisio, forte adesso di un grande esercito e di una numerosa flotta, assediò la secolare isola fenicia, vi furono duri scontri via terra, nei quali Dionisio fece impegnare le macchine da guerra di recente invenzione come la catapulta, la quale venne utilizzata per la prima volta in un campo di battaglia proprio dall'esercito siracusano, durante la battaglia di Mozia. Riuscirono a conquistare la città fenicia. Ma ciò che avvenne dopo fu terribile, infatti come raccontano gli storici, gli abitanti moziesi non volevano arrendersi, pur sapendo di non avere più speranza di vittoria, e preferirono trincerarsi dentro le loro case poiché temevano la vendetta dei greci sui loro cari perché i cartaginesi anni prima non ebbero pietà con le città d'Imera e Selinunte. Purtroppo si verificò ciò che i moziesi temevano, una volta conquistata la città i soldati di Dionisio sfogarono la loro vendetta sugli abitanti, uccidendo uomini, donne e bambini. A questo punto le cronache ci narrano che Dionisio tentò più volte di fermare la mano dei suoi uomini che non volevano saperne di risparmiare la vita dei moziesi che furono sotto la protezione di Cartagine. Il tiranno siracusano dunque per cercare di salvare i sopravvissuti diffuse un proclama pubblico all'interno della città nel quale si invitavano i moziesi che volessero aver salva la vita a rifugiarsi nei templi di culto fenicio e greco di Mozia. Così fecero e così si fermò finalmente il massacro. Si narra che i cittadini sopravvissuti vennero infine venduti come schiavi e che venne saccheggiato dalla città una notevole quantità di oro e argento.[13] Caduta e distrutta Mozia, il più importante riferimento fenicio in Sicilia, Dionisio si diresse verso le altre postazioni puniche dell'isola.[14][15]
Cartagine non stette a guardare, visto il comportamento apertamente bellicoso del suo rivale, Imilcone tornò in Sicilia con il suo esercito. Riconquistò Mozia ma non la ricostruì, al suo posto fondò nelle vicinanze Lilibeo (l'odierna Marsala), che sarebbe diventata il suo nuovo fiorente e ricco centro di approdo commerciale. I cartaginesi saccheggiarono poi Messana (Messina) e nell'autunno del 397 a.C. giunsero puntuali alle mura di Siracusa; incominciò l'assedio per i siracusani. Vi fu una battaglia tra le due flotte a Catania e lo scontro venne vinto dai cartaginesi. Poi, come già fecero gli ateniesi, isolarono Siracusa con lo stesso metodo usato dai greci durante la guerra del Peloponneso e riuscirono anche ad entrare nei sobborghi di Acradina saccheggiando il santuario di Demetra e Kore. Ma Imilcone non riuscì però ad arrivare fino in fondo nel suo piano, poiché una pestilenza irruppe nel campo cartaginese nell'estate del 396 a.C. e uccise un gran numero dei suoi soldati. Dionisio così lanciò un attacco combinato di terra e mare e mise in fuga Imilcone che dovette togliere l'assedio. Giungendo infine nel 392 a.C., ad un trattato di pace che permetteva al tiranno siracusano un programma di espansione in Sicilia.
Come fa notare lo storico Bernabò Brea, queste continue lotte tra greci e fenici non portarono a nulla di buono per la Sicilia, dato che sia da una parte che dall'altra vi fu solo distruzione:

«Dionigi distrugge quasi tutte le vecchie città greche; in tal modo, fra le distruzioni operate dai cartaginesi, e quelle messe in opera dal tiranno, il panorama di Sicilia è profondamente mutato. Tutte le vecchie città greche a eccezione della sola Siracusa sono state distrutte; Selinunte, Agrigento, Imera, Gela Camarina e Messana dai cartaginesi, le città ioniche come Catania, Naxos e Leontinoi dallo stesso Dionigi. Alcune come Himera e Naxos scompaiono, altre risorgono dalle rovine, ma non ritroveranno più lo splendore di un tempo.»

Mondo greco: da Poleis a Stato territoriale: la rivoluzione di Dionisio

  Lo stesso argomento in dettaglio: Lega Italiota e Assedio di Reggio (387 a.C.).

Dionisio è spesso soprannominato come colui che diede inizio a quel cambiamento politico che da singole città-stato, le poleis, avrebbe portato alla nascita dello Stato territoriale, ovvero di un vasto territorio formato da più popolazioni che dovevano rispondere, politicamente e socialmente, ad un'unica capitale.
Questa sua visione comprendeva quindi "l'unione" di tutti i greci della Magna Grecia, e questa idea politica fece di lui un precursore dei tempi, poiché voleva far abbandonare l'idea della "singola" città chiusa nei suoi confini con le sue leggi e politiche, il che era il concetto principale sul quale si fondavano le città-stato, ma voleva invece costruire qualcosa di più grande e di più potente: un'unità territoriale con un centro politico e tutte le altre zone che non erano più "singoli staterelli" ma facevano parte di un unico grande Stato.
Ovviamente, essendo il tiranno di Siracusa, il suo piano prevedeva come capitale politica dello Stato la città aretusea, ma l'epicentro geografico doveva essere sullo Stretto di Messina, in modo da allargare e controllare meglio i suoi più vasti territori anche nella penisola italiana. Quindi da poleis doveva sorgere un solo Stato che unisse tutti i greci d'Occidente. Per questa sua visione e questo suo tentativo politico, Dionisio è considerato da molti storici come il "precursore del Regno di Macedonia" ai tempi di Alessandro Magno, il quale diede ai greci del suo regno una comune lingua che sostituì il singolo dialetto di ciascun paese.
Ma, come vedremo più avanti, Dionisio I non riuscirà nel suo intento, perché dovrà scontrarsi con una forte appartenenza locale delle singole poleis, soprattutto italiche, ed inoltre egli stesso si dimostrò vano nella politica interna statale, poiché dopo la distruzione che attuò per impartire il volere di un'unica città, Siracusa, non fu però successivamente in grado di ricostruire e fondare al meglio le città che aveva raso al suolo, né riuscì ad infondere nei greci d'Occidente un senso comune di appartenenza e benevolenza per quella che doveva essere la loro nuova capitale comune.
Anzi, i greci d'Italia, per tutta risposta, gli scateneranno contro la Lega Italiota, inizialmente nata per difendersi dai Lucani, sarà poi rivolta in funzione anti-siracusana per contrastare le mire espansionistiche di Dionisio.

La Lega Italiota contro Siracusa Capitale - I Guerra

 
Moneta raffigurante la testa di Aretusa, coniata nella polis al tempo di Dionisio I

Dionisio iniziò dunque la sua politica territoriale e incontrò la più forte ostilità idealistica in Reggio che proprio di darsi a Dionisio non ne voleva sapere. Curioso e significativo è infatti l'aneddoto del matrimonio che doveva avvenire tra il tiranno siracusano e una nobildonna di Reggio; stando alle fonti storiche narrateci da Diodoro Siculo, gli abitanti di Reggio, alla richiesta di Dionisio di concedergli una moglie della loro città da portare a Siracusa come segno di alleanza politica, gli risposero che piuttosto gli avrebbero concesso "la figlia del Boia", dunque la figlia di uno schiavo pubblico, come segno di sdegno nei confronti del sovrano siracusano.[17] Già da qui si vide che lo scenario per gettare le basi di un comune regno era molto complicato. Dionisio trovò però moglie da un'altra città calabrese a lui molto legata, Locri Epizefiri, che invece accettò di buon grado l'alleanza con Siracusa. Si andavano dunque delineando le alleanza tra le poleis. Siracusa poco tempo prima, nel 390 a.C., si era scontrata con Taranto (Puglia), la quale aveva voluto ingaggiare una guerra con lei perché preoccupata dal dominio siracusano sulla Calabria. Ma poi vennero alla pace e quello stesso anno, i tarantini avrebbero appoggiato Siracusa, così come i Lucani (della vasta terra della Lucania) che divennero anch'essi alleati dei siracusani. La Lega Italiota era formata dalle città di Kroton, Thurii, Kaulon, Metaponto, Heraclea e successivamente da Reghion, Medma e Hipponion. Avvennero dunque dure battaglie, tra cui un lungo assedio durato 11 mesi da parte di Dionisio e del suo esercito sulla città di Reggio che alla fine, dopo essersi difesa valorosamente, cadde e fu conquistata da Dionisio. Da sottolineare in questo contesto è il ruolo che ebbe Leptine, fratello di Dionisio e comandante della flotta siracusana; egli è ricordato per essere stato un valoroso ammiraglio e un combattente leale. Quando i thurini vennero sconfitti dai lucani in mare, si gettarono dalle navi correndo incontro alla flotta siracusana comandata da Leptine, la quale era stata erroneamente confusa per quella degli alleati reggini. Quando si resero conto dell'equivoco era troppi tardi ma fu Leptine a soccorrerli ugualmente e a mettere pace tra loro e i lucani. Questa sua mossa lodevole però non piacque a Dionisio, il quale non sopportando la generosità e benevolenza del fratello, che egli considerava pericolosa durante una guerra, disapprovò pubblicamente il suo comportamento per farsi vedere forte davanti ai nemici e così gli tolse il comando della flotta, affidandolo all'altro fratello, Tearide. Le sorti della guerra comunque ormai erano segnate; Siracusa con l'appoggio di Taranto e della Lucania, sconfisse, in un'ultima battaglia all'Elleporo, la Lega Italiota. Dionisio decide di annullare la confederazione delle città italiche, quindi costringe i membri che ne facevano parte a concludere con lui una pace separata per ogni città, vietando a ciascuna di essa di proporsi per una pace a nome collettivo. Dopodiché obbliga Reggio, la città che più di tutti si era opposta al suo volere, ad una resa gravosa e infine ne deporta gli abitanti reggini a Siracusa. Poi divide il resto dei territori vinti con i suoi alleati.[18][19]

II Guerra della Lega Italiota

Dionisio, dopo aver annesso i territori italici conquistati alla città di Siracusa, fece riaccendere una nuova guerra con la Lega Italiota perché edificò nell'istmo di Scillezio e Hipponion (odierna Vibo Valentia), un muro che separava la parte della Calabria conquistata dai siracusani, da quella conquistata invece dai lucani. Vi è comunque un dubbio storico sulla reale motivazione dell'edificazione di quel muro, poiché taluni storici affermano che Dionisio volesse assicurarsi che la Lucania stesse al suo posto senza superare i confini dei siracusani; altri storici, come Strabone, affermano invece che quel muro facesse parte della strategia del tiranno che intendeva spezzare, ovvero separare, la koinonìa (unione) politica e sociale delle terre appena conquistate da quelle ancora libere o non sotto il suo dominio.[20] Probabilmente per timore di rivolte:

«[...]quando fece guerra con i Lucani… col pretesto di dare sicurezza a quelli che abitavano all’interno dell’istmo nei confronti dei barbari posti all’esterno ma in realtà perché voleva spezzare l’unita dei Greci così da dominare quelli posti all’interno»

Ma questo muro provocò il casus belli che diede il via alla seconda campagna della Lega Italiota, riformata dalle città calabre ancora indipendenti. Tuttavia non si sa molto di questo periodo conflittuale, per via delle poche e confuse fonti storiche pervenuteci, ma vi è la certezza però che, nel 383 a.C., gli italioti si allearono con i cartaginesi, i quali ebbero da guadagnare in Sicilia ed aiutarono le città calabre nella loro battaglia contro l'espansionismo siracusano. Inoltre non è ben chiaro se i lucani divennero ostili a Siracusa, dopo che entrambi avevano manifestato mire espansionistiche rivolte ai medesimi, o confinanti, territori.[22]
Siracusa riuscì a conquistare anche Crotone[23], la poleis principale della Lega Italiota, nel frattempo i cartaginesi in Sicilia, pur venendo alla fine sconfitti, riuscirono ad ottenere delle singole vittorie e a chiedere ed ottenere da Dionisio una pesante indennità di guerra.[24]
Finiva così la seconda campagna delle Lega Italiota che ne usciva distrutta dagli scontri con i greci alleati di Siracusa.
Dionisio ottenne ciò che voleva; ovvero un sicuro predominio sulle terre oltre lo Stretto di Sicilia. Il perché egli considerasse tanto importante avere sicuri approdi oltre la Sicilia, lo si poteva spiegare non solo con il fattore "politico", cioè di formare un unico Stato dove lui fosse il sovrano, ma bisogna considerare che lo Stretto era un punto commerciale molto strategico, e i siracusani dovevano passare di lì ogniqualvolta avevano bisogno di rifornirsi del ferro che giungeva dall'isola d'Elba (dove abbiamo visto che vi era un fiorente terreno di questo minerale) fondamentale per una potenza come Siracusa che doveva mantenere un esercito di grandi proporzioni. Inoltre, con la conquista della Calabria, Dionisio si era assicurato anche l'ottimo legno proveniente dalla Sila, prezioso per ampliare la sua flotta navale.
Della Lega Italiota si sentirà parlare ancora; Dionisio trasferì il potere di città egemone della Lega a Taranto, città sua alleata, la quale diverrà, nel prossimo cinquantennio, la principale forza della Magna Grecia, nel tempo in cui Siracusa si ritroverà a dover affrontare il delicato passaggio tra più tirannidi.[25]

La politica estera di Dionisio e le colonie Siracusane in Adriatico

Abbiamo visto come Dionisio cercò di formare uno Stato politico che rispondesse a Siracusa, obbligando, o distruggendo anche, le città che si dimostravano ostili alla politica aretusea. Adesso però bisogna analizzare anche un altro aspetto del tempo di Dionisio, ovvero il suo tentativo, del tutto nuovo nel mondo greco, di far mescolare le popolazioni "barbare" (non greche) con quelle greche e di concedere addirittura loro la cittadinanza.
Dionisio deportava gli abitanti (una parte di essi o l'intera popolazione) delle città che conquistava a Siracusa; è il caso per esempio di Leontinoi, Catania, di alcune città calabre e di altre poleis conquistate i cui abitanti vennero trasferiti nella capitale del tiranno siracusano. Oppure li faceva trasferire in altri luoghi da lui conquistati, per ripopolarli, o ancora parte della popolazione conquistata era venduta come schiava. La sua rivoluzione stette nel concedere la cittadinanza non solo ai nobili ma anche al popolo, allargando così l'urbanizzazione delle sue terre. Inoltre capitava spesso che anche i mercenari ottenessero la cittadinanza del posto nel quale Dionisio li mandava; ad esempio si hanno notizie di mercenari insediati in diverse città siceliote e italiote, al punto tale che al tiranno venina rinfacciato il fatto che "Ormai in Sicilia (con tutte queste colonie di mercenari) la lingia degli Opici aveva superato nell'uso quella greca".[26]
Ma a Dionisio questo non importava, poiché lui fondò la sua politica su uno "stato perenne di guerra". Rari furono i momenti di pace per Siracusa durante il suo regno e dunque con uno stato militare vi era anche una politica dedita più che al sociale allo stabilire e mantenere proficue e utili alleanze. Non è infatti un caso che durante l'ultima fase della guerra con la Lega Italiota, Dionisio ricevette un'ambasciata dei Galli, i quali avevano preso Roma pochi mesi prima, e adesso venivano a chiedere al tiranno siracusano di rinnovare l'alleanza tra loro anche in questa fase di guerra; poiché Siracusa era ancora in guerra contro gli italici e i Galli, ricordando che fu Dionisio ad accoglierli per primo come mercenari nel suo esercito, adesso gli offrivano ancora una volta il loro supporto militare. Dionisio ovviamente ne fu compiaciuto.[27]
Ma la sua politica estera comprendeva anche l'invio di soldati dell'esercito siracusano presso la Grecia; infatti fece partecipare Siracusa alla Guerra di Corinto, poleis legata ai siracusani, dato che da lì partirono i primi coloni che poi vennero a fondare la città aretusea. Dionisio mandò suo cognato, Polìsseno di Siracusa, con una flotta in aiuto dei corinzi, solo che così facendo si schierò dalla parte di Atene, città che difendeva Corinto, mentre invece automaticamente venne a trovarsi contro Sparta, città che attaccava Corinto. Inizialmente però gli spartani non dissero nulla di questo aiuto dato dai siracusani ai corinzi, ma l'amicizia estera venne ad intaccarsi quando Dionisio palesò l'interesse, che era reciproco, di formare un'alleanza con Atene, concedendole di avere un approdo commerciale a Messina, il quale veniva derivato dalla decisione del tiranno di immettere nella città siceliota che stava ripopolando, anche dei coloni venuti da Naupatto[28] (città amica di Atene). A questo punto Sparta s'innervosì e pretese l'allontanamento dei coloni amici degli ateniesi, Dionisio allora li fece spostare e questi, insieme ad altri messinesi e siracusani, fonderanno in seguito la cittadina di Tindari (vicino Messina).[29]
Ma Atene non volle rinunciare all'idea di formare un'alleanza politica con Siracusa, così Conone, politico e generale ateniese, pensò di portare Dionisio I dalla sua parte, costituendo con lui e con Evagora I, Re di Salamina di Cipro, una lega anti-spartana durante la guerra di Corinto. Tuttavia però, Dionisio, pur volendo un legame politico con Atene, non volle tradire Sparta e tra le due scelse ancora l'antica alleanza con il popolo del Peloponneso. Comunque si hanno notizie certe di rapporti diplomatici tra siracusani e ateniesi in questo periodo, dato che è stato rinvenuto presso il Teatro di Dionisio Eleutereo di Atene, un documento scritto su di un marmo che raffigura e testimonia un "Decreto onorario per Dionisio I di Siracusa", oggi conservato presso il Museo dell'acropoli di Atene, nel quale vi si può leggere la scritta in greco:

«[...]Sembrò bene al Consiglio; Kinesias propose: riguardo a ciò che riferisce Androsthenes, si lodi Dionysios, arconte di Sicilia, e Leptines il fratello di Dionysios e Thearidas il fratello di Dionysios e Polyxenos il cognato di Dionysios»

Dunque dei rapporti tra siracusani ed ateniesi nell'età Dionigiana vi furono e infatti nel 367 a.C., li tiranno stipulerà un trattato di "pace e alleanza" con la poleis di Atene e gli ateniesi gli concederanno anche la cittadinanza della capitale attica.[30]

Italia, Illiria e Dalmazia; l'Adriatico e le colonie di Dionisio

«Dionisio, il tiranno siracusano, decise di fondare città in Adriatico. Lo faceva perché mirava ad acquisire il controllo del mare chiamato Ionio; il suo scopo era rendere sicura la navigazione verso l’Epiro e possedere città sue dove poter approdare con navi»
 
Le colonie siracusane in Adriatico
 
Il Sud Italia conosciuto al tempo di Dionisio; va considerato che 2/3 delle terre qui indicate erano sotto il dominio e/o influenza di Siracusa

Bisogna incominciare col dire che intorno al periodo e ai modi della colonizzazione siracusana in Adriatico vi sono ancor oggi profonde lacune che impediscono di capire bene e approfonditamente ciò e perché successe.
Nel 1800 molti studiosi parlarono addirittura di "Impero Siracusano in Adriatico", poi andando avanti con gli anni questa tesi venne del tutto dimenticata, poiché i pochi resti archeologici che si riuscirono a ritrovare e le pochissime fonti storiche reperibili, impedirono agli studiosi di capire bene quali fossero le intenzioni dei siracusani in quel periodo, in quei luoghi. Allora si incominciò a parlare di "Postazioni strategiche", ovvero di colonie nate da siracusani con lo scopo di rendere lo Ionio e l'Adriatico, un mare sicuro per i loro commerci.
Così come fecero nel mar Tirreno all'isola d'Elba e in Corsica, stabilendovi dei presidi militari che impedissero agli Etruschi di ostacolare il loro approvvigionamento di ferro.
Ma ovviamente non si può trascurare anche l'aspetto di "politica ambiziosa" del tiranno siracusano, poiché non tutte le città possono permettersi di fondare a loro volta altre città, dunque chi, come Dionisio, intraprende una strada espansionistica come questa, ha evidentemente dei progetti imperialisti o quanto meno egemoni sugli altri territori.
È dunque in quest'ottica che si devono inquadrare i movimenti di Dionisio al di fuori del suo suolo urbano e territoriale. La sua prima mossa fu di portare i siracusani verso la Grecia continentale; voleva avviare uno scalo sicuro tra la Sicilia e l'Epiro. I motivi che lo spinsero ad approdare tra l'Albania e la Macedonia si dice fossero dovuti al fatto che a Siracusa si trovava da tempo esule il Re dell'Epiro, Àlceta, detto il Molosso, dunque voleva riportarlo sul trono e sicuramente poi avvantaggiarsi dei favori che questi gli avrebbe concesso in segno di ringraziamento. Ma le fonti storiche, rappresentate in questo caso dal solo Diodoro Siculo, narrano invece di una spedizione fatta da Dionisio col preciso e solo scopo di saccheggiare il ricco santuario di Dodona (altri dicono fosse il santuario di Delfi), ma questa teoria non convince gli studiosi moderni, poiché avendo analizzato il comportamento di Dionisio, non credono fosse possibile che il tiranno di Siracusa non avesse in mente un progetto ben più ambizioso del semplice "furto o saccheggio" di oro, e pensano invece che Diodoro sia stato tratto in inganno dalle tante fonti greche, alcune palesemente ostili all'agire di Dionisio. Motivo per il quale si crede possibile che il vero obbiettivo dei siracusani non fosse il santuario ma la vicinanza politica con l'Epiro. A dimostrazione di ciò, vi è un'alleanza che i siracusani fecero con l'illiri, alleati a loro volta di Atene. Con essi Dionisio riuscì a riportare Alceta sul trono, ma in seguito gli illiri si misero a saccheggiare e a fare stragi nel territorio dei Malossi e questo comportò la scesa in campo di Sparta che sconfisse gli illiri e si oppose alle mire espansionistiche dei siracusani (arrivati troppo vicini al suo territorio). È in questo periodo che si nota una forte tensione tra Siracusa e Sparta, dettata senz'altro anche dalla vicinanza e alleanza che Dionisio mostrava nei confronti di Atene.[31][32]
La prima colonia che fondarono i siracusani fu proprio nell'Epiro, Lissos, corrispondente all'odierna Alessio in Albania, si trovava all'ingresso del canale di Otranto, alla foce del fiume Drin, il quale arrivando fino al Danubio, rappresentava un'importante linea commerciale per Dionisio che vi scambiaba dei manufatti in cambio di grandi quantità d'argento. Poi fondarono Issa, nell'omonima isola appartenente alla Dalmazia.
E nell'odierna Croazia vi fondarono la colonia di Pharos (odierna Cittavecchia); la storia di questa colonia è particolare, poiché essa venne fondata insieme agli abitanti di Paro, i quali chiesero la collaborazione di Dionisio, come attesta lo scritto di Diodoro Siculo: «I Parii, ubbidendo ad un oracolo, inviarono una colonia in Adriatico e fondarono qui una città su di un'isola chiamata Faro, giovandosi della collaborazione del tiranno Dionisio» (Diodoro Siculo, XV 13, 4). E vi è anche la notizia di un'alleanza pario-siracusana in funzione anti-illirica, in quanto i Parii di Faro (Pharos) vennero attaccati dalla popolazione autoctona del luogo alleatasi con gli illirici e avevano mandato nella neo-colonia ellenica 10.000 soldati per attaccarla, allora ci narra Diodoro, Siracusa mandò un suo ammiraglio con parte della sua flotta, che risiedeva nell'adiacente altra colonia, in aiuto di Faro, sconfiggendo e catturando gli assedianti.[33]
Sempre nelle vicinanze vi fondarono una colonia anche nell'isola di Lesina. Vanno annoverate tra le colonie siracusane anche le sub-colonie fondate dai neo-abitanti di origine siracusana stabilitisi sul territorio: Epezio (fondata da Issa), antica città della Dalmazia, sul canale di Spalato e sulla strada costiera da Salona alla foce della Narenta[34]; Tragunum, odierna Traù (fondata da Issa), città della Dalmazia (diventerà in seguito veneziana come molte delle città nei pressi del Veneto), situata su un'isoletta tra due canali; Curzola, città croata, risulta che i coloni di Issa si stabilirono anche lì. Discorso un po' diverso è invece quello che riguarda la fondazione delle colonie nell'alta Italia; la presenza siracusana è attestata nel Veneto ma si pensa che la colonia stabilitasi nel porto naturale della costa adriatica italica, non fosse stata mandata lì per ordine del tiranno ma che, anzi, vi arrivò per sfuggirvi e fondarvi una nuova città, che chiamarono Aγϰὠν (Ankòn) Ancona (attuale capitale della regione Marche). Ma gli storici ritengono che fosse quasi impossibile che davvero dei democratici siracusani andassero a fondare una città proprio di fronte al "dominio coloniale" che rispondeva a Dionisio in gran parte della costa adriatica, quindi come a volerlo "sfidare" con la fondazione democratica di Ancona. Per questo motivo si ritiene più verosimile che quei siracusani fossero, si esuli, ma che s'insediarono nel Veneto col permesso, o con il volere, di Dionisio; il quale magari dopo averli esiliati per tenerli lontano dalla città aretusea, li diede proprio il compito di fondare altrove una città, che comunque avrebbe risposto sempre a Dionisio.[35][36]
Diversa è invece la storia di Adria, cittadina situata sul delta del fiume Po, era già stata abitata in passato e quindi quella dei siracusani non fu una fondazione ma piuttosto una rifondazione, come avvenne per altre colonie di abitanti che inserirono nel contesto dell'età dionigiana.

Conseguenze della colonizzazione

Con i coloni siracusani stanziati nelle nuove città in Adriatico, e tenendo conto anche dei nuovi domini assunti sullo Ionio con il controllo della Calabria, e non dimenticando che vi era quasi l'intera Sicilia assoggettata (eccetto la punta occidentale ancora in mano ai cartaginesi), si può senza alcun dubbio affermare che la Siracusa di età dionigiana raggiunse un livello di ricchezza economica che aveva pochi precedenti in Europa.
Dionisio si era assicurato una rotta commerciale senza pericoli o avversità, ponendovi in entrambe le sponde dell'Adriatico, delle postazioni militari che erano date dalla sua flotta che adesso poteva approdare e navigare molto più in là delle coste aretusee o sicule. Inoltre proprio il commercio siracusano, con l'importazione e l'esportazione, fu il settore che più di tutti ebbe sviluppo con questa nuova situazione; Siracusa adesso poteva avere: il legname, oltre che dalla già citata Sila e dai fertili boschi dell'Etna, anche dalle fitte foreste della Dalmazia. Il grano della Pianura padana e delle zone comprese tra l'Illiria e il Danubio, che, aggiungendosi a quello che già la Sicilia aveva di proprio, facevano di Siracusa la capitale del grano, essa ne possedeva così il monopolio commerciale europeo. E poi l'argento, i fiumi dalmati o croati di Drin e Naron ne possedevano in quantità, e quell'argento era prezioso per il conio (produzione di monete) da importare a Siracusa, la quale invece precedentemente era costretta ad importarlo dalla Grecia, poiché la Sicilia non aveva sufficienti giacimenti d'argento[37].. Inoltre fondamentale per il commercio fu la colonia di Andria, dalla quale provenivano i pregiati cavalli veneti e beni di lusso che arrivavano ad Andria tramite i Celti, come ad esempio lo stagno della Boemia e il commercio dell'ambra che venive esportata da una tribù celtica presso le zone padane. Qui, con queste terre, Dionisio poté creare un asse commerciale siracusano-celtico che riuscì a soppiantare e ben sostituire per un certo periodo lo storico asse etrusco-ateniese che in precedenza dominava sulle rive del Mediterraneo settentrionale.

Aspetto sociale e politico

Ma oltre al lato economico, si devono considerare anche altri due aspetti di questa colonizzazione: il primo è sociale e il secondo è politico.
Per quanto riguarda il lato sociale della storia, i coloni siracusani ebbero le loro difficoltà nel farsi accettare o nel convivere con le popolazioni già presistenti sul luogo, quindi con gli autoctoni delle terre nelle quali Dionisio li mandò; è il caso di Pharos, dove sicelioti ed ellenici si ritrovarono a dover fronteggiare l'ostilità dei dalmati e illirici che non li volevano nelle loro terre. Ma vi è comunque anche un aspetto sociale positivo, poiché due culture che s'incontrano danno sempre vita a qualcosa di complesso e variegato, ragion per cui sono visibili le tracce di quel passato siracusano nelle monete, nei templi, nella vita sociale di quei luoghi (beni conservati oggi nei musei). Inoltre in certi casi si mantennero i rapporti con Siracusa, come ad Ancona, i cui abitanti sostennero di avere avuto sempre un rapporto di solidarietà e collegamento con la città aretusea.
L'eco politico che ebbe invece non fu molto positivo per Dionisio, poiché le altre potenze greche come Sparta (diventata prima potenza assoluta dopo la pace di Antalcida), da sempre alleata dei siracusani, adesso si mostrava ostile a questa notevole espansione raggiunta dai suoi alleati, ragion per cui furono proprio gli spartani ad impedire che Dionisio mettesse in atto anche la colonizzazione del mar Tirreno (Etruria, Corsica) che non avvenne a causa dell'esilio del suo miglior consigliere in materia, Filisto di Siracusa (esiliato ad Andria si dice su sollecitazione spartana) e per la ripresa della guerra con Cartagine.
In conclusione dunque si può affermare che Dionisio abbia davvero creato un grande dominio in Europa che vide in Siracusa il suo centro, e se non fu il dominio più grande, come molti storici hanno invece asserito, resta pur sempre il fatto che le imprese di Dionisio vennero considerate rivoluzionarie e finirono per posarsi tra le pagine dei libri che lo stesso Alessandro Magno lesse qualche anno dopo la morte del tiranno siracusano, rimanendone affascinato e studiandone, nel vero senso della parola, il metodo politico nel Sikelikà di Filisto, così come ci informa Plutarco.[38]

Il Tiranno e il Filosofo

 
Platone con Aristotele, la Scuola Ateniese del filosofo, dipinto di Raffaello

Platone, colui che è considerato come l'ideatore che pose le basi del pensiero filosofico in Occidente, si ritrovò per ben 3 volte a Siracusa, ma i suoi non furono semplici viaggi distensivi o culturali, non venne per allietare la corte siracusana della sua presenza o per inneggiare lodi al tiranno. Platone venne in Sicilia con un compito, che potrebbe definirsi molto bene "politico", che aveva come scopo finale l'instaurazione nella città aretusea di un governo che seguisse le parole ed i pensieri della sua filosofia. Un compito che si mise in testa e che come vedremo, combatterà per difenderlo e mostrarlo al mondo, solamente che, alla fine, dovette rinunciarvi poiché Siracusa, o meglio chi rispondeva per suo nome, non accettò la sua guida.
Platone, il filosofo ateniese, allievo di Socrate e maestro di Aristotele, che ad Atene fondò persino un'accademia del pensiero filosofico, anzi, l'accademia, poiché fu la prima al mondo a prendere questo nome, venne a incontrarsi, e scontrarsi, nel 388 a.C. con il tiranno siracusano, Dionisio I, ma per capire perché decise di intraprendere questo suo avventuroso viaggio in terra siciliana, bisogna riassumere con parole brevi la complicata situazione che vi era nella sua città in Grecia:
Sparta, dopo la guerra del Peloponneso, aveva sconfitto Atene e comandava praticamente su tutta la Grecia. Gli spartani avevano quindi obbligato gli ateniesi a porre nel loro governo un sistema oligarchico che presto sarebbe diventato noto come "il periodo dei Trenta Tiranni". Platone sviluppa le sue idee in questo difficile clima. Vede il suo maestro, Socrate, essere condannato a morte perché accusato ingiustamente di "attaccare verbalmente i politici", condannato dunque per avere espresso la "libertà di pensiero"; tutto questo ovviamente segnò profondamente la coscienza di Platone, che sentiva il bisogno di far capire al mondo che la politica doveva avere una sua etica e che persone come i tiranni, futuri sovrani, andavano educati, portati a rispettare il popolo, poiché una sana politica rispecchiava l'armonia della vita, l'anima stessa dell'essere umano. Filosofia colma di ideali che egli voleva immettere all'interno del governo ellenico.
Viaggiò molto Platone: Attica, Libia, Egitto, venne anche in Italia dove strinse legame con Taranto e in particolar modo con Archita, noto filosofo e abile stratega tarantino. Ma fu a Siracusa, in Sicilia, che volle fermarsi, fu qui che sentì il bisogno di far cambiare le cose e di prendere questa città come sua "allieva di vita", un luogo dove imprimere le sue idee, dove dare un buon esempio alla politica così corrotta e offuscata dal potere assoluto. Come ci dice lo stesso Platone nella sua Lettera VII:

«Fui costretto a dire che solo la retta filosofia rende possibile di vedere la giustizia negli affari pubblici e in quelli privati e a lodare solo essa. Vidi dunque che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti uomini veramente e schiettamente filosofi, o i capi politici delle città non fossero divenuti, per qualche sorte divina, veri filosofi.»

Platone aveva quindi in mente di portare al governo un "Sovrano filosofo", la filosofia e i buoni ideali come stile-politico e dottrina da impartire. E se scelse proprio Siracusa per questo suo esperimento politico, evidentemente era a conoscenza che qui regnava Dionisio I, il tiranno, colui che aveva fatto del potere assoluto e del lusso di corte il suo stile di vita. E infatti fu proprio con lui che Platone dovette scontrarsi una volta giunto nella città aretusea. Dionisio, sentendo che il noto filosofo ateniese era giunto in Sicilia, volle invitarlo alla corte di Siracusa, visto che il tiranno siracusano era solito comporre versi e poesie (che però non erano apprezzati dalla critica) e così pensò che invitando Platone, avrebbe fatto la figura dell'uomo colto davanti al suo popolo. Avvenne l'incontro tra i due, il cui argomento principale fu la virtù. Ma più che un sereno dialogo, quello che si svolse fu un acceso dibattito di idee, durante il quale Dionisio ripeteva al suo ospite che lui si sentiva felice mentre Platone gli rinfacciava che un tiranno non può mai essere felice perché è un uomo ingiusto, detto ciò gli diede anche, indirettamente, del miserevole perché rappresentava la tirannide. Dionisio, per niente soddisfatto dell'incontro e non avendo nessuna voglia di subire oltre la severità filosofica di Platone, lo fece vendere come schiavo, ironizzando che tanto lui sarebbe stato felice anche così perché era un uomo giusto. Platone fu condotto nell'isola di Egina, nemica di Atene, e qui liberato solo grazie all'intervento di alcuni suoi amici filosofi.
Dionisio credeva così di essersi liberato delle pericolose idee di Platone, ma non immaginava invece che il filosofo ateniese non avrebbe rinunciato tanto presto al suo ideale di costituzione della Repubblica dei Filosofi, perché riteneva Siracusa una sua tappa fondamentale, dato la vasta area territoriale che comandava, per far capire al mondo ellenico, e non solo, quale fosse la giusta via per un sano governo.[40]

L'ultima guerra di Dionisio con Cartagine

Nel 371 a.C., Dionisio, mandò parte del suo esercito ad aiutare Sparta, dopo che questa, con sorpresa di tutta la Grecia, venne sconfitta a Tebe, nella battaglia di Leuttra. Fu in questo contesto che Atene stipulò il trattato di pace e alleanza con Siracusa, ma non sapremo mai se fosse in funzione anti-tebana, dato che in quel momento, le mire espansionistiche di Tebe preoccupavano non poco gli ellenici. Nel 367 a.C., vinse anche un premio dell'arte, datogli per una tragedia rappresentata nelle Lenee. Dopodiché riprovò l'ennesima offensiva contro Cartagine, cercando di riconquistare e cacciare una volta per tutte la presenza punica in Sicilia. Quello stesso anno quindi pose l'assedio a Lilibeo, portandovi un esercito di 33.000 uomini; riprese le città di Selinunte, Erice, Entella, ma non riuscì stavolta ad espugnare la nuova roccaforte dei cartaginesi; Lilibeo resistette e fu salvata dall'arrivo tempestivo dei soccorsi punici che inviarono una flotta di 200 navi, la quale sorprese e sconfisse la flotta composta da 130 triremi siracusane presso il porto di Erice, Drepana (odierna Trapani), ponendo così fine all'assedio. Questa fu la sua ultima battaglia poiché morì poco dopo improvvisamente.[41]

Finiva così la vita del tiranno che passò alla storia per essere stato uno degli uomini più influenti e decisivi del suo tempo. Temuto ed odiato, ebbe molti primati, tra i quali gli si attribuisce un particolare genio politico-militare, scaltrezza, furbizia, efferatezza e inganno ma anche molta innovazione, poiché le sue gesta saranno prese ad esempio o citate fino in epoca contemporanea. Dionisio lasciò in eredita al suo successore quello che lo storico Eforo di Cuma definisce come «la più grande monarchia d’ Europa» che fece di Siracusa, secondo Isocrate, «la più grande potenza del mondo greco».

Platone, Dione e Dionisio II: Siracusa tra tirannide e filosofia (366-344 a.C.)

Il Regno di Dionisio II

A succedergli fu il figlio Dionisio II, il quale ancora giovane, si ritrovò sotto la tutela del cognato di Dionisio I e suo zio, Dione. Lo storico Niccolò Palmeri ha così definito il tempo di Dionisio II:

«Nessun principe ha mai principiato a regnare con circostanze più prospere. Un vasto dominio; un popolo, già per lunga consuetudine uso alla monarchia; pace con tutte le nazioni; un esercito di centomila fanti, e diecimila cavalli; un'armata di quattrocento galee; arsenali zeppi d'armi e di macchine; immensi tesori. Ognuno avrebbe presagito un governo gloriosissimo. Pure è ben difficile trovar nella storia più terribile esempio delle umane vicende.»

Il giovane Dionigi non aveva alcuna esperienza di come si guidasse uno Stato vasto, complesso e ricco di colonie come quello siracusano. Il padre, Dionisio I, l'aveva sempre tenuto lontano dagli affari interni ed esteri, lo aveva fatto crescere chiuso nel castello, circondato da giullari e piaceri di corte. Questo fu forse l'iniziale difficoltà che subito si palesò quando il potere di un così vasto e importante territorio passò nelle mani di questo giovane.

Come prima mossa, Dionisio II, convocò l'Assemblea del popolo e a questa chiese il consenso per potere prendere l'eredità al trono di suo padre. L'Assemblea acconsentì e Dionisio II venne ufficialmente eletto nuovo tiranno di Siracusa. Per ingranziarsi il popolo liberò, concedendo la grazia, 3.000 prigionieri e ridiede alla gente della polis i soldi di tre anni d'imposte. Fin dall'inizio il nuovo tiranno si trovò nella delicata situazione di dover decidere se fare la pace con i cartaginesi o se continuare a far loro la guerra. Impaurito da una così difficile decisione convocò a consiglio i suoi cortigiani, tra i quali, spiccava fra tutti, Dione, che senza paura disse a Dionisio II, che egli, il tiranno di Siracusa, aveva in quel momento nel suo regno una simile condizione di potenza e risorse che poteva scegliere a senno suo «la pace, senza viltà, la guerra senza timore[42] Inoltre si offrì Dione stesso ad andar per contrattare con i cartaginesi a chiedere la pace, se così voleva il sovrano; in caso di guerra invece avrebbero costruito senza problemi altre sessante galee da aggiungere a quelle che già possedevano se si credeva che non potessero bastare. Questo armamento sarebbe avvenuto con il denaro di Dione.[42] Il giovane Dionisio rimase talmente affascinato dalla carica emotiva di Dione, che da quel momento in avanti decise di ascoltare sempre i suoi consigli. Scelse la pace e fu mantenuto con Cartagine lo statu quo.

Dione fu effettivamente uno dei personaggi più influenti della corte siracusana al tempo dei due Dionigi. Egli era cresciuto con un'ispirazione filosofica, a vent'anni aveva fatto un viaggio nell'Italia meridionale e qui aveva conosciuto Platone, il quale descrisse il giovane Dione come uno dei suoi discepoli filosofici con più passione e giudizio.[43] Il siracusano aveva in seguito sposato una delle figlie di Dionisio I, nonché sua nipote, Arete. Messosi in vista grazie al suo intelletto, Dione era già stato nominato diverse volte da Dionisio I come suo ambasciatore e adesso lo era presso il figlio, il quale, come abbiamo visto, era propenso a seguire le sue diciture. Ma questa vicinanza tra i due fece nascere molte gelosie a corte. Gli altri personaggi influenti vicino al tiranno, che mal sopportavano la figura e il carisma di Dione, misero in giro delle voci diffamatorie sul siracusano in modo da convincere il giovane Dionisio che suo zio in realtà bramava al potere e non stava agendo negli interessi del sovrano. Tali insinuazioni spinsero Dionisio II alla dissolutezza; si lasciò andare all'ubriachezza e si comportò in maniera scellerata, priva di buon senso a corte. Ma Dione, confidando nella giovane età del nuovo tiranno, era convinto di poter farlo ancora cambiare, di trasformare quel ragazzo viziato in un saggio governatore. Così convinse Dionisio a prendere la via della filosofia; egli accettò e fu il tiranno stesso a voler richiamare a Siracusa il più accreditato dei filosofi, Platone, scrivendogli una lettera. Il filosofo ateniese fu sollecitato di recarsi nuovamente a Siracusa anche da Dione e dai pitagorici d'Italia, i quali, essendo sotto li dominio della tirannide siracusana, speravano che imbevendo quel giovane di buoni propositi governativi, il futuro sarebbe stato per tutti migliore. Ma nel frattempo vi era anche chi continuava a bramare a favore di una ferma e solida tirannia; si trattava della fazione opposta a Dione, la quale per rendere il suo ruolo più forte convinse l'inesperto tiranno a richiamare dall'esilio Filisto, il migliore amico di suo padre Dionisio il Grande, esiliato ad Andria si dice per volere spartano, poiché Filisto era un sostenitore e consigliere dell'espansionismo che aveva portato numerose poleis sotto il controllo di Siracusa, la qual cosa era risultata sgradita ad un'altra potenza espansionistica; Sparta. Dione e Filisto divennero dunque i due principali capi delle due opposte fazioni; l'una pretendente per la tirannide assoluta e l'altra per un governo più aperto. In questa situazione giunse, nel 364 a.C., per la sua seconda volta Platone nella rinomata città dei tiranni.[44]

Il giovane Dionigi accoglie Platone

 
Aristotale istruisce Alessandro Magno. Chiaro esempio di ciò che voleva fare Platone con i tiranni siracusani.

Dionisio II accolse la nave di Platone fino alla spiaggia; da lì fece salire il filosofo su un sontuoso carro trainato da quattro cavalli bianchi e lo portò al suo palazzo, nell'isola di Ortigia.[45] Con la presenza di Platone, la vita di corte si trasformò; Dionisio si mostrò educato, assennato, privo di lusso. Al punto tale che durante un solito rituale di sacrificio agli dei, interruppe il sacerdote che inneggiava alla prosperità della sua tirannide e gli disse «Cessa da tali imprecazioni»[46] Questa improvvisa trasformazione del giovane sovrano preoccupò gli oppositori di Dione, che vedevano in lui il colpevole di questo cambio politico che seriamente minacciava il futuro della tirannide. Filisto e i suoi sostenitori dunque si adoperarono per far comprendere a Dinisi II quanto fosse pericoloso, non solo per lui, ma per la vita dell'intera Siracusa, una cessazione della tirannide a favore di una Repubblica filosofica; gli rammentarono che Siracusa era stata sempre invincibile dai numerosissimi eserciti, ed ora sottomossa da un sofista[46], il quale voleva che il tiranno rinunciasse al potere e al lusso solo per indurlo a togliersi dal trono, in modo da sostituirlo con una figlia di Dione ed Arete, anch'ella avente diritto alla corona, in quanto stretta parente di Dionisio I. Tali dubbi ebbero nel poco deciso Dionisio II l'effetto sperato dagli oppositori. Il colpo di grazia alla fiducia tra zio e nipote venne dato dall'intercettazione della lettera che Dione, in qualità di ambasciatore, aveva mandato ai magistrati di Cartagine, dicendo ad essi che per le trattative di pace con Siracusa dovevano rivolgersi esclusivamente a lui.[46] Ovviamente i cospiratori contro Dione e Platone approfittarono di questa missiva diplomatica per far credere al giovane Dionisio che suo zio lo aveva tradito, Filisto gli disse che Dione aveva palesato già con i cartaginesi di voler prendere il suo posto sul trono della polis. Dionisio credette a pieno alle parole di Filisto, così decise di avere un colloquio con Dione. Lo portò in riva al mare, ai piedi dell'acropoli. Qui gli mostrò la lettera incriminata, lo accusò di collusione con i cartaginesi e lo esiliò da Siracusa, facendolo imbarcare e trasportare a forza verso l'Italia.[47]

Il fatto scioccò la corte siracusana e il tiranno si affrettò quindi a tranquillizzare gli animi, dicendo che Dione non era stato esiliato ma solo allontanato temporaneamente. Gli fece inviare le sue ricchezze, i suoi servi e le rendite delle sue proprietà. Ma ciò nonostante rimase la preoccupazione. Il più rammaricato fra tutti fu l'ospite Platone, il quale vide allotanarsi insieme a Dione anche il suo sogno e speranza di poter fondare in Siracusa una Repubblica basata sugli insegnamenti della filosofia. Del resto, l'ateniese aveva già capito che Dione avrebbe avuto un ruolo importante nella vita della polis e nel suo progetto politico:

«Io ebbi delle conversazioni con Dione, allora giovane, e gli mostravo coi miei discorsi quello che, a mio giudizio, è l'ottimo per gli uomini, e lo esortavo a vivere secondo quest'ottimo; ignoravo che così, senza accorgermene, preparavo in qualche modo l'abbattimento della tirannide.»

Platone vedendosi accusato dagli oppositori di Dione di essere complice e cospiratore per la destituzione del tiranno Dionisio II, preferì andar via da Siracusa e chiese allo stesso Dionisio II di poter lasciare la polis e tornare ad Atene. Il giovane tiranno sperava invece che Platone si dimenticasse in fretta dell'amico Dione e che restasse nella sua corte. Ma il filosofo non vedeva trovava le prospettive per rimanere, poiché vedeva sempre più in Dionisio II una dissolutezza che egli non avrebbe potuto cambiare. Non con poche insistenze, e con l'intercedere degli amici tarantini del filosofo, riuscì a lasciare Siracusa, promettendo però al tiranno che sarebbe tornato nella polis quando i siracusani avrebbero cessato la guerra contro Cartagine.[49]

L'esilio di Dione

Nel frattempo Dione si era ritrovato a vivere in Grecia, qui frequentò l'Accademia di Atene e strinse amicizia con Callippo e con Speusippo (nipote di Platone e suo futuro successore presso l'Accademia). Ma essendo Dione uno dei cittadini più influenti di Siracusa, la quale aveva rapporti diplomatici con le maggiori potenze egee, egli era visto come un importante interlocutore e preziosa fonte di cambio politico per tenere sotto controllo gli affari della polis siciliana; per questo motivo ottenne entrambe le cittadinanze sia di Atene che di Sparta, le quali, sapendo del malcontento che vi era a Siracusa sotto l'attuale tirannia di Dionisio II, evidentemente ritenevano opportuno dimostrare il loro appoggio per Dione, personaggio ben più popolare nonostante l'esilio forzato dalla sua terra natia.[50]

Ma questa benevolenza (reale o di scopo) che i greci dimostravano per Dione, fece ingelosire ancora di più Dionisio II, il quale venuto a sapere dei favori che suo zio riceveva nella Grecia continentale, dichiarò allora che non si mandassero più le rendite a Dione, considerato adesso nemico ancora più pericoloso poiché godeva dell'appoggio di grandi metropoli.[51]

«Platone deve tornare»

«Platone deve tornare» potrebbe essere la frase che riassume questo periodo vissuto nella polis dove il tiranno Dionigi II, non faceva altro che dedicarsi ai suoi studi di filosofia; ne fu totalmente assorto; invitava a corte i più illustri filosofi e pretendeva, spesso goffamente, di superarli in eloquenza. Vista questa sua nuova e insistente passione per gli studi intellettuali, pensò bene che doveva richiamare a sé il filosofo più nominato di tutti, colui che ad Atene aveva fondato la prima accademia al mondo; Platone. Dionisio II pensò quindi a come convincere l'illustre filosofo a fare ritorno alla sua corte. E trovò il modo di attirarlo con la promessa, che si rivelerà poi falsa, di richiamare Dione dall'esilio a patto però che Platone venisse a Siracusa. Se al contrario, il filosofo si fosse rifiutato, allora egli, il tiranno, non avrebbe potuto garantire alcuna incolumità al destino del suo allievo prediletto, Dione.

Inoltre gli fece scrivere[52] dal capo dei pitagorici d'Italia, nonché capo della Lega Italiota, Archita di Taranto, il quale essendo in stretti rapporti diplomatici con la polis di Siracusa, pregò anch'egli Platone di tornare in Sicilia, dopo avergli assicurato che si era accertato di persona, avendo avuto un colloquio alla corte aretusea con Dionisio II, che il tiranno avrebbe mantenuto la parola data di liberare Dione.[53] Oltre Archita, Dionigi fece inviare lettere a Dione da sua sorella e sua moglie, facendo dire loro che il siracusano, essendo esiliato in Grecia, doveva convincere Platone a tornare a Siracusa.

La Lettera VII scritta proprio da Platone, ci ha lasciato testimonianza dei pensieri e turbamenti che in quegli anni l'ateniese trascrisse su carta. Egli effettivamente partì per il suo terzo viaggio in Sicilia, ma descrivendoci i suoi pensieri in questa lettera, ci racconta cosa realmente lo spinse ad affrontare una situazione rischiosa come quella siracusana:

«Il mio animo era pieno di inquietudine su ciò che poteva accadere, perché i desideri dei giovani presto si accendono e spesso si rivolgono in opposta direzione. D'altro lato sapevo che il carattere di Dione era per natura grave e già maturo per l'età. Riflettevo dunque ed ero incerto se dovessi dargli ascolto e andare a Siracusa oppure no. Alla fine però la bilancia traboccò in favore della considerazione che, se mai si voleva dare attuazione alle mie idee sulle leggi e sulla politica, allora era il momento di agire: se fossi riuscito a persuadere un solo uomo [si riferisce a Dionisio II] avrei assicurato il compimento di tutto il bene possibile. Con questo pensiero e con questa ardita speranza salpai da Atene»

Infine aggiunge:

«perché mi vergognavo moltissimo di poter apparire di fronte a me stesso come un uomo capace solo di parole e che mai mette mano di sua volontà ad alcuna opera.»

Quindi Platone, a distanza di anni, ripensando ai suoi viaggi, ci chiarì che il motivo per il quale rischiava forse anche la vita in quei viaggi che per tre volte lo avevano condotto a Siracusa, non era per compiacere i capricci dei ricchi tiranni, ma era per cercare di attuare il progetto in cui credeva; la sua Repubblica dei filosofi.

Ma quanto peso ebbero le parole di Dione sul viaggio di Platone? Sicuramente non gli furono indifferenti, tanto che Platone stesso nella sua lettera ricorda ciò che il siracusano gli disse:

«Se mai altra volta, certo ora potrà attuarsi la nostra speranza che filosofi e reggitori di grandi città siano le stesse persone.»

Terzo viaggio di Platone a Siracusa

Ecco allora che Platone, nonostante fosse già grande d'età, decise d'imbarcarsi da Atene diretto in Sicilia per la sua terza volta. A Siracusa vi trovò la stessa gioiosa accoglienza della precedente visita; Dionisio II gli si mostrò subito molto amico e gli fece tutti gli onori possibili. Lo mise ad alloggiare nell'appartamento più lussuoso della polis, chiamato Appartamento dei giardini, gli permise il libero accesso a tutte le stanze, era l'unico che poteva comparire davanti al tiranno senza prima essere perquisito dalle guardie.[55] Insomma, Dionisio II s'impegnò a fondo per far dimenticare a Platone la promessa fattagli di annullare l'esilio imposto a Dione. Ma ciò non avvenne, l'illustre filosofo non aveva affatto dimenticato il motivo per il quale era lì, ed insistentemente chiedeva ogni giorno a Dionigi che richiamasse Dione. Il tiranno un dì perse la pazienza e rispondendogli seccatamente che prima o poi l'avrebbe richiamato, data la molestia di Platone, lo fece cambiare di alloggio e lo sistemò negli appartamenti della cittadella, dove vi alloggiavano i mercanari che detestavano lo sfortunato filosofo; qui rischiò la vita diverse volte, dato che i mercenari volevano ucciderlo. Del resto il pensiero di Platone era chiaro: lui voleva che il tiranno rinunciasse alla tirannide, che licenziasse tutte le sue guardie e che vivesse solo dell'amore dei suoi popoli, ecco perché non andava molto a genio ai mercenari stipendiati da Dionisio II.[56]

Tuttavia le guardie non potevano maltrattarlo troppo, poiché aveva la fama di essere amico del tiranno, e quindi doveva essergli risparmiata la vita. Archita di Taranto, venuto a sapere della grave sorte che era toccata a Platone, decise subito d'intervenire e così mandò degli ambasciatori a Siracusa, con una galera a trenta remi per riprendere Platone e condurlo via dalle mani di Dionisio II. Gli ambasciatori di Archita gli ricordarono che non poteva trattenere Platone contro la sua volontà e che inoltre aveva disatteso la promessa di richiamare Dione dall'esilio, tradendo così la parola data anche a tutti i pitagori d'Italia che in lui avevano riposto fiducia. Quindi doveva lasciare libero il filosofo ateniese. Dionisio II, forse imbarazzato da quei discorsi e per non inimicarsi gli italici, acconsentì alla partenza.

Fu così che dopo quasi un anno (361-360 a.C.)[57], Platone lasciò Siracusa, guardandola per l'ultima volta, poiché non vi avrebbe più fatto ritorno. In quella città lasciò il rimpianto di non essere riuscito a formare i suoi buoni propositi politici, in quella città che, secondo Platone, doveva essere l'incipit per dare l'avvio ad una nuova era politica e sociale.

Anni difficili: la guerra civile

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile di Siracusa (357 a.C.).
 
Moneta siracusana, coniata durante il periodo di Dionisio I e di Dionisio II

Dopo la partenza di Platone, Dionisio II si sentì ancor più ferito nel suo orgoglio e potere. Quindi prese ad odio suo zio Dione, ritenendolo il responsabile dei suoi insuccessi. Per vendetta gli vendette tutti i suoi beni e cosa ancor più grave, fece divorziare sua moglie, Arete, e la fece risposare con un suo familiare, Timocrate. Dione, venuto a sapere dello scorretto comportamento del tiranno, decise di non tollerare oltre il suo dissennato modo di comandare, organizzò quindi una spedizione, dapprima segreta, che poi rese pubblica, facendo sapere anche a Platone, che nel frattempo era giunto ad Olimpia, che egli stava per partire alla volta della Sicilia con l'intenzione di detronizzare il crudele tiranno. Platone si pronunciò contrario all'iniziativa bellica del suo ex allievo, ma Dione era ormai deciso.

Con 800 soldati partì dall'isola del mar Egeo chiamata Zacinto e si diresse nel Mediterraneo centrale, approdando dopo dodici giorni ad Eraclea Minoa, nei pressi di Akragas. Qui, dopo aver trovato l'appoggio del capo di quella polis, il cartaginese Sinalo, si diresse in marcia verso Syrakousai. Dionisio II che era venuto a sapere in ritardo dell'invasione di Dione, non si trovava nella sua reggia ma bensì in Adriatico, subito quindi s'imbarcò per fare ritorno in patria e fermare i propositi guerriglieri di Dione. Ma l'esule siracusano era già giunto dentro la polis e qui venne accolto dal popolo come liberatore, infatti anche il popolo non sopportava il comportamento di Dionigi e vide in Dione un cambio positivo. Dopo alterne vittorie, e dopo che Dionisio II si era asserraglio dentro la cittadella fortificata all'interno dell'isola di Ortigia, avvennero tragici accadimenti, purtroppo comuni in guerra; venne ucciso il comandante e storiografo siciliano Flisto, vennero commesse violenze sulla popolazione, la città si ridusse in macerie e disperazione per le vie.

Dionisio II lasciò Siracusa e andò a ripararsi in Calabria, nella polis di Locri. Dione nel frattempo, dopo avere avuto pesanti screzi con il popolo siracusano che lo accusò di voler proseguire la tirannide prendendo il potere che era stato dei Dionisi, a seguito dei tragici eventi che coinvolsero la popolazione, riuscì a riconciliarsi con essa, salvando i suoi concittadini dai mercenari e dall'esercito del tiranno. Adesso mancava la presa della cittadella, per dichiarare decaduta la tirannide. E tale presa avvenne dopo che Apollocrate, il figlio di Dionisio II lasciato a comandare la rocca della cittadella, scappò perché si vide abbandonato dagli alleati che non volevano appoggiare la tirannide di suo padre e fu minacciato inoltre dai mercenari che chiedevano denaro e viveri, i quali, a causa del perdurare della guerra, stavano finendo. Così il popolo di Siracusa, con alla sua guida Dione e i suoi soldati, riuscì ad espugnare anche la fortificata isola di Ortigia e riuscì ad abbattere la tirannide che aveva portato sofferenza.

La morte di Dione

Quando cessò il conflitto bellico interno alla polis, Dione poté riabbracciare la sua famiglia e tornare a vivere a Siracusa. Ma il condottiero non era tranquillo, vedeva l'urgenza di dare un assetto nuovo e stabile alla politica siracusana. Voleva formare un governo mescolato di aristocrazia e popolo, sullo stampo di quello di Creta e di Sparta. Per questo motivo chiamò dei consiglieri dalla polis greca alleata Corinto, pensando che servissero gente "estranea al potere" del territorio aretuseo, vista la ancora troppo accesa diatriba tra chi preferiva il tiranno e chi voleva la democrazia. Nel frattempo accadde che Eraclide, uno dei comandanti che avevano guidato la ribellione della polis durante la guerra civile, essendo geloso della popolarità di Dione, complottò ancora una volta contro di lui, cercando di insinuare nel popolo il dubbio che Dione in realtà ambisse al posto di nuovo tiranno. Dione a questo punto, dopo averlo perdonato già diverse volte in passato, decise di non giustificarlo più e lasciò che i suoi nemici lo condannassero a morte. Ma triste fine ebbe anche il prode siracusano zio di quel tiranno che con fatica era riuscito a cacciare dal trono, poiché l'ateniese Callippo, altro suo compagno di viaggio durante il suo esilio forzato in Grecia e suo soldato durante la presa di Siracusa, avendo bramosie di potere e poco valore morale, decise di tradire Dione e ordire un complotto contro di lui. Alcuni storici dicono che fosse stato pagato, quindi comprato, dagli amici di Eraclide, che volendo vendicare l'uccisione del loro capo, corruppero Callippo perché ammazzasse Dione. Ma, il prosieguo della storia, suggerisce che Callippo abbia piuttosto agito per egoismo e ambizione al potere. Dione venne sorpreso mentre era nella sua casa, sul suo letto che stava riposando. Callippo, che coinvolse altri soldati di Zacinto nella congiura, tentò con quegli uomini prima di strangolarlo, poi non riuscendoci lo pugnalarono e lo uccisero. Morì così uno dei personaggi più significativi della storia siracusana di questo periodo.[58]

La polis senza una guida fissa

Dopo la morte di Dione, Siracusa entrò nel caos. Callippo riuscì ad ottenere la tirannide ma restò in carica solo tredici mesi, poi fu cacciato da Ipparino, fratello di Dionisio. Tale Ipparino assalì Messina e Katane e ne fu respinto. Dopo che vide di non poter ottenere la signoria di nessuna poleis di Sicilia, preferì emigrare a Reggio, in Calabria, dove fu ucciso da Leptine e Peliperconte, nel 350 a.C., si dice con lo stesso pugnale col quale venne ucciso Dione.

Siracusa non aveva più ordine, la città senza una guida e spossata dal troppo lungo periodo bellicoso, cercava consiglio su come trovare serenità politica. Alcuni cittadini amici di Dione, spedirono speranzosi una lettera a Platone, il quale, ignorando gli ultimi avvenimenti, non sapeva che Dione fosse morto e quindi nella sua missiva scriveva come risposta di porre tre re che governassero contemporaneamente: Dionigi II, Ipparino, e Ipparino figlio di Dione, ma anche questo era morto prima del padre. Poi il filosofo consigliava di indire un Senato, un'assemblea del popolo e un magistrato composto da trentacinque cittadini. Ma i consigli di Platone non potevano essere ascoltati e quindi anche questo tentativo di trovare assetto politico tramite il filosofo ateniese fallì.[59]

Ad Ipparino subentrò Niseo, come nuovo tiranno, ma i disordini non ebbero fine, anzi, aumentarono rendendo la vita nella polis davvero difficile. Con questa situazione tragica, molti dei cittadini decisero di emigrare, spopolando quella che un tempo era l'unica polis in grado di sfidare, e superare, il numero di popolazione della capitale greca, Atene.[59]

Gli emigrati siracusani andarono a cercare sollievo e rifugio a Lentini, qui molti si unirono ad Iceta, il tiranno lentinese. Ma nel frattempo a Siracusa la situazione era precipitata, poiché essendo in uno stato di debolezza sociale, oltre che politica, ne risentiva anche il sistema difensivo e infatti, Dionisio II, non trovò difficoltà quando decise di ritornare a prendersi il comando della polis aretusea. Scacciò Niseo e, nel 346 a.C., si rinominò tiranno di Siracusa.

Il ritorno di Dionisio II

  Lo stesso argomento in dettaglio: Età timoleontea.

Durante la guerra civile di Siracusa, Dionisio II aveva abbandonato la polis per ripararsi nella terra d'origine di sua madre, l'alleata calabra Locri Epizefiri, nella quale una volta stabilitosi vi aveva instaurato la sua tirannide che durò dal 357 al 347 a.C.
Qui sfruttò i soldi e la società della polis calabra. Dionisio II aveva un unico pensiero; ritornare a Siracusa per riprendersi il trono. Il suo mal governo spinse anche i locresi a ribellarsi alla sua tirannia. Questi, in un atto di crudeltà dello stesso livello di quella del tiranno, gli uccisero la sua famiglia, lo cacciarono e instaurarono un governo repubblicano. Dionisio II fatto ritorno a Siracusa, dovette sicuramente constatare che del vasto territorio coloniale e imperialistico che gli aveva lasciato suo padre Dionisio I, non era rimasto più nulla o quasi. Tutte le città a lui soggette si erano ribellate e gli rimase in suo controllo Siracusa, la quale, troppo spossata dalle precedenti fatiche, non aveva più la sufficiente forza per difendersi dalla sua nuova tirannia. Ma, non volendosi arrendere a Dionisio II, i siracusani cercarono aiuto ai corinzi, i quali, accorsero in aiuto della loro città-sorella, dato il legame di sangue che legava le due popolazioni, unite dai primi coloni di Corinto sbarcati ad Ortigia nell'ormai lontano 734 a.C. Timoleonte fu il nome del generale corinzio che fu spedito in Sicilia, e sarà lui che, dopo aver battagliato con le ultime forze belliche del tiranno, riuscirà a far cessare definitivamente la tirannide di Dionisio II, ponendo dunque fine a questo periodo storico e incominciandone un altro che prenderà il nome di età timoleontea.[60]

Note

Note al testo
  1. ^ La Sordi si riferisce all'epoca dionisiana in questi termini:
    «[...] fa parte di quell'eredità di Siracusa, della Siracusa dei due Dionigi e di Filisto, di cui Filippo e Alessandro tennero conto e dalla quale non si può prescindere se si vuole intendere alcuni degli aspetti più interessanti dell'ellenismo.»
Fonti
  1. ^ Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XIII, 79-114
  2. ^ Belvedere di Siracusa - Il Castello Eurialo nella storia, su belvedere.siracusa.it.
  3. ^ Diodoro Siculo, XIV 18
  4. ^ G. Bruno Sunseri, Politiche matrimoniali di tiranni di Sicilia tra il V e il IV secolo a.C., in Alleanze e parentele. Le “affinità elettive” nella storiografia sulla Sicilia Antica, Convegno internazionale 14-15 Aprile 2010, Caltanissetta-Roma 2011, pp. 125-142
  5. ^ Storia di Locri, su locriantica.it.
  6. ^ a b Diodoro Siculo XIV 42, 5; XV 13, 5 ; Lisia Ol. 33, 5.
  7. ^ Diodoro Siculo, XIV 34, 3; 52, 5; 63, 4. Sen. Ell. VII 1, 20. Cfr. M. Puglisi, La Sicilia da Dionisio I a Sesto Pompeo, p. 62
  8. ^ Cfr. G. De Sensi Sestito, La Magna Grecia nell’ età dei Dionisi, In La Sicilia dei due Dionisi, Atti della settimana di studio, Agrigento, 24-28 Febbraio 1999, Roma 2002, p. 397
  9. ^ Considerazioni sul pagamento del sîtos ai mercenari nella Sicilia tra Dionisio I e Timoleonte (PDF), su academia.edu.
  10. ^ Diod. XIV 65, 3. Secondo la Zoepffel tale discorso proverrebbe da Filisto, poiché esso se apparentemente sembra far parte della tradizione ostile al tiranno, esso in realtà vuole mettere in luce, grazie alle accuse infondate, quanto sia incompetente il capo della resistenza siracusana cfr.: R. Zoepffel, Le fonti scritte su Dionigi I di Siracusa, p. 44
  11. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia - Giuseppe Monte (PDF), su academia.edu. URL consultato il 2010/2011.
  12. ^ Nel 398 a.C. secondo Freeman (History of Sicily, IV, 127, nota 2).
  13. ^ Edward Augustus Freeman (Sicily, IV, 83)
  14. ^ Assedio e Caduta di Mozia - tratto da Mozia, Una colonia fenicia in Sicilia, di J.I.S. Whitaker, su web.tiscalinet.it.
  15. ^ Enciclopedia Treccani: Mozia, su treccani.it.
  16. ^ Storia di Siracusa scritta da Elio Tocco - Il periodo di Dionigi il Vecchio (405-367 a. C.), su casaoggi.it.
  17. ^ Diodoro Siculo, XIV 44,5; 107, 4
  18. ^ Zecchini, p.110
  19. ^ La I guerra contro la Lega Italiota (PDF), su terra.unimore.it. pp.11-12
  20. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia (PDF), su academia.edu.pp. 51-52-53
  21. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, p. 398
  22. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, p. 398
  23. ^ CAPITOLO OTTAVO - Archivio Storico Crotone, su archiviostoricocrotone.it.
  24. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, pp. 398-399
  25. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, pp. 403
  26. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, pp. 397
  27. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, pp. 399
  28. ^ Enciclopedia Treccani - città di Naupatto, su treccani.it.
  29. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia (PDF), su academia.edu. p. 46
  30. ^ Decreto onorario per Dionisio I di Siracusa - Giulia Tozzi (PDF), su gesta.scuoladottorato.it. pp. 6-7-8-9
  31. ^ M. Melfi - J. Piccinini, Le fonti, in R. Perna - D. Condi (a cura di), Hadrianopolis II, Bari 2012, pp. 51-65. (PDF), su academia.edu. pp. 53-54
  32. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia (PDF), su academia.edu. p. 55
  33. ^ Coppola, pp. 14-15-16
  34. ^ Enciclopedia Treccani; Epezio, colonia di Issa
  35. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia (PDF), su academia.edu. p. 64-65-66
  36. ^ (Pseudo)Scilace, Periplo
  37. ^ Lorenzo Braccesi, Grecità Adriatica
  38. ^ La dynasteia di Dionisio I di Siracusa: politica ed economia (PDF), su academia.edu. da p. 70 a 79
  39. ^ Becchi, Ferrari, p. 187
  40. ^ Platone a Siracusa (PDF), su loescher.it.
  41. ^ Enciclopedia Treccani - Dionisio I di Siracusa, su treccani.it.
  42. ^ a b Palmeri, p. 141
  43. ^ Paola Orsi, p. 14
  44. ^ Palmeri, p. 142 - 143
  45. ^ Palmeri, p. 143
  46. ^ a b c Palmeri, p. 144
  47. ^ Paola Orsi, p. 16
  48. ^ Per avere informazioni più accurata della nota si veda il libro: La lotta politica a Siracusa alla metà del IV secolo a.C.: le trattative fra Dione e Dionisio II, pag. 14
  49. ^ Palmeri, p. 145 - 1446
  50. ^ Paola Orsi, p. 17
  51. ^ Palmeri, p. 146
  52. ^ Non è chiaro se Archita di Taranto abbia scritto di sua volontà a Platone pregandolo di recarsi a Siracusa, o se sia stato Dionisio II ad obbligarlo a farlo.
  53. ^ Plutarco ci informa che Archita si recò personalmente a Siracusa, per dialogare con Dionisio II. Allo stesso tempo il tiranno mandò, in segno di amicizia, un dono a Taranto, il cui oggetto consisteva in un enorme candelabro. informazione tratta dal libro "La Sicilia dei due Dionisî: atti della Settimana di studio, Agrigento, 24-28 febbraio 1999, pag. 524
  54. ^ Traduzione tratta dal libro La Sicilia dei due Dionisî: atti della Settimana di studio, Agrigento, 24-28 febbraio 1999;
  55. ^ Rollin, p. 25
  56. ^ Rollin, p. 27
  57. ^ Bonacasa, Boccesi, De Miro, p. 15
  58. ^ Palmeri, p. 168
  59. ^ a b Palmeri, p. 169
  60. ^ Palemri, p. 170

Bibliografia

Bibliografia sulla storia di Siracusa:

  • Serafino Privitera, Storia di Siracusa, edizioni EDIPRINT. ISBN 88-7231-049-0
  • Enrico Mauceri, Siracusa antica, Brancato editore. ISBN non esistente
  • Giuseppe Zecchini, Il federalismo nel mondo antico, Vita e Pensiero, 2005, ISBN 88-343-1163-9.
  • Nicola Bonacasa, Lorenzo Braccesi, Ernesto De Miro, La Sicilia dei due Dionisî: atti della Settimana di studio, Agrigento, 24-28 febbraio 1999, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 2002, ISBN 88-8265-170-3.
  • Francesca Bottari, Pantalica e Siracusa, Libreria dello Stato, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2008, ISBN 88-240-1141-1.
  • Salvatore Adorno, Siracusa: identità e storia: 1861-1915, Arnaldo Lombardi, 1998. ISBN 88-317-2587-4
  • Sebastiana Nerina Consolo Langher, Siracusa e la Sicilia greca: tra età arcaica ed alto ellenismo, Società messinese di storia patria, 1996. ISBN non esistente
  • Alessandra Coppola, Demetrio di Faro: un protagonista dimenticato, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 1993, ISBN 88-7062-845-0.
  • Domenica Paola Orsi, La lotta politica a Siracusa alla metà del IV secolo a.C.: le trattative fra Dione e Dionisio II, Edipuglia srl, 1994, ISBN 88-7228-124-5.
  • Becchi Ferrari, Il buon principe e la sua formazione nel mondo antico, in Formare alle professioni. Sacerdoti, principi, educatori, FrancoAngeli, 2009, ISBN 978-88-568-0643-4.
  • Niccolò Palmeri, Somma della Storia di Sicilia, Volume 1, Spampinato, 1834.ISBN non esistente

Voci correlate

Collegamenti esterni