Carri M48 del 40° Reggimento corazzato americano al Checkpoint Charlie il 28 ottobre 1961
Carri T-55 del 68° Reggimento carri della Guardia sovietico al Checkpoint Charlie il 28 ottobre 1961

Guerra fredda

Antefatti

Stabilire il punto di inizio effettivo della Guerra fredda rimane un argomento ampiamente discusso tra gli storici tra i quali persistono valutazioni ampiamente discordanti. Mentre la maggior parte degli autori identificano la sua origine dagli avvenimenti verificatesi subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, altri studiosi affermano che in realtà la Guerra fredda ebbe virtualmente inizio fin dalla Rivoluzione d'ottobre in Russia del 1917 con la conseguente presa del potere sulla maggior parte del vecchio Impero degli Zar, di Lenin e del partito bolscevico[1]

Alcuni studiosi ritengono addirittura che il contrasto tra gli Stati Uniti e la Russia fosse inevitabile indipendentemente dal tipo di organizzazione politica istituita sui territori dell'Impero degli Zar; secondo questa interpretazione fin dall'inizio del 1900 teorici anglosassoni, in particolare Halford Mackinder, avevano individuato il pericolo del predominio della Heartland ("cuore della terra" o "regione perno") slavo-orientale che avrebbe potuto, in alleanza o dopo la sottomissione della regione centrale tedesca, assumere il predominio della Worldland (l'isola euro-asiatica) e quindi del mondo intero[2]. Era quindi essenziale per le potenze della cosiddetta Outer crescent ("mezzaluna esterna": Gran Bretagna, Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Giappone) costituire linee di sbarramento esterne per impedire la costituzione dell'isola euroasiatica[3].

Note

  1. ^ J. L. Gaddis, Russia, the Soviet Union and the United States , p. 57.
  2. ^ J. L. Harper, La Guerra fredda, pp. 35-36.
  3. ^ J. L. Harper, La Guerra fredda, p. 36.


16ª Divisione della Vojvodina
Šesnaesta vojvođanska divizija
 
Partigiani della 16ª Divisione della Vojvodina entrano a Voćin, nell'aprile 1945
Descrizione generale
Attiva1943-1945
Nazione  Jugoslavia
ServizioEsercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia
Tipodivisione
Guarnigione/QGBosnia orientale (area di costituzione iniziale)
Battaglie/guerrePrima battaglia di Tuzla
Operazione Rübezahl
Offensiva di Belgrado
Fronte dello Srem
Operazioni finali di liberazione della Jugoslavia
Comandanti
Degni di notaDanilo Lekić
fonti citate nel corpo del testo
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La 16ª Divisione della Vojvodina, in serbo-croato Šesnaesta vojvođanska divizija, in cirillico Шеснаеста војвођанска дивизија, è stata una formazione militare dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia che venne costituita il 2 luglio 1943 in Bosnia orientale con partigiani serbi provenienti principalmente dalla Vojvodina e dalla Bačka.

La grande unità si distinse in molti combattimenti sul Fronte jugoslavo della seconda guerra mondiale; prese parte alle violente battaglie in Bosnia e Serbia del 1944 e partecipò alla campagna finale di liberazione della Jugoslavia della primavera 1945.

Storia

La divisione venne formata su ordine del Comando supremo partigiano il 2 luglio 1943, nella Bosnia orientale dove erano riparate le forze superstiti del Gruppo operativo principale dell'Esercito popolare dopo la tragica battaglia della Sutjeska. La nuova formazione, comandanta dall'esperto partigiano montenegrino Danilo Lekić, venne costituita originariamente con la 1ª Brigata, la 2ª Brigata e la 3ª Brigata della Vojvodina, mentre in ottobre entrò a far parte del reparto la 4ª Brigata e a novembre anche la 5ª Brigata della Vojvodina. Nel marzo 1944 la composizione della 16ª Divisione cambiò e la 3ª e la 5ª Brigata furono rimosse dall'ordine di battaglia; nell'ultimo periodo della guerra la divisione venne invece rinforzata con l'aggiunta di una brigata d'artiglieria il 18 novembre 1944 e della 15ª Brigata della Vojvodina dal 1 gennaio 1945. Gli effettivi partigiani aumentarono da 1.550 combattenti iniziali, a 6.123 a fine novembre 1943, fino a 8.598 partigiani nel febbraio 1945.

La 16ª Divisione della Vojvodina, rimase fino al 1 luglio 1944 sotto il comando del Quartier generale partigiano della Vojvodina, mentre da luglio 1944 al 1 gennaio 1945 venne messa a disposizione del XII Korpus; dopo questo periodo e fino alla fine della guerra di liberazione combattè agli ordini della 3ª Armata jugoslava.

La nuova unità entrò in combattimento fin dalle fasi finali della Quinta offensiva anti-partigiana che aveva costretto il nucleo principale delle forze di Tito alla ritirata in Bosnia orientale; la 16ª Divisione attaccò per supportare la 1ª Divisione proletaria che guidava le formazioni partigiane sfuggire all'accerchiamento nemico e pesanti combattimenti infuriarono contro le truppe tedesche, ustaša e domobrane lungo la via di comunicazione Zvornik-Tuzla. Il 5 luglio 1943 le unità della 16ª Divisione raggiunse il primo successo sconfiggendo insieme alla 1ª Brigata proletaria, un battaglione della 369ª Divisione tedesco-croata e alcuni reparti ustaša; i partigiani liberarono Zvornik.

I combattimenti continuarono durante tutta l'estate: la notte del 30-31 luglio la 1ª Brigata della divisione della Vojvodina insieme al distaccamento di Majevica, distrussero un gruppo di cetnici, mentre la notte del 7-8 agosto occuparono Janja; il 9 agosto la 16ª Divisione conquistò di sorpresa Bijeljina dove rimase fino al 16 agosto prima di lasciare la città. Durante la notte del 10-11 settembre due brigate della divisione sconfissero dopo un aspro combattimento alcuni reparti ustaša ed entrarono a Vlasenica. La guerra partigiana continuava con esiti alterni nelle stesse regioni; la 16ª Divisione della Vojvodina il 14-15 settembre entrò a Caparde, il 24 settembre rientrò temporaneamente a Bijeljina e il 29 settembre di nuovo a Zvornik.

Ai primi di ottobre 1943 la 16ª Divisione partecipò alla liberazione delle cittadine di Puračići e Lukavca, respinse il nemico proveniente dalla direzione di Doboj e lo inseguì verso Gracanica; subito dopo i partigiani tornarono a Semberija e Posavina, mentre il 19 ottobre si concluse con un fallimento l'attacco al presidio ustaša di Brčko. Nel mese di novembre due brigate della divisione respinsero con successo una serie di attacchi della 187ª Divisione tedesca da Brčko, Gracanica, Tuzla e Bijeljina. Il 15 novembre i partigiani, dopo pesanti combattimenti, costirnsero il nemico a ripeigare su Brcko, quindi rastrellarono la Majevica eliminando le bande di cetnici; nella notte del 20-21 novembre la 1ª brigata della Vojvodina raggiunse la regione dello Srem e attaccò Grgurevci prima di ritornare in Bosnia.

Nel dicembre del 1943 la divisione continuò a combattere nella zona di Gracanica; il 15-16 dicembre attaccò la guarnigione croata e occupò temporaneamente la posizione, quindi affrontò duri scontri contro potenti forze tedesche a Majevica e Semberija. Dal 17 a 20 gennaio 1944 prese parte, insieme alle unità partigiane del III Korpus bosniaco, all'attacco a Tuzla accanitamente difesa da forze croate, rafforzate da truppe tedesche; dopo l'arrivo di rinforzi nemici, il 20 gennaio 1944 i partigiani dovettero interrompere gli assalti e battere in ritirata. Nonostante l'insuccesso, la 16ª Divisione riprese le operazioni e sconfisse i cetnici presenti a Majevica e nella valle del fiume Spreca, quindi attaccò la linea di comunicazione Tuzla-Doboj. La notte del 16-17 febbraio i partigiani assaltarono di nuovo Gracanica e conquistarono la piazzaforte; il 18 la divisione abbandonò la città e si ritirò dopo aver distrutto il ponte sul fiume Spreca, nei pressi del villaggio di Karanovac.

La 16ª Divisione della Vojvodina fu impegnata in combattimenti particolarmente pesanti nel mese di aprile 1944 contro la 7. Divisione SS, la 13. Divisione SS e il 3° Corpo d'armata croato nell'area di Gajece, Čelića, Koraja, Zabrđe, poi nel territorio di Sekovici e Vlasenica; il 4 maggio la divisione partigiana partecipò alla liberazione di Kladanj, e l'11 maggio, avendo rinunciato ad attraversare la Drina per passare in Serbia, ritornò nel settore di Tuzla e Olovo. Nella seconda metà del mese di maggio, la divisione fu in azione a Majevica e Lopara, sulla montagna Konjuh, mentre nel mese di giugno fu di nuovo in combattimento a Lopara e occupò le roccaforti nemiche lungo la via di comunicazione Olovo-Zavidovici. In seguito i partigiani sconfissero i cetnici sul monte Ozren, e nella seconda metà del mese di luglio durante l'offensiva tedesca in Bosnia orientale, parteciparno alla difesa del territorio libero di Brcko e Šehovića. Dopo una lunga marcia dalla Bosnia orientale alla Bosnia centrale, la 16ª Divisione entrò in collegamento il 28-29 luglio 1944 con la 6ª Divisione della Lika che aveva attraversato il fiume Bosna.

Dall'inizio del mese di agosto 1944 ebbe inizio il nuovo tentativo del XII Korpus di entrare in Serbia che provocò la violenta reazione delle truppe tedesche; la 16ª Divisione partecipò all'operazione e marciò in direzione di Foča; pesanti scontri furono combattuti lungo le strade di Han Pijesak-Sokolac, Sokolac-Rogatica, Visegrad-Sarajevo e Foča-Kalinovik. La divisione fu costretta a deviare verso sud attraverso le montagne di Zelengora, Maglic e Vučevo ed entrò in Montenegro raggiungendo la regione del Durmitor dove le formazioni partigiane rischiarono di essere accerchiate e totalmente distrutte durante l'operazione Rübezahl aferrata dai tedeschi. La 16ª Divisione della Vojvodina riuscì, insieme agli altri reparti del XII Korpus, a sfuggire e all'inizio di settembre ripiegò prima in Erzegovina e poi in Bosnia orientale, da dove il 5-6 settembre 1944 raggiunse la Serbia dopo aver attraversato il fiume Drina.

Voci correlate

[[Categoria:Resistenza jugoslava]]

"Naso" di Marinovka
parte della battaglia di Stalingrado sul fronte orientale della seconda guerra mondiale
File:The panorama in the Volgograd Panorama Museum 007.jpg
Combattimenti ravvicinati durante l'operazione Anello
Data24 novembre 1942 - 12 gennaio 1943
LuogoTerritorio compreso tra Marinovka, Karpovka e il fiume Rossoška
Esitovittoria sovietica
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
dati non disponibili
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Con il termine Naso di Marinovka si identifica nella storiografia della battaglia di Stalingrado il saliente difeso dalle truppe tedesche all'interno della grande sacca di accerchiamento dove si era schierata in difesa circolare la 6. Armee del generale Friedrich Paulus dopo l'operazione Urano sferrara dall'Armata Rossa a partire dal 19 novembre 1942. Questo settore si protrendeva dalla sacca verso occidente con una forma rassomigliante appunto ad un naso.

Il "naso di Marinovka" fu durante tutto il lungo assedio della 6. Armee, continuato per oltre due mesi, il luogo più esposto e pericoloso della sacca e anche quello più vicino al fronte principale tedesco. In questo territorio il generale Paulus si attendeva ansiosamente di entrare in contatto con le colonne di soccorso che avrebbero dovuto liberare la sua armata; egli schierò nel "naso" le sue divisioni ancora relativamente più efficienti, in un primo momento per coprire le spalle della 6. Armee, poi per preparare una sortita in direzione dei soccorsi, infine, dopo il fallimento dei piani tedeschi, per sbarrare a tutti i costi il passo all'attesa offensiva finale sovietica.

Il 10 gennaio 1943 l'Armata Rossa diede inizio all'operazione Anello e attaccò il "naso di Marinovka" da nord-ovest, da ovest e da sud e, nonostante la disperata resistenza dei tedeschi, travolse le difese e conquistò il saliente entro il 12 gennaio, aprendo la strada per l'inarrestabile avanzata finale da occidente verso le rovine di Stalingrado.

La sacca di Stalingrado

Chiusura dell'accerchiamento e formazione della sacca

Nel pomeriggio del 23 novembre 1943 le colonne corazzate del 4° Corpo carri del generale Andrej Grigor'evič Kravčenko, provenienti da nord, e del 4° Corpo meccanizzato del generale Vasilij Timofeevič Volskij, in avanzata da sud, si incontrarono nel villaggio di Sovetskij, alcuni chilometri a sud-est di Kalač-na-Donu. Questo evento di straordinaria importanza segnava la vittoriosa conclusione della clamorosa operazione Urano iniziata dall'Armata Rossa il 19 novembre e chiudeva la gigantesca manovra a tenaglia d'accerchiamento intorno all'enorme raggruppamento di forze tedesche schierato tra il Don e il Volga nel settore di Stalingrado[1].

 
I comandanti delle brigate carri sovietiche si abbracciano dopo il congiungimento a Sovetskij, pochi chilometri a est di Kalač-na-Donu, il 23 novembre 1942, durante l'operazione Urano.

Il comandante della 6. Armee tedesca, responsabile della direzione di tutte le truppe tedesche, il generale Friedrich Paulus, aveva cercato di impedire questa disastrosa conclusione dell'offensiva sovietica e aveva inviato ad intercettare le colonne mobili nemiche alcuni improvvisati kampfgruppe delle sue insufficienti forze mobili. La frettolosa manovra di rischieramento a nord del Don delle tre Panzer-Division del XIV Panzerkorps del generale Hans Hube non ebbe successo e i tedeschi vennero respinti in pochi giorni a sud-est del fiume. Di conseguenza i corpi corazzati e meccanizzati sovietici avevano potuto chiudere la tenaglia a sud-est di Kalač-na-Donu senza incontrare molta resistenza; l'importantissima linea ferroviaria che collegava Stalingrado con Rostov sul Don era stata intercettata alla stazione di Krivomužinskaja]]. L'unica forza organizzata tedesca presente sul posto il 23 novembre era il kampfgruppe von Hanstein della 3. Divisione motorizzata che stava cercando di formare una posizione difensiva a copertura del villaggio di Marinovka, alcuni chilometri a nord-est di Sovetskij[2]. Piu a est, tra i villaggi di Karpovka e Novij Rogalcik, invece erano schierate le truppe della esperta e ben equipaggiata 29. Divisione motorizzata che, dopo aver rallentato il 20 novembre l'avanzata del 13° Corpo meccanizzato del "Fronte di Stalingrado" sovietico, aveva preso posizione a sud del fiume Cervlenaja per coprire il lato meridionale della sacca in formazione della 6. Armee. Il 23 novembre 1942 questo settore venne attaccato da due brigate meccanizzate e due divisioni di fucilieri della 57ª Armata sovietica che furono però respinte dai reparti della 29. motorizzata che inoltre cercarono anche di contrattaccare e riconquistarono la sera dello stesso giorno il villaggio di Karpovka e la stazione ferroviaria vicina[3]. Una divisione di fucilieri sovietica dovette ripiegare, ma l'intervento di una brigata meccanizzata del 4° Corpo meccanizzato bloccò i contrattacchi tedeschi verso Sovetskij[4].

Nella notte del 23-24 novembre il generale Paulus riuscì a costituire uno schieramento coerente lungo il lato meridionale per coprire le spalle dell'armata; mentre la 29. motorizzata sbarrava solidamente il terreno tra Karpovka e Tsybenko, il Kampfgruppe Korfes prese il comando delle forze tedesche tra Marinovka e Karpovka con elementi della 3. motorizzata, della 60. Divisione motorizzata e della 14. Panzer-Division, suddivisi a loro volta nei tre kampfgruppe Seidel, von Hanstein e Willig[5].

Le difese nel "naso di Marinovka"

Operazione Anello

Distruzione del "naso di Marinovka"

La ritirata verso est

Note

  1. ^ D. Glantz-J. House, Endgame at Stalingrad, book one, pp. 364-365.
  2. ^ D. Glantz-J. House, Endgame at Stalingrad, book one, p. 364.
  3. ^ D. Glantz-J. House, Endgame at Stalingrad, book one, pp. 362 e 364.
  4. ^ D. Glantz-J. House, Endgame at Stalingrad, book one, p. 364.
  5. ^ D. Glantz-J. House, Endgame at Stalingrad, book one, p. 368.

[[Categoria:Battaglie del fronte orientale della seconda guerra mondiale]] [[Categoria:Battaglie della seconda guerra mondiale che coinvolgono la Germania]] [[Categoria:Battaglie della seconda guerra mondiale che coinvolgono l'Unione Sovietica]]

13ª Divisione fucilieri della Guardia
13-я гвардейская стрелковая дивизия
 
I soldati della 13ª Divisioni fucilieri della Guardia contrattaccano a Stalingrado
Descrizione generale
Attivadicembre 1929-1988
NazioneUnione Sovietica
Tipofanteria
Ruologuerra sul Fronte orientale (1941-1945)
Dimensione10.000 uomini (battaglia di Stalingrado)
Battaglie/guerreGuerra d'inverno
Operazione Barbarossa
Seconda battaglia di Char'kov
Operazione Blu
Battaglia di Stalingrado
Combattimenti nella città di Stalingrado
Battaglia di Kursk
Operazione Bagration
Battaglia di Berlino
Parte di
:::::Armata Rossa
Comandanti
Degni di notaAleksandr Rodimcev
Gleb Baklanov
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La 13ª Divisione fucilieri della Guardia (in russo: 13-я гвардейская стрелковая дивизия) fu un'unità dell'Armata Rossa che faceva parte fin dal 1929 dei reparti organici dell'esercito con la denominazione di 87ª Divisione fucilieri. Ricevette la nuova denominazione con il titolo onorifico di unità "della Guardia" nel gennaio 1942 per il valore dimostrato nella prima fase dei combattimenti sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale.

La divisione divenne famosa e dimostrò soprattutto il suo valore durante i drammatici combattimenti nella città di Stalingrado nel 1942; entrati in azione il 13 settembre 1942, i soldati difesero con successo, sotto l'abile guida del comandante, il generale Aleksandr Rodimcev, il centro di Stalingrado e l'approdo sul Volga combattendo per settimane con estrema violenza contro le truppe tedesche.

Dopo la vittoria finale nella battaglia di Stalingrado, la 13ª Divisione fucilieri della Guardia prese parte alla maggior parte delle grandi offensive dell'Armata Rossa e concluse il suo impegno di guerra partecipando alla battaglia di Berlino.

Storia

[[Categoria:Armata Rossa]]

295. Infanterie-Division
 
Soldati tedeschi in movimento sulle pendici del Mamaev Kurgan
Descrizione generale
Attivafebbraio 1940-gennaio 1943
marzo 1943-maggio 1945
Nazione  Germania nazista
ServizioHeer
Tipofanteria
Ruologuerra sul Fronte orientale (1941-1945) e sul Teatro scandinavo
Dimensione15.000 uomini
SoprannomeDoppelkopf-Division e Pferdekopf
Battaglie/guerreCampagna di Francia
Operazione Barbarossa
Operazione Blu
Battaglia di Stalingrado
Combattimenti nella città di Stalingrado
Operazione Anello
Parte di
:::::Wehrmacht
Comandanti
Degni di notaRolf Wuthmann
Otto Korfes
Simboli
Simbolo 
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La 295. Infanterie-Division fu un'unità della Wehrmacht che venne costituita nel febbraio 1940 durante la Seconda guerra mondiale con soldati provenienti dalla Bassa Sassonia.

La nuova divisione prese parte prima alla campagna di Francia e quindi alla guerra sul fronte orientale assegnata al Gruppo d'armate Sud. Nell'estate 1942 entrò a far parte della 6. Armee, e fu una delle unità di punta tedesche nella drammatica battaglia di Stalingrado. Impegnata nei cruciali combattimenti per la conquista della collina strategica del Mamaev Kurgan, subì fortissime perdite durante i cruenti scontri contro i sovietici; ormai esausta, venne accerchiata insieme a tutte le altre divisioni della 6. Armee nella grande sacca di Stalingrado, i superstiti si arresero alla fine di gennaio 1943.

La 295. Infanterie-Division venne rapidamente ricostituita e trasferita con compiti di occupazione in Norvegia dove rimase fino al termine della guerra.

Storia

La 295. Infanterie-Division venne costituita ufficialmente il 10 febbraio 1940 con soldati provenienti dal settore di Magdeburgo, all'interno del Wehrkreis XI, la "regione militare n. 11" comprendente principalmente la Bassa Sassonia con sede a Hannover; la nuova unità faceva parte della ottava welle, l'ottava ondata di mobilitazione dell'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale[1]. La 295. divisione venne impiegata nella campagna di Francia del 1940 e, dopo essere stata concentrata ad Aquisgrana, avanzò in Belgio e in Francia durante il Fall Gelb e il Fall Rot lungo la direttrice Givet, Reims, Epernay, Nevers[1].

La divisione venne schierata anche all'inizio dell'operazione Barbarossa, la grande offensiva generale contro l'Unione Sovietica che ebbe inizio il 22 giugno 1941; il reparto entrò a far parte della 17. Armee del Gruppo d'armate Sud incaricato dell'invasione dell'Ucraina[1]. La 295. Infanterie-Divisione combattè nella maggior parte delle grandi battaglia affrontate dal gruppo d'armate del feldmaresciallo Gerd von Rundstedt; i suoi soldati quindi furono impegnati sulla direttrice Leopoli-Tarnopol-Vinnica; quindi parteciparono alla grande battaglia della sacca di Uman' e quindi raggiunsero il fiume Dniepr nella zona della testa di ponte di Kremencug[1].

Teatri d'operazione

Ordini di battaglia

1940
  • Infanterie-Regiment 516
  • Infanterie-Regiment 517
  • Infanterie-Regiment 518
  • Artillerie-Regiment 295
  • Panzerjäger-Abteilung 295
  • Pionier-Bataillon 295
  • Infanterie-Divisions-Nachrichten-Abteilung 295
  • Infanterie-Divisions-Nachschubführer 295
1944
  • Grenadier-Regiment 516
  • Grenadier-Regiment 517
  • Artillerie-Regiment 295
  • Pionier-Bataillon 295
  • Panzerjäger-Bataillon 295
  • Infanterie-Divisions-Nachrichten-Abteilung 295
  • Kommandeur der Infanterie-Divisions-Nachschubtruppen 295

Decorazioni

Alcuni soldati della divisione ricevettero decorazioni per atti di valore in guerra:

Note

  1. ^ a b c d F. de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 167.

Voci correlate

[[Categoria:Divisioni di fanteria della Wehrmacht]]

Battaglia di Rostov (1942)
parte del Fronte orientale della seconda guerra mondiale
 
Truppe tedesche in combattimento nel centro di Rostov
Data15 luglio-25 luglio 1942
LuogoRostov sul Don, Unione Sovietica
EsitoVittoria tedesca non decisiva
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
300.000 soldati, 1.130 mezzi corazzati, 2.840 cannoni, 1.000 aerei[1]522.500 soldati[2]
Perdite
dati non disponibili128.460 soldati, tra cui 54.000 prigionieri[3]
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La battaglia di Rostov del 1942 si svolse nella fase iniziale dell'operazione Blu, la seconda grande offensiva sferrata il 28 giugno 1942 dalla Wehrmacht tedesca sul Fronte orientale durante la seconda guerra mondiale, dalla quale Adolf Hitler si attendeva la vittoria decisiva e il crollo definitivo dell'Unione Sovietica.

Dopo l'esito deludente dell'avanzata iniziale, Hitler il 13 luglio 1942 decise di improvvisare una grande manovra di accerchiamento intorno all'importante centro strategico di Rostov sul Don con l'obiettivo di distruggere un gran numero di armate sovietiche; la manovra non raggiunse il successo sperato dal Fuhrer: Rostov venne occupata entro il 25 luglio 1942 e i tedeschi conquistarono preziose teste di ponte sul Don da dove nelle settimane seguenti poterono avanzare verso il Caucaso, ma i sovietici riuscirono a sfuggire all'accerchiamento e ripiegarono in salvo verso sud. La manovra di Rostov in conclusione fece perdere tempo ai tedeschi e frammentò le loro forze che furono disperse su un fronte troppo vasto contrariamente ai piani originari studiati dall'alto comando della Wehrmacht.

Storia

L'operazione Blu

A partire dal 28 giugno 1942 le forze della Wehrmacht schierate nel settore meridionale del Fronte orientale avevano dato inizio all'operazione Blu, la grande offensiva generale da cui Adolf Hitler si attendeva una decisiva vittoria militare e la conquista delle regioni strategiche del Caucaso e di Stalingrado, ritenute essenziali anche per ottennere importanti risorse economiche indispensabili per la macchina bellica della Germania nazista[4]. Nonostante impressionanti vittorie iniziali sul Donec e sull'Oskol da parte dell'ala settentrionale del Gruppo d'armate Sud del feldmaresciallo Fedor von Bock, le prime settimane dell'offensiva tedesca non raggiunsero i risultati attesi; Stalin e il comando supremo dell'Armata Rossa riuscirono a rafforzare il settore di Voronež che bloccò per molti giorni i reparti meccanizzati tedeschi, e furono anche in grado di ritirata il grosso delle truppe del "Fronte Sud-occidentale" del maresciallo Semën Timošenko verso est, evitando accerchiamenti catastrofici[5][6].

Deluso dai risultati raggiunti e irritato dall'atteggiamento ritenuto ostruzionistico del feldmaresciallo von Bock, Adolf Hitler decise il 13 luglio 1942 di cambiare completamente la pianificazione strategica prevista per la seconda fase dell'operazione Blu; ritenendo che la ritirata sovietica evidenziasse soprattutto un cedimento del morale del nemico e fosse un segno di dissoluzione della capacità di resistenza sovietica, il Führer decise di accelerare le operazioni e riorganizzare il suo schieramento per avanzare contemporaneamente verso il medio corso del Don e Stalingrado, e il basso corso del Don a Rostov e il Caucaso[7]. Egli inoltre sciolse il Gruppo d'armate Sud e rimosse il feldmaresciallo von Bock che venne sostituito dal generale Maximilian von Weichs che prese il comando dell'ala settetrionale del vecchio Gruppo d'armate Sud, con la denominazione di Gruppo d'armate B; l'ala meridionale prese invece la denominazione di Gruppo d'armate A al comando del feldmaresciallo Wilhelm List[8].

Le armate del feldmaresciallo List in realtà erano passate all'offensiva fin dal 9 luglio 1942 e il 12 luglio avevano agevolmente sfondato a Krasnyj Luč le linee del "Fronte meridionale" sovietico del generale Rodion Malinovskij; anche in questo settore i sovietici non opposero molta resistenza e iniziarono a ripiegare verso sud-est in direzione dei ponti sul Don a Rostov[9]. La disastrosa ritirata del "Fronte Sud-occidentale" verso est aveva scoperto completamente l'ala destra delle armate del generale Malinovskij che rischiavano di essere tagliate fuori da una possibile manovra tedesca sulle linee di comunicazione; la pericolosa situazione strategica rendeva quindi inevitabile il ripiegamento verso il basso corso del Don per cercare di coprire di accessi ai ponti di Rostov che avrebbero aperto al nemico la direzione del Caucaso. In questa fase in realtà nonostante la delusione dei generali tedeschi, la situazione generale dell'Unione Sovietica era veramente critica; Stalin non aveva perso la sua determinazione e incitava continuamente i suoi generali a rafforzare la resistenza e mantenere il controllo delle truppe; fin dal 12 luglio l'alto comando sovietico sciolse il vecchio "Fronte Sud-occidentale" e costituì il nuovo "Fronte di Stalingrado", al momento lasciando al comando il maresciallo Timošenko, per sbarrare a tutti i costi la strada per Stalingrado[10].

La manovra di Rostov

Battaglia nella città

Sviluppi strategici

Bilancio e conclusione

Note

  1. ^ Dati riferiti al mese di luglio, comprendenti anche la 4. Panzerarmee del generale Hermann Hoth; in: A. M. Samsonov, Stalingrado, fronte russo, p. 220.
  2. ^ Effettivi dell'intero "Fronte meridionale" all'inizio dell'offensiva tedesca; in: D. Glantz-J. House, La grande guerra patriottica dell'Armata Rossa. 1941-1945, p. 186.
  3. ^ D. Glantz-J. House, La grande guerra patriottica dell'Armata Rossa. 1941-1945, p. 186.
  4. ^ P. Carell, Operazione Barbarossa, pp. 533-538.
  5. ^ P. Carell, Operazione Barbarossa, pp. 581-587.
  6. ^ J. Erickson, The road to Stalingrad, pp. 356-359.
  7. ^ P. Carell, Operazione Barbarossa, pp. 590-591.
  8. ^ P. Carell, Operazione Barbarossa, pp. 591-592.
  9. ^ E. Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. IV, p 152.
  10. ^ J. Erickson, The road to Stalingrad, pp. 358-360.

Elenco delle nazioni citate in un documento del 1947 del Comitato degli stati maggiori riuniti (Joint Chiefs of Staff) in ordine di importanza per la sicurezza degli Stati Uniti

  • 1 - Gran Bretagna
  • 2 - Francia
  • 3 - Germania
  • 4 - Belgio
  • 5 - Paesi Bassi
  • 6 - Austria
  • 7 - Italia
  • 8 - Canada
  • 9 - Turchia
  • 10 - Grecia
  • 11 - America latina
  • 12 - Spagna
  • 13 - Giappone
  • 14 - Cina
  • 15 - Corea
  • 16 - Filippine
Avispas Negras
Descrizione generale
Attivaanni 80 - oggi
Nazione Cuba
Servizio  Fuerzas Armadas Revolucionarias de Cuba
Tipoforze speciali
RuoloGuerriglia

Guerra non convenzionale
Azione diretta
Guarnigione/QGEl Mariel, Provincia de La Habana
Soprannome"Vespe nere"
Battaglie/guerreGuerra civile in Angola
Guerra fredda
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Avispas Negras (in italiano: Vespe Nere) è il nome con cui sono conosciuti comunemente i reparti di forze speciali d'elite delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Cuba (FAR).

Addestrate intensamente per i compiti specifici tipici dei corpi speciali, queste truppe, preparate e determinate, sarebbero incaricate di affrontare una possibile offensiva nemica sull'isola di Cuba. Sono state costituite alla fine degli anni 80, ampliando e riorganizzando i reparti già esistenti impegnati in missioni specili in Angola, "Tigres" e "Leones", insieme alle formazioni speciali del Ministero dell'interno incaricate della sicurezza interna.

 
Tomás Borge

Tomás Borge Martínez (Matagalpa, 13 agosto 1939Managua, 20 aprile 2012) è stato un rivoluzionario, politico e scrittore nicaraguense. Tomás Borge fu uno dei membri fondatori del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), e uno dei ribelli storici che lottarono per decenni contro la dittatura nicaraguense della famiglia Somoza. Vicino alle correnti estremiste del movimento sandinista, profondamente legato ai movimenti riviluzionari marxisti dell'America latina e in particolare alla Cuba di Fidel Castro, dopo aver passato anni in carcere ed essere stato torturato, fu uno dei principali dirigenti della vittoriosa rivoluzione sandinista.

Dopo la presa del potere, divenne vicesegretario e presidente onorario del FSLN, membro del Congreso nacional e soprattutto ministro degli interni, esercitando un ruolo decisivo nella resistenza contro il movimento controrivoluzionario dei Contras e sostenendo posizioni di intransigente resistenza alla minacciosa e ostile politica degli Stati Uniti della presidenza di Ronald Reagan.

Dopo la sconfitta elettorale del 1990, Borge rimase nel movimento sandinista e potè partecipare alla vittoria del 2006. Tomás Borge, che era anche uno apprezzato scrittore e poeta, mantenne per tutta la sua vita una rigorosa coerenza ideologica, senza compromessi nè ripensamenti.

Settimana di sangue (in lingua francese: semaine sanglante) è la denominazione presente nella storiografia del periodo della Comune di Parigi dal 21 maggio al 28 maggio 1871 in cui si svolse la fase di più accanita e sanguinosa dei combattimenti all'interno dell'area urbana della capitale francese tra gli insorti rivoluzionari della Guardia nazionale (noti anche come "comunardi" o "federati") e le truppe regolari dell'esercito francesi fedeli all'Assemblea nazionale rifugiatasi a Versailles (noti anche come "versagliesi").

I combattimenti, estremamente violenti e accaniti, si prolungarono per sette giorni lungo le vie di Parigi e si conclusero con la caduta della Comune e con la vittoria totale delle truppe regolari "versagliesi" che procedettero ad una brutale repressione contro gli insorti con esecuzioni di massa e deportazioni. Durante i combattimenti della "settimana di sangue", la città di Parigi subì notevoli devastazioni, a causa dei vasti incendi e delle distruzioni provocate dai combattimenti.

La Comune di Parigi

L'andamento rapidamente catastrofico della guerra franco-prussiana aveva avuto conseguenze tragiche per Parigi costretta a subire un lungo e duro assedio da parte dell'esercito prussiano che dopo aver catturato o distrutto gran parte dell'esercito regolare di Napoleone III aveva potuto manovrare liberamente e accerchiare la capitale francese[1]. I cittadini di Parigi tuttavia non avevano ceduto le armi e al contrario avevano costituito un gran numero di battaglioni della cosiddetta Guardia Nazionale e avevano resistito validamente agli attacchi e ai bombardamenti degli eserciti prussiani assedianti[2]. Mentre l'assedio di prolungava, cresceva l'animosità, l'atmosfera rivoluzionaria e l'esasperazione delle masse popolari parigine provate dalle ristrettezze materiali e morali dell'assedio e convinte di essere state abbandonate dal governo della difesa nazionale trasferitosi fuori Parigi[3].

Le notizie del gennaio e febbraio 1871, con la conclusione dell'armistizio ufficiale tra Francia e Prussia e con l'elezione di una Assemblea nazionale conservatrice e monarchica, quindi furono accolte con insofferenza e proteste dagli strati popolari parigini, convinti di essere stati traditi e sacrificati al nemico, e soprattutto dai battaglioni della Guardia Nazionale che il 10 marzo 1871 decisero di "federarsi" insieme ed elessero un Comitato centrale della Guardia Nazionale[4].

Il 18 marzo 1871 la situazione a Parigi ebbe una svolta decisiva: il governo dell'Assemblea nazionale, guidato dal conservatore e intransigente Thiers, fece il tentativo di impadronirsi con la forza dei cannoni della Guardia nazionale ammassati sulla collina di Montmatre. L'assalto venne respinto e innescò violente proteste popolari che degenerarono in insurrezione; i generali Lecomte e Thomas vennero catturati e fucilati dai rivoltosi[5]. Thiers decise per il momento di abbandonare la città e il governo si trasferì a Versailles mentre anche le truppe regolari evacuavano temporaneamente Parigi[5].

Nella capitale quindi assunsero il potere gli elementi radicali del Comitato centrale della Guardia nazionale; il 26 marzo 1871 si svolsero a Parigi le elezioni generali per il consiglio municipale della città che, sotto il nome di "Comune di Parigi", esercitò da quel momento la funzione legislativa ed esecutiva nella capitale, cercando di attuare un programma avanzato di riforma sociale ed economica radicale a favore delle classe popolari[6].

Note

  1. ^ I. Montanelli/M. Cervi, Due secoli di guerre, vol. V, pp. 24-25.
  2. ^ I. Montanelli/M. Cervi, Due secoli di guerre, vol. V, pp. 25-33.
  3. ^ D. Barjot/J-P. Chaline/A. Encrevé, Storia della Francia nell'Ottocento, pp. 347-348.
  4. ^ D. Barjot/J-P. Chaline/A. Encrevé, Storia della Francia nell'Ottocento, pp. 345-348.
  5. ^ a b D. Barjot/J-P. Chaline/A. Encrevé, Storia della Francia nell'Ottocento, p. 348.
  6. ^ D. Barjot/J-P. Chaline/A. Encrevé, Storia della Francia nell'Ottocento, pp. 348-349.


Intercettazione del Rex
 
Bombardieri B-17 sorvolano il transatlantico italiano Rex a 800 miglia ad est di New York
Data12 maggio 1938
LuogoOceano Atlantico
EsitoRiuscita intercettazione del transatlantico italiano Rex da parte di bombardieri a lungo raggio B-17
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Lintercettazione del Rex fu un'operazione dimostrativa d'addestramento in tempo di pace portata a termine con successo dal United States Army Air Corps nel maggio 1938, prima della seconda guerra mondiale. L'individuazione e la precisa localizzazione di una nave in alto mare nell'oceano (il famoso transatlantico italiano Rex) da parte di bombardieri a lungo raggio Boeing B-17 Flying Fortress il 12 maggio 1938 fu un evento di grande importanza per lo sviluppo di una dottrina strategica autonoma da parte delle forze aeree americane istituzionalmente ancora dipendenti dal United States Army[1]. La missione era ufficialmente catalogata come operazione di addestramento per verificare le capacità delle difere costiere degli Stati Uniti, ma fu in realtà concepita dai pianificatori del Army Air Corps come una dimostrazione propagandistica, ampiamente pubblicizzata per dimostrare in modo spettacolare le capacità dei nuovi bombardieri pesanti come strumenti di proiezione di potenza a lungo raggio[2].

La missione aerea si svolse durante le manovre di difesa costiera condotte dall'Air Corps senza la partecipazione della United States Navy, e apparentemente senza che lo stato maggiore dell'Esercito avesse compreso le implicazioni e gli scopi reali dell'operazione[3]. Gli stati maggiori di esercito e marina erano continuamente in disaccordo con i capi del Air Corps riguardo al ruolo e alle missioni da assegnare alle forze aeree; la Navy metteva in discussione i compiti marittimi dele forze aeree, mentre l'sercito cercava di limitare il suo ruolo a quello di forze di supporto per le truppe di terra[4].

Con notevole abilità propagandistica, il quartier generale dell'Air Corps non solo riuscì a portare a termine con successo l'intercettazione in alto mare, ma diffuse ampiamente la notizia dell'evento con un vasta copertura fotografica e per mezzo di notiziari radiofonici[5]. Anche se il clamore pubblicitario inizialmente ebbe un influenza negativa sulle ambizioni di indipendenza dell'Air Corps, entro un anno il presidente Franklin D. Roosevelt e il futuro capo di stato maggiore dell'esercito, generale George C. Marshall, divennero forti propugnatori del potere aereo a lungo raggio e furono particolarmente impressionati dalle capacità del B-17.

Nuovi compiti per le forze armate degli Stati Uniti

Quando il United States Army Air Service divenne nel 1926 il United States Army Air Corps, il Comitato congiunto Esercito-Marina (Joint Army-Navy Board) stava riconsiderando le responsabilità operative delle due forze armate nei compiti di difesa costiera; sia il capo dell'Air Corps, il maggior generale Mason Patrick che il capo dell'ufficio aereonautico della United States Navy, contrammiraglio William A. Moffett si opponevano ad ogni restrizione sul raggio d'azione o le missioni dei loro rispettivi reparti. Di conseguenza il documento finale di "Azione congiunta" era piuttosto vago riguardo le missioni operative assegnate all'Air Corps in mare, ma "lasciava la porta aperta" all'interpretazione classica della marina sulla sua autorità; in particolare la Navy riteneva che le missioni di pattugliamento costiero basate a terra erano sua esclusiva prerogativa. I tentativi del Ministero della Guerra di chiarire questi aspetti furono respinti dalla marina in modo talmente brusco che il segretario alla Guerra avvertì il presidente Herbert Hoover nel 1930 che la situazione metteva in pericolo la difesa nazionale[6].

Il 7 gennaio 1931 il capo di stato maggiore dell'esercito generale Douglas MacArthur e il capo delle operazioni navali della U.S. Navy, ammiraglio William V. Pratt, raggiunsero un accordo che modificava il documento di "Azione congiunta" e assegnava agli aerei basati a terra dell'Air Corps il ruolo di difesa costiera [7][8]. Questo accordo giunse nel momento in cui l'Air Corps era alla ricerca di una missione operativa che potesse giustificare lo sviluppo e la produzione di bombardieri monoplani interamente metallici e le teorie della Scuola Tattica dell'Air Corps a favore dell'impiego di bombardieri pesanti a lungo raggio. Il primo tentativo dell'Air Corps di dimostrare le sue capacità nei compiti di difesa costiera peraltro si concluse con un imbarazzante fallimento che riaccese le polemiche e provocò pesanti critiche al corpo aereo americano. L'11 agosto 1931 il tentativo di intercettazione della nave mercantile USS Mount Shasta da parte di bombardieri B-3 e B-5 non ebbe successo e per una serie di circostanze avverse gli aerei non individuarono il cargo; si parlò di Shasta disaster e di bombing flop.

La U.S. Navy nel frattempo aveva prestato scarsa attenzione ai termini dell'accordo MacArthur-Pratt e aveva continuato a sviluppare aerei basati a terra, espandendo contemporaneamente le sue stazione aero-navali (naval air staion); nel 1933, dopo il ritiro dell'ammiraglio Pratt, la marina decise di annullare anche formalmente gli accordi e l'11 settembre 1935 il Joint Board emise un nuovo documento in cui si affermava esplicitamente che tutte le missioni dell'Air Corps, compresa la difesa costiera, erano da considerare "ausiliarie" all'azione dell'esercito campale.

Note

  1. ^ Shiner, Winged Shield, Winged Sword: A History of the United States Air Force, p. 133.
  2. ^ Correll, Rendezvous with the Rex, p. 57.
  3. ^ Correll, Rendezvous with the Rex, p. 55.
  4. ^ Shiner, Winged Shield, Winged Sword: A History of the United States Air Force, p. 116.
  5. ^ Shiner, Winged Shield, Winged Sword: A History of the United States Air Force, p. 147.
  6. ^ Greer (1985), p. 68
  7. ^ Greer (1985), p. 69
  8. ^ Tate (1998), p. 78.

Secondo colpo nucleare

Il secondo colpo nucleare (in inglese second strike) è nella strategia della guerra nucleare la capacità di una nazione di rispondere ad un attacco nucleare con una potente rappresaglia nucleare contro l'avversario (second-strike capability).

Avere questa capacità e convincere l'avversario della sua efficacia, è considerato di importanza vitale nel sistema della deterrenza nucleare; in caso contrario l'altra parte potrebbe essere indotta a tentare di vincere una guerra nucleare attraverso un massiccio primo colpo nucleare (first strike) contro le forze nucleari dell'avversario (cosiddetta strategia nucleare counterforce, controforza).

Teoria

Nel complesso quadro della strategia della guerra nucleare, il possesso di una capacità di secondo colpo può contrastare efficacemente la minaccia di un primo colpo nucleare e può supportare una strategia di no first use nuclear ("non uso per primo di armi nucleari"). La capacità reciproca di secondo colpo generalmente conduce alla strategia della MAD ("Distruzione reciproca assicurata"), anche se una delle due parti avesse un livello inferiore di risposta deterrente residua. La capacità di secondo colpo nucleare può essere ulteriormente rafforzata dall'attivazione di meccanismi di tipo fail deadly.

L'obiettivo cruciale di una capacità di "secondo colpo nucleare" consiste nella capacità di preveniere attacchi di primo colpo che potrebbero mettere fuori uso l'arsenale nucleare della nazione, mantenendo la possibilità di sferrare una rappresaglia nucleare. La presenza di una Triade nucleare è un elemento importante per diversificare gli arsenali nucleari in modo da assicurare una migliore capacità di second-strike.

I missili balistici lanciati da sottomarini solo il tradizionale, ma molto costoso, mezzo per disporre di una capacità di "secondo colpo nucleare"; essi tuttavia debbono essere supportati da un affidabile sistema per identificare rapidamente e con precisione l'attaccante. L'impiego dei SLBM come strumento di "secondo colpo" pone un serio problema, perchè in rappresaglia per un attacco di missili balistici lanciati da sottomarini, potrebbe essere colpita la nazione sbagliata, provocando in questo modo un conflitto generale per escalation.

Operazione Kikusui
parte della battaglia di Okinawa della seconda guerra mondiale nel teatro del Pacifico
 
Un giovane pilota kamikaze riceve l'hachimaki prima di partire per la missione d'attacco suicida
Data6 aprile - 22 giugno 1945
Luogomare intorno all'isola di Okinawa
EsitoVittoria alleata
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
circa 2.000 aerei kamikaze
Perdite
~~
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Operazione Kikusui (菊水作戦?, Kikusui sakusen) fu una serie di grandi attacchi aerei suicidi sferrati dai reparti kamikaze della Marina Imperiale giapponese e dell'Esercito Imperiale giapponese durante la battaglia di Okinawa per cercare di fermare l'invasione dell'isola da parte delle forze aero-navali e terrestri alleate.

Gli attacchi aerei kamikaze, condotti con grande coraggio e determinazione dai giovani piloti volontari sotto la direzione dell'ammiraglio Matome Ugaki, si susseguirono in almeno dieci ondate dai primi giorni di aprile alla fine di giugno 1945. I disperati attacchi suicidi inflissero pesanti perdite alle forze navali alleate che ebbero numerose navi affondate o gravemente danneggiate, ma, nonostante il sacrificio della vita dei piloti giapponesi, non riuscirono a fermare la macchina militare americana che alla fine completò con successo la conquista dell'isola di Okinawa.

L'impressionante determinazione delle unità d'attacco speciale giapponesi e la gravità delle perdite subite influì sulla decisione della dirigenza politico-militare statunitense di evitare un invasione terrestre del Giappone e ricercare un'altra soluzione per arrivare alla resa dell'irriducibile nemico.

La denominazione dell'operazione, Kikusui, deriva dal nome della hata-jirushi (il vessillo di battaglia) del leggendario samurai Kusunoki Masashige.

La guerra del Pacifico all'inizio del 1945

La battaglia delle Marianne nel giugno 1944 e la successiva battaglia del Golfo di Leyte nell'ottobre 1944 si erano concluse con pesanti sconfitte per la Marina Imperiale giapponese che era uscita decimata da questi grandi scontri aero-navali e non appariva più in grado di contrastare efficacemente l'enorme flotta statunitense[1]. Nel marzo 1945 le navi americane della Task Force 58 sferrarono attacchi aeronavali contro l'isola di Kyushu e dimostrarono che gli Alleati erano in grado di dominare le acque intorno alle isole giapponesi e che le tattiche convenzionali di guerra aero-navale erano impotenti di fronte alla schiacciante potenza di fuoco dell'apparato bellico degli Stati Uniti[2]. Per contrastare la crescente superiorità alleata, già dopo la caduta delle Marianne alcuni capi estremisti e irriducibili avevano proposto iniziative radicali per contrastare il nemico e impedire la disfatta del Giappone.

L'ammiraglio Takijirō Ōnishi aveva proposto di organizzare "unità d'attacco aereo speciali", costituite da volontari incaricati di sferrare con i loro aerei, attacchi suicidi contro le navi alleate; le prime unità Kamikaze della Marina Imperiale avevano partecipato alla battaglia del Golfo di Leyte e avevano ottenuto alcuni successi tra cui l'affondamento della grande portaerei USS Princeton. Nei successivi combattimenti aero-navali al largo di Kyushu i kamikaze avevano danneggiato altre due portaerei americane[2]. Questi primi risultati convinsero il Quartier generale Imperiale dell'efficacia degli "attacchi speciali": le unità kamikaze apparivano l'unica soluzione possibile per cambiare l'esito della guerra; di conseguenza la Marina imperiale e l'Esercito imperiale iniziarono subito a costituire unità "d'attacco speciale" per sferrare massicci attacchi kamikaze contro le forze navali della U.S. Navy.

 
Il vice ammiraglio Matome Ugaki, responsabile di tutti gli attacchi Kamikaze della Marina imperiale giapponese nella battaglia di Okinawa.

Il 20 marzo 1945, il Quartier generale imperiale diede inizio alle complesse manovre previste dalla operazione Ten-Go per difendere l'isola di Okinawa dalla imminente invasione da parte di enormi forze aero-navali e terrestri americane. Il piano giapponese prevedeva l'intervento di numerosi gruppi aerei: la Marina imperiale avrebbe impegnato la Quinta flotta aerea del vice ammiraglio Matome Ugaki con base a Kyushu, la Terza flotta aerea con base a Formosa e la Decima flotta aerea; il vice-ammiraglio Ugaki avrebbe diretto operativamente tutte le unità aeree della Marina imperiale[3]; a sua volta l'Esercito imperiale avrebbe impiegato la Ottava divisione aerea della Sesta armata aerea schierata a Formosa al comando del tenente generale Kenji Yamamoto.

Il vice ammiraglio Ugaki aveva la direzione generale delle missioni kamikaze; egli tuttavia riteneva necessario salvaguardare i piloti più esperti e gli aerei più moderni e quindi assegnò agli "attacchi speciali" soprattutto giovani piloti inesperti e allievi piloti che avrebbero impiegato in gran parte aerei di seconda qualità o già logorati dall'impegno bellico; l'ammiraglio contava sull'eccezionale spirito combattivo e il fanatismo di questi giovani piloti che avrebbero sferrato gli attacchi suicidi sotto la protezione degli aerei e i piloti migliori che avrebbero volato intorno alla massa dei kamikaze[4]. Nelle settimane precedenti l'assalto alleato ad Okinawa, la marina e l'esercito imperiale concentrarono un gran numero di aerei assegnati ai giovani piloti suicidi il cui morale venne ancor più esaltato dagli onori e la venerazione ricevuti da parte della popolazione che li considerava "eroi" e "dei"[5].

Il 1 aprile 1945, il Quartier generale imperiale, sempre più preoccupato per l'imminente nuova offensiva aero-navale americana, diede ordine di accelerare "la conversione di tutti gli aerei da guerra della Marina imperiale e dell'Esercito imperiale in aerei d'attacco speciale", stabilendo quindi che da quel momento la maggior parte dei mezzi aerei giapponesi sarebbe stata impiegata come kamikaze; nei campi di volo di Kyushu si affrettarono i preparativi per l'interventi degli aerei suicidi, designate "operazioni Kikusui" dalla Marina imperiale e "assalti aerei totali" dall'Esercito imperiale; nell'isola giapponese più meridionale furono raggruppati oltre 3.000 aerei di vari tipi. Lo stesso giorno dell'ordine del Quartier generale imperiale, gli Alleati iniziarono l'operazione Iceberg, l'attacco contro Okinawa. L'ammiraglio Raymond Spruance, comandante della Quinta flotta, disponeva di forze imponenti per supportare e proteggere la Decima armata del generale Simon Bolivar Buckner incaricata, con tre divisioni dell'esercito e tre dei marines, di conquistare l'isola. La Quinta flotta schierava la Task Force 51 dell'ammiraglio Turner che, con 1205 navi, tra cui 18 portaerei di scorta, 10 corazzate e 136 cacciatorpedinieri e navi scorta, era incaricata di sbarcare e sostenere logisticamente il corpo di spedizione, e la Task Force 58 dell'ammiraglio Mitscher che, con altre 8 corazzate, e 18 portaerei di squadra con oltre 1.300 aerei a bordo, avrebbe organizzato un formidabile schermo aereo sui cieli intorno all'isola; le forze americane eran inoltre rafforzate dalla squadra del Pacifico britannica dell'ammiraglio Rawling che disponeva di quattro portaerei e due corazzate[6]. Ulteriore supporto aereo alle truppe a terra sarebbe stato fornito dall'aviazione tattica dei marines e anche dai bombardieri strategici della Twentieth Air Force a partenza dalla grandi basi aeree delle isole Marianne[7].

Il 6 aprile 1945 la Marina imperiale diede inizio alla operazioni Kikusui I, mentre l'Esercito imperiale sferrava il "Primo assalto aereo totale" contro le forze navali nemiche.

Gli attacchi Kamikaze a Okinawa

Operazione Kikusui I

In realtà l'ammiraglio Ugaki e l'alto comando nipponico avevano previsto di sferrare il primo attacco kamikaze in massa l'8 aprile 1945 ma la prima mattina del 6 aprile l'ammiraglio Raymond Spruance sferrò un attacco preventivo sulle basi aeree giapponesi nell'isola di Kyushu con la sua aviazione imbarcata sulle portarei. Egli era stato informato dalle ricognizioni aeree del 4 aprile della presenza di ingenti forze aeree nemiche nei campi di volo di Kyushu e, temendo un concetramento di aerei suicidi contro le sue navi, aveva deciso di colpire per primo. L'attacco aereo americano all'alba del 6 aprile tuttavia non raggiunse grandi risultati e, nonostante le esagerate stime dei piloti statunitensi sulle perdite inflitte, le basi aeree giapponesi subirono pochi danni; l'attacco tuttavia preoccupò l'alto comando nipponico che, temendo nuove incursioni, decise di accelerare i tempi e lanciare subito il primo attacco kamikaze facendo decollare nella tarda mattinata 355 aerei suicidi, di cui 230 della Marina imperiale e 125 dell'Esercito[8].

Note

  1. ^ E. Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. 7, pp. 260-276.
  2. ^ a b E. Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. 7, p. 290.
  3. ^ R. Inoguchi/T. Nakajima/R Pineau, Vento divino, pp. 215-216.
  4. ^ B. Millot, La guerra del Pacifico, pp. 893-894.
  5. ^ B. Millot, La guerra del Pacifico, p. 894.
  6. ^ E. Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, pp. 288-289.
  7. ^ B. Millot, La guerra del Pacifico, p. 895.
  8. ^ R. Inoguchi/T. Nakajima/R Pineau, Vento divino, p. 219.

Van Tien Dung, Le Trong Tan, Viktor Krulak, Taylor-Rostow, Krulak-Mendenhall, Taylor-McNamara.